Le prospettive di riforma degli ammortizzatori sociali
La disciplina degli ammortizzatori è da sempre una materia ostica da affrontare. Ciò dipende principalmente dalla sua magmatica complessità, figlia di fonti di cognizione che, per il loro prevalente carattere provvedimentale, sono difficilmente riconducibili a sistema e non sono sempre agevoli da reperire. Il contribuito cerca di ricostruire gli interventi che si sono susseguiti negli ultimi due anni, analizzando i profili problematici della materia.
Quella degli ammortizzatori continua ad essere una materia ostica da affrontare. Lo si deve alla sua magmatica complessità, figlia di fonti di cognizione che, per il loro prevalente carattere provvedimentale, sono difficilmente riconducibili a sistema e non sono sempre agevoli da reperire. Come è noto, una riforma della materia, con pretese di completezza, era stata finalmente approvata nel 2012 (artt. 2 e 3 della l. 28.6.2012, n. 92, cd. legge Fornero), subendo marginali aggiustamenti (anche nel corso del 2013 e del 2014); ma l’attuale governo già si ripropone di rivederla.
Infatti, ha chiesto al parlamento una delega per provvedervi (d.d.l. delega n. 1428/2014). È opportuno svolgere una breve analisi delle novità intervenute in questo periodo (2013 e 2014) e successivamente dedicare alcune valutazioni al disegno di legge governativo.
Le novità intervenute riguardano: provvedimenti di rifinanziamento di misure già esistenti, contratti di solidarietà, disciplina dell’Aspi, creazione di nuove aree di protezione e implementazione del sistema di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro.
2.1 Provvedimenti di rifinanziamento di misure esistenti
La riforma Fornero avrebbe dovuto condurre alla chiusura dello strumento degli ammortizzatori in deroga. Le permanenti difficoltà occupazionali hanno invece spinto il legislatore a rifinanziarlo1. Si è sorvolato – senza esplicitamente metterla in discussione – sull’idea che quello strumento debba agevolare la transizione al nuovo sistema. Il legislatore ammette che l’esigenza di un loro rifinanziamento è dovuta al «perdurare della crisi occupazionale» (poco dopo parla di «eccezionalità della situazione di emergenza occupazionale») ed alla «prioritaria esigenza di assicurare adeguata tutela del reddito dei lavoratori in modo tale da garantire il perseguimento della coesione sociale». Senza dubbio è interessante l’esplicito riferimento alla «coesione sociale» come finalità ultima dell’intervento. Esso, tuttavia, riattiva le perplessità sul fatto che quella coesione non coinvolga chiunque si trovi in una condizione di bisogno.
Si è colta l’occasione del rifinanziamento per prevedere2 l’emanazione di un decreto interministeriale per la determinazione dei «criteri di concessione degli ammortizzatori in deroga alla normativa vigente». A favore della fissazione di criteri comuni – evidentemente funzionali alla riduzione delle diversità di disciplina che si sono registrate nei vari territori regionali – si erano meritevolmente pronunciate le stesse Regioni e Province Autonome nell’intesa da esse raggiunta con lo Stato il 22.11.2012. Il decreto interministeriale è stato emanato di recente (n. 83473 del 1.8.2014). Non è qui possibile farne una analisi dettagliata,ma va detto che forse può fornire qualche spunto per la lettura del disegno di legge delega governativo.
Per il 2014 si è provveduto3 anche al finanziamento dei contratti di solidarietà di cui all’art. 5, co. 5 e 8, d.l. 20.5.1993, n. 148 conv. dalla l. 19.7.1993, n 236 (si tratta dei contratti stipulati nell’ambito dei settori per i quali non trova applicazione la disciplina della cassa integrazione)4, nonché al finanziamento delle proroghe a ventiquattro mesi della cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione di attività, di cui all’art. 1, co. 1, d.l. 5.10.2004, n. 249,
conv. dalla l. 3.12.2004, n. 291.
2.2 Contratti di solidarietà
Una particolare attenzione si è posta ai contratti di solidarietà (art. 1 d.l. 30.10.1984, n. 726, conv. con mod. dalla l. 19.12.1984, n. 863) per il contributo che essi possono dare ad alleviare le tuttora permanenti difficoltà occupazionali connesse alle eccedenze di personale. Sono stati incentivati, sia sul versante dei lavoratori che su quello dei datori di lavoro.
