Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le poetrie mediolatine, trattati che hanno per argomento un insieme di regole dedicate alla composizione di opere letterarie, sono il frutto della cultura universitaria che viene maturando tra il XII e il XIII secolo. Sono legate per genesi e per fini alle altre due artes medievali: ars predicandi e ars dictandi. Le poetrie giunte fino a noi sono meno di dieci, tra queste la più nota è la Parisiana poetria.
Matteo di Vendôme
Due regole dell’arte versificatoria
Ars versificatoria
3 Nell’esercizio della disciplina versificatoria si può esordire in due modi, e il discorso può svilupparsi in maniera più elegante.
Ci sarebbero invero quattro modi, due che trascuriamo lasciandoli al volgo, mentre sottoponiamo alla scelta degli ascoltatori gli altri due.
4 Uno dei modi è quando si comincia ricorrendo ad uno zeugma, che si ha quando un verbo è riferito a più espressioni grammaticali.
5 Lo zeugma può essere di tre tipi: all’inizio, nel mezzo e alla fine.
6 Lo zeugma è all’inizio quando il verbo precede le espressioni grammaticali a lui riferite, come nel passo di Ovidio:
“si affrontavano il caldo e il freddo, l’umido e il secco / il leggero e il pesante”.
[…]
13 Il secondo modo prevede di cominciare con l’ipozeusi, che è il contrario dello zeugma. Si ha quando più verbi corrispondono ad una singola espressione grammaticale, come in Stazio:
“sentono a caso / l’odore e il gusto: di furore accesi”.
Eberardo il Tedesco
Lo studio degli autori
Laborintus, IV
IV vv 609-10: Esopo non addormenta il metro; la favola produce fiori / i fiori producono frutto: egli è gustoso.
IV vv. 623-24: Ci sono due libri di satire Venusine; anche se / il loro aspetto è scabro, piacciono per l’utilità.
IV vv. 631-32: Virgilio serve da modello per i tre stili, e offre tre temi: / pascoli, campi, storia.
IV vv. 633-34: Stazio, giocondo per il dolce eloquio, / canta le lotte di due fratelli, ciascuno sotto un diverso capo.
IV vv. 635-36: Lucano mette in luce le guerre civili / e le canta con metro brillante.
IV vv. 681-82: Boezio risuona di sottile ragionamento / perché la filosofia offra sollievo all’uomo disperato.
Eberardo il Tedesco,Laborintus
Le artes poetriae (“poetrie”) sono trattati che hanno per oggetto un insieme di regole finalizzate alla composizione scritta di opere letterarie, sia in prosa che in poesia. Possono essere composti in versi o in prosa. Come già nella terminologia classica, il termine ars (“arte”) in epoca medievale rimanda sia a un ambito pratico, sia, per estensione, a quello teorico di trattato normativo.
Nel Medioevo esistono tre tipi di artes dedicati alla composizione letteraria: l’ars poetrie, di cui ci occupiamo, l’ars dictaminis, dedicata alla stesura di lettere, e l’ars predicandi o sermocinandi, composta per la predicazione e la strutturazione scritta e orale del discorso (sermo). Tutte queste artes hanno in comune alcune caratteristiche nel modo di organizzare la materia, e, certo, derivano tutte da insegnamenti maturati all’interno delle maggiori scuole europee di questo periodo; sono particolarmente interessanti perché propongono una riflessione teorica non relativa a un singolo autore, ma espressione condivisa da una comunità di studiosi in un preciso momento storico. La maggiore differenza tra le tre artes è la fruizione precipuamente scolastica, e in tal senso formativa, delle poetrie, strumento imprescindibile non solo per l’acquisizione di competenze teoriche, ma anche ai fini della costruzione di un habitus mentale.
L’esiguità del numero delle poetrie rimaste (meno di dieci) rispetto alle oltre 200 artes praedicandi e alle circa 300 artes dictaminis è, secondo Murphy (The art of poetry and prose, 2005), solo una prova ulteriore dell’omogeneità delle norme diffuse relativamente all’arte dello scrivere.
