Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Illyricum - Dalmatia
Malgrado la presenza di una potente colonia impiantata fin dall’VIII sec. a.C. a Corcira (Corfù), nello Ionio settentrionale, l’espansione greca in Adriatico non fu né precoce né intensa: per lungo tempo, la colonia stabile più settentrionale sembra sia rimasta Epidamnos (Durazzo, in Albania), fondata nel 626 a.C. Nel IV secolo Dionisio di Siracusa insedia una colonia nell’isola di Issa (Vis/Lissa) e collabora con i Pari nella colonizzazione di Pharos (Hvar/Lesina); Issa, a sua volta, fonda sulla terraferma Tragurion (Trogir/Traù) ed Epetion (Stobrec). Nel III sec. a.C. il regno ellenistico dell’Epiro conosce con Pirro il suo apogeo, ma subito dopo la sua morte entra in crisi; cresce invece, poco più a nord, la potenza del regno degli Illiri, che ha la sua base in una serie di fortezze intorno al Lago di Scodra (Shkodër/Scutari) e che, sotto la guida del re Agron e (dopo la sua morte) della vedova Teuta, si ingrandisce notevolmente ai danni delle stesse colonie greche, dell’Epiro, dell’Elide e della Messenia.
Gli Illiri praticavano la pirateria e questo nuoceva all’attività dei mercanti italici che avevano ben presto impiantato scambi su rotte transadriatiche, riprendendo una tradizione antichissima di rapporti fra le due opposte sponde; dopo vane proteste, comincia una serie di guerre (229/8 a.C.) e di complesse vicende, che si concludono nel 167 con il trionfo del console L. Anicio Gallo contro un successore di Agron e Teuta, Genzio. Poco prima (168 a.C.) Roma ha concluso anche la guerra contro la Macedonia.
Sul fronte settentrionale, fra 221 e 177 a.C. sono stati sottomessi gli Histri; nel 181 a.C. è stata fondata la colonia di Aquileia; Roma controlla così l’alto Adriatico fino al fiume Arsia (Arsa) e il basso Adriatico fino alla Narenta (Neretva); il territorio che rimane in mezzo è occupato a nord dai Liburni (sulla costa) e dagli Iapodi (più all’interno), a sud dai Dalmati. Con questi ultimi, che a loro volta praticano la pirateria, si pongono gli stessi problemi che si erano posti 70 anni prima con gli Illiri: una guerra condotta nel 156/5 a.C. porta all’occupazione del loro territorio e all’espugnazione della capitale Delminium. Gli Iapodi, invece (che già erano stati attaccati nel 171 durante le marce di trasferimento per la guerra in Macedonia), non costituivano una grande minaccia: vennero affrontati e battuti nel 129 a.C. Scoppiano negli anni successivi violente rivolte, vengono condotte altre campagne: quella del 78 contro i Dalmati si conclude con la definitiva occupazione di Salona, città che giocherà nella storia della regione un ruolo assai importante.
Ai tempi delle guerre civili i Dalmati si alleano con Ottavio, luogotenente di Pompeo, ma Salona resta fedele a Cesare; successivamente continuano a esplodere insurrezioni, mentre nella zona si raccolgono molti dei pompeiani battuti. A risolvere la situazione sono le guerre condotte da Vatinio nel 46 e soprattutto, dopo la morte di Cesare (44), da Ottaviano fra 34 e 29 a.C. È il periodo in cui vengono fondate colonie a Iader (Zara/Zadar), a Narona e (se non vi era stato già un intervento di Cesare) a Salona, mentre nelle aree confinanti a nord vengono fondate a loro volta Pietas Iulia (Pola) ed Emona (Lubiana). Nel 27 a.C., se non prima, la provincia appare costituita e la sede del governatore è a Salona: ma nuove rivolte dei Dalmati, insieme con i Pannoni, hanno luogo nel 16, nell’11-9 a.C. e soprattutto nel 6-9 d.C. Rivolte dure che Augusto affronta inviando generali come il futuro imperatore Tiberio, come Germanico, Plauzio Silvano, Lepido. Passato quel momento la provincia, unita inizialmente alla Pannonia, rimane quasi completamente pacifica, se si eccettua una sollevazione del 42 d.C., promossa proprio dal governatore L. Arruntius M. Camillus Scribonianus; dopo una iniziale adesione, le truppe non lo seguono. Nel 14 d.C. l’Illirico viene separato dalla Pannonia, in età flavia subentra la definizione di Dalmatia. Il numero di municipi e colonie andò a mano a mano aumentando. Con il riassetto dioclezianeo, il territorio fu diviso in Dalmatia (capitale Salona) e Praevalitana (capitale Scodra).
Romanizzazione e urbanizzazione
Nella provincia conosciamo un solo esempio di urbanistica regolare, con disposizione a scacchiera degli edifici, Iader; forse era dello stesso tipo anche l’impianto di un altro centro, Aequum (Čitluk), che però è stato indagato in misura molto minore.