Sul primo versante per il 2014 si è provveduto5 ad aumentare – nei limiti di uno stanziamento predeterminato – il trattamento dei lavoratori nella misura del 10 per cento della retribuzione persa a seguito della riduzione di orario. Sul secondo versante si è provveduto6 ad aumentare la riduzione dell’ammontare della contribuzione previdenziale ed assistenziale prevista nell’art. 4 del d.l. 1.10.1996, n. 510, conv. dalla l. 28.11.1996, n. 608.
2.3. Disciplina dell’Aspi
Sono intervenute alcune modifiche relativamente alla contribuzione7 e si è arricchita la funzione dell’Aspi. Questa prestazione svolge ora non solo la funzione di sostegno al reddito del lavoratore disoccupato, bensì anche quella di incentivare la sua assunzione a tempo pieno ed indeterminato8. In verità all’Aspi era stata già conferita9 una funzione occupazionale, quella di incentivare l’autoimpiego, prevedendosi la possibilità della liquidazione della prestazione in un’unica soluzione. Ad essa ora si aggiunge l’incentivo all’assunzione. Tuttavia a differenza della prima misura, che è configurata come sperimentale (fino al 2015) e operante nei limiti di un apposito stanziamento a carico della fiscalità generale, quella introdotta di recente ha carattere strutturale e sembra quindi concepita come rientrante nell’equilibrio finanziario dell’istituto.
C’è da chiedersi la ragione di questa differenza, che non sembra giustificata. Evidentemente sotto questo profilo, quello della funzione occupazionale, la disciplina dell’Aspi dovrà ricevere un assetto più organico. A ben vedere, la funzione occupazionale della prestazione di disoccupazione la si trovava già scolpita, da molto tempo, nella disciplina dell’indennità di mobilità; sarebbe stato opportuna riprodurla con convinzione sin dall’inizio nella disciplina dell’Aspi.
2.4 Nuove aree di protezione
Due sono le novità da segnalare. La prima: per fronteggiare i disagi occupazionali conseguenti all’abolizione del finanziamento pubblico diretto dei partiti e dei movimenti politici, la legge che ha disposto la predetta abolizione ha provveduto ad estendere alle predette organizzazioni – in limiti predeterminati di spesa e prescindendo dalla loro dimensione occupazionale – le disposizioni in materia di trattamento straordinario di integrazione salariale e i relativi obblighi contributivi, nonché la disciplina in materia di contratti di solidarietà di cui al d.l. n. 726/198410.
La seconda novità, estremamente interessante sul piano dei principi, ma probabilmente di dubbia efficacia per l’impatto che potrà effettivamente avere, è l’emersione di una nuova frontiera per le politiche di sostegno del reddito per difficoltà occupazionali.
Sappiamo che sono già presenti nel sistema spinte all’apprestamento di una tutela a beneficio di categorie di lavoratori autonomi sottoprotetti in ragione della loro forte vicinanza alle posizioni del lavoro subordinato (i collaboratori coordinati e continuativi in regime di monocommittenza). La l. n. 92/2012 ha cercato di dare una risposta su questo versante (art. 2, co. 51). Orbene, pare che ora si cominci a considerare sottoprotette anche posizioni di lavoro autonomo puro.
Infatti, si è previsto11 che gli enti di previdenza di diritto privato dei professionisti debbano realizzare risparmi di gestione per recuperare risorse da destinare al sostegno dei «redditi dei professionisti nelle fasi di crisi economica». Si dischiude un nuovo capitolo, tutto da scrivere. Non ci sono notizie sulla proiezione applicativa di quanto previsto da questa interessante e problematica disposizione.
2.5 Sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro
Nel periodo esaminato una parte di rilievo ha avuto l’implementazione del sistema di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro previsto per le imprese con più di 15 dipendenti non rientranti nella disciplina della cassa integrazione guadagni, (art. 3, co. 4 e ss., l. n. 92/2012). Come è noto, la scelta del legislatore nella riforma del 2012 è stata quella di rimettere all’iniziativa delle parti sociali la costruzione, per quelle imprese, di un sistema obbligatorio di protezione fondato sulla bilateralità. In considerazione delle incertezze delle parti sociali nell’assumere questa iniziativa e dei conseguenti loro ritardi, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per agevolare questo processo di costruzione del nuovo sistema.
