Le origini della polis
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Buona parte dei Greci, durante l’età arcaica e classica, fa parte di piccole comunità autonome e tendenti all’autosufficienza, all’interno delle quali si sviluppano spesso violente lotte tendenti a determinare chi debba farne parte a pieno titolo e chi invece ne debba essere escluso. La polis è un’istituzione peculiare, della quale è impossibile fissare il luogo o la data di nascita: la sua origine va vista nell’ottica di un processo lungo e complesso, durante il quale acquista sempre più importanza lo spazio pubblico, attraverso la lenta crescita delle istituzioni.
Definizione e caratteristiche della polis
Nel corso della loro storia, i Greci vivono per lo più in poleis (singolare polis). Si tratta di un’istituzione “piuttosto curiosa e in un certo senso effimera”, come ebbe a dire il grande storico Moses Finley.
Dovendone dare una definizione, si parlerà di comunità autonome generalmente di piccole dimensioni, che si autogovernano dopo aver stabilito, in primo luogo, chi di tali comunità debba far parte (il cittadino, polites) e chi invece ne è escluso (“inferiori”, stranieri, donne, schiavi): di tutte le traduzioni che sono state proposte, quella di città-stato è tutto sommato la meno errata; in linea di massima, noi abbiamo preferito mantenere il termine greco traslitterato.
Le poleis di cui si conosce almeno il nome (e spesso, purtroppo, poco altro) sono più di 1000, di cui oltre due terzi da collocarsi nella Grecia vera e propria, poco meno di un terzo fondate lungo le coste del Mediterraneo. Ciò non significa che i Greci non abbiano conosciuto altre forme di aggregazione (stati etnici, stati federali, stati territoriali ecc.) e non significa neppure, come pure si è sostenuto per lungo tempo, che la polis sia la forma statuale dei Greci. Significa solo, tautologicamente, che la polis è di enorme importanza nella storia greca e che, in linea di massima, i Greci “si pensavano” come abitanti di poleis.
Possiamo descrivere un modello ideale di polis che, almeno in qualche misura, inglobi tutti gli esempi storici che siamo in grado di elencare? Per quanto riguarda l’organizzazione politica si possono individuare due grandi modelli: la polis aristocratica e la polis democratica, ciascuna con una grande e fortunata anomalia, Sparta per il côté aristocratico, Atene per quello democratico. Se invece ci limitiamo a considerare l’aspetto fisico, dovendo trovare un minimo comun denominatore, ci si dovrà fermare a poche banalità: la polis greca comprende di solito un territorio di pochi chilometri quadrati (Atene, una polis dotata di un territorio particolarmente grande, eguagliava l’estensione del Lussemburgo; il 75 percento delle poleis non raggiungeva i 100 kmq, superficie superata da almeno 500 comuni italiani), spesso collinare o montuoso, con poche pianure (almeno in Grecia); quando possibile, con uno sbocco verso il mare. In tale territorio, con criteri insediativi diversi che salvaguardano comunque una sostanziale e fondamentale continuità di centro abitato e campagna, vivono generalmente da poche centinaia a poche migliaia di cittadini: le poleis con almeno 10 mila cittadini maschi adulti si contano, in tutta la storia greca, sulle dita di una mano.
Questi microcosmi, che aspirano a un’impossibile autarchia e spesso non realizzano neppure il sogno dell’autonomia – preda come sono, i più piccoli, delle ambizioni delle “grandi potenze” come Sparta e Atene – sono gelosi della loro identità, alimentata dal contatto continuo con il passato. Un passato sempre vivo, nobilitato attraverso una citazione omerica (a volte interpolata, cioè introdotta secoli dopo pour cause) o la tradizione del passaggio di un eroe, e continuamente “rifunzionalizzato” per armonizzarlo con le esigenze del presente: si ricorderà, per esempio, che qualsiasi rivoluzione o riforma viene invariabilmente connotata come un ritorno alla patrios politeia, la costituzione degli antenati, tanto centrale nel pensiero greco quanto inafferabile nella storia.
Ebbene, in queste piccole aggregazioni si sviluppa, tra l’VIII secolo a.C. e l’arrivo dei Romani, oltre cinque secoli dopo, una lotta politica eccezionalmente passionale (lo storico svizzero Jacob Burckhardt paragonò le lotte politiche dei Greci alle guerre di religione, in quanto la politica sarebbe stata la loro vera religione), capace di raggiungere vertici impressionanti di violenza, in quanto priva di mediazioni: nella politica greca vige infatti il principio secondo il quale “il vincitore prende tutto”. Alla base di questa lotta, troviamo divisioni elementari: sostanzialmente, la frattura tra le “due città” di cui ci parla già Platone, la città dei ricchi e la città dei poveri. Con questi ultimi che portano avanti programmi semplici veicolati da parole d’ordine sempre uguali, secolo dopo secolo: il ghes anadasmos, la redistribuzione delle terre, e la chreon apokopè, l’abolizione dei debiti. E i ricchi, al contrario, sempre in cerca di protezione, ovunque la possano trovare, che siano gli Spartani (o anche, paradossalmente, gli Ateniesi) o “stranieri” come Filippo II di Macedonia o, infine, i Romani. E tutti, assolutamente tutti, privi di qualsiasi forma di patriottismo che non sia il gretto “patriottismo di banda” di cui parla Paul Veyne.
