Le province europee dell'Impero romano. Le province galliche. Belgica: Treviri
di Maria Frisina
Città della Belgica (Augusta Treverorum) nella valle della Mosella, sede della tribù dei Treviri. Cesare conquistò il territorio nel 57 a.C.; esso fu in seguito organizzato da Augusto tra il 19 e il 16 a.C.
Gli studiosi sono concordi nell’attribuire ad Augusto la fondazione della città, sulla base del rinvenimento di un’iscrizione monumentale (CIL XIII, 3671) menzionante un L. Caesaris Au[g]. identificato con Lucio Cesare, morto nel 2 d.C. Unico a dissentire è H. Koethe, il quale sostiene la fondazione di T. da parte di Claudio basandosi sul fatto che le ceramiche più antiche rinvenute nella città appartengono al periodo del suo impero e che nella metà sud della città antica vi sono solo tracce di un campo militare (quello dell’Ala I Hispanorum). Ma Pomponio Mela (III, 20), nel 45/6 d.C., la chiama urbs opulentissima, cosa ben difficile se essa fosse stata fondata soltanto qualche anno prima. È più probabile invece che T. sia stata innalzata da Claudio al rango di colonia; la sua prosperità fu dovuta al rifornimento dell’esercito del Reno e crebbe alla fine del II sec. d.C., quando si dovette difendere dalle prime invasioni barbariche. Un posto preminente T. ebbe con gli imperatori gallici del III sec. d.C., che ne fecero la loro residenza.
Questi imperatori non arricchirono la città di nuovi edifici, ma si limitarono a utilizzare quelli già esistenti o al massimo a ingrandirli. Nel 275/6 la città fu gravemente saccheggiata dalle invasioni di Franchi e Alemanni; nel 287 Diocleziano la scelse come capitale della parte occidentale dell’Impero; nel tempo delle lotte tra Costantino e Massenzio T. appare come residenza imperiale. Costantino e già prima di lui Costanzo Cloro impressero alla città un grande slancio urbanistico (Paneg., IX, 6, 22); dopo un periodo di turbamenti politici dovuti alle invasioni barbariche T. conobbe un nuovo periodo di splendore sotto Valentiniano I (364-375), come è testimoniato da Ammiano Marcellino (XV, 11, 9) e da Graziano. Alla corte di Graziano visse Ausonio che ci dà notizie preziose di affreschi (Idyll., VI) e di importanti fabbriche per l’equipaggiamento dell’esercito. La città non era rimasta estranea al rinnovamento religioso portato dal cristianesimo, come attestano la fabbrica di vetri, le sculture e i sarcofagi cristiani. Nel 403 Stilicone richiamò in Italia le legioni stanziate sul Reno e Onorio, preoccupato da un’invasione di Goti che premevano dal Sud-Est, trasportò la corte imperiale a Milano e la prefettura ad Arles; iniziò così la decadenza della città.
Nel periodo del maggiore sviluppo T. si presenta come una grande ellissi dall’area di 285 ha tagliata da due grandi strade, il cardo e il decumanus, e da un reticolato di altre vie che si incrociano ad angolo retto. Il decumanus iniziava a ovest dall’arco di Costantino e a est dai passaggi dell’anfiteatro fungenti da porta. Il cardo sbocca a sud nella Porta Alba, a nord non coincide con la Porta Nigra. Il foro, fatto costruire da Costantino, non era collocato all’incrocio del cardo e del decumanus, ma si trovava spostato più a nord. Era costituito da un vasto complesso di edifici cui pare appartenessero anche le terme e la basilica. La cinta delle mura, forse di età costantiniana, era notevolmente vasta, dominata da 47 torri semicircolari. La primitiva colonia augustea, di dimensioni molto minori (lungh. 1200 m, largh. 600 m), non aveva una regolare cinta di mura, ma solo un vallum munito di palizzata di cui non è rimasta traccia.
La Porta Nigra è la porta nord della cinta di mura (lungh. 34,5 m, alt. 30 m, largh. 21,5 m). Ha una corte interna (largh. 17,5 m, lungh. 7,5 m) chiusa tra due torri e dominata sui quattro lati da un doppio piano di gallerie, attraversata da un doppio passaggio di 3,9 m a est e 3,15 m a ovest. Saracinesche chiudevano le aperture della parte esterna, nella parte interna erano porte. Le torri larghe 9 m e alte 20 m dalla parte esterna formano due avancorpi circolari, dal lato interno sono rettangolari. Il materiale impiegato è arenaria squadrata in grossi blocchi. La porta presenta due particolarità rare nei monumenti imperiali: i contrassegni alfabetici incisi in un gran numero di blocchi e la data giornaliera di lavoro scolpita solamente sui blocchi che formano i pilastri tra gli archi del penultimo ordine della torre occidentale. A. von Domaszewski pensa che queste ultime siano state incise dai soldati operai; secondo G. Lugli invece, le date possono essere state incise dai fossori della cava per il controllo del tempo necessario allo stagionamento dei blocchi. La porta non è stata terminata, i capitelli sono abbozzati. È stato osservato da J. Durm che essa manca di una completa efficienza militare, sia per la sporgenza delle torri sia per gli eccessivi vuoti delle finestre (ben 70). La sua facciata trova raffronti con altre porte restaurate in epoca costantiniana, anche se più sfarzosa; la datazione è controversa: è opinione, da molti accettata, che la porta risalga al IV sec. d.C.
