Le operazioni inesistenti nel sistema dell’IVA
Il trattamento tributario delle operazioni che vivono unicamente sulla carta (cd. operazioni oggettivamente inesistenti) e quello delle operazioni intercorse tra parti diverse da quelle indicate nei documenti contabili (cd. operazioni soggettivamente inesistenti) è tema di grande interesse ed attualità: accanto, infatti, alle note conseguenze in materia di recupero dell’imposta evasa in capo al soggetto che consente o facilita la realizzazione della frode IVA, si registrano tutta una serie di questioni “aperte” che vanno affrontate cercando di contemperare, in linea con l’approccio adottato dalla Corte di giustizia, la tutela della buona fede del soggetto passivo e la cura degli interessi erariali.
Nel sistema dell’IVA il concetto di operazione inesistente cui fa riferimento il sopra citato art. 21, co. 7, del d.P.R. n. 633/1972, viene elaborato tenendo conto del requisito soggettivo che caratterizza l’“universo” delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi.
In altri termini, si afferma che l’inesistenza dell’operazione di cui alla suddetta disposizione (la quale, giova ricordare, determina l’obbligo per l’emittente la fattura relativa all’operazione medesima di considerare come dovuta l’IVA addebitata3) non si ha solo nel caso di discordanza tra realtà e sua rappresentazione documentale, ma anche nel caso in cui tale discordanza non vi sia allorché l’operazione esista esattamente nei termini rappresentati in fattura laddove questa sia, però, emessa da un soggetto che non agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione4. Nella disciplina IVA, infatti, di operazione si può propriamente parlare se ed in quanto sussistono i requisiti oggettivo e soggettivo onde la mancanza di quest’ultimo rende l’operazione effettuata estranea al comparto impositivo in oggetto.
Interessante notare come il poc’anzi citato settimo comma dell’art. 21 distingua l’operazione inesistente da quella documentata mercé l’indicazione in fattura di corrispettivi o imposta in misura superiore a quella reale; la prima categoria è, infatti, separata dalla seconda dalla disgiuntiva “ovvero” per cui è ragionevole ritenere che il legislatore non consideri, relativamente agli effetti scaturenti dall’anzidetta disposizione, alla stregua di operazioni inesistenti quelle “sovrafatturate”.
Sul punto le strade dell’IVA e quelle dell’ordinamento penal-tributario parrebbero dunque dividersi se è vero, come è vero, come si è visto, che la nozione penal-tributaria di operazione inesistente ricomprende esplicitamente anche l’operazione con corrispettivi “sovrafatturati” o con indicazione di un’imposta superiore a quella reale.
In ogni caso, anche nella suddetta disposizione del decreto IVA, il cuore dell’inesistenza è rappresentato dal fenomeno simulatorio.
Rileva, in particolare, a parte il caso, autonomamente considerato, della sovrafatturazione dell’imponibile, l’inesistenza in senso giuridico dell’operazione (simulazione relativa) dove la divergenza tra realtà e sua rappresentazione attiene al contenuto negoziale dell’atto rappresentato (si fattura una determinata operazione, ma se ne è effettuata un’altra)5, ovvero l’inesistenza in senso assoluto dell’operazione (simulazione assoluta) giacché nessuna operazione è in realtà stata effettuata.
Sono, dunque, operazioni oggettivamente inesistenti, si afferma, quelle che vivono unicamente in una dimensione cartolare6. Quanto a quelle, realmente effettuate, ma soggettivamente inesistenti è possibile distinguere le seguenti ipotesi:
i) in fattura viene indicato come emittente un nome di fantasia che non corrisponde ad alcun soggetto realmente esistente;
ii) l’emittente è un soggetto realmente esistente, ma non è un soggetto passivo IVA;
iii) l’emittente indicato in fattura esiste ed è un soggetto passivo, ma non è quello che ha effettuato l’operazione oggettivamente intesa indicata nella fattura medesima7.
