Le procedure per l’affidamento degli incarichi dirigenziali
L’affidamento dell’incarico dirigenziale rappresenta uno snodo chiave per la tenuta del modello di distinzione fra politica e amministrazione su cui si basa il sistema organizzativo dell’amministrazione pubblica italiana. Le modalità e le procedure per tale affidamento sono state oggetto di diversi interventi normativi che hanno cercato di rendere la scelta dell’incaricando sempre più trasparente e legata a criteri il più possibile oggettivi. In tale ambito è intervenuta da ultimo la l. n. 124/2015 che delega il governo ad introdurre una nuova disciplina conformata a criteri di selettività e comparazione fra gli aspiranti.
Come è noto, la disciplina della dirigenza amministrativa in Italia è caratterizzata in maniera particolare rispetto alla regolazione a cui sono sottoposti gli alti funzionari pubblici nel resto d’Europa1.
Oltre all’ampio riconoscimento di competenze riservate, che coincidono con tutta l’attività che può dirsi gestionale e dialogano con quella di indirizzo, che compete invece agli organi politici, a differenziare il regime lavorativo della dirigenza nazionale contribuisce anche la natura del rapporto di impiego, che è di diritto privato2.
La relazione lavorativa si sviluppa su un duplice livello: l’inquadramento nel ruolo, che consegue all’assunzione ed è a tempo indeterminato, e l’assegnazione dell’incarico, che invece ha carattere temporaneo. Su questo doppio piano si fonda anche parte dell’equilibrio fra politica e amministrazione che dovrebbe innervare l’organizzazione amministrativa. L’assegnazione degli incarichi apicali e di direzione generale nelle amministrazioni statali e, di norma, tutti gli incarichi dirigenziali nelle amministrazioni regionali e locali, nonché la formulazione degli obiettivi che nel loro svolgimento debbono essere raggiunti, competono agli organi politici. Si tratta di un potere importante che, oltre ad orientare l’azione del dirigente verso determinate finalità, incide anche sul suo status professionale, costituendo una componente del suo sviluppo di carriera. Di qui il possibile impiego da parte degli organi politici del potere di incarico per esercitare una influenza sul comportamento del dirigente che vada oltre la fisiologica soggezione di quest’ultimo alle direttive e agli orientamenti formulati in sede di esercizio dell’indirizzo politico.
Le indicazioni normative sulle modalità del conferimento degli incarichi tengono conto, sin dall’inizio, dell’esigenza di disciplinare il modo in cui viene prescelto il dirigente da incaricare tenendo insieme, da un lato, il margine di scelta che va riconosciuto agli organi politici per consentire loro di orientare, anche attraverso l’individuazione della persona da incaricare, l’andamento dell’amministrazione, e, dall’altro, le necessarie garanzie di indipendenza da assicurarsi ai dirigenti pubblici3.
In questa direzione si muove innanzi tutto la previsione del collegamento fra i due livelli del rapporto lavorativo dirigenziale (assunzione e incarico). Ne discende la regola per cui gli incarichi devono essere, di norma, affidati ai dirigenti che hanno avuto accesso, tramite concorso, al ruolo dell’amministrazione in cui saranno esercitati4. Nel caso delle amministrazioni dello Stato a ciò si aggiungono i vincoli che collegano l’appartenenza alle due fasce in cui è articolato il ruolo dirigenziale al tipo di incarico al quale è possibile aspirare.
A tale regola generale la normativa ha affiancato però alcune eccezioni, che non hanno mancato di destare perplessità in dottrina5. Sin dal 1998 è stata prevista la possibilità per le amministrazioni di conferire incarichi dirigenziali anche ad altre figure di elevata qualificazione professionale e nei limiti in cui ciò si riveli necessario per l’assenza nell’amministrazione di dirigenti con le caratteristiche richieste dall’incarico. Tale possibile ricorso a dirigenti “esterni” è stato però da sempre limitato ad una percentuale piuttosto esigua della dirigenza di ruolo e progressivamente circondato da ulteriori garanzie, quali l’obbligo di motivazione o l’aumento dei requisiti delle professionalità a cui è possibile ricorrere. Tali limiti nel 2009 sono stati estesi anche alle amministrazioni regionali e locali.