Dapprima12, al fine di concedere più tempo alle parti sociali per concordare l’istituzione dei fondi bilaterali o provvedere all’adeguamento della loro disciplina, ha ulteriormente differito il termine per la conclusione degli accordi, ma fissando comunque la data del 1.1.2014 per l’attivazione del fondo residuale13.
Successivamente ha provveduto ad eliminare il termine14 prevedendo che le parti sociali conservino la possibilità di costituire il «proprio» fondo bilaterale anche successivamente alla costituzione del fondo residuale15, con la conseguenza di determinare la fuoriuscita da quest’ultimo degli ambiti interessati dall’accordo collettivo16.
Nello stesso momento il legislatore ha previsto17 che l’obbligo di contribuzione al fondo residuale decorre dal 1.1.201418 ed ha provveduto a fissare interinalmente l’ammontare del contributo19.
La risposta che le parti sociali hanno dato all’invito del legislatore è stata deludente. L’iniziativa è stata assunta solo dalle categorie che erano già dotate di un sistema di fondi e che hanno provveduto all’adeguamento previsto dalla legge. C’è chi aveva previsto questo esito20. Ed in effetti la legge – ove non metta in campo forti incentivazioni – difficilmente può indurre le parti collettive ad assumere decisioni che esse non abbiano autonomamente maturato.
Peraltro, nel nostro caso era presente un disincentivo, rappresentato dal fatto che un accordo collettivo sarebbe stato percepito come responsabile di un aumento del costo del lavoro. I rappresentanti delle imprese – con i tempi che corrono – non se la sono sentita di assumere questa veste; quindi hanno preferito lasciare la responsabilità dell’aumento integralmente alla legge ed alla mano pubblica.
Il fondo residuale è stato istituito con decreto interministeriale del 7.2.2014, n. 7914121. Con decreti interministeriali si è provveduto all’adeguamento di alcuni fondi già istituiti presso L’Inps. Fino ad ora risultano adeguati il fondo di solidarietà relativo al Gruppo Poste Italiane22 ed il fondo di solidarietà relativo al personale dipendente dalle imprese assicuratrici23.
Per quel che riguarda i fondi bilaterali di solidarietà alternativi si è attivato il settore dell’artigianato, il quale vanta una tradizione nella gestione di questo strumento.
Con accordo interconfederale del 31.10.2013 si è convenuto di costituire il fondo alternativo «Fondo di Solidarietà Bilaterale dell’Artigianato» (FSBA).
Alcuni aspetti di questo accordo vanno evidenziati.
Pongono delicati problemi che sarà interessante vedere come verranno governati nella pratica.
Innanzitutto le parti –mettendo a frutto la maggiore libertà della quale godono rispetto ai soggetti collettivi che vogliano costituire fondi spuri24 – hanno esteso l’ambito di operatività del fondo. Infatti, il fondo interesserà non solo «tutti i lavoratori dipendenti dell’artigianato», ma anche quelli «delle imprese che applicano i contratti collettivi di lavoro sottoscritti tra le parti in epigrafe25, anche con meno di 16 dipendenti», nonché i dipendenti delle stesse organizzazioni firmatarie degli accordi e «degli enti e delle società dalle stesse costituite, promosse o partecipate».
È chiaro che,mentre nella prima area (quella dei lavoratori dipendenti dell’artigianato) il Fondo opera con effetti obbligatori in base alla copertura fornita dalla legge, nelle altre aree opera su base volontaria.
Anche se il riferimento alle dimensioni occupazionali inferiori ai 16 dipendenti viene esplicitamente fatto alle imprese non artigianali che facciano applicazione dei contratti collettivi del settore artigiano si deve ritenere che le parti abbiano voluto che il fondo riguardi anche le aziende artigiane che occupano meno di 16 dipendenti (peraltro hanno esplicitamente parlato di “tutti” i lavoratori dell’artigianato). Rimane tuttavia da vedere se, in quest’ambito, il fondo sia destinato ad operare su base volontaria (lo si potrebbe sostenere, dato che la legge sembra porre il vincolo in capo alle imprese con più di 15 dipendenti) ovvero sia destinato ad operare su base obbligatoria.