L’esempio di Iader è importante non solo perché ha lasciato evidenti tracce nell’ordito della città medievale e moderna, ma perché si colgono qui dettagli assai interessanti. Questa città, portale della Dalmazia settentrionale, già florida in età repubblicana, divenne colonia in età augustea (e fu lo stesso Augusto, parens coloniae, a donarle le mura) su una penisola di forma approssimativamente rettangolare orientata in senso nord-ovest/sud-est. Ebbe un impianto del tipo “ad assi centrali”, basato cioè sull’incrocio ad angolo retto di un cardine massimo e di un decumano massimo con i singoli isolati disposti (in un sistema di strade che anch’esse si incrociavano ad angolo retto) per scamna, cioè con il lato lungo orientato secondo i decumani. L’incrocio fra cardine e decumano massimo sembra localizzarsi nell’attuale piazza 27 Marzo; il foro non è al centro ma notevolmente spostato verso sud-est, forse sul sito di un insediamento preromano.
Della capitale, Salona (Solin), conosciamo singoli monumenti, o complessi monumentali, piuttosto che l’impianto nel suo insieme: quest’ultimo però sembra che non avesse un assetto regolare. Quello che invece si coglie abbastanza bene in questa città è il suo successivo ampliarsi, sottolineato dalle trasformazioni della cinta muraria. Già all’epoca della guerra dalmata del 119-117 a.C. la città era fornita di un sistema difensivo, che venne rinnovato quando, con Cesare o con Augusto, Salona ebbe il titolo di Colonia Martia Iulia. Dopo la metà del II secolo ci fu un ampliamento verso ovest, con un primo prolungamento delle mura, poi, con Marco Aurelio, accanto alla vecchia Urbs occidentalis nasce una nuova Urbs orientalis e di conseguenza il circuito si amplia ancora, in misura ben maggiore. In base alle testimonianze epigrafiche, sembra che questo sia un periodo in cui la popolazione si accresce notevolmente grazie all’apporto di nuovi arrivi dalle province orientali dell’Impero.
Fra le altre città che conosciamo per una certa estensione, Doclea (Duklja, nell’attuale Montenegro) non aveva forse un vero e proprio impianto regolare, ma un asse viario principale ben identificabile, mentre Domavia, centro minerario dell’interno non lontano dall’attuale Sarajevo, aveva un assetto disordinato ma vivace.
Monumenti pubblici
Curicum (Krk/Veglia), Varvaria (Bribir), Asseria (Podgradje) e Narona (Vid), situate in altura, o quanto meno su terreni impervi, presentano mura dalle caratteristiche simili, datate al I sec. a.C.: poderosi filari di blocchi solo parzialmente rifiniti e di dimensioni non perfettamente costanti. Fra queste cinte di mura quella di Asseria è la più completa ed è anche quella che meglio sembra associarsi con la conformazione dello sperone roccioso su cui la città sorge, nonché con l’ondulato panorama che la circonda.
Ad Asseria conosciamo anche (più per la ricostruzione proposta dagli archeologi austriaci che scavarono qui all’inizio del Novecento che non per l’attuale consistenza dei resti, quasi irriconoscibili) una porta-arco monumentale che era inserita nelle mura stesse: dedicata a Traiano (come ci rivela l’iscrizione) da un Asseriate, L. Laelius Proculus, aveva un solo fornice; i piloni erano decorati da colonne in avancorpo (faccia interna) e da semicolonne (faccia esterna) con capitelli corinzi. Pure corinzi erano i capitelli delle semicolonne visibili nella porta sudovest di Iader: questa, però, era più complessa, con un corpo centrale a tre fornici (il centrale maggiore dei due laterali) fiancheggiato da due torri ottagonali. Altro notevole monumento di questo tipo era la Porta Cesarea di Salona, risalente all’età augustea, anch’essa costituita (sia pure con articolazioni e dimensioni diverse) da un corpo con tre fornici compreso fra torri ottagonali; sulla chiave di volta del fornice centrale è un rilievo con il busto di una figura femminile che reca una corona turrita: è la Tyche Salonitana, personificazione della Fortuna della città. Questa porta, che costituiva all’inizio l’ingresso orientale di Salona, divenne poi passaggio fra la vecchia Urbs occidentalis e la nuova Urbs orientalis, subendo via via numerose modifiche.
