Le pensioni fra manovre reiterate ed effetti imprevisti
Le pensioni di base, nel passaggio di governo del 2014, stanno in bilico fra reiterazione dellemanovre di sostenibilità (pensioni d’oro e contenimento della perequazione) di cui alla legge di stabilità (n. 147/2013) e gli assestamenti dell’età pensionabile per i pubblici (d.l. n. 90/2014 conv. dalla l. n. 144/2014) per l’avvicendamento generazionale; si aggiunge il d.P.R. n. 157/2013, sull’armonizzazione dei requisiti di accesso alle pensioni di varie categorie.
All’evoluzione del sistema concorrono anche l’emersione di effetti imprevisti quali correlati all’andamento negativo del PIL, e gli assestamenti giurisprudenziali che plasmano il dato normativo, come per l’incentivazione del prolungamento dell’età pensionabile.
La previdenza complementare continua a vivere nell’ombra: a parte la questione della sopravvivenza di COVIP, che prosegue regolarmente anche nella sua attività di indirizzo, si registra un’attenzione alla materia solo da parte del legislatore europeo.
Il sistema pensionistico, e la relativa legislazione, devono fare i conti con le esigenze di regolazione di lungo periodo, in vista della conservazione dell’equilibrio finanziario, cui attentano sia il fattore demografico (costantemente monitorato dalla oramai raffinata tecnica attuariale) sia quello economico (connesso allo sviluppo del Paese), del quale componente fondamentale è proprio il mercato del lavoro, con il suo andamento. Seppure ampiamente scontata, la riflessione testé svolta costituisce inevitabile premessa per comprendere il senso della reiterazione degli interventi di contenimento della risalente spesa pensionistica in un quadro che, oramai dal 1995, ha scelto (con una gradualità superata definitivamente, seppure in ritardo, dalla l. 22.12.2011, n. 214) il metodo di calcolo contributivo del quale è perno – insieme con un dinamicamente corretto coefficiente di trasformazione – il tasso di capitalizzazione correlato all’andamento medio del PIL, che rispecchia il “rendimento” del Paese. Si delinea così un inseguimento fra legislatore e Corte costituzionale, che affonda la sue radici nella storica sentenza della C. cost., 12.1.1994, n. 2 (sull’inammissibilità del referendum abrogativo dell’art. 3 l. 23.10.1992, n. 421 e relativi decreti delegati) e prosegue con i moniti di cui alla C. cost., 11.11.2010, n. 316 (in ordine alla “frequente reiterazione di misure” di contenimento della perequazione), ed addirittura con la dichiarazione di illegittimità del prelievo “fiscale” sulle pensioni d’oro (C. cost., 5.6.2013, n. 116): sono, vedi caso, due dei reiterati passaggi della legge di stabilità per il 2014, sui quali urge un continuo approfondimento in vista anche di sviluppi clamorosi nella annunciata sequenza dei giudizi di costituzionalità.
In questo scenario si inseriscono coloriti episodi legati a quelle norme poste a cavallo fra la disciplina della fase finale del rapporto di lavoro e l’accesso alle prestazioni pensionistiche: spicca fra tutti la giurisprudenza relativa alla protrazione del rapporto di lavoro (art. 24, co. 4, ult. periodo, l. n. 214/2011), per la quale si avvicina la prima pronuncia della Cassazione: vicenda tanto più sintomatica, in quanto si registra una seria divaricazione rispetto alle ulteriori scelte legislative per le pensioni nell’area del pubblico impiego.
Secondo l’impostazione adottata fin dal primo volume, meriterà un cenno di attenzione anche lo sviluppo del secondo livello delle pensioni: a cominciare dalla confermata esistenza della Covip, per proseguire con l’analisi delle norme di derivazione europea attinenti alla mobilità delle posizioni ed alla stabilità dei regimi.
Il filone pensionistico della nostra legislazione si svolge all’insegna del contenimento della spesa sociale, che deve contemperarsi con la salvaguardia delle situazioni individuali, e piegarsi altresì alla oscillante scelta di funzionalizzazione dell’età pensionabile rispetto alle mutevoli esigenze della complessa riforma della p.a. Cenerentola, in questo quadro opera la previdenza di secondo livello.