In secondo luogo l’accordo interconfederale sembra aver trovato la soluzione ad un problema molto delicato che riguarda gli equilibri interni alla categoria. Come è noto l’esperienza degli artigiani si è strutturata sulla base di realtà regionali dotate di una forte autonomia. Orbene, per costituire il fondo alternativo si è dovuto superare il precedente modello, e costituire un fondo nazionale, ma nel contempo si è previsto che gli enti bilaterali regionali vengano associati alla gestione del nuovo sistema. In base ad apposite convenzioni essi svolgerebbero il compito di erogare le prestazioni per conto del fondo nazionale. A ben vedere, tuttavia, dallo Statuto del FSBA si desume che le convenzioni possano prevedere l’istituzione, in sede regionale, di gestioni separate.
Si è previsto che in questo caso vi sia uno specifico rendiconto per la gestione separata. Si è inoltre previsto che i rendiconti di FSBA possano prevedere una riserva finanziaria per finalità perequative di rilievo nazionale «le cui causali e quantità saranno contenute nel regolamento di attuazione, sulla base di accordi interconfederali… e secondo quanto previsto dalla normativa applicabile a FISBA». Il quadro dovrà diventare più chiaro quando verrà emanato il decreto interministeriale previsto per la disciplina di alcuni profili dei fondi alternativi. È da presumere che questo decreto imponga l’adozione di meccanismi finanziari volti a salvaguardare il principio della solidarietà che la legge prevede operante a livello nazionale e non in un ambito meramente territoriale.
In terzo luogo, l’accordo interconfederale ha fatto una scelta che è destinata a porre problemi sul versante dei rapporti con il potere politico. Le parti sociali hanno voluto chiaramente enunciare la scelta che il FSBA operi «mediante l’attuale modello di integrazione fra risorse pubbliche/private di matrice contrattuale e combinando l’indennità erogata dal fondo bilaterale con l’indennità di disoccupazione» e – in considerazione del fatto che questo schema potrà essere praticato, in virtù dell’art. 3, co. 17, l. n. 92/2012, solo fino alla data del 31.12.2015 – hanno voluto affermare che «l’Accordo ha carattere sperimentale». In altri termini, si è entrati nel nuovo sistema, ma con la riserva di fare pressione perché il legislatore si determini a mantenere in vigore quel co. 17.
Il 29.11.2013 le parti sociali hanno stipulato un altro accordo «per la definizione delle risorse per l’avvio del Fondo di Solidarietà Bilaterale alternativo dell’Artigianato (FSBA)». In esso, considerando che la legge (art. 3, co. 15, lett. a) prevede che l’aliquota contributiva per i fondi alternativi debba essere non inferiore allo 0,20 per cento, hanno provveduto ad aumentare il contributo in cifra fissa già previsto dai precedenti accordi per finanziare il fondo di sostegno al reddito, concordando inoltre di incontrarsi entro il 30.6.2015 «per una valutazione complessiva anche in relazione alle prestazioni erogate ed alla contribuzione stabilita».
Rispettando quella che ormai possiamo considerare una tradizione, anche questo disegno di legge delega26 contiene formule che spesso sembrano reticenti e talvolta tecnicamente approssimative.
Senza disperdersi nell’inutile compito di una loro analisi, può essere interessante cercare di cogliere – nei limiti del possibile – la prospettiva perseguita.
Per quel che riguarda la tutela in costanza di rapporto (co. 2, lett. a) si prevedono modifiche essenzialmente con riferimento alla disciplina della cassa integrazione che la precedente riforma aveva toccato solo marginalmente. La rimanente area (quella che interessa le imprese che si trovano fuori del campo di applicazione della disciplina in materia di cassa integrazione) viene richiamata solo nell’ultimo punto (n. 7) dove, in forma del tutto criptica, si afferma la prospettiva di una «revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà di cui all’articolo 3 della legge 28 giugno 2012, n. 92».
Gli interventi modificativi che si prevedono per la disciplina della cassa integrazione sembrano perseguire, da un lato, la prospettiva di un uso più parsimonioso e responsabile dello strumento; dall’altro, quella di una sua caratterizzazione in senso meno solidaristico e più assicurativo.