Quando un fattore di tale importanza, per di più largamente originale (i confronti con realtà che seguiranno – le città medievali – o che l’hanno preceduto – le città-stato fenicie sono le più citate a questo proposito – mostrano in generale forti limiti) viene individuato come elemento di lunghissima durata, è inevitabile chiedersi quando, dove e perché abbia avuto origine.
La questione delle origini sembra apparentemente avere un senso: in realtà, pensare alla polis come a un organismo con una data di nascita in un determinato luogo è sostanzialmente un errore. Insediamenti abitativi sono sempre esistiti, almeno a partire dall’età minoica nel II millennio; d’altra parte, una piena consapevolezza del valore ideologico e politico dell’esperienza comunitaria della polis viene forse raggiunta solo nel V secolo a.C., in piena età classica. Tra un estremo e l’altro ci sono 1500 anni, una forbice un po’ troppo larga. Proviamo a restringerla un po’.
Eliminate le esperienze minoico-micenee, che in realtà non ci consentono di intravedere alcunché di somigliante al concetto di cittadino e, quindi, mancano di un elemento centrale nella costruzione del modello, la prima cosa da fare è soffermarsi sulle informazioni veicolate dai due poemi omerici. Non c’è dubbio che essi (in maggior misura nel poema più recente, l’Odissea, ma anche nell’Iliade non si può negare, per esempio, che Troia sia a tutti gli effetti una città) conoscano e descrivano con dovizia di particolari alcuni centri abitati sviluppati, caratterizzati da elementi urbanistici tipici delle poleis (porte, mura, piazza principale o agorà ecc.). Gli uomini che vivono e interagiscono in tali realtà partecipano a riunioni pubbliche sufficientemente formalizzate e sono consci di vivere in una comunità che, in qualche modo, costituisce qualcosa di più grande e di più importante della semplice unità familiare, cui pure fanno riferimento. Ciò che manca in questo quadro è la politica (uno dei tanti termini derivati da polis), con tutti gli elementi dialettici che essa reca con sé: tutto è dato come immutabile, per sempre, nessuno evoca neppure la semplice eventualità di un cambiamento. La istituzionalizzazione è debole: l’assemblea a Itaca, durante l’assenza di Odisseo, non viene convocata per molti anni e la cosa è effettivamente vista come un’anomalia, ma non come una palese illegalità. Il processo di inclusione/esclusione è lontano dall’essere determinato: lo status delle persone è definito più che altro in relazione alla sfera dell’oikos (la “casa”, intesa in un significato più vasto del nostro) e non a quella comunitaria.
Due-tre generazioni dopo (625 a.C. ca.), un’iscrizione su pietra proveniente dalla piccola polis cretese di Dreros, oltre a impiegare il termine polis, fornisce precise indicazioni procedurali relative alle magistrature della comunità, soffermandosi su aspetti relativamente complessi come, per esempio, il divieto di iterazione della carica più importante, chiamata con il nome di kosmos. Poco dopo, sempre entro il VII secolo, uno splendido frammento del poeta Alceo fa riferimento alla sua Mitilene come a un luogo dove già suo nonno, aristocratico come lui, “faceva politica”.
Solo due piccoli esempi, nell’infinito numero delle comunità greche: piccoli esempi, però, che ci mostrano come la polis abbia ormai avviato un processo di definizione delle sue articolazioni, di creazione e consolidamento di uno spazio pubblico nel quale, a detrimento della sfera privata familiare, le prerogative dei capi vengono messe, almeno in parte, “in mezzo” (es meson), poiché non riguardano più, o non solo, la singola famiglia, ma la comunità nel suo complesso.
Per lungo tempo si è visto l’VIII secolo come il periodo d’oro lungo il quale il processo di formazione della polis si è messo in moto. Alla base di questa convinzione ci sono soprattutto dati archeologici, che ci parlano di impressionanti aumenti demografici, di moltiplicazione degli insediamenti: un quadro di “grande trasformazione” che reca con sé sviluppo dei traffici commerciali, nuove acquisizioni intellettuali – in primo luogo l’alfabeto – nonché lo sviluppo dei grandi santuari panellenici come quelli di Delfi e Olimpia.