In estrema sintesi, nelle operazioni soggettivamente inesistenti vi è divergenza tra la rappresentazione documentale e la realtà attinente ad uno dei soggetti che intervengono nell’operazione; l’operazione, dunque, esiste ma va riferita a soggetti interposti che si nascondono dietro un prestanome8 o a soggetti che non agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Si afferma, peraltro, che una fatturazione soggettivamente falsa non attiene necessariamente al fenomeno del “nero” come accadrebbe allorché un soggetto emettesse una fattura nei confronti di chi non ha ricevuto la prestazione, essendo tuttavia quest’ultimo giustificato a ricevere il documento in quanto titolare di un rapporto interno di delegazione con l’effettivo committente o cessionario. Anche qui, infatti, fermandosi alla discrasia tra i diversi attori dell’operazione compiuta, indicati in fattura, si ha un’operazione che, sotto il profilo formale, è soggettivamente inesistente, ma la stessa «può essere sorretta a monte da una “ragione giuridico-economica” (ossia ad esempio un rapporto di delegazione di pagamento tra il destinatario della prestazione ed il destinatario della fattura) che la pone quindi al riparo delle conseguenze negative riconnesse alle “false fatturazioni”»9.
Nel sistema dell’IVA un tertium genus di operazione inesistente, secondo alcuni, deve ravvisarsi in quelle per cui manca il requisito territoriale10. Anche l’operazione territorialmente inesistente, in particolare, fa scattare l’applicazione dell’art. 21, co. 7, del d.P.R. n. 633/1972; l’imposta è, infatti, dovuta quand’anche l’operazione sia stata assoggettata ad IVA nel territorio di altro Stato membro e ciò in quanto l’art. 203 della dir. CE n. 112/2006 va interpretato nel senso che l’IVA è dovuta nello Stato membro al quale corrisponda l’IVA esposta nella fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci, pur quando l’operazione non fosse imponibile in detto Stato membro11.
Delineato in tal modo il concetto di operazione inesistente nel sistema dell’IVA, occorre soffermarsi brevemente sui presupposti del diritto alla detrazione di cui agli artt. 167 e ss. della cd. direttiva “Rifusione” (cui corrispondono, com’è noto, gli artt. 19 e ss. del d.P.R. n. 633/1972)12.
Trattasi di un diritto il quale, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza europea, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA13, parte integrante del suo meccanismo applicativo ed in linea di principio non soggetto a limitazioni, da esercitarsi immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato le operazioni effettuate a monte14.
La ratio del diritto in questione è, evidentemente, quella di sgravare interamente l’imprenditore ovvero l’esercente arti e professioni dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Ed invero, il sistema comune dell’IVA garantisce la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette ad imposta.
Dalla formulazione dell’art. 168, lett. a), della cd. direttiva “Rifusione” emerge che, per poter beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta e che, a monte, detti beni o servizi siano forniti da un altro soggetto passivo15.
Ne consegue che il diritto alla detrazione è, in definitiva, correlato:
i) alla soggettività passiva IVA dei due poli dell’operazione;
ii) all’effettività dell’acquisto ovvero, in altre parole, all’esistenza dello stesso;
iii) all’inerenza dell’acquisto intesa come collegamento funzionale tra acquisto ed impiego in operazioni soggette ad imposta.
Il possesso di una fattura con IVA esposta non è pertanto sufficiente a legittimare l’esercizio del diritto alla detrazione giacché prevale nella giurisprudenza europea, a far tempo dalla nota sentenza Genius Holding16, un approccio di tipo sostanzialistico in base al quale è detraibile solo l’imposta dovuta ossia l’imposta corrispondente ad un’operazione soggetta ad IVA. Solo un siffatto approccio, si osserva, consente di evitare frodi determinate dalla detraibilità dell’IVA fatturata.
Non esiste dunque perfetta simmetria tra l’imposta esposta in fattura e quella detraibile, con la conseguenza che, da un lato, non sempre sussiste un debito d’imposta in capo al cedente correlato all’emissione della fattura, e, dall’altro, che la detrazione è ancorata non solo al documento, ma anche all’esistenza di un’operazione soggetta ad IVA, cioè ad un’imposta dovuta all’Erario.
Non vi è, inoltre, diretta correlazione tra detrazione e versamento dell’IVA addebitata; ed invero, come ha chiarito la Corte di giustizia, è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA pagata a monte, stabilire se l’imposta dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata o meno versata all’Erario e ciò in quanto l’IVA si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, detratta l’imposta gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo17. Semmai la circostanza del versamento dell’IVA relativa all’operazione inesistente giustifica il diritto al rimborso: nella dialettica tra diritto alla detrazione e debenza dell’IVA relativa ad un’operazione inesistente, infatti, governa il primo nel senso che, solo se la detrazione non c’è stata e non è più possibile, allora l’IVA non è più dovuta18.