La cattedrale di T. ingloba nelle sue mura un edificio romano; nel muro nord si sono trovate le fondazioni di una sala quadrata, di 40 m di lato, nel cui interno si riconoscono le basi di quattro colonne di sienite verdastra. Scavi compiuti a più riprese tra il 1943 e il 1954 hanno rivelato che tanto la cattedrale quanto la Liebfrauen-Kirche (immediatamente adiacente, separata solo da un corridoio), poggiano su fondazioni romane, precisamente di due ecclesiae geminatae fatte costruire da Costantino nel 326 d.C., conservandone l’ampiezza e l’orientamento. Gli scavi compiuti nella basilica settentrionale hanno rivelato che essa sorse sulle rovine di un antico palazzo che la tradizione designa come residenza di Elena, madre di Costantino, e di cui si è ritrovato il soffitto a cassettoni dipinti della sala di rappresentanza. Si sono recuperati pannelli con amorini danzanti e tre riquadri rappresentanti busti di donne che recano insegne imperiali, interpretati come ritratti, ma più probabilmente allegorici.
La basilica, terminata verso il 348, era ampia a tre navate e poteva contenere 6000 fedeli, ma il rapido accrescimento della comunità cristiana costrinse Graziano (375-383) ad ampliarla demolendo la sala terminale a est e innalzando al suo posto un edificio quadrato senza abside, che è quello che ancor oggi resta, seppure con mutamenti, e costituisce il nucleo romano della cattedrale. Un portico doveva circondare all’esterno l’edificio. Al centro della sala quadrata quattro colonne di sienite verdastra sostenevano il tetto. Ma nel V sec. d.C. la basilica fu distrutta dai barbari e le colonne di sienite, spezzate, furono sostituite da altre di calcare. La basilica meridionale ricoperta dalla Liebfrauen-Kirche, era divisa anch’essa in tre navate, ma più piccola. L’Aula Palatina, detta Basilica (lungh. 67 m, largh. 27,5 m, alt. 30 m), si innalza proprio nel cuore delle costruzioni imperiali del IV sec. d.C. tra la cattedrale e le terme imperiali. L’interno è costituito da una vasta sala rettangolare con un’abside di 13 m di profondità, che occupa quasi tutto il lato nord: la mancanza di navate ne fa un unicum. All’esterno le masse murarie sono alleggerite da un duplice ordine di finestre inquadrate da arcate slanciate. La costruzione antica, di mattoni, si è conservata fino al tetto (moderno). Un disegno del 1610, dell’erudito A. Wiltheim, mostra alcuni merli sopra la parte ancora esistente. Scavi recenti hanno dimostrato che la facciata sud era preceduta da una lunga costruzione trasversale rettangolare, con un’abside a ovest della stessa lunghezza della basilica, la cui parte centrale fungeva da vestibolo. A ovest si innalzava un portico, in direzione nord- sud, con un sottostante criptoportico. È stato scoperto il sistema di riscaldamento con un ipocausto nel sottosuolo e cinque praefurnia all’esterno dei muri, cui corrispondevano altrettanti condotti che distribuivano l’aria calda. I muri erano rivestiti di marmi policromi di cui si sono trovati frammenti, statue ornavano le nicchie dell’abside, il pavimento era ricoperto di mosaici. L’edificio fu voluto come basilica giudiziaria nel 310 da Costantino, che lo fece innalzare sulle fondamenta di una precedente costruzione (consistente in un palazzo con numerosi appartamenti e una sala rettangolare con abside il cui asse principale e orientamento generale furono mantenuti al tempo della costruzione dell’aula). All’estremità del decumanus maximus si trova l’anfiteatro. Per una parte fu scavato nel fianco della collina del Petrisberg. La tecnica di costruzione, una moneta di Domiziano e ceramiche trovate nella terra di riporto assegnano la costruzione alla fine del I sec. d.C. Quando si costruì la cinta di mura la parte ovest dell’anfiteatro fu inglobata nella cinta stessa e rafforzata con una poderosa ossatura di arcate e la porta nord costituì la porta della città su questo lato. T. possedeva anche un circo, il cosiddetto Circus Maximus, di cui restano poche tracce a nord dell’anfiteatro.
Le Terme Imperiali furono scavate sistematicamente tra il 1912 e il 1914 (lungh. 260 m, largh. 140 m). Sono precedute da una grande palestra (lungh. 95 m, prof. 75 m); il portico esterno aveva la sua facciata, un ninfeo preceduto da una corte circondata da colonne. Del frigidarium e del tepidarium restano oggi solo le sostruzioni, del calidarium sono rimaste in piedi le grandi arcate, grazie alla loro utilizzazione nel Medioevo nella chiesa della S. Croce. Volute da Costantino, queste terme non entrarono mai in funzione. Sotto il regno di Graziano (375-383), gli ipocausti furono soppressi, i corridoi sotterranei colmati, non si installarono i tubi per le condutture dell’acqua. Non si conosce con precisione la ragione di tale trasformazione. D. Krencker ha espresso l’ipotesi che la palestra venisse adibita a mercato e il resto dell’edificio a basilica giudiziaria, ma E. Krüger, con più attendibilità, vede nelle numerose celle ricavate nella palestra una caserma e nelle sale dell’interno locali di rappresentanza.
Il santuario dell’Altbach si trova alle porte di T., un po’ al di fuori del quartiere ricostruito da Costantino. È un insieme vasto e complesso, consacrato al culto delle acque: il grande ruscello dell’Altbach che discende dalla collina di Heiligenberg lo circonda sui lati ovest e sud. Risale a prima della conquista romana e subì trasformazioni e ingrandimenti successivi, fino ai restauri di Costantino e alla successiva distruzione. Il primo tempio che s’incontra a sud-est è quello di Giove, di 22 x 18 m innalzato su un podio e circondato sui tre lati da una galleria. A fianco è una cappella consacrata a Mercurio identificata da due iscrizioni; di fronte è un grande tempio circondato da portico di forma quasi quadrata, di una dozzina di metri di lato. Si sono rinvenute due iscrizioni che menzionano la dea Ritona. A ovest si incontrano le fondazioni (15 x 12 m) di un grande tempio circondato da portico. Una piccola costruzione quadrata di 5 m di lato sembra essere stata una specie di tesoro. Numerose sono le fondazioni e i resti di altri tempietti, quadrati e rotondi, celle (in una fu rinvenuta una “madre”) e pozzi. Tre dediche agli dei Cassibus o Casibus o Cassedibus rinvenute nell’Altbach fanno supporre un culto a questi dei locali. All’interno di una cinta rettangolare vi è un’abitazione con una corte centrale e due ali, sotto cui si riconoscono le sostruzioni di un teatro, edificio non raro nei luoghi di culto. Nell’ala est si è identificato un Mitreo (lungh. 17 m, largh. 8 m).