2.1 I dubbi: perequazione e prelievo sulle alte pensioni
Stando alla classificazione a suo tempo adottata1, l’intervento per il contenimento della perequazione delle pensioni si colloca puntualmente fra quelli definiti di tipo reiterativo. In tal senso, infatti, l’art. 1, co. 483 della legge di stabilità 2014 dispone per il triennio 2014-2016 (dunque, in diretta continuazione con il biennio 2012-2013, di cui all’art. 24, co. 25, d.l. n. 201/2011 ed in continuità normativa rispetto all’art. 1, co. 236, l. 24.12.2012, n. 228, che viene modificato dal co. 483) il calcolo e l’attribuzione dell’intera rivalutazione in favore dei trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS, intervenendo variamente sulle pensioni di entità superiore, fino a disporre, oltre l’importo di sei volte il minimo, l’azzeramento della rivalutazione. Orbene, al di là della considerazione dell’effetto materiale di azzeramento della rivalutazione indotto dalla crescita zero del PIL, è già aperta la via al giudizio di costituzionalità2, proprio invocandosi i precedenti giudicati, ed in particolare quello della C. cost., 11.11.2010, n. 316, recante il monito al legislatore circa la reale temporaneità degli interventi di blocco della rivalutazione; monito cui non sembra essersi adeguato il legislatore della finanziaria 2014, neanche grazie alla pur significativa segmentazione degli scaglioni adottata, cosicché è ipotizzabile un superamento della posizione di attesa del giudice delle leggi, che, con pesanti implicazioni per la finanza pubblica, potrebbe reputare oramai inutile il monito a non radicalizzare la situazione normativa in tema di perequazione, o addirittura ipotizzare un vero e proprio aggiramento legislativo del principio di costante adeguamento delle prestazioni3.
Anche sulle “pensioni d’oro”, si registra una sostanziale reiterazione di scelte già effettuate nel 2011, e tuttavia condannate per illegittimità dalla C. cost., 5.6.2013, n. 1164. In verità, l’art. 1, co. 486, si è alquanto differenziato dalle scelte della l. 14.9.2011, n. 148, ribadite dalla l. n. 214/2011,mediante un prelievo, anch’esso limitato ad un triennio, con diversa denominazione (contributo di solidarietà) rispetto alla formula adottata nel 2011, ed anche con diversa articolazione, risultando correlato per multipli (14, 20, 30) del trattamento minimo INPS e con aliquote di prelievo un poco più consistenti (6, 12, 18).Diversa è anche la base imponibile, essendo essa limitata alle sole forme di previdenza obbligatorie, escludendosi quindi dal computo le forme pensionistiche di tipo integrativo; ma soprattutto diversa è la destinazione del frutto del prelievo, che va a vantaggio, non già dell’erario, come il precedente contributo di perequazione, sibbene di una delle categorie dei lavoratori salvaguardati (art. 1, co. 191, stessa legge).
Non è da escludere che questi elementi di novità, quali indici dell’assunzione di una nuova filosofia, possano diversamente orientare la Corte costituzionale, in ragione appunto del superamento di un approccio biecamente (si passi il termine) fiscale, quale quello che ha ispirato il legislatore del 2011.
I dubbi prospettati, per entrambe le manovre reiterate, in termini di annunciata illegittimità costituzionale, che porterebbe al fallimento dell’obiettivo del legislatore, devono tuttavia confrontarsi con una linea giudiziaria di possibile prevalenza dell’interesse pubblico alla sostenibilità del sistema.
Occorre, infatti attentamente considerare l’esistenza di un forte dibattito a livello europeo sull’impatto dell’interesse pubblico/generale al pareggio, come oramai anche da noi consacrato dal nuovo art. 81 Cost., sia in sede dottrinale sia in sede giudiziaria. Già nel precedente volume5 si era dato conto della vicenda giudiziaria che ha coinvolto il legislatore portoghese in scelte di contenimento limitate solo ai dipendenti pubblici.
Rinviando pertanto a quel dibattito6, le conclusioni cui sono giunte dapprima la Corte costituzionale portoghese e poi la Corte europea dei diritti dell’uomo con le decisioni n. 62235/2012 e 57725/2012, evidenziano una linea di politica giudiziaria volta alla faticosa ricerca di un contemperamento fra salvaguardia dei diritti individuali di contenuto economico e sociale e l’istanza statale di sostenibilità, risolta nel caso con un criterio di tipo salomonico, sintetizzabile nella formula della legittimità costituzionale “per fatto compiuto”.