Un secondo elemento rilevante nella disciplina degli incarichi dirigenziali è apparso essere sin da subito quello della durata dell’incarico. Il punto è nodale, dal momento che una durata troppo lunga rischia di privare il potere di scelta degli organi politici nell’assegnazione e nella definizione dei contenuti operativi dell’incarico della sua funzione “strategica” rispetto all’indirizzo politico; una durata troppo breve, invece, mette in discussione la stessa praticabilità di una seria valutazione dei risultati conseguiti dal dirigente, sottoponendolo quindi, potenzialmente, ad una eccessiva pressione da parte della politica.
La durata dell’incarico dirigenziale è stata oggetto di diversi interventi normativi: inizialmente regolata sia nel suo termine minimo, sia in quello massimo, è stata successivamente modificata da una previsione normativa che si limitava ad indicare il secondo. Nel volgere di pochissimi anni, tuttavia, il termine minimo è stato reintrodotto, ripristinando un elemento importante del sistema di garanzie per il dirigente che, come la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di segnalare, risulta necessario ad assicurare un imparziale ed efficiente svolgimento dell’azione pubblica6.
Nella disciplina vigente, l’art. 19, co. 2, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, prevede che «la durata dell’incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati ... non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni»7.
Il terzo ed ultimo strumento attraverso il quale il legislatore ha operato per orientare il potere di conferimento degli incarichi verso un impiego corretto è stato quello di mettere in relazione le caratteristiche del dirigente incaricando con le esigenze organizzative e operative dell’amministrazione.
Sin dalla prima versione dell’art. 19 d.lgs. 3.2.1993, n. 29 è stato previsto il necessario collegamento fra «la natura e le caratteristiche dei programmi da realizzare» e le «attitudini» e «capacità professionali» del singolo dirigente, da apprezzarsi anche tenendo conto dei risultati da questi conseguiti in precedenza. A ciò si aggiungeva il principio di rotazione degli incarichi, che, tuttavia, nel 2002 è stato eliminato.
Nell’impianto del d.lgs. n. 165/2001 la disciplina delle modalità di conferimento degli incarichi resta affidata al co. 1 dell’art. 19 del decreto, che nel 2002 è stato parzialmente riformulato al fine di precisare, con particolare riferimento alla dirigenza statale, che le attitudini e le capacità professionali del singolo dirigente, debbono essere valutate «anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro». Con la dir. 19.12.2007, n. 10, il Dipartimento per la Funzione Pubblica ha ribadito l’esigenza che nell’individuazione del dirigente da incaricare si operino scelte discrezionali ancorate a parametri quanto più possibile oggettivi e riscontrabili, evidenziando la necessità che le amministrazioni si dotino preventivamente di un sistema di criteri generali per l’affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi. Ma è, con il d.lgs. 27.10.2009, n. 150, che nel testo dell’art. 19 è stata introdotta per la prima volta una vera e propria disciplina del procedimento di assegnazione dell’incarico. Mentre i criteri per l’apprezzamento delle qualità del dirigente incaricando non vengono sostanzialmente modificati, ma semplicemente integrati con le esperienze di direzione nel settore pubblico o privato eventualmente maturate all’estero, le modalità di scelta sono regolatein maniera innovativa. È prevista una prima fase di trasparenza, in cui l’amministrazione è tenuta a rendere conoscibili il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta, e una seconda fase in cui l’amministrazione acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta, procedendo infine alla individuazione del soggetto da incaricare.
Nonostante l’apparente procedimentalizzazione delle modalità di affidamento dell’incarico, la natura privata del relativo potere, pienamente coerente con la qualità anch’essa privata del rapporto di lavoro, ha orientato l’interpretazione giurisprudenziale nel senso di riconoscere nel dettato normativo la regolazione delle modalità di impiego di una capacità che resta frutto di autonomia negoziale. Anche per questo alla previsione relativa alla «valutazione» delle domande dei dirigenti interessati all’incarico non si è collegata, ad es., la necessità di una motivazione che desse conto dell’effettuata comparazione fra i diversi aspiranti8, né si è riconosciuta l’annullabilità della decisione in caso di violazione delle regole procedurali previste9. Ai candidati non prescelti si è prevalentemente concessa la misura risarcitoria per violazione dei canoni di correttezza e buona fede che presidiano i comportamenti nel rapporto contrattuale10.