Alla fine del decumanus maximus furono costruite le terme di S. Barbara, che devono il loro nome a quello del quartiere in cui sorgono. Furono scavate nel 1820 e nel 1845-46. Della vasta costruzione (240 x 172 m) non si sono potute portare alla luce l’ala occidentale e le vaste corti che la precedevano a nord e a sud. Quella sud era circondata da case a peristilio che davano sulla strada, quella nord era circondata da un portico che lasciava in mezzo il vasto spazio della palestra, di circa 90 m di lato. Alla palestra seguivano, lungo l’asse centrale, il frigidarium rettangolare, il tepidarium cruciforme, il calidarium (20 x 35 m) coperto da una vasta cupola. Ai lati sono disposti simmetricamente i locali di servizio. Singolare era la facciata sud del calidarium, che conosciamo da disegni di A. Wiltheim del XVII secolo, ornata da fusti di colonne intorno a cui si avvolgevano tralci di vite. Le terme erano sontuosamente decorate, con mosaici e marmi policromi e con statue, tra le quali si è recuperato negli scavi un torso di Amazzone fidiaca. La complessità della pianta, la tecnica (alternanza di mattoni disposti orizzontalmente e di piccole pietre squadrate), fanno datare queste terme a un’epoca di poco anteriore a quella di Costantino, verso l’ultimo trentennio del III sec. d.C.
Di un poderoso ponte, gettato dai Romani sulla Mosella alla fine del decumanus maximus, restano oggi cinque piloni, costituiti da un nucleo centrale di calcare rivestito di blocchi di basalto blu-nero tenuti assieme da arpioni di ferro. Il ponte dovette essere costruito contemporaneamente alla cinta del V sec. d.C. Nel 1911, in occasione di una grave siccità, si scoprirono i resti dei piloni di un ponte più antico, posto un po’ obliquamente rispetto alla corrente del fiume. Ancora al Basso Impero risalgono con certezza i resti dei granai che anticamente si presentavano come due grandi magazzini paralleli, a due piani, separati da una corte interna; all’esterno i muri erano animati da due ordini di arcate, entro cui si aprivano strette finestre; il tetto era sostenuto da due file di pilastri paralleli collocati al centro delle sale.
II santuario di Lenus-Mars si trova sulla riva sinistra della Mosella. Esso era circondato da esedre, dove due banchi di pietra portano numerose iscrizioni al dio indigeno Lenus assimilato a Marte, a uno Iuventucarus assimilato anche a Marte, a uno Iutarabus o Entarabus. Il santuario è certo più antico del tempio; se ne sono trovate alcune tracce a sud: resti del recinto, di un piccolo tempio, di una sala con frammenti di statuette votive. Il tempio di età romana s’innalza al centro, in direzione nord-sud, inquadrato tra due cortili. La costruzione di questo edificio risalirebbe alla metà o alla fine del II sec. d.C.
In scavi condotti nel 1913 nei pressi dell’Altbach, si sono rinvenute fondamenta di un edificio, misuranti 66 x 33 m, di difficile identificazione. Pare comunque che si trattasse di un tempio romano, detto di Herrenbrünnchen, che sorgeva su un alto podio: un’ampia scalinata doveva condurre al pronao del tempio, prostilo, da cui si penetrava nella cella; si sono rinvenute iscrizioni a divinità romane (Marte) e a una ninfa delle acque, celtica (Ico Valuna). L’opera muraria è analoga a quella dell’anfiteatro, pertanto il tempio è stato datato nel periodo compreso tra la fine del I e il principio del II sec. d.C. I suoi resti sono oggi di nuovo interrati.
Data l’importanza della città, nei suoi dintorni sorsero numerose ville residenziali. Una delle prime cronologicamente è quella di Fliessen (fine II - inizio III sec. d.C.), importante sia per la disposizione planimetrica nord-sud, concludentesi con un portico chiuso ai lati da corpi angolari, sia per i numerosi mosaici ivi rinvenuti, con decorazione geometrica. Devono buona parte della loro importanza al rinvenimento di mosaici anche le ville di Oberweis (II sec. d.C.), Euren (IV sec. d.C.), Odrang (IV sec. d.C.). Di particolare interesse, anche perché accuratamente scavata e studiata, è la villa di Nennig, del III sec. d.C., che presenta lo schema affermatosi nelle grandi ville d’Italia in età imperiale. Al IV sec. d.C. appartiene la villa di Welschbillig, dalla pianta ancora incerta, nota soprattutto perché conteneva un laghetto interno, intorno al quale si sono rinvenute 70 erme riproducenti Greci e Romani famosi e tipi etnici.
Borgo sulla riva destra della Mosella, sulla strada da T. a Bingen corrispondente all’antica Noviomagus; ha restituito numerosi monumenti funerari, ritrovati in frammenti nelle fondazioni di una fortificazione eretta alla fine del III sec. d.C. I monumenti costeggiavano la strada e si presentano in tre diverse forme: ad altare, a pilastro e a cippo funerario. I monumenti a pilastro sono affini a quello di Igel. La forma, a tre piani con nicchie, ricorda lo schema a torre già noto in Gallia, mentre la cuspide curvilinea si richiama agli esemplari di Aquileia. Il carattere narrativo e descrittivo dei rilievi prevale su quello architettonico del monumento. Per la datazione si ha un sicuro terminus ante quem: il reimpiego dei frammenti in epoca costantiniana. Il ciclo di monumenti può essere racchiuso fra l’epoca traiano-adrianea e quella costantiniana.