2.2 La coda della legge “salva Italia”
Il d.l. 6.12.2011, n. 201, nell’art. 24, co. 18, aveva differito, per talune categorie di lavoratori operanti in settori particolari, il percorso di revisione dei requisiti, soprattutto anagrafici, di accesso alle prestazioni pensionistiche, affidando alla potestà regolamentare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali la definizione di un tale percorso in tempo utile rispetto alla data del 31.12.2013 (il termine originario era il 31.12.2012), secondo un criterio di valorizzazione «delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti». L’impianto del regolamento di cui al d.P.R. 28.10.2013, n. 157 (che interviene – nell’ambito della circolazione di beni e persone – per il personale viaggiante dei servizi pubblici dei trasporti ed i lavoratori marittimi, nonché – nell’ambito dello spettacolo – per i lavoratori ex ENPALS dei gruppi ballo, attori e canto), segue pedissequamente le scelte generali della l. n. 214/2011, ed in particolare, nell’elevare le diverse età anagrafiche, che restano comunque diverse da quelle dell’assicurazione generale obbligatoria, realizza il principio di parità uomodonna e applica il criterio della variazione automatica per effetto della speranza matematica.
2.3 Pensioni ed avvicendamento generazionale nella p.a.
La manovra pensionistica per i dipendenti di p.a. nel disegno politico del nuovo Governo è stata resa funzionale all’obiettivo dell’avvicendamento generazionale. Il Governo Letta aveva inserito, fra i primi, provvedimenti correttivi volti a contenere nei confronti della p.a. la portata innovativa delle riforme del 2011 sulla elevazione dell’età pensionabile7.
Nell’avvio della legislazione per il 2014, il ricorrente tema della riforma della p.a. sostenuta con determinazione dal Governo Renzi, è stato impostato in termini espliciti di «Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni» (è il titolo dell’art. 1, d.l. 24.6.2014, n. 90, conv. con mod. dalla l. 11.8.2014, n. 114). In particolare, si prevedono:
a) eliminazione, immediata o differita, delle ipotesi di trattenimento in servizio, (art. 1. co. 2);
b) attribuzione della facoltà di risoluzione del rapporto al raggiungimento dei requisiti di pensionabilità (art. 1. co. 5).
Se la soppressione del trattenimento in servizio risulta da norme di facile comprensione, non altrettanto può dirsi per la norma che, ferma la risoluzione ipso iure per limiti di età, ridefinisce la potestà della p.a. di recesso con preavviso per pensione anticipata.
L’intricato collegamento fra l’art. 72, co. 11, d.l. 25.6.2008, n. 112 conv. con mod. dalla l. 6.8.2008, n. 133 e le successive norme della legge Salva Italia (art. 24, co. 10 e 12, sul pensionamento anticipato), al di là dell’ampliamento verso figure apicali, è stato letto come idoneo a configurare anche esso una sorta di automatismo: il che, pur non essendo formalmente corretto, finisce per essere un risultato ineliminabile, posto che la eventuale non sistematica utilizzazione del potere risolutorio comporterebbe la qualificazione di tale comportamento della p.a. come abusivo, se non addirittura discriminatorio.
Il quadro degli interventi funzionali all’avvicendamento generazionale, correlati con il nuovo regime delle pensioni, trova nella stessa l. n. 114/2014 un ulteriore dato:muovendo dalla originaria previsione dell’art. 5, co. 9, d.l. 6.7.2012, n. 95, recante il divieto per la p.a. allargata di trasformare i rapporti di lavoro in incarichi consulenziali o di studio nel passaggio alla quiescenza degli interessati, se ne è radicalmente cambiata ragion d’essere e portata, grazie all’integrazione in due tempi dello stesso co. 9, per effetto dell’art. 6 d.l. n. 90/2014 e poi della modifica disposta in sede di conversione. Il ragionevole divieto iniziale, disposto a fronte di un fenomeno diffuso, fondato oltre che sulle esigenze di contenimento della spesa, anche ed in particolare sulla necessità di stroncare forme devianti di clientelismo, è divenuto ora un divieto assoluto ed eccessivo nei confronti di qualunque soggetto che risulti essere pensionato, privato o pubblico, del tutto indipendentemente dalla preesistenza di un rapporto di lavoro con il committente.