Nella prima direzione si muovono, da un lato, l’eliminazione della possibilità di erogazione della cassa integrazione in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa (n. 1)27; l’aumento del contributo addizionale gravante sull’azienda che ricorre allo strumento (n. 5)28, la revisione dei periodi di durata del trattamento (n. 4); la previsione che l’azienda possa fare ricorso allo strumento solo dopo aver esaurito le possibilità di «riduzione» dell’orario di lavoro (n. 3).
Nella seconda direzione si muove la previsione di una rimodulazione degli oneri contributivi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo da essi fatto dello strumento (n. 6)29.
Per quel che riguarda il trattamento di disoccupazione (co. 2, lett. b) si prevede una razionalizzazione rimarchevole: un unico trattamento in luogo dei due attualmente esistenti (Aspi e mini-Aspi), caratterizzato dall’avere una durata collegata all’ anzianità contributiva del lavoratore30 (n. 1). La razionalizzazione è apprezzabile. Infatti, l’attuale duplicità di trattamenti costituisce un’inutile complicazione, retaggio del precedente sistema nel quale essa rispecchiava una diversa struttura e funzione delle due prestazioni, diversità che nel nuovo sistema è venuta meno nel momento in cui si è previsto che la mini-Aspi vada erogata al momento del verificarsi della disoccupazione e non nell’anno successivo (come si prevedeva per l’ indennità di disoccupazione a requisiti ridotti).
Il collegamento della durata della prestazione all’anzianità contributiva, con incremento della durata massima per i lavoratori con carriere retributive più rilevanti (n. 2) riduce la solidarietà del sistema e rafforza una logica di corrispettività. Espressione di una logica fortemente solidaristica costituisce, invece, l’introduzione di un altro istituto: un trattamento da erogare dopo la fruizione dell’Aspi ai lavoratori in condizioni di particolare bisogno (n. 5).
Purtroppo – a conferma del carattere approssimativo della delega – l’innovazione non viene data per certa, evidentemente dovendosi fare un po’ di calcoli31.
Inoltre, va detto, riguardo ad essa, che non ci sarebbe nulla da eccepire se fosse innestata negli equilibri finanziari dell’Aspi; se fosse concepita, invece, come una forma di assistenza a carico del bilancio pubblico potrebbe ragionevolmente rilevarsi una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei soggetti comunque in situazione di bisogno in ragione della mancanza di lavoro.
Si prevede (n. 3) l’«universalizzazione del campo di applicazione dell’Aspi, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci». C’è da chiedersi quale sia l’effettivo significato di questa formula. L’«universalizzazione» è vera, oppure è solo un modo di denominare l’effetto della estensione dell’Aspi alle collaborazioni? La risposta positiva al primo interrogativo avrebbe una portata dirompente (potrebbe ipotizzarsi, ad esempio, che si voglia sopprimere l’anomalia del trattamento di disoccupazione agricola). L’applicazione dell’Aspi – con alcune modifiche – ai lavoratori con contratto di collaborazione, da un lato, anticipa una decisione che la legge Fornero (art. 2, co. 56) prevedeva dovesse essere assunta al termine di un periodo di sperimentazione (fine 2015) della prestazione ivi disciplinata (art. 2, co. 51 ss.), dall’altro lato estende la cerchia dei beneficiari (la legge Fornero si limitava a prevedere una prestazione per le collaborazioni a progetto).
Da ultimo si prevede (n. 6) che non si debba richiedere lo stato di disoccupazione per l’accesso a servizi di carattere assistenziale. La previsione è mal collocata. Infatti, non riguarda il sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria, bensì l’attività dei centri per l’impiego che si vuole evidentemente concentrata nella gestione delle politiche attive e non sprecata nella tradizionale funzione burocratica della certificazione dello stato di disoccupazione di soggetti interessati a far risultare questo loro stato esclusivamente al fine di accedere a benefici assistenziali. Il tentativo in questa direzione è stato già esperito in passato (art. 25, co. 12, l. n. 223/1991), ma con scarso successo.