Nel villaggio di Igel, a 11 km da T., si trova un monumento funerario dalla forma di una torre quadrata sormontata da una piramide con un gruppo di coronamento. Alto 20 m, è di arenaria friabile scurorossastra. Esso fu fatto innalzare dalla famiglia dei Secundini (CIL XIII, 4206). Scarse sono le tracce della pittura che, stesa su un tenue strato di stucco, rivestiva il monumento: il fondo era generalmente blu, le superfici distese in giallo chiaro o scuro, i contorni rafforzati da linee brune. Un sicuro termine di confronto per la datazione è costituito dai rilievi di Neumagen, in particolare con quelli più tardi, verso la metà del III sec. d.C.
La città di T. è stata, dal II al V sec. d.C., forse il più importante centro di cultura artistica romana a nord delle Alpi. Nei suoi monumenti si può scorgere con sufficiente chiarezza l’evoluzione dalle prime costruzioni ancora non del tutto prive di caratteri indigeni e proprie di una modesta città di provincia ai monumenti fastosi della tarda età imperiale. Mescolanza di tradizioni celtiche e di elementi classici si trovano nei santuari, ad esempio quello di Lenus-Mars e quello della valle dell’Altbach. Le invasioni barbariche, iniziate nella metà del III secolo, mutarono il volto alla città. Di colpo T. acquistò un’importanza politica e strategica di prim’ordine, salì al rango di capitale e si arricchì di splendidi edifici, che partecipano dei caratteri comuni dell’architettura tardoantica, ma senza ripeterne passivamente gli elementi bensì assimilandoli e trasformandoli per creare un’arte originale e autonoma. Nelle numerose serie di sculture romane rinvenute a T. si può con facilità stabilire una linea di demarcazione tra le sculture di calcare, opere di artisti locali, in cui è palese l’influsso dell’arte celtica indigena, e le opere di marmo, probabilmente importate dall’Italia.
In generale, i pezzi di scultura indigena non raggiungono un livello artistico elevato. Presentano invece un interesse tutto particolare per i loro soggetti i rilievi funerari di Neumagen. Alla stessa corrente appartengono i frammenti delle cosiddette “colonne dei giganti”. La produzione di questi monumenti cessa con l’invasione alemanna del 275/6 d.C. Il filone di scultura che possiamo chiamare greco-romano ha i suoi esemplari più validi nel torso di Amazzone di marmo pario delle terme di S. Barbara e in un rilievo con efebo proveniente dagli stessi scavi. Un torso d’atleta, sempre di marmo pario, richiama lo stile di Policleto. Ricca è la serie dei ritratti, delle sculture decorative, dei piccoli bronzi. Recenti scavi hanno fornito una testa assai frammentaria in cui si riconosce il tipo iconografico dell’imperatore Graziano. Non mancano a T. notevoli esemplari di arte cristiana importati da Roma, come il sarcofago di Noè. In stretto rapporto con questo sarcofago appare quello di Agricio, rinvenuto nelle fondamenta della chiesa di S. Massimino, scolpito solo su di una facciata; appartenne forse al vescovo di T., Agricio, che partecipò al sinodo di Arles del 314 d.C.
Nel campo della pittura antica, T. ci dà una testimonianza preziosa anche se limitata con i riquadri del soffitto di una sala del palazzo costantiniano. La loro appartenenza a tale palazzo è una prova sicura per la datazione ai primi decenni del IV sec. d.C. Il livello di queste pitture è eccellente: per lo stile coloristico e la raffinata distribuzione di luce e di ombra s’inquadrano perfettamente nella pittura tardoantica, priva di disegno e di prospettiva, caratterizzata dall’uso sapiente del colore. I mosaici rinvenuti a T. si possono dividere in tre gruppi cronologicamente ben delimitati: i mosaici del I e II sec. d.C.; quelli che vanno dal tempo di Settimio Severo fino all’invasione germanica e quelli dalla fine del III sec. d.C. sino alla fine della dominazione romana. I primi hanno una decorazione quasi esclusivamente geometrica e una colorazione predominante in bianco e nero. Solo nei più tardi appaiono elementi vegetali lineari e stilizzati. Per la maggior parte essi provengono da ville dei dintorni di T.
Il secondo periodo, caratterizzato da mosaici figurati, segna l’apogeo artistico dei mosaici della regione di T.; la struttura decorativa non cambia molto: il tessuto del mosaico è sempre dato da una rete di ottagoni o di strisce intrecciate di gusto decorativo, ma i piccoli campi che ne risultano non sono più opposti l’uno all’altro mediante il colore, bensì accolgono figurazioni varie, quali le quadrighe, come nel mosaico dei corridoi rinvenuto vicino alle cosiddette Terme Imperiali, le scene di anfiteatro nel mosaico di Nennig, ritrovato nella villa omonima, i busti di uomini di lettere nel mosaico dei letterati e in un esemplare firmato, il cosiddetto “mosaico di Monnus”. Appare di frequente la decorazione con Muse. Importante, perché datato da un’iscrizione (CIL XIII, 3679), è il mosaico di Vittorino, l’effimero imperatore delle Gallie dopo Postumo. Il terzo periodo dei mosaici di T. è caratterizzato da un’abbondanza e una ricchezza decorativa dovuta all’importanza assunta dalla città come capitale dell’Impero romano d’Occidente. Notevole il cosiddetto “mosaico dei Misteri” proveniente dalla Johann-Philipp Strasse, in cui, in una cornice formata da una doppia striscia intrecciata, un’altra striscia di trecce delimitava 15 campi figurativi. Uno di essi rappresenta la nascita dei gemelli (Castore, Elena e Polluce) dall’uovo, gli altri presentano una serie di servi che portano oggetti e vivande.