In ordine cronologico la prima poetria che conosciamo è l’Ars versificatoria (1175 ca.) di Matteo di Vendôme. L’autore studia a Tours presso Bernardo Silvestre, insegna a Orléans e a Parigi. L’Ars, scritta in prosa con esempi in versi, è in larga misura debitrice dell’Ars poetica oraziana e prevalentemente dedicata ai testi poetici. I principali destinatari dell’opera sono i suoi allievi; il trattato ha avuto probabilmente sia una fruizione privata che letture pubbliche.
La Poetria audomarensis è un breve testo anonimo di Saint-Omer della fine del XII secolo. I 50 distici di cui è composta sono interamente dedicati alla descriptio. Fonte principale sono le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, anche se l’autore non dimentica Orazio.
Il vero best seller dell’epoca è la Poetria nova (1200-1202 ca.) dell’inglese Goffredo di Vinsauf, dedicata a papa Innocenzo III: sopravvive in circa 200 manoscritti, un numero impressionante se paragonato ai 5 dell’Ars versificatoria o ai 6 della Parisiana poetria, ed è stata copiata fino quasi al Settecento. La longevità del trattato e la sua fortuna in ambito scolastico sarebbero da attribuire alla perfetta corrispondenza alle esigenze didattiche: interamente composta in versi, è chiara e di piacevole lettura, alternando passi di autori classici a personali esperienze e contributi dell’autore. Di Goffredo, che, secondo un passo della stessa Poetria nova, soggiorna a Roma e forse insegna a Bologna, ci rimangono anche il Documentum de modo et arte dictandi et versificandi e la Summa de coloribus.
Pregevole per la chiarezza dell’esposizione e per il notevole sforzo sistematico è l’Ars versificaria (1215 ca.) di Gervasio di Melkley, coevo o di poco posteriore a Matteo di Vendôme e a Goffredo di Vinsauf, che cita entrambi, e le cui idee vengono sostanzialmente riprese nella sua Ars. Il suo trattato, dedicato sia alla prosa che alla poesia, si concentra sul modo di evitare i vizi del discorso, ricorrendo alle regole grammaticali e retoriche, ma soprattutto alla attenta lettura dei modelli.
La Parisiana poetria de arte prosayca, metrica et rithmica (1220 ca., rivista nel 1231-1235) è forse la più ambiziosa dei trattati che stiamo analizzando. È opera dell’inglese Giovanni di Garlandia, uno scrittore prolifico e poliedrico che studia a Oxford per poi insegnare molti anni a Parigi. La Parisiana poetria tenta di ridurre a unità le regole relative ai diversi generi di composizione (prosaica, metrica e ritmica), cercando di inglobare anche le competenze tangenti all’arte poetica, come l’epistolografia e le norme relative al discorso orale. Delle sette parti che la compongono, quelle più innovative sono dedicate all’invenzione della materia, all’ordine e all’amplificazione.
Il Laborintus (post 1213 - ante 1280) di Eberardo il Tedesco è cronologicamente la penultima poetria pervenutaci (escludendo la tarda Poetria linkopensis di Mattia di Linköping ormai del XIV secolo). Poco o nulla sappiamo con certezza della biografia di quest’autore, se non che studia a Parigi e a Orléans, e che insegna a Brema e forse a Colonia. Il titolo gioca sul bisticcio tra labirinto e laborem habens intus (“tribolando, facendo fatica”); pur riprendendo vari concetti da tutti i quattro illustri predecessori, alcuni elementi nella trattazione degli argomenti sono completamente nuovi rispetto allo schema base che conosciamo: consta di 1005 versi che cantano la nascita, crescita, educazione del maestro con le sette arti liberali che fungono da precettori (capitoli 1-3). Il maestro nasce infatti con un destino segnato ed è già in qualche modo presago delle future sventure che la carriera gli riserverà (tutte illustrate nel capitolo 6).