L’assetto attuale della disciplina in materia di modalità di affidamento dell’incarico dirigenziale non appare tuttavia ancora adeguato a garantire, insieme, la rispondenza della scelta della persona da incaricare alle esigenze organizzative e operative dell’amministrazione e la protezione del dirigente dalle indebite pressioni che la politica è in grado di esercitare proprio attraverso la gestione degli incarichi. La Corte dei conti, nel rapporto per il 2014 sul coordinamento della finanza pubblica, ha segnalato come la normativa sul reclutamento e sulla attribuzione degli incarichi non sia in grado di assicurare «il contemperamento delle necessarie esigenze di flessibilità organizzativa con la garanzia di un’effettiva autonomia gestionale dei dirigenti nei confronti degli organi politici», questo anche alla luce «degli ampi margini di discrezionalità tutt’ora esistenti per la riconferma del dirigente o l’attribuzione di un incarico di livello superiore».
In questo quadro è intervenuta la l. n. 124/2015, contenente numerose deleghe in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Per quanto concerne la dirigenza, il Governo è delegato ad intervenire su diversi aspetti della relativa disciplina: dalle modalità di accesso, ai ruoli, alla formazione, alla mobilità, fino alla retribuzione e naturalmente alle regole per l’affidamento degli incarichi dirigenziali.
I principi e i criteri della delega contenuta nell’art. 11 l. n. 124/2015 toccano in maniera innovativa tutti gli aspetti sui quali, come sopra considerato, il sistema legislativo vigente ha fondato sino ad ora la regolazione delle modalità di impiego del potere di conferimento degli incarichi: il collegamento fra appartenenza al ruolo e incarico, la sua durata e la relazione fra le qualità del dirigente incaricando e le esigenze organizzative e operative dell’amministrazione.
L’intento complessivamente appare essere quello di conformare il potere di conferimento dell’incarico, riducendone sotto diversi profili il margine di scelta e contribuendo così anche a rafforzare la posizione del dirigente incaricato11.
2.1 Rapporto fra ruolo e incarico
Con riferimento al rapporto fra ruolo e incarico, il principale dato di rilievo è l’istituzione di tre ruoli unici: uno per la dirigenza statale, uno per la dirigenza regionale e uno per la dirigenza locale. All’articolazione dei ruoli nei tre diversi livelli di governo fa da contraltare la previsione della piena mobilità dei dirigenti fra di essi. Anche a questo fine, i ruoli debbono essere accomunati da requisiti omogenei di accesso e da procedure analoghe di reclutamento.
L’istituzione di un ruolo unico per la dirigenza statale, nel quale confluiscono anche i dirigenti degli enti pubblici non economici nazionali, delle università statali, degli enti pubblici di ricerca e delle agenzie governative, è completata dalla previsione della eliminazione delle due fasce in cui erano articolati i ruoli precedenti. Del ruolo della dirigenza regionale è previsto che faccia parte anche la dirigenza delle camere di commercio e quella amministrativa, professionale e tecnica del Servizio sanitario nazionale. Nel ruolo della dirigenza locale, infine, si dispone che confluiscano anche i segretari comunali e provinciali, la cui funzione nell’amministrazione locale viene contestualmente soppressa.
L’unificazione dei ruoli, come può facilmente intuirsi, ha immediate conseguenze sul sistema di affidamento degli incarichi. La legge prevede, infatti, che questi possano essere conferiti ai dirigenti appartenenti a ciascuno dei tre ruoli, ampliando in una maniera che non ha precedenti nel nostro sistema amministrativo la platea di coloro che possono aspirare a ciascun incarico dirigenziale. Anche in tale prospettiva si prevede la confluenza in un’unica banca dati delle informazioni rilevanti relative a tutti i dirigenti, costituite dal loro curriculum vitae, dal profilo professionale e dagli esiti delle valutazioni. La tenuta della banca dati sarà affidata al Dipartimento della funzione pubblica, al quale la legge prevede che sia conferita anche la «gestione tecnica» dei ruoli.