D. Krencker, Das römische Trier, Berlin 1926.
M. Frisina, s.v. Treviri, in EAA, VII, 1966, pp. 974-80 (con bibl. prec.).
di Heinz Cüppers
Ampi resti di un insediamento indigeno, esteso su una superficie che varia dai 500 agli 800 m2, sono stati osservati in una zona della valle racchiusa nell’ansa della Mosella, in prossimità di un guado naturale la cui frequentazione è testimoniata già dall’età del Bronzo: gli inizi di tale insediamento risalgono al periodo intorno al 40 a.C. Una postazione militare e di vedetta costruita a est, sul Petersberg, intorno all’anno 31 a.C. divenne, con la riorganizzazione augustea della Gallia, un sobborgo di T.; un’iscrizione monumentale dedicata a Gaio e Lucio Cesare è da attribuire a un tempio appartenente alla nuova fondazione. Questa ottenne presto lo status di colonia, la cui importanza crebbe con il trasferimento di alte cariche dell’amministrazione imperiale e provinciale: il legatus Augusti pro praetore della Belgica, il procurator provinciae Belgicae (a partire da Domiziano procurator provinciarum Belgicarum et duarum Germaniarum) e altri funzionari non solo per la Belgica, ma anche per le due Germanie, divenendo sede anche del tabularium. Una stazione doganale – portorium – per il dazio interno della Gallia (quadragesima Galliarum) è testimoniata da centinaia di piombi doganali provenienti dalla Mosella all’altezza del ponte romano e dal territorio della città. Tra gli imperatori gallici Postumo risiedeva a Colonia, mentre Vittorino, Tetrico e Faustino preferivano la più sicura T.; per Vittorino la carica di praefectus praetorianorum è testimoniata dalla ricostruzione di un mosaico nel palazzo a ovest del foro.
Sotto Diocleziano, nell’ambito della riforma dell’Impero, T. viene indicata quale residenza di Massimiano in qualità di Augusto; quindi, nell’anno 293, viene assegnata al Cesare Flavio Valerio Costanzo Cloro. Si avviano grandi lavori di costruzione, che verranno completati sotto Costantino: le Terme Imperiali, la basilica palaziale (306- 311); si ristrutturano inoltre le abitazioni distrutte dalla guerra e dall’incuria sia in città, sia nel territorio, ove numerosi vici e stazioni vengono trasformati in castra e borghi fortificati.
A seguito della fondazione di Costantinopoli e del trasferimento della corte imperiale T. rimase residenza dei figli di Costantino, Costantino II (337-340) e Costanzo II (337-361). Dopo l’insurrezione di Magnenzio (350-353) i Franchi invasero i territori della bassa Germania; a questi si contrappose Giuliano. Una pacificazione del paese e una nuova fioritura della città di T. iniziò sotto Valentiniano che vi pose la sua residenza nell’anno 367. Egli promosse il completamento delle strutture di difesa della frontiera e di un sistema difensivo dell’entroterra e riuscì a ricacciare gli Alamanni fino all’alto Reno. Nel 375 Graziano venne confermato successore al trono. Nel 383 gli si sollevò contro Magno Massimo dando una svolta alle vicende dell’Impero. Nello stesso anno in cui egli perse il suo dominio nella battaglia contro Arbogaste nell’Italia settentrionale, venne ucciso anche il figlio Augusto Flavio Vittore rimasto a T. La zecca di T., ufficialmente istituita nell’anno 296, rimase attiva fino al V sec. d.C. e si contraddistinse per il fatto di coniare tutti i nominali con tecniche eccellenti.
In quanto crocevia tra importanti strade imperiali e di lungo tragitto e in vicinanza del fiume navigabile Mosella, la città si giovò della crescente importazione in funzione dell’approvvigionamento delle truppe dislocate lungo il limes del Reno. Piccoli e grandi commercianti, imprenditori e proprietari di imbarcazioni, insieme alle corporazioni professionali, furono i protagonisti delle attività di importazione ed esportazione che, in presenza di una richiesta sempre crescente, stimolavano la locale produzione di beni: agricoltura, allevamento e pastorizia, ceramica, laterizi e cave di pietra per l’edilizia, officine di scultura, grazie anche a notevoli innovazioni tecnologiche (aratro e strumenti agricoli, trebbiatrice, mulini per cereali e macchine idrauliche per segherie di legname e lastre di pietra). Nell’età tarda T. divenne sede di fabbriche che producevano per l’esercito e la corte: scutaria, ballistaria (Not. dign., occ., XI, 37 ss.), gynecia, filande per la seta che producevano e lavoravano anche fili dorati (Not. dign., occ., XI, 77). Erano inoltre famosi i vetri diatreta dell’area del Reno e della Mosella, sei dei quali provengono da T.
La griglia di strade ortogonali comprende isolati di 80 x 120 m; le strade, in genere larghe 13,5 m, furono ridotte a 7,5 m quando su ambedue i lati furono costruiti marciapiedi e logge coperte (dalla prima metà del I sec. d.C.). L’approvvigionamento idrico e, d’altra parte, il sistema fognario divennero via via più efficienti. Alle antiche case di legno seguirono quelle con fondazioni di muratura; gli alzati di argilla e legno (con stanze parzialmente decorate a pittura) verso la metà del I sec. d.C. vennero sostituiti da opera muraria di pietra calcarea e pietra arenaria rossa.