La ristrettezza di questo spazio non consente di diffondersi significativamente su tutte le prevedibili questioni di costituzionalità che potranno derivarne, specialmente se il divieto dovesse operare con riferimento anche a specifiche commesse propriamente rientranti nello schema dell’art. 2222 c.c., e ss., in ragione di una evidente discriminazione per età, non giustificata da ragioni di interesse superiore e tenendo conto della esistenza già operante di un generale divieto di utilizzare forze estranee alla amministrazione committente nel caso in cui siano presenti professionalità interne adeguate, oltre che dei rafforzati meccanismi di limitazione e controllo della spesa pubblica proprio «per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa» (art. 14, d.l. 24.4.2014, n. 66, conv. con mod. dalla l. 23.6.2014, n. 89, nell’ambito degli interventi dedicati all’Amministrazione sobria).
L’acribia con cui nell’area delle p.a. si è inteso contrastare il lavoro degli anziani è del tutto opposta alla scelta (sulla quale il Governo Renzi ha finora glissato, pur prospettandosi un’implementazione delle ipotesi di pensionamento anticipato) di agevolare la protrazione dei rapporti di lavoro degli anziani, a suo tempo disposta attraverso il meccanismo di cui all’art. 24, co. 4, l. n. 214/20118. Sul punto è in corso una faticosa elaborazione giurisprudenziale9, destinata ragionevolmente a ridimensionare il dato normativo citato, o meglio la dilatata lettura accolta in sede istituzionale, eliminando quegli ingiustificati eccessi di protrazione, se non addirittura rafforzamento, della tutela del lavoratore oltre la (crescente) età pensionabile, rendendo così la scelta di incentivazione alla prosecuzione dell’attività lavorativa dipendente coerente con quella linea di politica del diritto volta all’equilibrata realizzazione dell’avvicendamento generazionale: linea peraltro riemersa nella seconda puntata di riforma previdenziale con la pure intricata previsione di esodi incentivati per gli anziani (cfr. l. 28.6.2012, n. 92, art. 4, co. 1-7 ter)10. Si eviterebbe così di dover ricorrere ad una valutazione di illegittimità costituzionale per incoerenza interna allo stesso art. 24, posto che nel co. 1 si indica, fra i principi/obiettivo della riforma, proprio l’equità intergenerazionale.
2.4 Secondo livello ed interventi di tipo istituzionale
In tema di previdenza di secondo livello si registra il superamento della lungamente ventilata soppressione dell’Ente di vigilanza, caldeggiata in omaggio ad una linea di contenimento anche sul piano istituzionale della spesa. Dopo annunci dubbiosi (oltre che preoccupanti per chi ritiene – come chi scrive – l’importanza della specifica vigilanza sul settore, pur con tutte le possibili coordinazioni con le concorrenti autorità di vigilanza e nell’auspicio di un potenziamento/razionalizzazione dall’interno della sua attività), l’art. 22 d.l. n. 90/14 ha ricompreso la Covip, insieme con tutte le altre Autorità operanti nel nostro ordinamento (tranne Banca d’Italia) – nel processo di «razionalizzazione delle autorità indipendenti»11, sottoponendone i componenti alla non rieleggibilità nel quinquennio successivo ed alla successiva incompatibilità, per medio periodo, in ruoli nel settore; gli enti stessi sono chiamati ad economie di varia natura (sinergie nelle procedure di concorso per le assunzioni, riduzioni di spese per il personale e consulenziale, spinta alla gestione unitaria/consortile dei servizi). Si delinea così una soluzione definitiva, la cui portata positiva è implementata da una scelta di membri della Commissione dal cui curriculum è assente ogni esperienza di natura sindacale, di per sé suscettibile dimettere in discussione il fondamentale carattere di neutralità dell’Autorità di Vigilanza rispetto alle fonti istitutive.
2.5 La normativa europea sulle pensioni complementari
Assenti sono gli interventi normativi nel settore a livello di legislazione nazionale12 o regionale,mentre è dato registrare rilevanti interventi a livello europeo.
Al fine di concentrazione – previa acquisizione delle disposizioni nazionali aventi finalità prudenziali a tutela degli schemi pensionistici aziendali e professionali, in attuazione della direttiva CE 2003/41/CE – risponde l’impegno sancito dalla Commissione tramite il regolamento di esecuzione UE n. 643/14 a carico degli stati membri, tenuti a comunicare dette disposizioni, per una loro pronta consultazione e comparazione.