2.2 Inesistenza dell’operazione e detrazione dell’IVA
Se dunque, tra i presupposti del diritto alla detrazione, vi è anche quello dell’effettività dell’acquisto di beni o servizi da un soggetto passivo IVA, è evidente che l’IVA esposta in una fattura che riguardi acquisti mai effettuati, ossia operazioni oggettivamente inesistenti, non può esser detratta. Ed invero, un’operazione documentata ai fini IVA che non esiste in rerum natura è per definizione inidonea a generare il diritto alla detrazione.
Del pari inidonea a generare il diritto alla detrazione è l’operazione sì effettuata, ma da un non soggetto passivo e, quindi, esclusa o “fuori campo” (in questi termini, un’operazione che, ai fini IVA, è da considerare inesistente) ovvero riferita documentalmente ad un soggetto inesistente (quest’ultimo caso, come detto, da inscrivere tra le operazioni soggettivamente inesistenti).
Lo stesso è a dirsi, peraltro, quanto all’IVA relativa ad un’operazione “sovrafatturata” ovvero indicata in misura superiore a quella dovuta, quand’anche la si ritenga non riconducibile alla categoria delle operazioni (oggettivamente) inesistenti, conclusione cui si perviene argomentando dal tenore dell’art. 21, co. 7, del d.P.R. n. 633/1972, il quale prevede che sia dovuta, appunto, l’IVA relativa ad operazioni sovrafatturate ovvero indicata in misura superiore al reale.
Quanto all’imposta relativa ad operazioni effettuate da un soggetto passivo IVA diverso da quello che risulta nella fattura (trattasi ancora di operazioni “soggettivamente” inesistenti), com’è noto il consolidato orientamento della Corte di cassazione è nel senso secondo cui ugualmente si deve pervenire alla conclusione dell’indetraibilità19. A tale orientamento si oppone peraltro chi, in dottrina, svaluta l’esigenza di coerenza tra fattura e reale controparte contrattuale del cessionario o committente (e, in definitiva, il cd. principio di cartolarità20) per correlare il diritto di detrazione alla sola effettività dell’acquisto ed alla relativa inerenza dello stesso in tal modo privilegiando la neutralità del tributo21.
Ciò precisato in ordine alla prospettiva domestica, occorre fare brevemente menzione del diverso approccio adottato dalla Corte di giustizia che non si serve della nozione di operazione inesistente22 e, nel ritenere eccezionale la possibilità di negare il diritto di detrazione, valorizza in modo compiuto lo stato soggettivo del committente/cessionario23 affermando che tale diritto può essere negato solo se si dimostra che costui «sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal suddetto emittente o da un altro operatore intervenuta a monte della catena di prestazioni»24.
Da ultimo, merita ricordare che al mondo delle operazioni soggettivamente inesistenti viene in genere accostato anche il fenomeno delle frodi IVA, in generale, e di quelle carosello, in particolare, realizzate mediante l’interposizione formale di soggetti per così dire filtro (cd. buffers): si tratta, tuttavia, di accostamento non sempre pertinente giacché «le operazioni inerenti le frodi carosello non sono inesistenti, salvo una specifica e analitica prova di tale circostanza»25.
Quanto alla detrazione dell’IVA relativa ad operazioni inesistenti, il tema della prova, che qui è un tema domestico dovendo l’esistenza o meno dell’operazione essere verificata alla luce della normativa nazionale, va affrontato considerando separatamente le vedute condizioni cui è correlato il diritto di detrazione ossia, nell’ordine, i) l’effettività dell’acquisto ovvero, in altre parole, l’esistenza dello stesso e la soggettività passiva IVA del fornitore, e ii) l’inerenza dell’acquisto intesa come collegamento funzionale tra acquisto ed impiego (utilizzo) in operazioni soggette ad imposta.
Ebbene, quanto alla prima condizione, la Suprema Corte si è più volte espressa nel senso che la fattura «è documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti a fini fiscali»26. Affermazione che va letta nel senso che la fattura non costituisce prova dell’operazione, bensì adempimento formale per l’allegazione della stessa27.