È stato approfondito lo studio del ponte sulla Mosella: gli 11 pilastri, di blocchi di pietra calcarea, poggiavano su una intelaiatura di pali conficcati nel letto del fiume e fortificati con rivestimenti di ferro che all’altezza dell’acqua erano ricoperti da una travatura orizzontale. La carreggiata era anch’essa costruita con legno. Sulla testa di ponte occidentale si alzava un’esedra; su quella orientale era stato eretto un arco onorario, del quale è conservato un blocco con rilievo raffigurante scene di battaglia e cavalieri. La dendrocronologia determina la data di costruzione, 17/6 a.C., come anche le riparazioni dell’anno 71 d.C., resesi necessarie per i danni causati dall’insurrezione dei Batavi nel 69/70. Intorno alla metà del II sec. d.C. venne eretto il ponte a pilastri di pietra ancora oggi in uso, a pochi metri dalla precedente struttura, che fu utilizzata come rampa d’appoggio per la costruzione. Con l’ausilio di una struttura di travi furono poste le fondamenta dei piloni sul fondale solido e roccioso del fiume; l’alzato dei blocchi venne squadrato a livello del pelo dell’acqua: i piloni erano a cuneo sul verso che fronteggiava la corrente e arrotondato sul lato opposto. Su appoggi sporgenti poggiavano le travi che costituivano la struttura portante della carreggiata. Con la costruzione delle mura cittadine il letto fluviale si restrinse e il conseguente maggior flusso di acqua rese necessario l’innalzamento di tutti i piloni di due file di blocchi. Contemporaneamente due dei nove piloni vennero inglobati nella zona interna della città che attraverso un’opera di riempimento si ingrandì. In prossimità della testa di ponte occidentale vennero costruite due torri e l’accesso fu chiuso da una porta. La realizzazione della carreggiata a schiena d’asino di pietra fu realizzata soltanto nel 1343 sotto l’arcivescovo Baldovino di Lussemburgo.
Santuario dell’Altbach
È stata messa in luce la presenza di un teatro di culto. I gradini, costituiti da blocchi di pietra arenaria rossa, recano i nomi dei personaggi a cui erano destinati i posti: l’edificio fu in uso soltanto nel II secolo. All’epoca tarda appartiene un Mitreo la cui immagine cultuale raffigura la nascita del dio dalla roccia, nel cerchio degli animali, e le divinità del vento, del sole e della luna. Iscrizioni, altari, sculture, rilievi e colonne sono dedicati a Giove, Ercole, Mercurio, Aveta, Arti, Epona, Bacco, Diana, Fortuna, Icovellauna, Vertunno, Intarabo e Apollo Granno. Verso nord la zona è delimitata da un acquedotto. Tempio di herrenbrünnchen - Il tempio, in relazione con una vicina sorgente, era probabilmente dedicato ad Apollo Granno e a Marte; doveva essersi conservato ancora intatto fino al VI sec. d.C., se, come si suppone, le colonne di calcare del duomo di T. utilizzate nel corso dei lavori di ricostruzione della basilica sotto il vescovo Nicezio provenivano da questo edificio.
Tempio di Esculapio
A nord delle terme di S. Barbara e del ponte sulla Mosella è stata scoperta un’area circondata da mura, all’interno della quale si è potuto mettere in luce il podio di un tempio (45,5 x 26 m). Su di esso si ergeva una cella rettangolare, con un’abside inserita sul lato nord. Già nel 1734 venne recuperata, nel corso dello scavo di una trincea presso la vicina Commenda dei Giovanniti, una statua marmorea di Esculapio più grande del vero insieme a un’iscrizione dedicatoria dell’anno 169 d.C. La statua venne trasportata a Metz ed è andata perduta, mentre l’iscrizione, dovuta al procurator Augustorum T. Giulio Saturnino, è conservata nel Rheinisches Landesmuseum di T. Tecniche costruttive e ritrovamenti inducono a pensare che l’edificio appartenga all’ultimo terzo del I sec. d.C.
Zona ovest della città e tempio di Lenus-Mars
Il tempio faceva parte di un ampio complesso (ospedale, tempio minore, teatro, altari) situato accanto a una sorgente di acque medicamentose rimasta in uso fino a epoche recenti: oggi l’intero complesso è reso difficilmente riconoscibile da interventi edilizi di vario genere. Il tempio stesso è preceduto sul lato orientale da una scalinata e da un portico d’ingresso articolato con profonde nicchie. A ovest si trova un recinto con altare dal quale parte una larga scalinata che sale verso il podio sopraelevato del tempio principale. Lungo 23 m e largo 28, il podio aveva una cella di 20 x 13 m, ancora visibile nelle sue fondazioni, circondata su tre lati da un portico a colonne. La serie delle monete parte dal periodo celtico e giunge fino a Graziano. Il culto di Lenus-Mars, ampiamente diffuso nel territorio di T., aveva qui il suo santuario principale, come suggeriscono anche le dediche dei pagi. Altre dediche (trovate, insieme con sculture votive di fanciulli e uccelli, sia in questo tempio sia in quello minore) parlano di Mars Iovantucarus e delle Xulsigie. All’insediamento che si sviluppa lungo il fondovalle appartengono necropoli con mausolei e sarcofagi di età tarda, situati sui pendii presso Pallien e la Römerstrasse.
Foro
Su un terreno occupato precedentemente da edifici più antichi e all’altezza del decumanus maximus, per una superficie equivalente a sei quartieri abitativi minori, venne eretto il foro nell’ultimo terzo del I sec. d.C. La piazza (140 x 278 m), a forma di U, è orientata in direzione est-ovest e provvista di portico, criptoportico e botteghe. Sul lato ovest rispetto all’asse centrale un ampio ambiente a più navate può essere interpretato come curia. Vi si aggiunge uno spazio rettangolare delimitato sui lati nord e sud da una doppia fila di botteghe. Sull’asse del cardine massimo è stata eretta una basilica a tre navate della lunghezza di 100 m, il cui muro esterno a est era realizzato nella prima fase con ampi blocchi di pietra. Successivamente, sull’asse est-ovest venne aggiunto un ambiente di tipo basilicale a una sola navata con abside verso est. Un ulteriore ampio spazio è stato ottenuto attraverso terrazzamenti sul terreno risalente verso est, racchiuso da vani di più ampie proporzioni e accompagnato sui lati delle strade da portici a pilastri. Dalla zona nord proviene una testa-ritratto, pertinente in origine a una statua marmorea dell’imperatore Vespasiano, danneggiata da un incendio.