Il disegno di legge delega prevede anche (art. 2, lett. c) la rivitalizzazione dei lavori socialmente utili, da richiedere ai percettori di qualsiasi trattamento di sostegno al reddito. Si tratta di uno strumento importante e sacrosanto, ma l’esperienza ci dice che purtroppo il contesto socio-culturale italiano ne rende fortemente problematica l’applicazione. Si è sempre visto che finisce per incubare domande di stabilizzazione presso le pubbliche amministrazioni.
1 Per il 2013 v. art. 4, co. 1, d.l. 21.5.2013, n. 54, conv. dalla l. 18.7.2013, n. 85; per il 2014 v. art. 1, co. 183, l. 27.12.2013, n. 147 (nel co. 184 si finanzia una cassa integrazione guadagni in deroga appositamente per il settore della pesca).
2 Art. 4, co. 2, d.l. n. 54/2013, conv. dalla l. n. 85/2013.
3 Art. 1, co. 183, l. n. 147/2013.
4 Non si comprende la ragione per la quale la relativa disciplina non sia stata assorbita e rielaborata, ratione materiae, nell’art. 3 l. n. 92/2012 ed ivi stabilizzata. Essa continua ad essere esposta alla necessità di rifinanziamenti annuali e rappresenta il masso erratico di una stagione precedente, nella quale lo schema della compartecipazione dell’ente bilaterale era praticato esclusivamente sul versante del settore dell’artigianato.
5 Art. 1, co. 186, l. n. 147/2013.
6 Art. 5, co. 1-bis, d.l. 20.3.2014, n. 34, conv. dalla l. 16.5.2014, n. 78.
7 Dal 1.1.2014 si è soppressa (art. 1, co. 136, l. n. 147/2013) la riduzione dell’aliquota contributiva prevista per i lavoratori somministrati (riduzione che la riforma aveva disposto per compensare, a beneficio delle agenzie, l’introduzione del contributo addizionale previsto per i lavoratori assunti con contratto di lavoro temporaneo) e si è aumentata l’incentivazione alla trasformazione dei rapporti temporanei in rapporto di lavoro a tempo indeterminato prevedendo che il contributo addizionale versato venga restituito integralmente e non più nei limiti delle ultime sei mensilità (art. 1, co. 135, l. n. 147/2013). V. Garofalo, D., Il finanziamento delle misure di sostegno al reddito dopo la riforma Fornero, in Riv. giur. lav., 2014, I, 305 ss.
8 Art. 7, co. 5, lett. b), del d.l. 28.6.2013, n. 76, conv. dalla l. 9.8.2013, n. 99 il quale aggiunge un co. 10-bis all’art. 2 l. n. 92/2012.
9 Art. 2, co. 19, l. n. 92/2012.
10 Art. 16 d.l. 28.12. 2013, n. 149, conv. dalla l. 21.2.2014, n. 13. Per le modalità attuative v. il d.i. 22.4.2014, n. 81401 ed il d.m. 27.6.2014 n. 82762.
11 Art. 10 bis, co. 1, d.l. n. 76/2013, conv. dalla l. n. 99/2013.
12 Art. 7, co. 5, lett. c), n. 1, del d.l. n. 76/2013, conv. dalla l. n. 99/2013.
13 Art. 7, co. 5, lett. c), n. 2, del d.l. n. 76/2013, conv. dalla l. n. 99/2013.
14 Art. 1, co. 185, lett. a) e b), l. n. 147/2013
15 Art. 1, co. 185, lett. d), l. n. 147/2013. Invero, questa possibilità doveva ritenersi già implicita nel sistema, ma è stata opportunamente disciplinata.
16 Il legislatore ha previsto che i contributi già versati al fondo residuale vi rimangano e che il fondomantenga una gestione a stralcio delle prestazioni già deliberate. Si prevede, inoltre, che il comitato amministratore del fondo residuale, sulla base delle stime effettuate dalla tecnostruttura dell’Inps, possa proporre che in capo ai datori di lavoro “fuoriusciti” venga mantenuto l’obbligo di corrispondere la quota di contribuzione necessaria al finanziamento della gestione stralcio.