I trattati hanno di solito uno schema di base: le tre parti principali (esordio, svolgimento, conclusione) vengono affrontate quasi unanimemente, mentre lo spazio dedicato a nozioni di retorica più specifiche come la variazione e l’amplificazione, l’adeguamento dello stile al personaggio, le caratteristiche dei vari generi letterari, i vizi da evitare, la trattazione di una materia tradizionale oscillano in base agli interessi dei singoli autori.
Come stabilito nella retorica classica, anche per le poetrie medievali esistono due tipi di esordio, uno naturale che segue la successione logica degli eventi, e uno artificiale che la altera. La novità introdotta dalle poetrie riguarda soprattutto l’uso di proverbi ed exempla quando si utilizza l’ordine artificiale. Dello svolgimento del discorso trattano solo la Poetria nova e la Parisiana poetria; nella prima si distingue di nuovo il caso dell’ordine naturale, in cui lo sviluppo dei fatti procede da sé, da quello artificiale, per cui sarà l’autore a dover sottolineare la coerenza dello svolgimento con pronomi relativi o con la spiegazione dei proverbi e degli exempla utilizzati. Nella Parisiana poetria si indicano, secondo uno schema convenzionale, adottato nell’oratoria e nell’epistolografia, le parti distintive di un’opera: esordio, narrazione, richiesta, conferma, rifiuto, conclusione. La conclusione di solito verte su un’idea generale, su un proverbio o sull’invocazione alla divinità ispiratrice.
L’amplificazione e l’abbreviazione sono concetti non estranei alla retorica classica, ma presenti in un’accezione nuova nelle poetrie medievali: “amplificare” vale “sviluppare”, “trattare ampiamente un soggetto”. Esistono vari espedienti in proposito: sinonimo, similitudine, exemplum, domanda retorica, etimologia, onomastica, perifrasi (molto in voga fino all’XI secolo), apostrofe, prosopopea, descrizione, litote, abbreviazione e digressione, sconosciuta alla retorica antica e trattata nella Poetria nova e nella Parisiana poetria.
Viene ripresa la teoria classica dei tre stili umile, medio e sublime esemplificati dalle opere virgiliane nella Ruota di Virgilio: rispettivamente Bucoliche, Georgiche ed Eneide. E dal XIII secolo a decidere la classificazione di un’opera non sarà più lo stile ma il ceto sociale dei personaggi.
Accanto alla classica distinzione dei tre stili troviamo nelle poetrie un’ulteriore differenziazione tra ornamento semplice e ornamento difficile, che ricorre a varie figure retoriche come metafora, metonimia, sineddoche, antitesi, perifrasi, allegoria, enigma. L’ornamento facile prevede l’uso dei colori della retorica (il più diffuso procedimento è l’annominatio, cioè la paronomasia): è questa una parte della materia a cui i medievali sono molto interessati, tanto da dedicarle trattati autonomi, come quello di Goffredo di Vinsauf ricordato sopra.
Come si può facilmente desumere, le novità teoriche offerte dalle poetrie sono relativamente poche: numerosi sono i punti di tangenza con le opere classiche di retorica, soprattutto il De inventione di Cicerone, la Rhetorica ad Herennium, l’Epistola ad Pisones e l’Ars poetica di Orazio, letture dal prestigio incontrastato fino all’arrivo dei testi aristotelici a partire dalla seconda metà del XIII secolo. Ai trattati retorici della latinità classica vanno aggiunte le opere degli autori medievali ormai entrati nel canone: per esempio Beda e Isidoro e i testi in prosa e poesia degli autori classici, come testimoniano i numerosi stralci proposti dagli autori delle poetrie ad esemplificazione delle varie parti teoriche. D’altronde la base dell’insegnamento universitario era costituita dallo studio dei modelli: le scuole più rinomate a questo proposito erano proprio Orléans e Parigi: non è un caso, commenta Faral (Les artes poétiques du XII et du XIII siècle, 1924), che molti autori di poetrie abbiamo frequentato proprio queste università.