Molto variate, anche qui, sono le soluzioni di volta in volta scelte per i complessi forensi. Il caso più significativo è quello di Iader, che presenta la successione Capitolium-foro-basilica ed è l’unico esempio noto finora nella provincia di bloc-forum, una tipologia ben nota invece, ad esempio, in Gallia. La piazza, di forma allungata in senso nord-ovest/sud-est (concordemente con l’impianto della città), pavimentata con lastre di calcare bianco, era circondata su tre lati da un portico a due ordini, con colonne provviste di capitelli compositi; l’edificio basilicale, con abside, era, nell’assetto definitivo, adiacente al lato lungo di sud-ovest (di una precedente basilica situata sul lato nordest non rimane praticamente nulla), l’area del Capitolium prospetta, con un muro oggi ricostruito, sul foro, da cui è separata da una strada. Anche quest’area è delimitata su tre lati da un porticato, a due navate ma a un solo ordine; sul lato nord-est, dove il terreno presenta un certo dislivello, il porticato poggia su un criptoportico (oggi non visitabile). Il tempio capitolino, a quel che si può ricostruire dagli scarsi resti, era a tre celle, una per ognuna delle divinità della triade Giove- Giunone-Minerva. Sul muro che si affacciava sul foro era una balaustra, i cui plutei erano decorati con protomi di Giove Ammone, Gorgone, Bacco, satiri: un motivo che è largamente diffuso in area adriatica. Il primo impianto di questo complesso dovrebbe datarsi in età augustea; il portico, con criptoportico, che circonda il Capitolium è di età flavia; la basilica a sud-ovest fu aggiunta in età severiana.
Non particolarmente chiara è la situazione della capitale, Salona: sono stati identificati un portico e avanzi del Capitolium, mentre un piccolo edificio absidato è stato interpretato come curia. Il foro ha nelle vicinanze il teatro e forse questo non è privo di significato. Il foro di Asseria, esplorato all’inizio del Novecento ma poi abbandonato, non era in posizione centrale nella città, ma quasi addossato al tratto ovest delle mura: era un’area rettangolare bordata da portici e in quello settentrionale sembra fosse inserita una basilica. Un’iscrizione ci informa che il foro fu costruito da L. Caninius Fronto, sacerdote del culto di Claudio divinizzato: siamo quindi poco dopo la metà del I sec. d.C. Presenta, sembra, analogie con questo foro anche quello di Aequum; ben diverso dallo schema bloc-forum era anche quello di Doclea, i cui resti presentano comunque una certa monumentalità. Una vasta area lastricata di pianta quasi quadrata è come al solito circondata da portici, ma non sul lato sud, dove la piazza si apre sulla via principale: sul lato nord si allineava una serie di edifici di una certa ampiezza; a est erano tabernae; a ovest si addossava, occupando l’intero lato, una basilica di forma allungata a una navata e con un tribunal sul lato settentrionale; coppie di colonne su cui si impostavano archetti creavano una sorta di delimitazione della navata davati al tribunal stesso e (a sud) all’ingresso. Si nota, come nei fori della Britannia, l’assenza di un tempio: forse le funzioni sacre erano affidate all’ambiente centrale del lato nord, che in effetti era più grande degli altri.
A Narona, disposta sulle pendici di una collina, si pensava che il foro fosse nella parte più alta della città, all’incrocio delle due vie principali: è stato invece individuato di recente proprio al margine inferiore del pendio. Si trattava anche qui di un complesso piuttosto articolato, costituito, oltre che dalla piazza porticata, almeno dalla curia (restano avanzi di un edificio absidato) e da un tempio dedicato al culto dell’imperatore divinizzato: un Augusteum di importanza straordinaria non solo dal punto di vista architettonico, ma soprattutto a causa della presenza di un gruppo di famiglia giulio-claudio, costituito da ben 15 statue, alcune in ottimo stato di conservazione.
Nella provincia, comunque, sono proprio gli edifici sacri a offrire la casistica più ampia. Uno dei più rilevanti (anche se non ben conservato) è il Capitolium di Iader. Ad Aenona (Nona/ Nin), a ovest del foro (di cui non resta quasi nulla), sono i ruderi di un grande tempio e precisamente del suo alto podio, nonché della sua decorazione architettonica: capitelli e frammenti di cornice di proporzioni notevoli, alcuni dei quali ben conservati. L’edificio sembra ricostruibile nel seguente modo: sei colonne corinzie in facciata, su alta gradinata; ampio pronao; cella più larga che lunga, divisa da file di colonne in tre navate. Questa tripartizione aveva fatto pensare che si trattasse di un tempio della Triade Capitolina Giove-Giunone-Minerva, o Capitolium. Ma è più probabile che il tempio fosse destinato al culto imperiale: viene da qui un gruppo (non cospicuo come quello di Narona, ma pur sempre notevole) di statue monumentali di Augusto, di Claudio e di altri membri della famiglia giulio-claudia, che erano state rimosse e sepolte già in antico e che sono state rinvenute non lontane. Le dimensioni (45 x 21,5 m) fanno sì che questo tempio si possa considerare il più grande della provincia; lo schema planimetrico con cella più larga che lunga ha illustri esempi a Roma, ad esempio nella fase augustea del Pantheon o nel rifacimento tiberiano del tempio della Concordia.