A tale ultima funzione si affianca quella delle tre Commissioni per la dirigenza: statale, regionale e locale. Le Commissioni si configurano come organi di garanzia, formati da persone selezionate in modo da garantirne l’indipendenza e la terzietà, ai quali vengono affidate anche funzioni di controllo sul nuovo regime degli incarichi, nonché compiti rilevanti, come si vedrà fra poco, nella selezione degli aspiranti all’incarico dirigenziale.
L’eliminazione dei ruoli di singola amministrazione e la previsione per cui un incarico dirigenziale può essere affidato a qualsiasi dirigente appartenente ai ruoli, cambia il quadro vigente anche sotto il profilo della possibile giustificazione del ricorso a dirigenti cosidetti “esterni” all’amministrazione incaricante. La scelta di affidare un incarico a persona non inclusa nei ruoli dirigenziali, che, come si è visto, risulta attualmente motivata dalla mancanza di dirigenti interni con il profilo professionale adeguato all’incarico, dovrà essere coerentemente rivista, stante la straordinariamente più vasta possibilità di scelta che si apre alle amministrazioni con l’unificazione dei ruoli. Sul punto la delega resta però piuttosto vaga, e anzi conferma i limiti percentuali vigenti nella disciplina attuale, prevedendo unicamente una “eventuale” revisione delle quote previste per le amministrazioni non statali.
2.2 Scelta del dirigente da incaricare
Modifiche estremamente rilevanti riguardano anche un altro aspetto su cui abbiamo visto fondarsi la disciplina dell’affidamento degli incarichi: quello relativo al collegamento fra qualità del dirigente e incarico da conferire. Tale collegamento non viene valorizzato attraverso la previsione di diverse o ulteriori qualità professionali dei dirigenti aspiranti all’incarico, tant’è che il testo dell’art. 11, co. 1, lett. g), della legge ripropone quasi testualmente le indicazioni in merito già presenti nella disciplina vigente (art. 19, co. 1, d.lgs. n. 165/2001). L’investimento del legislatore delegante è piuttosto sulla previsione di un procedimento che impone l’apprezzamento effettivo delle caratteristiche richieste e obbliga a forme di selezione fra gli aspiranti.
Un primo elemento che merita di essere segnalato a questo proposito è che la procedura di individuazione del dirigente al quale conferire l’incarico è esplicitamente qualificata come “comparativa”, con l’intento, come è probabile, di fugare ogni dubbio sulla natura delle verifiche sul possesso dei requisiti richiesti e sul loro apprezzamento. Al fine di garantire la più ampia partecipazione è previsto poi, non solo che l’avvio della procedura sia pubblicizzato con avviso pubblico, ma anche che la notizia della vacanza di posizioni dirigenziali da affidare tramite incarico sia resa nota con congruo anticipo, attraverso la pubblicazione sulla banca dati curata dal Dipartimento della funzione pubblica.
Le modalità di individuazione del dirigente al quale sarà conferito l’incarico sono diverse a seconda che si tratti di incarichi di direzione di un ufficio di vertice o di livello dirigenziale generale, oppure di un incarico dirigenziale semplice o, come si preferisce definirlo, “di base”.
Un ruolo essenziale in entrambi i casi è ricoperto dalle Commissioni per la dirigenza a cui si è prima fatto cenno. In prima battuta le Commissioni hanno il compito di definire i criteri generali, alla luce dei quali l’amministrazione provvede ad individuare i requisiti e i criteri che orienteranno la propria scelta e che debbono essere previamente resi noti nell’avviso pubblico.
Quando l’incarico da affidare riguarda un ufficio di vertice o una direzione generale, la legge conferisce alle Commissioni anche il compito di provvedere alla preselezione di un numero predeterminato di candidati in possesso dei requisiti richiesti.
L’impiego del termine “preselezione” e il riferimento al fatto che il numero di coloro che saranno inclusi nella lista sia predeterminato suggeriscono l’idea di una vera e propria procedura selettivocomparativa. Il fatto, tuttavia, che non sia prevista la formazione di una graduatoria consente di mantenere un certo margine di autonomia al soggetto che esercita il potere di nomina, che potrà individuare il dirigente da incaricare fra tutti quelli preselezionati dalla Commissione.