17 Art. 1, co. 185, lett. f), l. n. 147/2013.
18 Si era opportunamente prevista la possibilità – con d.i. – di esonerare dall’obbligo di versamento del contributo le categorie per le quali alla data del 1.1.2014 risultassero in corso procedure finalizzate alla costituzione di fondi di solidarietà, a condizione che queste procedure si concludessero entro il 31.3.2014.
19 Il contributo – «ferme restando eventuali determinazioni» assunte per via regolamentare ai sensi della legge e «ferma restando la possibilità di fissare eventuali addizionali contributive a carico dei datori di lavoro connesse all’utilizzo degli istituti previsti» – è da calcolare sulla base dell’aliquota dello 0,5 per cento.
20 Renga, S., Gli ammortizzatori sociali: una riforma virtuale che strizza l’occhio al privato, in Fiorillo, L.- Perulli, A., a cura di, La riforma del mercato del lavoro, Torino, 2014, 381: «Considerati i costi economico-organizzativi dei fondi e la scarsa attitudine dei soggetti sindacali a farsi eteroregolamentare… non ci sarebbe da meravigliarsi se il sistema funzionasse soprattutto basandosi sul fondo residuale e sui fondi bilaterali pre-esistenti, una volta adeguati».
21 L’Inps ha emanato la relativa circolare 2.9.2014, n. 100.
22 D.i. 24.1.2014 n. 78642.
23 D.i. 15.4.2014 n. 78459. Il Fondo ha assunto una nuova denominazione: «Fondo intersettoriale di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale dipendente dalle imprese assicuratrici e dalle società di assistenza».
24 Cioè rispetto ai fondi incardinati presso l’Inps, la cui disciplina è dettata da d.i. (sebbene redatti sulla base di quanto convenuto nell’accordo collettivo istitutivo del fondo). Per i fondi alternativi, invece, la disciplina rimane integralmente nelle mani dell’autonomia collettiva, salvo il rispetto, da parte di essa, di quanto previsto da un decreto – al momento non ancora emanato – il quale dovrà dettare «requisiti di professionalità e onorabilità dei soggetti preposti alla gestione dei fondi … ; criteri e requisiti per la contabilità dei fondi; modalità volte a rafforzare la funzione di controllo sulla loro corretta gestione e di monitoraggio sull’andamento delle prestazioni, anche attraverso la determinazione di standard e parametri omogenei» (art. 3, co. 16, l. n. 92/2012).
25 Sono Confartigianato Imprese, CNA, Casartigiani, CLAAI e Cgil, Cisl e Uil.
26 D.d.l. delega n. 1428/2014. Il suo art. 1 prevede che: «1. Allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali,
tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi.
27 Più che una nuova causale di integrazione salariale la cessazione, totale o parziale, dell’attività dell’azienda costituisce una causale giustificativa della proroga, fino a 12mesi, del trattamento straordinario di integrazione salariale per crisi aziendale, sulla base di specifici accordi intervenuti in sede governativa, in presenza di programmi, che comprendono la formazione ove necessaria, finalizzati alla ricollocazione di lavoratori, qualora il ministero accerti il concreto avvio del piano di gestione delle eccedenze occupazionali. La scelta della soppressione è giusta e peraltro è stata «anticipata» nel d.i. sugli ammortizzatori in deroga. La scelta è giusta, perché la legge che contemplava quella possibilità di proroga contribuiva a distorcere la condivisibile logica che inizialmente ispirava la l. 23.7.1991, n. 223, che nella sostanza era quella di prevedere l’utilizzo del trattamento di integrazione salariale per quei lavoratori che l’azienda si ripropone di riutilizzare e non per i lavoratori destinati ad essere messi in mobilità.
28 È probabilmente questa maggiore corresponsabilizzazione dell’azienda che consente di prospettare l’idea di una semplificazione delle procedure di accesso all’utilizzo dello strumento (n. 2).
29 Probabilmente anche ad essa – oltre che al previsto aumento del contributo addizionale – si ricollega la previsione, contenuta nello stesso punto, di una riduzione degli oneri contributivi ordinari.
30 È probabile che – così come si è fatto per la miniaspi – non venga richiesto il biennio di anzianità assicurativa per la maturazione del diritto.
31 Evidentemente in questa prospettiva si è ritornati a prevedere (n. 4) l’introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa che accompagna il trattamento di disoccupazione.