A Salona si sono recuperati i resti, per la verità non molto estesi, di un tempio vicino al teatro: databile a dopo il 2 a.C. (nell’iscrizione è menzionato Augusto come pater patriae, titolo che gli fu conferito appunto in quell’anno), era un tetrastilo prostilo su alto podio, con colonne di ordine corinzio. Tetrastilo, prostilo, di ordine corinzio è anche il tempio che troviamo compreso entro il Palazzo di Diocleziano a Spalato, anche se l’inquadramento cronologico, la rilevanza e lo stato di conservazione dei resti sono del tutto differenti. Edifici sacri assai notevoli sono anche a Doclea e si datano all’inizio del III sec. d.C.: tempio della dea Roma e tempio di Diana, entrambi prostili in antis su podio con gradinata in facciata, cella absidata e trabeazione che presenta una ricca decorazione vegetale; entrambi, inoltre, situati entro un recinto che si affacciava sulla strada principale. Due templi gemelli, quindi, ma non del tutto: quello della dea Roma è orientato in senso nord-est/sud-ovest, quello di Diana, esattamente perpendicolare, in senso sud-est/nord-ovest; il primo è di ordine corinzio, il secondo ionico; diversa (anche se impostata nella stessa maniera, con una figura isolata al centro del timpano) è la decorazione frontonale, visto che abbiamo nel primo, appunto, un busto della dea Roma, nel secondo un busto di Diana.
Il tempio della dea Roma doveva anche essere sede del culto imperiale; alla veneratio Augusti si concedeva evidentemente nella provincia un grande spazio, se era questa la destinazione dei templi: di Aenona, di quello accanto al teatro a Salona (proprio la capitale presenta il caso più incerto e meno rilevante), di quello di Doclea e di quello di più recente rinvenimento ma di maggiore rilevanza, cioè quello di Narona. Tale rilevanza è dovuta non tanto alle dimensioni, che sono piuttosto contenute, ma alle soluzioni architettoniche adottate e al numero e alla qualità delle sculture presenti. Il tempio volge le spalle al pendio su cui poggiava l’intera città ed è situato al margine inferiore di esso. Anzi, entro questo margine (costituito di terreno roccioso) è addirittura in gran parte ricavato; alle sue spalle, ma a una quota più elevata nel terreno che sale, corre un portico che delimitava evidentemente l’area sacra pertinente al tempio (temenos) e sono presenti numerose canalizzazioni. Sembra si trattasse di un tetrastilo prostilo, il cui pronao si affaccia verso la piazza del foro; all’interno, sempre ricavato nella roccia, corre lungo le pareti della cella un podio continuo, che era destinato a sostenere le statue dei personaggi della famiglia giulio-claudia, nonché un’immagine di Venere, la cui base con iscrizione è ancora in situ.
Dobbiamo tornare però a Salona per osservare i principali, se non gli unici, edifici per spettacolo conservati nella Dalmazia (per il resto, conosciamo solo il muro perimetrale del teatro di Issa e, ipoteticamente, il sito dell’anfiteatro di Iader). Il teatro si data alla metà del I sec. d.C., ma con vari interventi successivi: la cavea, parzialmente scavata nel terreno, era capace di circa 3500 spettatori e presentava una porticus in summa gradatione. Si è ipotizzato che, qui come altrove, l’edificio fosse complementare con il foro, sia offrendo un ulteriore spazio per assemblee legislative o amministrative, sia ospitando ludi celebrati in occasione di cerimonie di culto. Del teatro si conserva soprattutto una parte della scena, in cui si aprono le abituali porte hospitales e regia (in corrispondenza di quest’ultima si trova una grande esedra), mentre la ricostruzione della già menzionata cavea è in gran parte congetturale.