Sul terreno adiacente al foro precedentemente occupato da case più antiche a palizzata e con trincee, così come da edifici di legno e malta già decorati con affreschi e mosaici e sviluppati su pianta relativamente ampia, venne eretto nell’ultimo terzo del I sec. d.C. un impianto termale: nella sua prima fase costruttiva esso aveva una superficie di 55 x 60 m. Sul lato sud era un ingresso formato da tre ampi vani uno vicino all’altro, provvisti di absidi piatte verso l’esterno e fiancheggianti un ampio vano rettangolare di 20 x 13 m. A est era un’ampia vasca in cui era inserito un impianto di riscaldamento con bacino a ipocausto. L’ambiente adiacente è il calidarium ed è provvisto di ipocausti su tutta la superficie: sono state accertate tre fasi costruttive. Verso nord è un ambiente di passaggio dotato di riscaldamento, fiancheggiato sui due lati da cortili aperti e forni. Leggermente più ampio della sequenza di locali posti a sud è il frigidarium sul lato nord: si tratta di un grande ambiente caratterizzato da nicchie che animano le pareti, da vasche singole e da una grande piscina. L’impianto venne successivamente ampliato.
Sul margine orientale dell’insediamento originario, intorno al 100 d.C. venne eretto l’anfiteatro. Il circuito dell’arena fu ricavato nel terreno scistoso, piuttosto in pendenza verso ovest: dapprima furono costruite le mura di cinta e i vomitoria; le masse di terra asportate per ricavare la parte della cavea furono utilizzate direttamente per il terrapieno che ne costituiva la parte occidentale. L’arena di forma ellittica è orientata in direzione nord-sud, incavata e leggermente inclinata verso gli accessi principali del lato nord e del lato sud, e poggia sulla roccia viva. I vomitoria e gli accessi, posti ai lati dei passaggi principali della cavea, corrono a circa 3 m sopra il livello dell’arena; vi erano inoltre ampie file di sedili di blocchi di pietra arenaria, raggiungibili grazie a tre suddivisioni orizzontali e all’inserimento di scale. Sull’ampio coronamento del terrapieno esterno grossi buchi per pali segnalano la presenza di un’ulteriore ripida costruzione per altre file di sedili. Nel muro dell’arena sono ricavate 14 gabbie di cui sono ancora conservati gli stipiti delle porte e le pareti. Il centro dell’arena stessa era un vasto sotterraneo, che venne ulteriormente ampliato sui lati ovest ed est attraverso ampi passaggi e nicchie a pianta cruciforme. Verso la fine del II secolo l’anfiteatro fu incluso nel percorso delle mura di cinta: esse si inserivano a est dell’accesso settentrionale dell’anfiteatro e correvano lungo la curva del lato ovest della cavea, riemergendo a ovest dell’accesso meridionale, per poi deviare e continuare in direzione della valle di Olewig. L’edificio per spettacolo diveniva così ingresso monumentale della città. Una vivida immagine del programma di giochi svolto nell’anfiteatro è offerta nei quadri a mosaico, ricchi di colore, dalla villa di Nennig sull’alta Mosella.
Provenienti dalle terme di S. Barbara, oltre alla statua di Amazzone di marmo pario su modello fidiaco, sono da ricordare un torso di atleta di scuola prassitelica, una testa di Satiro e una della dea Iside. L’opera muraria di pietra calcarea, solo in qualche caso ancora arricchita con opera di mattoni, si avvale nei punti di importanza statica di una tecnica a grandi blocchi. Si sono inoltre rinvenuti, a testimonianza di una decorazione che doveva essere molto ricca, resti di pitture parietali, di mosaici con tessere di pasta vitrea, di intonaco decorato con gusci di conchiglia. I rinvenimenti segnalano l’utilizzo dell’edificio fino al V sec. d.C., con alcuni interventi minori di riparazione alle caldaie e alla superficie delle vasche.
A circa 170 m a nord-ovest dall’anfiteatro è situato il circo, costruito verosimilmente verso l’inizio del II sec. d.C. La pista, lunga oltre 400 m, era caratterizzata sul lato Sud da fondazioni che possono essere attribuite ai carceres e da un articolato alzato della facciata. Colonne di pietra calcarea e capitelli corinzi indicano altresì l’epoca di costruzione. La passione per le corse è illustrata da mosaici provenienti dal territorio della città sui quali figurano cavalli vittoriosi, il cui nome è indicato da iscrizioni. Questo tema è anche svolto su un monumento sepolcrale da Neumagen: sui pilastri nella parte frontale del monumento sono rappresentati due aurighi, mentre sul lato interno dei pilastri e nella parte centrale sono raffigurati le mete a forma di grandi coni, una colonna ornamentale con ampio cantaro e un giudice di gara su un sedile rialzato. Oltre a tessere da gioco e vetri a rilievo, sono soprattutto i contorniati provenienti dal territorio della città a segnalare la fortuna che incontrarono a T., sede di importanti allevamenti equini, le corse di cavalli e carri.
Porte
Nell’ultimo terzo del II sec. d.C. (e non, come si pensava in precedenza, nel IV), fu costruita una cinta muraria lunga 6,4 km, che racchiudeva una superficie di 285 ha, destinata all’ampliamento dell’area urbana. Questo muro, in corrispondenza delle strade determinate dagli assi viari del cardine e del decumano, contava complessivamente 48 torri ed era fornito all’esterno di terrapieni e fossati, due sul lato verso la campagna e tre sul lato settentrionale. A nord è la Porta Nigra, della quale sono stati studiati dettagli tecnici di grande complessità. Su fondazioni massicce, costituite da frammenti di pietre, poggiano, a partire da circa un metro di profondità, un primo strato di base e l’alzato di blocchi di arenaria bianca fissati tra loro da grappe di ferro. Sui profili e sulle superfici, come anche sulle semicolonne rozzamente lavorate, vi sono numerosi incavi preparatori che indicano come fosse prevista una successiva opera di livellamento e di compimento degli elementi strutturali, che però non venne effettuata. Così si spiega la presenza dei marchi delle cave conservati sulle superfici sbozzate di molti blocchi di pietra.