La direttiva 2014/50/UE relativa ai requisiti minimi per accrescere la mobilità dei lavoratori tra Stati membri migliorando l’acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari, implementa le garanzie di mobilità del settore nel quadro della libera circolazione delle persone, ferma la responsabilità dei singoli stati membri in ordine alla regolazione dei sistemi interni di previdenza complementare, tenendo ben distinti i confini di operatività del regolamento n. 833/04. Il regolamento interviene con riferimento alle posizioni di previdenza complementare purché connesse ad un rapporto di lavoro, escludendo altresì qualunque regresso normativo a livello nazionale, e riservandosi comunque di intervenire in applicazione del principio di sussidiarietà per l’eventualità che gli stati membri non riescano a realizzare l’obiettivo. Nonostante l’importanza dell’obiettivo finale, essa ha cura di evitare che si creino condizioni di squilibrio nei fondi coinvolti, e specialmente in quelli più fragili, quali sono quelli chiusi a nuove iscrizioni. In questa stessa logica di cautela dell’intervento, nelle ipotesi di posizioni particolarmente esigue, il regolamento apre alla possibilità di una liquidazione in capitale, sostitutiva della facoltà di trasportare tale tipo di posizioni.
Coerentemente con la sua denominazione, il regolamento fissa i requisiti minimi, in termini di anzianità di partecipazione utile ai fini dell’acquisizione per non più di tre anni, e di età minima per l’acquisizione non superiore a 21 anni – a parte il diritto alla restituzione dei contributi, anche datoriali, in caso di mancato conseguimento dei requisiti minimi –; centrale nell’impianto del regolamento è, come sempre, l’informazione dei partecipanti.
Senza entrare nei dettagli, prevalentemente tecnici e procedurali del regolamento e della direttiva, si evidenzia la costante attenzione del legislatore europeo alla materia.
Non casualmente, risulta sempre di derivazione europea la deliberazione Covip 7.5.2014, di attuazione del d.m. 7.12.2012, n. 259, già ampiamente illustrato nella precedente edizione dell’opera13.
Una segnalazione merita infine la stipulazione di un accordo in sede ARAN (28.7.2014), volto a creare le condizioni per la concentrazione dei Fondi Sirio (dipendenti enti locali e regioni) e Perseo (dipendenti dei comparti ministeriali), sintomatica dello scarso interesse dei dipendenti pubblici alla fruizione di un sistema caratterizzato da una normativa risalente, quella del d.lgs. 21.4.1993, n. 124, sotto vari profili arretrata e svantaggiosa, grazie alla intenzionale mancanza di realizzazione della delega concernente il trattamento pensionistico complementare dei dipendenti pubblici (art. 23, co. 6, d.lgs. 5.12.2005, n. 252 ed art. 1, co. 2, lett. p, l. 23.8.2004, n. 243).
Un sistema, quello pensionistico, che – oltre la correlazione con le disposizioni sul sostegno del reddito (v. in questa area del volume 2.2.3 Le prospettive di riforma degli ammortizzatori sociali) e di quelle relative ai meccanismi di controllo attraverso il DURC (v. in questa area del volume 2.2.5 La smaterializzazione del Durc) –manifesta una linea di temporeggiamento, come una condizione di attesa, evidente nel ricorso alle manovre di mera reiterazione, prima ancora che normativa, concettuale.
Un’attesa frutto forse di pigrizia intellettuale, nonostante lo sforzo dialettico che la dottrina va svolgendo per delineare nuovi assetti14 del sistema di sicurezza sociale, alla luce del criterio fondamentale della sostenibilità, in cui si invera il nuovo canone costituzionale dell’art. 81 Cost., rispetto al quale incredibilmente (anche in ragione dell’autorevolezza di alcuni dei personaggi coinvolti) si annunciano iniziative di referendum abrogativi.