Ben più ampiamente conservati sono, all’angolo nord-ovest della Città Vecchia, i resti dell’anfiteatro. Si data alla seconda metà del II sec. d.C., forse quando le mura furono ampliate verso ovest in attesa della definitiva espansione della città verso est: qui le mura stesse aderiscono per oltre metà della circonferenza all’esterno della cavea e non è facile dire quali siano le relazioni cronologiche e funzionali fra le une e l’altra. La cavea, dunque, è a due meniani, con un loggiato sovrastante che fu aggiunto da Diocleziano; all’esterno a questi settori corrispondono due ordini di arcate e uno di finestre rettangolari, quest’ultimo provvisto di mensole forate destinate a sostenere i pali per il velum. Si conservano resti notevoli dei muri radiali e molte delle arcate di sostegno della cavea; si attribuisce a un intervento dioclezianeo, oltre al terzo ordine di posti, anche la loggia d’onore: la malta impiegata è analoga a quella utilizzata nel Palazzo di Spalato. La capienza era fra i 13.000 e i 15.000 spettatori; la pietra utilizzata, così come per molti edifici di Salona, proveniva dall’isola di Brazza. L’importante edificio è stato confrontato con quello di Pola: alle innegabili analogie (si vedano le finestre del terzo ordine) bisogna però aggiungere alcune differenze, come le rampe di accesso esterne, peraltro molto rare, che caratterizzano la celebre arena istriana. Un tipo di edificio che offre in Dalmazia esempi interessanti e relativamente numerosi è quello delle terme, specie a Salona, Asseria, Doclea, Aquae S[…] (centro termale di cui dalle iscrizioni è nota la lettera iniziale della seconda parte del nome), anche se nessuno di questi complessi rientra nello schema detto “imperiale”, cioè con gli ambienti principali disposti rigorosamente su un asse e gli altri articolati simmetricamente intorno. L’impianto più grande, comunque, è quello di Domavia, città mineraria dell’interno che subì una radicale ristrutturazione all’epoca di Marco Aurelio, epoca in cui peraltro fu portata avanti un’ancor più significativa riforma dell’ordinamento delle miniere stesse.
Arte della Dalmatia romana
Mentre di pitture e mosaici restano pochi esempi (notevole però un mosaico salonitano detto comunemente “di Orfeo” ma raffigurante probabilmente la Tellus, personificazione della terra fertile), per quanto riguarda la scultura la documentazione è abbondante. Non mancano copie o rielaborazioni di opere classiche, come l’Artemide e la Venere Vincitrice provenienti da Salona e conservate a Spalato, o soprattutto il Kairos, dio del momento propizio, raffigurato in un bel rilievo di marmo pentelico conservato a Trogir/ Traù, di cui si ignora la provenienza (non necessariamente locale). Eseguito probabilmente in un’officina attica del III sec. a.C., è una delle poche riproduzioni che ci siano pervenute di un originale bronzeo attribuito dalle fonti a Lisippo: raffigura il dio in atto di posarsi su una sfera, in instabile sosta.
Opera di derivazione classica, ma reinterpretata, è la Venere Anzotica di Aenona, proveniente da un santuario non identificato e conservata a Spalato. La divinità romana, come ci informa un’iscrizione di dedica (Veneri Anzoticae), fonde qui le sue caratteristiche (interpretatio) con una divinità locale liburnica, appunto Anzotica: la dea, seminuda, è raffigurata insieme con Priapo, secondo uno schema non troppo consueto.
Notevoli sono anche alcuni ritratti, o statue ritratto. Spicca, sicuramente, il grande gruppo dell’Augusteum di Narona: sono state recentemente rinvenute parti (talvolta anche molto consistenti, ma acefale) di 17 statue diverse, più tre ritratti (uno attribuito ad Agrippina, uno a Germanico, un altro a un personaggio del II sec. d.C.), a cui è da aggiungersi una testa di Vespasiano rinvenuta casualmente in precedenza; poteva forse appartenere allo stesso gruppo anche una testa di Livia trovata nel 1878 da A. Evans e conservata all’Ashmolean Museum di Oxford; delle statue acefale tre sono state attribuite, in base alle iconografie adottate, ad Augusto, Tiberio e Claudio. Nettamente predominante quindi, anche se non esclusiva, la presenza della famiglia giulio-claudia; l’unica base iscritta trovata in situ si riferisce a Venere, divinità cara alla stessa dinastia. Soprattutto colpisce l’esecuzione molto accurata di queste sculture, sia per quanto riguarda i ritratti sia per quanto riguarda i panneggi.
Notevole, pur se non così numeroso, anche il gruppo di statue maggiori del vero provenienti da un altro Augusteum, quello di Aenona, e conservate a Zara: soprattutto l’Augusto assimilato a Giove e il Tiberio (o Claudio) togato e con il capo velato. Fra i numerosi ritratti di Salona è da segnalare il Domiziano con la chioma in gradus formata (cioè con le ciocche pettinate a onde contrastanti, quasi a formare gradini): una pettinatura che era stata di Nerone e che Domiziano stesso riprese dopo il trionfo germanico dell’83 d.C. Oppure il Traiano con la pettinatura che adottò dopo il 110 (che a sua volta è una derivazione semplificata da quella augustea), con ciocche che formano sulla fronte una “coda di rondine” e una “tenaglia”.
Nell’ambito della scultura funeraria, numerosi, anche se spesso frammentari, sono i sarcofagi attici, come quello con lotta fra Centauri e Lapiti: Salona è la maggiore importatrice in Adriatico, insieme con Aquileia. Altri sono di manifattura romana urbana, come quello con Fedra e Ippolito databile al IV sec. d.C.; nello stesso secolo, sempre a Salona, è inquadrabile il sarcofago detto del Buon Pastore in cui, ai lati della figura principale che è appunto un pastore, sono presentate le figure dei personaggi ai quali il sarcofago stesso è destinato, seguiti da folle di uomini e donne resi in dimensioni molto minori (in accordo con le proporzioni gerarchiche), il tutto entro eleganti inquadrature architettoniche. Qualcuno dubita che il pastore sia davvero il protagonista della parabola evangelica, ma senza dubbio cristiano è un altro sarcofago salonitano, peraltro assai tardo, raffigurante il passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei guidati da Mosè.