Nel caso in cui l’incarico da affidare riguardi, invece, un ufficio dirigenziale di base, il ruolo delle Commissioni è limitato al controllo successivo sull’effettivo rispetto, da parte degli organi titolari del potere di incarico, dei criteri e dei requisiti indicati nell’avviso pubblico.
2.3 Durata dell’incarico
Un ulteriore aspetto che merita di essere sottolineato riguarda la nuova previsione in ordine alla durata degli incarichi e alla disciplina del rinnovo degli stessi. Diversamente dal quadro attuale, la nuova regolazione non si limita ad indicare un termine minimo e massimo di durata, ma fissa la durata a quattro anni. La legge si propone anche di fare chiarezza sul regime del rinnovo dell’incarico dirigenziale. Sul punto, infatti, la disciplina vigente non appare troppo perspicua, contenendo unicamente la laconica previsione per cui «gli incarichi sono rinnovabili» (art. 19, co. 2, d.lgs. n. 165/2001). Nella concreta applicazione tale previsione è stata interpretata nel senso di poter sottrarre alla procedura prevista per la prima assegnazione il caso del rinnovo dell’incarico. Anche di recente, sul punto, la Corte dei conti ha avuto modo di precisare che la specifica fattispecie del rinnovo può essere considerata una casistica a sé, sottratta agli obblighi di pubblicità12.
Nella l. delega viene invece stabilita la regola generale per cui alla scadenza di ciascun incarico deve essere necessariamente riaperta, con i relativi obblighi di pubblicità, una procedura comparativa, alla quale, naturalmente, potrà partecipare anche il dirigente il cui incarico è scaduto, assicurandosi, nel caso in cui la scelta cada su di lui, la possibilità di proseguire nella medesima funzione. L’unica deroga possibile a questo principio è un rinnovo motivato, praticabile una sola volta e limitato a due anni, al dirigente che abbia concluso l’incarico con una valutazione positiva.
2.4. Dirigenti senza incarico
Un ultima considerazione deve infine essere riservata al destino dei dirigenti che restino privi di incarico. La scelta del legislatore qui appare “forte” e va nel senso di prevedere una decadenza dal ruolo e, quindi, di fatto, un licenziamento del dirigente dopo un certo periodo di collocamento in disponibilità per assenza di incarico. Tale esito è tuttavia espressamente subordinato ad una previa valutazione negativa del dirigente, precisazione che consente di ritenere che, se la valutazione fosse positiva, il dirigente potrebbe restare nel ruolo perlomeno per un ulteriore periodo di tempo. Al legislatore delegato spetterà decidere per quanto tale permanenza potrà protrarsi nel caso in cui prosegua la situazione di assenza di incarico. Al dirigente è comunque consentito sospendere il periodo di disponibilità, attraverso la richiesta di una aspettativa senza assegni, motivata dall’accettazione di incarichi in altre amministrazioni, in società partecipate, o nel settore privato. Il dirigente senza incarico potrà anche accettare di essere destinato allo svolgimento di attività di supporto presso le amministrazioni o il terzo settore, senza alcuna retribuzione aggiuntiva. Anche in questo caso, ragionevolmente, si dovrebbe sospendere il periodo di collocamento in disponibilità. Un’ultima possibilità per il dirigente è quella di richiedere la ricollocazione in qualità di funzionario presso la propria amministrazione, con la conseguenza di una uscita dal ruolo dirigenziale alla quale non consegue però la chiusura del rapporto di lavoro con l’amministrazione.
Il quadro che risulta dalle disposizioni della legge dovrà naturalmente essere precisato in sede di esercizio della delega, fase in cui molte indicazioni potranno essere specificate e maggiormente articolate.
È tuttavia chiaro sin da ora come il potere di scelta del dirigente al quale affidare un incarico dovrà essere impiegato attraverso un procedimento, che dalla disciplina attuativa risulterà inevitabilmente regolato in maniera più stringente di quanto accade attualmente. Ciò non muta la fisionomia del potere che viene impiegato nella individuazione del dirigente da incaricare, che resta da ascriversi alla autonomia privata del datore di lavoro.