Queste riflessioni spiegano perché – al di là dei profili tecnici di immediata operatività, cui sono destinate le pagine che precedono – non ci si possa ritenere soddisfatti della mera analisi delle nuove norme, e si debba, anche e specialmente, tener d’occhio – nel quadro dello svolgimento delle consecutive riforme pensionistiche dal 1992 – la prepotente emersione di una problematica apparentemente estranea al compito di prima valutazione delle innovazioni normative esplicite. Si deve infatti considerare altrettanto importante un ulteriore profilo, quello di innovazione occulta, classificabile alla stregua di effetto imprevisto di norme risalenti, frutto del mutamento degli originari presupposti materiali, alla stregua di ius superveniens. Si è già avuto modo di evidenziare che nucleo centrale della riforma del 1995 (v. supra, §1), nel passaggio a contribuzione definita, è risultata l’introduzione del meccanismo finanziario di capitalizzazione dei montanti individuali mediante applicazione del tasso di rendimento virtuale collegato all’andamento medio del prodotto interno lordo; un parametro operante nel sistema in essenziale combinazione con la applicazione del coefficiente di trasformazione in rendita costantemente adeguato secondo l’andamento della speranza matematica di vita, che domina dal 2010 la scena del sistema pensionistico, regolando in automatico anche l’età pensionabile. Sono due variabili dal sapore squisitamente aritmetico, alle quali il legislatore sembra avere affidato fatalisticamente il compito di governo automatico del sistema, segnando quasi l’abdicazione dell’analisi giuridica,ma anche sociale, del fenomeno, riducendo il tutto, secondo una concezione economicistica, ad una mera elaborazione numerica.
Ebbene, così non può essere, se solo si pensa alla paventata eventualità, se già non attualità, che la base economica (il PIL) assunta nel calcolo parametrico registri il segno negativo, mandando così in rosso il bilancio pensionistico, con conseguente diminuzione del valore dei montanti accumulati nel sistema contributivo. Si sostiene che sarebbe questa una conseguenza inevitabile15 dell’applicazione automatica del meccanismo introdotto dall’art. 1, co. 8-9, l. 8.8.1995, n. 335. Non può essere, perché non è pensabile che un complesso sistema di protezione sociale, obiettivamente pubblico, seppure a volte realizzato con strumenti privati, fondato sull’idea (verrebbe da dire sulla scelta filosofica) dell’obbligatorietà ed anzi quasi automaticità, da cui deriva la conseguente scelta di un apparato attuativo ispirato alla logica coattiva di tipo fiscale, ceda alla tentazione dell’automatismo numerico/finanziario. Un effetto ablativo delle risorse forzosamente prelevate con finalità previdenziale risulta evidentemente incoerente con la connotazione sociale che ispira la nostra Costituzione; tanto più ove si aggiunga che ne risulterebbe una sorta di prelievo regressivo, inammissibile secondo i principii costituzionali in materia tributaria, che qui potrebbero essere ragionevolmente invocati.
Vari, dunque, i profili di incostituzionalità che deriverebbero dalla ritenuta automatica operatività del descritto meccanismo, la cui disapplicazione non richiederebbe (quand’anche forse sarebbe meglio) una esplicita correzione legislativa16: l’applicazione costituzionalmente orientata di una norma non è doverosa solo per il giudice ordinario, ma lo è anche per una p.a. auspicabilmente consapevole.
E ancora, per ribadire, un automatismo che, forse ottimisticamente influenzato da una previsione di andamento costantemente positivo, deve fare i conti, nell’ipotesi di segno negativo, con le garanzie dovute dallo Stato sociale, in termini di affidamento preteso appunto attraverso la obbligatorietà. Cosicché deve ritenersi, secondo appunto una lettura costituzionalmente orientata, la irriducibilità comunque dei montanti nei periodi di PIL negativo: dunque, tasso zero di capitalizzazione. Non è certo casuale che il meccanismo di capitalizzazione negativa possa colpire la previdenza di secondo livello, secondo gli avvertimenti che enfaticamente Covip pretende siano presenti nelle note informative ai partecipanti: il punto è che il secondo livello è a partecipazione libera e volontaria, anche se dissimulata attraverso la raffinata teoria civilistica del comportamento concludente. Ed anzi, non va sottovalutata, in questa riflessione, la circostanza che in caso di applicazione del segno negativo nel livello di base, si contrapporrebbe proprio nel secondo livello il paradosso ex art. 8, co. 9, d.lgs. n. 252/2005 di un rendimento garantito corrispondente a quello del TFR, oramai esteso ben al di là dei soggetti tacitamente conferenti.
Ed è in piena sintonia con questa impostazione la recente decisione del Consiglio di Stato17 riguardante il meccanismo di capitalizzazione dei montanti presso gli enti di previdenza di primo livello a contribuzione definita, che impone nel caso oggetto del giudizio una soluzione in contrasto con la logica di depressione prospettata dai ministeri vigilanti per un malcelato timore di concorrenza dei regimi a gestione privata rispetto a quelli a gestione pubblica.