Ugualmente proveniente da Salona e conservato nel Museo di Spalato, troviamo il miglior esempio di altare funerario: quello di Pomponia Vera, che era la parte culminante di un monumento piuttosto complesso con una ricca, esuberante decorazione vegetale che suggerisce una datazione in età flavia e che trova precisi confronti con quella dell’ara di Etuvius Capreolus del Museo di Aquileia. Tali elementi confermano la forte circolazione di temi e motivi in ambito adriatico. Il quadro si complica (ma forse è solo un caso) se si pensa che a Salona è pure presente l’ara di un quasi omonimo Etuvius Capriolus.
Oltre ai sarcofagi e alle are erano anche presenti numerose stele e cippi, spesso interessanti testimonianze su quello che era una sorta di ceto medio: soldati, commercianti, liberti. Alcune stele rinvenute nelle città della costa o dell’immediato retroterra, ma conservate soprattutto nei musei di Zara e Spalato, si impongono per organicità di struttura e cura nell’esecuzione dei dettagli: si veda ad esempio quella salonitana dei Fufici, databile in età augustea, che presenta sette personaggi distribuiti su due registri entro un’inquadratura architettonica costituita da un frontone e da due semicolonnine tortili. Altre stele presentano porte (portae Inferi, che introducono nell’aldilà?) talvolta altissime: provengono da castra alle spalle di Salona, come Tilurium, oppure da Iader, come quella di Vadica Titua, dove la porta è veramente slanciatissima, al pari di certi esemplari di Aquileia.
La produzione di stele va avanti fino a età tarda: la stele salonitana di Aurelius Valerinus illustra nell’iscrizione la carriera di un personaggio che è stato segretario di corte sotto la Tetrarchia e mostra nel ritratto un taglio di capelli (cortissimi), una forma del volto (quasi geometrizzata) e un abbigliamento (mantello detto laena, con grossa fibula) propri della fine del III - inizio del IV sec. d.C. Poiché nell’iscrizione si dice che Valerinus è morto a Nicomedia e poiché in quell’epoca i sarcofagi (specie per persone di una certa importanza) si usano assai più delle stele, è probabile che la vera sepoltura non fosse a Salona e che questa stele stesse invece a indicare un cenotafio.
La prova che anche durante la dominazione romana, qui come altrove, continuino a essere recepite tradizioni indigene è data dalla presenza, specie nell’area di Iader, del caratteristico “cippo liburnico”: monumento che forse riconduce a tradizioni antichissime. Costituito da un corpo cilindrico sormontato da una cuspide conica squamata, questo cippo non sembra avere paralleli altrove tranne che in alcuni esemplari piceni, il che confermerebbe quanto sviluppati fossero i legami fra le opposte sponde dell’Adriatico fin da epoche remote. Un antecedente, sempre di ambito adriatico ma un po’ più a sud, potrebbe essere la cosiddetta “tholos miniaturistica” (sorta di modellino di un tempio a pianta circolare), nota in età ellenistica ad Apollonia, nell’Illiria meridionale.
Nel territorio della Dalmatia romana non si conoscono esempi particolarmente numerosi né di domus, né di villae rusti- cae: fra queste ultime la pianta più complessa sembra quella della villa di Draèevica, nel fertile bacino della bassa Neretva, non lontano da Ljubuški. Ma sono da segnalare tre grandi residenze tardoantiche: il Palazzo di Diocleziano a Spalato, la villa di Mogorjelo, il Palatiolum dell’isola di Meleda (Mljet).
Il Palazzo, o meglio la grande villa fortificata che l’imperatore si fece costruire per andarvi ad abitare dopo l’abdicazione del 305 d.C. (e che non sfruttò molto a lungo, morendo nel 313), si trova in una posizione sul Sinus Salonitanus (Golfo di Salona) che appare suggestiva sia nella situazione attuale (il grande complesso costituisce il nucleo storico della città di Spalato) sia nelle ricostruzioni che sono state in vari momenti proposte, fra cui è notevole quella “a volo d’uccello” di E. Hébrard.