La materia degli incarichi dirigenziali sotto questo profilo è stata oggetto di un intenso dibattito che, sia in sede dottrinale, sia in ambito giurisprudenziale, risulta da tempo risolto nel senso appena ricordato13. Anche di recente la Cassazione ha avuto modo di confermare come l’intera materia degli incarichi dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche sia retta dal diritto privato, ribadendo che l’atto di conferimento è oramai riconosciuto da tempo come espressione di un potere di organizzazione di diritto comune14.
La conseguenza di tutto ciò è che le regole sicuramente più articolate alle quali sarà sottoposta la procedura di individuazione del soggetto da incaricare, dovranno continuare ad essere intese come norme idonee a disciplinare l’esercizio di un potere privato e non di un procedimento amministrativo. Né in senso opposto può deporre la circostanza per cui la legge fa espresso riferimento ad una «procedura comparativa». Per quanto finalizzato ad una selezione, il procedimento è, di norma, rivolto a dirigenti già di ruolo e si svolge quindi nel quadro di una relazione lavorativa già costituita, rappresentandone uno strumento di gestione. Oltre al fatto che, già alla luce della disciplina vigente, non sono mancate di recente pronunce che hanno ritenuto che i principi di correttezza e buona fede obblighino l’amministrazione a valutazioni comparative nella scelta dei dirigenti15, non si può non considerare come, con riferimento ai concorsi interni, vere e proprie procedure concorsuali selettive riservate però a personale già in servizio, la Cassazione abbia avuto modo di affermare la giurisdizione ordinaria, configurandoli come momenti di gestione del rapporto di lavoro già costituito16.
Selettività e natura privata del potere e del rapporto non sono quindi di per sé in contrasto.
Alcune questioni problematiche potrebbero però sorgere con riferimento alle modalità di individuazione dei dirigenti cosidetti “esterni”, coloro, cioè, ai quali anche la l. delega ammette possano essere conferiti incarichi dirigenziali, se pure nei limiti percentuali già previsti e laddove possiedano un profilo professionale necessario al funzionamento dell’amministrazione e non rinvenibile nei suoi ruoli. Nel caso di ricorso a questa soluzione, la scelta dell’amministrazione non riguarda dirigenti già entrati in ruolo attraverso un concorso pubblico. La disciplina vigente nulla dispone in ordine alle modalità procedurali per la individuazione della persona da incaricare, pur richiedendo una esplicita motivazione della scelta di non ricorrere a personale di ruolo.
Diverse pronunce del giudice amministrativo di prima istanza sono andate da tempo affermando il principio per cui l’affidamento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni non esonera l’amministrazione dallo svolgimento di procedure selettive17 e, in alcuni casi, hanno riconosciuto la propria giurisdizione anche laddove sono stati contestati profili attinenti alle modalità di tali procedure, mostrando di considerarle assimilabili a pubblici concorsi18. Da ultimo non è mancato chi ha affermato che, nel caso di un affidamento di incarico dirigenziale a soggetto esterno, la scelta della persona da incaricare, pur non essendo riconducibile ad un concorso pubblico in senso stretto, assume una valenza «para – concorsuale, essendovi una selezione comparativa tra i candidati a fronte della quale le relative posizioni sostanziali assumono consistenza di interesse legittimo all’ottenimento dell’incarico, secondo le regole predeterminate dalla legge e dall’avviso pubblico»19.
C’è da attendersi che, alla luce della nuova regolazione che risulterà dall’attuazione della l. n. 124/2015, posizioni come quest’ultima possano diffondersi e rafforzarsi. In tale quadro potrebbe essere opportuno che, in sede di esercizio della delega in materia di incarichi dirigenziali, il Governo si faccia carico di introdurre norme che forniscano maggiore certezza sulla disciplina applicabile alla individuazione del soggetto da incaricare e sulla relativa giurisdizione, anche qualora si tratti di persona non appartenente al ruolo.