La polis è dunque nata nel corso dell’VIII secolo? L’ipotesi ha il merito di essere in armonia con le nostre mappe mentali, con la nostra incoercibile abitudine di ragionare su sequenze di ascesa/decadenza, destinate a ripetersi più o meno sempre nello stesso modo. Tale schema, applicato all’arcaismo greco, assegna all’VIII secolo il ruolo di “Rinascimento”, dopo il “Medioevo” delle Dark Ages.
E l’origine della polis è collocata molto bene in un’epoca di sviluppo, di rinascimento, appunto. In realtà, presto si è scoperto che i dati demografici, basati su statistiche tratte dalle necropoli, sono tutt’altro che incontrovertibili, mentre altri fattori, come l’aumento degli insediamenti e la stessa invenzione dell’alfabeto, possono essere retrodatati al IX secolo a.C., se non al X.
Per farla breve, se ne ricava la conclusione che la nascita della polis sia un lungo processo, che inizia con la dissoluzione dei regni micenei e si conclude nel VII secolo a.C. In questi tre-quattro secoli si compie la “lunga marcia” degli insediamenti verso un assetto duraturo e consapevole della comunità, verso un’elaborazione di vari modelli di polis. I particolari del processo ci sfuggono in larghissima misura: tra le poche cose di cui siamo relativamente certi andrà segnalato il ruolo che dovettero avere i santuari e i culti come elementi di definizione e aggregazione. Il santuario svolge, su scala più modesta, il ruolo aggregante che aveva avuto il palazzo nelle comunità micenee; il culto (anche degli eroi del passato, un passato continuamente riproposto e rielaborato dagli aedi, che provvedono nel contempo a conservare e tramandare oralmente gli elementi-cardine del vivere comunitario) è anch’esso fattore di aggregazione, in quanto potente elemento di definizione dell’identità di queste piccole comunità, che si danno a popolare la penisola greca, l’Egeo, e tendono a esportare il modello in tutto il Mediterraneo.
Se la ricerca di un quando si rivela un po’ deludente, altrettanto si può dire della ricerca di un dove. Il processo di formazione della polis riguarda l’intero mondo mediterraneo: coste africane, Italia meridionale e Sicilia, penisola greca, isole egee e coste dell’Asia Minore, senza contare le coste del Mar Nero, più a nord. È problematico, se non decisamente sbagliato, stabilire la priorità cronologica della Grecia sugli insediamenti “coloniali”. Alcuni studiosi hanno ritenuto di individuare negli insediamenti dell’Asia Minore (particolarmente “visibile” da un punto di vista archeologico sembrerebbe il caso di Smirne) le prime poleis, e hanno segnalato la presenza di potenziali nemici in territorio straniero come un decisivo fattore di aggregazione, in grado di condurre a una più rapida creazione di strutture comunitarie.
Una teoria allettante, che non sembra però confortata da prove sufficienti. Ricercare la prima polis è in effetti vano: si tratta, lo ripetiamo ancora una volta, di un processo di lunga durata all’interno del quale – stante anche la documentazione in nostro possesso, assai carente – simultaneità, sovrapposizioni, attardamenti sono la norma.
È inevitabile, infine, chiedersi perché i Greci abbiano privilegiato questo modo di vivere insieme palesemente frammentato, espressione di un potere debole, se non assente. Sgombriamo subito il campo da un armamentario tanto vuoto quanto di successo fino a 30-40 anni fa: i Greci non sono autori di alcun miracolo, non erano diversi e non avevano alcun particolare anelito alla libertà; la polis non è affatto una struttura che permette agli uomini di essere liberi; essa permette ad alcuni uomini di essere liberi, esattamente come tante altre forme di aggregazione. E, come altre forme di aggregazione, è più o meno basata sull’esclusione, la sopraffazione e la violenza.
Meno vacuo, ma in ultima analisi non accettabile, è il cosiddetto determinismo geografico. Se si vive in territori di sterminate pianure, è più facile immaginare strutture statali più vaste e coese; viceversa, un panorama montagnoso, di continua frammentazione naturale, recherà con sé una più probabile frammentazione politica.
Ma le eccezioni a questa legge espressa così rozzamente sono pressoché infinite e la teoria può al massimo rimanere nel sottofondo, come timida suggestione. E dunque: se una forte frammentazione insediativa all’indomani del crollo di regni centralizzati e burocraticamente assai sviluppati è un fatto “normale”, che di per sé non necessita di grandi spiegazioni, più complesso è dare conto del perché a questa fase non abbia fatto seguito una nuova, vasta aggregazione.
Noi non conosciamo la risposta: per adesso limitiamoci ad analizzare il rifiuto che i Greci manifestarono verso la forma politica più diffusa nelle civiltà antiche: la monarchia, o, comunque, il dominio di un solo uomo.