Il motivo della lunga loggia-galleria in facciata, chiusa alle estremità da poderosi torrioni, è alquanto diffuso nell’edilizia residenziale tardoantica di alto livello e trova qui una delle sue formulazioni più efficaci. La facciata stessa prospetta verso sud sul mare: nell’organismo approssimativamente quadrato del palazzo-villa, questo è il lato in corrispondenza del quale si dispone la zona residenziale vera e propria, nonché di rappresentanza: una grande sala al centro funge da monumentale passaggio fra l’ingresso a mare e l’interno del complesso, a cui si accede attraversando successivamente un grande ambiente a pianta circolare e il cosiddetto “peristilio”; dalle due parti della sala centrale si estende una serie di ambienti (non mancano terme) fra cui spiccano a ovest un’aula basilicale absidata a tre navate, probabilmente una sala per udienze, e a est una sala trilobata, forse con funzioni di triclinio. La pianta di questa zona residenziale ci è nota attraverso l’esplorazione dei sotterranei, con muri che, in questo tratto di terreno declinante verso il mare, erano piuttosto poderosi e costituivano le fondazioni (rivelandone perciò la planimetria) degli ambienti sovrastanti, oggi non visibili in quanto “invasi” a partire dall’Alto Medioevo (e più precisamente dal VII secolo, quando Avari e Slavi distrussero la vicina Salona e gli abitanti si rifugiarono nel Palazzo) da palazzi, case e casette della Spalato attuale.
Oltre a questi ambienti pressoché totalmente perduti è visibile la già ricordata sala a pianta circolare, che si apre verso l’interno del complesso con una facciata tetrastila, il cui frontone è spezzato al centro da un arco; la facciata a sua volta costituisce una splendida chiusura prospettica del peristilio, vasto ambiente rettangolare scoperto con portici ad arcate su colonne di granito grigio o di granito rosa provviste di capitelli corinzi. Delle funzioni del peristilio si è molto discusso; forse è interpretabile come un qualificante elemento di raccordo fra la zona residenziale sud, ricostruibile con una certa precisione, e la zona settentrionale del Palazzo, di cui sappiamo molto meno, ma che ha il suo punto di maggior richiamo nella grande Porta Aurea. Nel tratto in cui si passa a questa enigmatica parte settentrionale e cioè più o meno al centro di tutta la grande struttura, il peristilio si interrompe dando luogo a un incrocio con la strada che, perpendicolarmente, attraversa il Palazzo stesso da est a ovest conducendo alla Porta Argentea e a quella Ferrea (punti di accesso anch’essi importanti, ma peggio conservati e di minore impatto monumentale, rispetto alla Porta Aurea). Dai portici laterali del peristilio, inoltre, si passa verso due importanti monumenti: a est verso il Mausoleo, a ovest verso il tempio di Giove.
Il Mausoleo (trasformato nell’Alto Medioevo in chiesa cattedrale e dotato a partire dal XIII secolo di un bel campanile, rifatto alla fine del Novecento) è un alto monumento a pianta centrale, ottagonale all’esterno (con portico che segue gli otto lati) e circolare all’interno; sempre all’interno due ordini di colonne di marmo nero sostengono massicce trabeazioni sporgenti, fittamente decorate come quelle che sono all’interno del tempio; nel fregio si vedono eroti impegnati in corse su bighe, in caccia, in lotta ecc. alternati con imagines clipeatae (ritratti entro medaglioni circolari), fra cui si riconoscono quelle di Diocleziano e di sua moglie Prisca. Alla cupola interna corrisponde, all’esterno, una copertura piramidale. Il tempio, tetrastilo e prostilo, di ordine corinzio, è un edificio assai peculiare. Al pronao e alla cella, situati su altissimo podio, si accede mediante una gradinata fiancheggiata da avancorpi. La cella, una delle meglio conservate del mondo antico, è coperta a volta. La cornice che sovrasta la porta d’ingresso, gli stipiti di quest’ultima, l’altra cornice che corona tutt’intorno i muri interni della cella stessa, i cassettoni della volta recano una ricca e fitta decorazione (il cui effetto è aumentato dal poderoso aspetto di questi elementi architettonici): compaiono fra l’altro aquile e fulmini, simboli di Giove, cui l’edificio era probabilmente dedicato; ma, essendo presenti anche figure di Ercole e altri simboli diversi, non è da escludersi che il tempio fosse dedicato anche ad altre divinità care ai tetrarchi. Il tempio stesso divenne più tardi battistero e questo ha favorito la sua buona conservazione; sono andate però perdute le colonne del pronao. Il fatto che all’interno del Palazzo fossero collocati anche un mausoleo e un tempio conferisce ulteriori funzioni al grande complesso; inoltre, nella parte settentrionale, meno conosciuta, dovevano essere presenti le caserme per la guarnigione. Questa “polivalenza” fa pensare alle analoghe molteplici possibilità di uso che caratterizzeranno i castelli medievali. A nord l’ingresso era costituito dalla cosiddetta Porta Aurea: la più importante, visto che era diretta verso le direttrici di traffico principali che penetravano nell’interno della regione. Sulla faccia esterna la porta era decorata da una serie di cinque arcate su colonne pensili (queste ultime oggi perdute), che inquadravano nicchie, entro le quali dovevano essere poste statue di divinità; cinque piedistalli sull’attico, oggi ridotti a quattro, ospitavano probabilmente statue di Giove e dei tetrarchi.