1 Sandulli, Pa., Norme in tema di previdenza, in Il libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, 524-525.
2 Cfr. C. conti, Emilia-Romagna, sez. giurisd., ord., 13.5.2014, nn. 158 e 159 del 13.5.2014.
3 Cfr. Corte cost., 27.4.1988, n. 497, in Giur. It., 1989, I, 1, 771.
4 Sandulli, Pa., Assestamenti della riforma pensionistica e dintorni, in Il libro dell’anno del diritto 2014, Roma, 2014, 389. È nuova la scelta (art. 1, co. 489) di contenere i trattamenti pensionistici se cumulati a nuovi trattamenti economici entro il limite del trattamento per il Primo presidente della Corte di cassazione (art. 23, co. 1, d.l. n. 201/2011).
5 V. a pagina 397 la nota 4.
6 Coelho, G.-Caro de Sousa, P., La morte dei mille tagli, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 139, 2013, 3. V. anche Fabbrini, F., The Euro-Crisis and the Courts: Judicial Review, and the Political Process in Comparative Perspective, in Berkeley Journal of International Law, 2014, vol. 32.
7 Sandulli, Pa., op.ult. cit., 389-390.
8 Sul punto cfr. Sandulli, Pa, La pensione di vecchiaia e quella anticipata, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 408-409.
9 Per una panoramica della giurisprudenza, e tendenziale condivisione di critica dell’eccesso di apertura proposto da alcune letture del co. 4, ult. periodo, cfr. Piccininno, S., Età pensionabile flessibile e cessazione del rapporto di lavoro nel sistema della riforma pensionistica del 2011, in Argomenti dir. lav., 2014, I, 34; Ferrante, V., Licenziamento dell’ultrassesantenne in possesso dei requisiti per la pensione (art. 24, co. 4, d.l. n. 201/11): lex minus dixit quam voluit, in Riv. it. dir. lav., 2012, 2, 227; Miscione, M., Pensione di vecchiaia e trattenimento in servizio, in DPL, 2014, n. 36.
10 Sandulli, Pa., L’esodo incentivato, in Il nuovo mercato del lavoro, Cinelli,M.-Ferraro, G.-Mazzotta, O., a cura di, Torino, 2013.
11 Secondo il titolo del menzionato art. 22; dal che, non potendosi attribuire valore normativo al titolo degli articoli, non è dato ricavare che la Covip sia stata sottratta alla posizione di dipendenza dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed alle sue direttive.
12 Peraltro, questo contributo è stato completato proprio nel mentre si annunciava la messa a punto della nuova legge di stabilità per il 2015, in cui è inserito – oltre un serio appesantimento del regime tributario dei rendimenti dei fondi pensione – la previsione di utilizzabilità del TFR in busta paga: le incertezze sulla norma definitiva escludono un possibile approfondimento. Ci si limita qui a ricordare che, al di là della destinazione a previdenza complementare, nello stesso 2005 si registrò un provvedimento che stimolava la cedibilità in garanzia del TFR a fini di consumo: cfr. art. 13 bis d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. con mod. dalla l. 14.5.2005, n. 80. Una, neanche tanto risalente, tappa, che come quella che si annuncia, continua a far oscillare il percorso fra funzione retributiva e funzione previdenziale dello stesso TFR, la cui spremitura (che potrebbe seriamente incidere sulle previsioni di gettito) è già largamente realizzata alla luce delle statistiche sulle cessioni di stipendio garantite proprio dal TFR, che ad avviso di chi scrive paralizzano il trasferimento del TFR in busta paga: del che, fra l’altro, non si trova traccia nel testo diffuso dal governo per l’avvio del dibattito parlamentare.
13 Sandulli Pa., Assestamenti della riforma pensionistica e dintorni, cit., 393.
14 Per il dibattito avviato su Riv. dir. sic. Soc., v. Pessi, R., Ripensare il welfare, ivi, 2013, 473; Minenna, M.,Le condizionalità imposte dal Fiscal compact e gli impatti sul sistema previdenziale italiano, ivi, 2014, 33.
15 Bassi, A., Pensioni più povere se il Pil non torna a salire: i futuri assegni previdenziali rischiano di ridursi fino al 20%, in Il Mattino, 16.8.2014.
16 È questa l’ipotesi formulata su “Economy 2050” del 22.6.2014.
17 Cons. St., sez.VI, 18.7.2014, n. 07067.