1 In questo senso, ampiamente, Merloni, F., Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, Bologna, 2006. In materia ampiamente anche Gardini, G., L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione. Organizzazione e ruolo della dirigenza pubblica nell’amministrazione contemporanea, Milano, 2003.
2 Treu,T., Le relazioni di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2008; Russo, C., Il rapporto di lavoro pubblico, Roma, 2008.
3 Ponti, B., Indipendenza del dirigente e funzione amministrativa, Rimini, 2012.
4 C. cost., 13. 9.2012, n. 217. La Corte ha ritenuto in contrasto con l’art. 97 della Costituzione una l. regionale che disponeva che il personale del ruolo regionale che svolgeva incarichi dirigenziali a tempo determinato venisse inquadrato nel ruolo unico dei dirigenti regionali con incarico a tempo indeterminato. La Corte, richiamate le più recenti sentenze in materia (C. cost., 10.11.2011, n. 299; C. cost., 12.4.2012, n. 90; C. cost., 21.3.2012, n. 62; C. cost., 9.3.2012, n. 51; C. cost., 23.2.2012, n. 30), ha posto in rilievo che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali al buon andamento e ricorrano straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle.
5 D’Alessio, G., La disciplina della dirigenza pubblica: profili critici ed ipotesi di revisione del quadro normativo, in Lav. pub. amm., 2006, 558.
6 C. cost., 23.3.2007, n. 103.
7 Sull’applicazione di tali limiti di durata anche all’affidamento di incarichi a soggetti esterni negli enti locali v. Cass., 13.1.2014, n. 478.
8 Cass., S.U., 6.3.2009, n. 5457 e Cass., S.U., 19.7.2011, n. 15764. La posizione contraria, comunque sostenuta da Cass., 26.11.2008, n. 28274, appare decisamente minoritaria.
9 Cass., S.U., 19.7.2011 n. 15764.
10 Così ancora Cass., S.U., 6.3.2009, n. 5457.
11 Ponti, B., Indipendenza del dirigente e funzione amministrativa, cit., 269 ss., già segnalava l’importanza di una riforma della disciplina degli incarichi nell’ottica di un rafforzamento delle garanzie dell’indipendenza dei dirigenti.
12 C. conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera del 24.7.2014, n. 24.
13 In dottrina Corpaci, A., Su natura e regime giuridico degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali nel settore pubblico, in Dir. lav. merc., 2004, 376 ss.; Nicosia, G., Gli atti di incarico dirigenziale tra normativa e applicazione giurisprudenziale: una lettura giuslavoristica, in Merloni, F. Pioggia, A., a cura di, Riforme organizzative e atti amministrativi, Rimini, 2005, 103 ss.; Pioggia, A. , Giudice e funzione amministrativa. Giudice ordinario e potere privato dell’amministrazione datore di lavoro, Milano, 2004, 157 ss. Per la giurisprudenza si veda, per tutte, la fondamentale sentenza Cass., 20.3.2004, n. 5659.
14 Cass., 30.10.2014, n. 23062, ma anche, ex multis, Cass., S.U., 23.9.2013, n. 21671; Cass., S.U., 1.12.2009, n. 25254; Cass., S.U., 14.4.2008, n. 9814; Cons. St., 29.4.2009 n. 2713.
15 Cass., 14.4.2015 n. 7495. 16 Cass., S.U., 23.3.2005, n. 6217; Cass. 14.04.2015, n. 7495. 17 TAR Calabria, Catanzaro, 4.12.2008, n. 1560; TAR Campania, Napoli, 9.12.2002, n. 7887. 18 TAR Piemonte, Torino, 21.3. 2012, n. 362; TAR Toscana, Firenze, 11.11.2010, n. 6578. 19 TAR Umbria, Perugia, 30.4.2015, n. 192.
16 Cass., S.U., 23.3.2005, n. 6217; Cass. 14.04.2015, n. 7495.
17 TAR Calabria, Catanzaro, 4.12.2008, n. 1560; TAR Campania, Napoli, 9.12.2002, n. 7887.
18 TAR Piemonte, Torino, 21.3. 2012, n. 362; TAR Toscana, Firenze, 11.11.2010, n. 6578.
19 TAR Umbria, Perugia, 30.4.2015, n. 192.