Nella località di Mogorjelo, forse l’antica Ad Turres, non lontano da Narona (Vid), su una sorta di lago formato dalla confluenza del fiume Trebizat nella Narenta (Neretva), sono i resti imponenti di una grande villa, abbastanza consistenti da consentirne una ricostruzione completa e attendibile.
L’edificio, di pianta rettangolare tendente al quadrato, ha una poderosa cinta muraria, con porte su tre lati e torri; sul quarto lato, quello che si affaccia sul Trebizat e sulla Neretva, presenta una lunga loggiagalleria ad arcate. A questo stesso lato si addossa la parte residenziale, con molti grandi ambienti disposti su due piani: al secondo piano, quello corrispondente alla loggia-galleria esterna, sono stati identificati fra l’altro un triclinium, un vestibulum, un’aula. Lungo gli altri tre lati, sia pure con qualche asimmetria, si allineano serie di stanze, sempre disposte su due ordini, interpretabili come camere per schiavi e/o per soldati di guardia. La villa si sovrappone a un’altra precedente di dimensioni più ridotte, ma dotata di un impianto per la produzione di olio. Fu in uso nel IV sec. d.C. (e nel V-VI, quando quest’uso era cessato, sorsero sulle rovine due chiesette gemelle). Si è sempre pensato (anche sulla base di analogie con il Palazzo di Diocleziano a Spalato che certo sussistono, anche se entro certi limiti) che fosse la residenza di un personaggio cospicuo, forse uno dei ricchi latifondisti che disponevano di autonomia nei confronti del potere centrale; di recente proprio tale funzione residenziale è stata messa in dubbio e si è suggerito che potesse trattarsi di una fortezza (anche se in questo caso la loggia-galleria diventerebbe meno spiegabile).
Sia che si trattasse della residenza di un uomo di potere, sia di una fortezza, la posizione è comunque “strategica”: siamo in un orizzonte di grandi complessi affacciati sull’acqua e dotati di galleria in facciata. In qualche modo il Palazzo di Diocleziano sul Golfo di Salona e la villa di Mogorjelo sulla confluenza tra Trebizat e Neretva si trovano in una situazione analoga a quella della villa di Konz alla confluenza fra Saar e Mosella, del praetorium (residenza del comandante della guarnigione) di Colonia (ultima fase) affacciato sul Reno e, a voler essere audaci, del palazzo imperiale di Ravenna.
Si tratta di un altro interessante esempio in Dalmazia, più a sud e più tardo, di un singolare complesso i cui resti abbastanza cospicui si trovano nell’Isola di Mljet, l’antica Meleda, non lontana da Dubrovnik/Ragusa.
Il 18 marzo del 489 d.C., con atto di donazione rogato a Ravenna, il re goto Odoacre assegnò l’isola a un comes suo amico e collaboratore, Pierius, che però morì poco dopo, nell’agosto 490. Si datano presumibilmente proprio a questo breve periodo alcune strutture, che in effetti sono incompiute e che, anche in mancanza di conferme epigrafiche, potrebbero essere attribuite proprio a Pierius. Fra le costruzioni di varie epoche solo parzialmente indagate lungo una baia nella zona nord-ovest dell’isola (da ricordare i resti di un tempio di Liber Pater e, appartenenti a una fase più tarda, di due chiese gemelle) sono da segnalare in località Polace (Porto Palazzo) i resti del cosiddetto Palatiolum. L’ambiente principale era costituito da una grande aula con abside poligonale; attorno all’aula erano disposti perpendicolarmente ambienti minori. Ma l’edificio è ricollegabile con altre situazioni già viste altrove soprattutto per la sua facciata, che dava direttamente sul mare ed era caratterizzata da una loggia-galleria chiusa all’estremità da due torrioni, stavolta a pianta poligonale. Persistono dubbi sulle funzioni: se fosse una residenza estiva o una dimora temporanea (qui resa drammaticamente ancor più temporanea dalla sorte del padrone) secondo l’uso dei principi germanici; o, infine, un punto di controllo, insieme con altri conosciuti sia nell’isola sia in altri punti della costa dalmata (ma non adeguatamente indagati), per la navigazione in Adriatico. Il problema non è di agevole soluzione e non è detto che una funzione escludesse le altre.
In generale:
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Per un’ampia e organica rassegna si veda soprattutto:
Dix ans de recherches (1975-1985) sur l’Adriatique antique (IIIe siècle av. J.C. - IIe ap. J.C.), in MEFRA, 99 (1987), pp. 353-479; 100 (1988), pp. 983-1088.
Si rinvia a:
Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Noricum
Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Pannonia
Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Dacia
Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Thracia