Una porta, corrispettiva alla Porta Nigra per ampiezza e monumentalità, era collocata sul lato sud della città e costituiva l’accesso alla città all’altezza della Saarstrasse/Töpferstrasse. Di questo monumento, detto Porta Media, si sono individuate solo le fondazioni murate e alcuni resti di blocchi.
Non si è potuta identificare fino a oggi una porta nel percorso delle mura cittadine in vicinanza del ponte romano. Essa potrebbe però essere stata costruita a un solo fornice in corrispondenza dell’attuale testa di ponte rielaborata in epoca barocca (come anche i successivi impianti medievali). Il vero ingresso alla città si trovava dall’altra parte del ponte, sulla riva ovest, ed era di misura leggermente inferiore alla Porta Nigra. Vicino alla rampa d’accesso e alla testa di ponte costruita in prossimità della Mosella vennero aggiunte alla fortificazione cittadina due torri affiancate, costituite, sul lato del fiume, da blocchi di basalto di grande formato e, sul lato opposto, da blocchi di pietra arenaria bianca.
Sul lato orientale dell’area urbana verso la valle di Olewig e la via in direzione dello Hunsrück meridionale l’anfiteatro venne incluso nella cinta cittadina; in un eventuale attacco si sarebbe dovuta conquistare dapprima l’entrata meridionale, con lunghi accessi porticati e passaggi pedonali, per poter raggiungere l’uscita a nord dopo aver passato l’arena; solo allora sarebbe stata accessibile l’area cittadina collocata all’interno delle mura. Costruzioni aggiuntive di sbarramenti della porta sono state messe in luce in questo ambito. Le mura cittadine passavano sulla sommità dell’ampio terrapieno della parte occidentale della cavea e poggiavano su una struttura costituita da profondi pilastri e archi. Una torre difensiva quadrata venne eretta nell’angolo nord-est e in quello sud-ovest nei punti di congiunzione tra mura e cavea; mentre una torre chiaramente più grande venne costruita sul terrapieno del lato occidentale tra i vomitoria in direzione della città. Questo impianto, che era diventato in tal modo una fortificazione autonoma, offrì nel periodo delle invasioni un valido rifugio alla residua popolazione di T. (406/7 d.C.).
Insediamenti nel territorio circostante
Le fertili valli lungo la Mosella, le pianure delle terre del Lussemburgo e dell’alta Mosella, del Bitgau e della depressione di Wittlich erano state progressivamente popolate a partire dall’età del Bronzo. La popolazione di T. si assimilò rapidamente alla cultura romana mediterranea contribuendo attivamente a coprire il fabbisogno delle truppe stanziate lungo il Reno e dei villaggi, dei mercati, delle stazioni e delle città di nuova formazione, partecipando così al benessere economico e industriale. Le più antiche costruzioni di legno vennero sostituite da massicce costruzioni di pietra: in genere corrispondono alla tipologia della villa porticata e della villa a terrazze. Oltre alle ampie fattorie e alle ville rurali anche le aziende agricole minori partecipano di una cultura abitativa e del lusso, mentre l’installazione di impianti termali, con la canonica successione di frigidarium, tepidarium e calidarium, perdura di norma fino alla fine del I sec. d.C. Alla crescita economica corrispondono la trasformazione e l’ampliamento degli edifici con pitture murali, solidi pavimenti di mattoni, di marmo o a mosaico. Dopo le distruzioni del III sec. d.C. numerosi insediamenti verranno abbandonati, mentre le aziende agricole, poste nel territorio protetto della valle fluviale e del circondario della città di T., vennero parzialmente ampliate (Nennig, Echternach, Mersch, Oberweis, Otrang-Fliessem, Meckel, Newel, Wittlich).
Per rendere più sicure le vie di comunicazione tra i siti più lontani e la residenza imperiale di T., a partire dal 300 d.C. vengono fortificate le stazioni viarie e i vici, trasformandoli in castra e burgi (Ar- lon, Junkerath, Bitburg), mentre il vicus Belginum sullo Hunsrück rimase non fortificato. Per poter accelerare la costruzione delle fortificazioni a Neumagen vennero sistematicamente smontati i grandi monumenti funerari a nord e a sud della città e trasportati per via fluviale sulla Mosella, per essere utilizzati come blocchi per fondazioni. Riemersi per caso in gran numero durante lavori di costruzione nel 1871, essi si sono potuti recuperare negli anni precedenti alla fine del secolo; oggi si trovano nel Rheinisches Landesmuseum a T. I monumenti coprono un arco che va dalla fine del I secolo fino alla seconda metà del III sec. d.C. Questi e altri monumenti individuati nell’area di T. rappresentano in maniera esemplare la molteplicità delle forme monumentali: stele, cippi, altari, pilastri sepolcrali e torri, così come forme particolari di alzati su zoccolo per coronamenti figurati (monumento circense, navi vinarie di Neumagen); primeggia fra tutti, anche per il suo stato di conservazione, il mausoleo dei Secundini a Igel.
Sul margine orientale del primo insediamento era una villa urbana di rappresentanza, con giardino a peristilio. Già nel III sec. d.C. questa villa venne ampliata, sovrapponendosi a una strada che correva in direzione nord-sud, e trasformando una sala di riunioni in una basilica, con l’abside posta nello spazio precedentemente occupato dalla strada.
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