Il che significa che incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere, si tratta più di un onere argomentativo che di un vero e proprio onus probandi, di contestare, anche per il tramite di elementi indiziari, l’inesistenza dell’operazione; grava, invece, sul contribuente la seconda mossa ossia dimostrare l’esistenza oggettiva28 o, a seconda dei casi, soggettiva29 dell’operazione medesima.
Sul piano dell’imputazione dell’onere probatorio appaiono, peraltro, tutt’altro che trascurabili le recenti indicazioni fornite dalla Corte di giustizia che, percorrendo la via che conduce all’individuazione di un qualche punto di equilibrio tra la tutela della buona fede del soggetto passivo, da una parte, e la cura degli interessi erariali, dall’altra, ha avuto modo di precisare che «spetta all’amministrazione fiscale dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore»30.
Quanto alle argomentazioni su cui può fondarsi la contestazione specifica di inesistenza, non convince la tesi, talvolta adombrata nella giurisprudenza di legittimità, che costituisca elemento indiziario, tale da escludere la buona fede del soggetto che procede alla detrazione, l’assenza in capo al fornitore di una adeguata struttura organizzativa se non addirittura l’assenza di clientela qualificata e la mancanza di indici di capacità commerciale, quali, ad esempio la pubblicità ed il giro di affari31. In questo modo si finisce, infatti, per imporre al contribuente l’esercizio di un’attività istruttoria, non di rado affatto semplice e gravida di oneri amministrativi, che, invece, dovrebbe far capo esclusivamente all’Amministrazione finanziaria30.
Di qui la correttezza dell’arresto Mahagében kft al cui punto 66 si legge che la normativa di cui alla cd. Direttiva “Rifusione” deve essere letta nel senso che essa osta «a una prassi nazionale in base alla quale l’amministrazione fiscale nega il diritto a detrazione con la motivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l’emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio del diritto a detrazione avesse la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o con la motivazione che il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che di detta fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate, benché ricorrano le condizioni di sostanza e di forma previste dalla direttiva 2006/112 per l’esercizio del diritto a detrazione e sebbene il soggetto passivo non disponga di indizi che giustifichino il sospetto dell’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto emittente».
Quanto invece alla soggettività passiva IVA del fornitore, si potrebbe ritenere che sia per solito sufficiente la fattura, la quale proviene per definizione da un soggetto IVA. Qui si entra, tuttavia, in un tema delicato non essendo rari i casi, soprattutto nell’area delle prestazioni di servizi, in cui le stesse sono rese a favore di soggetti terzi rispetto al contraente. Del resto la fatturazione segue il contratto onde il destinatario della fattura è colui che si è obbligato ancorché a favore di altri.
Quanto, infine, all’inerenza, si tratta anche qui di onere di contestazione specifica ed argomentata che incombe sull’Amministrazione finanziaria. L’inerenza è, infatti, una relazione inferenziale tra acquisto di beni e servizi e relativo impiego onde non vi è un fatto da provare bensì un nesso inferenziale da argomentare.
1 Per alcune coordinate sul tema oltreché per taluni riferimenti giurisprudenziali v., tra gli altri, Di Siena, M. Operazioni soggettivamente inesistenti e detraibilità dell’Iva, in Rass. trib., 2007, 201 ss., e Id., Osservazioni in tema di “inesistenza giuridica” delle operazioni nel D.Lgs. n. 74/2000, in Riv. dir. trib., 2008, III, 35 ss.
2 Ex plurimis Cass. pen., sez. III, 29.7.2011, n. 30250.
3 Sull’ambito applicativo della disposizione in parola, v. Basilavecchia, M., In tema di recupero dell’iva non dovuta; presupposti, condizioni, modalità, in Riv. dir. fin., 2004, II, 48, il quale ritiene che l’obbligo di versare l’imposta indicata in fattura sarebbe da collegare «ad operazioni inesistenti o comunque ad ipotesi in cui il corrispettivo o l’imposta siano artefatti (brutalmente: falsi) rispetto agli importi effettivi»; diversamente orientato appare Logozzo, M., Sub art. 21, in AA.VV., IVA e imposte sui trasferimenti, Commentario breve alle leggi tributarie, IV, Marongiu, G., a cura di, Padova, 2011, 256, a giudizio del quale «la norma prende in considerazione tutte le ipotesi di fatturazione in eccesso o di fatturazione per operazioni inesistenti, sia dovute ad errore che a frode».
4 Sul punto v. Logozzo, M., IVA e fatturazione per operazioni inesistenti, in AA.VV., Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, II, 528 s.
5 Caso che va tenuto distinto da quello in cui le parti assegnino all’operazione un nomen iuris che si rivela improprio alla luce delle specifiche previsioni contrattuali: in tal caso, infatti, l’operazione esiste, ma viene erroneamente qualificata.
6 Così Zizzo, G., Incertezze e punti fermi in tema di frodi carosello, in Corr. trib., 2010, 962 ss.
7 Per questa tripartizione v. Logozzo, M., IVA e fatturazione per operazioni inesistenti, cit., 529.
8 Cfr. Cass. pen., sez. III, 16.3.2010, n. 10394, reperibile in Corr. trib., 2010, 1515 ss., laddove si legge che, in tema di IVA, «la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesime».
9 Lovisolo, A., Operazioni soggettivamente inesistenti ed “inerenza soggettiva”: la Cassazione ribadisce la propria “giurisprudenza del disvalore”, in Riv. giur. trib., 2010, 426.
10 Cfr. Logozzo, M., IVA e fatturazione per operazioni inesistenti, cit., 535 s.
11 Così i parr. da 31 a 33 della sentenza della C. giust., 18.6.2009, C-566/07, Staatssecretaris van Financiën c. Stadeco BV, in Racc., 2009 I-5295.
12 Non viene in considerazione, onde individuare i presupposti del diritto alla detrazione, il regime di indeducibilità dei costi e delle spese dei beni o dei servizi «direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo» di cui all’art. 8, co. 1, 2 e 3, del d.l. 2.3.2012, n. 16, tale regime riguardando, expressis verbis, le sole imposte sui redditi e l’IRAP: in senso conforme, v. Amatucci, F., Frodi carosello e “consapevolezza” del cessionario IVA, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 28.
13 Ex plurimis C. giust., 21.6.2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid, non ancora pubblicata nella Racc., punto 37 e giurisprudenza ivi citata.
14 V. C. giust., 21.3.2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa e a., in Racc., 2000 I1577, punto 43; C. giust., 15.12.2005, C-63/04, Centralan Property, in Racc., 2005 I11087, punto 50; C. giust., 6.7.2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling, in Riv. giur. trib., 2006, 837 ss., punto 47; C. giust., 21.6.2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid, cit., punto 38.
15 Così, ex plurimis, C. giust., 6.9.2012, C-324/11, Tóth, non ancora pubblicata in Racc., punto 26.
16 C. giust., 13.12.1989, C-342/87, Genius Holding BV, in Racc., 1989 I-4227.
17 V. C. giust., 12.1.2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a., in Racc., 2006 I483, punto 54; C. giust., 6.7.2006, Kittel e Recolta Recycling, cause riunite C439/04 e C440/04, cit., punto 49, nonché C. giust., 21.6.2012, Mahagében e Dávid, cause riunite C-80/11 e C-142/11, cit., punto 40.
18 Cfr. C. giust., 11.4.2013, Rusedespred OOD, causa C-138/12, reperibile in Corr. trib., 2013, 1690 ss., secondo cui “il principio di neutralità dell’IVA quale concretizzato dalla giurisprudenza relativa all’art. 203 della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che, in base ad una disposizione nazionale intesa a recepire detto articolo, l’amministrazione tributaria neghi al fornitore di una prestazione esente il rimborso dell’IVA fatturata per errore al suo cliente, in quanto tale prestatore non ha rettificato la fattura erroneamente redatta, mentre tale amministrazione ha definitivamente negato a tale cliente il diritto di detrarre detta IVA, comportando tale diniego definitivo che il regime di rettifica previsto dalla legge nazionale non è più applicabile”.
19 V., ex plurimis, Cass., sez. trib., 15.5.2013, n. 11667; Cass. pen., sez. III, 16.3.2010, n. 10394, e Cass., sez. trib., 24.7.2009, n. 17377.
20 Su cui da ultimo v. Logozzo, M., IVA e fatturazione per operazioni inesistenti, cit., 524.
21 Se non erro questa è la tesi di Beghin, M., Le frodi IVA e il malleabile principio di neutralità del tributo, in Corr. trib., 2010, 1512-1513.
22 In questo senso, v. Giovanardi, A., Le frodi IVA, Torino, 2013, 171.
23 Sulla rilevanza dell’elemento soggettivo nell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di cassazione, v. la dettagliata analisi di Giovanardi, A., Le frodi IVA, cit., 203, il quale sottolinea che, «se in una prima fase si giungeva all’impossibilità di fornire la prova contraria in modo alquanto rozzo, statuendo che il contribuente non avrebbe il diritto di dimostrare la propria buona fede che, quand’anche sussistesse, sarebbe irrilevante, in un secondo momento si arriva allo stesso risultato consentendo al fisco di provare la connivenza del soggetto passivo con gli elementi che dimostrano la partecipazione alla frode del cedente e configurando, nel contempo, in capo all’acquirente un obbligo di diligenza particolarmente esteso e, comunque, non in grado di mettere al riparo il singolo da eventuali contestazioni, data l’ambiguità dei riscontri che da una siffatta attività di riscontro derivano».
24 Così, da ultimo, C. giust., 21.6.2012, Mahagében e Dávid, cause riunite C-80/11 e C-142/11, cit., punto 50; per un’accurata analisi dei diversi schemi adottati dalla Corte di cassazione e dalla Corte di giustizia, v. Marello, E., Frodi Iva e buona fede del soggetto passivo, in Giur. it., 2011, 1215 s.
25 Così, testualmente, Marcheselli, A., Frodi IVA e operazioni inesistenti: quando si risponde delle violazioni commesse dal proprio fornitore, in Riv. giur. trib., 2013, 158; sullo specifico punto, v. anche le indicazioni fornite da Cass., sez. trib., 19.9.2012, n. 15741, reperibile in Riv. giur. trib., 2013, 151, ss.
26 Così Cass., sez. trib., 13.3.2013, n. 6229; in termini v. anche Cass., sez. trib., 12.5.2011, n. 10417.
27 V. Marcheselli, A. Frodi fiscali e frodi nella riscossione IVA, carosello tra onere della prova, inesistenza e inerenza, in Dir. prat. trib., 2012, I, 1349 ss.
28 Cfr., tra le tante, Cass., sez. trib., 21.4.2010, n. 9476, e Cass., sez. trib., 19.10.2007, n. 21953, in Riv. giur. trib., 2008, 99 ss.
29 Cfr. Cass., sez. trib., 24.7.2009, n. 17377, in Riv. giur. trib., 2010, 419 ss.
30 C. giust., 21.6.2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid, cit., punto 49, e C. giust., 6.12.2012, C-285/11, Bonik, punto 43, in Riv. giur. trib., 2013, 189 ss.; nei mesi scorsi, il Supremo Collegio, muovendo proprio dall’arresto Mahagében kft, ha posto l’accento sulla necessità di ripensare il complesso delle proprie posizioni sottolineando, in particolare, che «in tema di IVA, qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione d’imposta in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni» (così, Cass., sez. trib., 20.12.2012, n. 23560; nello stesso senso anche Cass., sez. trib., 11.9.2013, n. 20777).
31 In questi termini la già citata Cass., n. 10417/2011 ove, in particolare, si legge che «viene posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del soggetto cedente, non formali (essendo evidente che ogni meccanismo fraudolento si cura in primo luogo di esibire all’esterno una apparente correttezza contabile e cartolare) ma sostanziali, nel senso di una effettiva esistenza nel cedente di una efficiente struttura operativa e della capacità di fornire autonomamente i beni acquistati, senza ovviamente pretendere un inesigibile dovere di accurata indagine, ma fondandosi su quegli elementi obiettivi (ad es. assenza di strutture, assenza di una clientela qualificata, mancanza di indici di capacità commerciale - pubblicità, giro di affari ecc.) che non possono sfuggire ad un contribuente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che in particolare (e qui è l’unica differenziazione terminologica accettabile) non devono sfuggire ad un imprenditore mediamente accorto» (quanto alla rilevanza dell’assenza di una struttura organizzativa v. la sentenza, anch’essa già citata, n. 6229/2013).
32 Sul punto, v. le condivisibili considerazioni di Marello, E. Frodi Iva e buona fede del soggetto passivo, cit., 1219.