Le province europee dell'Impero romano. Le province galliche. Lugdunensis
Questa grande unità territoriale si allunga dal confine con la Narbonensis (la città più importante, Lugdunum-Lione, è a immediato contatto con la provincia meridionale e a pochissima distanza dalla narbonense Vienne) al Canale della Manica e alla Bretagna. Corrisponde approssimativamente a quella che Cesare chiamava Gallia Celtica e in effetti è la “più celtica” delle Tres Galliae: più della Belgica, dove non mancano presenze e influssi di origine germanica, e più dell’Aquitania, che risente della vicinanza della Penisola Iberica. Nell’ordinamento augusteo delle province, che entra in vigore nel 27 a.C., rispetto alla Celtica originaria vengono distaccati i territori a sud della Loira, assegnati alla già ricordata Aquitania, e quelli a est della linea definita dal Rodano, dalla Senna e dal suo affluente Yonne, attribuiti alla Germania Superior. Si trovava proprio nella Celtica, nel territorio della tribù dei Mandubi, Alesia (Alise-Sainte-Reine), l’oppidum che nel 53 a.C. fu teatro della battaglia decisiva per la conquista della Gallia Comata da parte dello stesso Cesare. Ma il polo fondamentale della romanizzazione della provincia fu l’altare di Roma e di Augusto presso la capitale Lugdunum (Lione), altare presso il quale si riunivano ogni anno i rappresentanti delle 60 popolazioni di tutte le Gallie, compresa la Narbonense.
Anche qui, prima con Augusto e poi soprattutto con Claudio (imperatore notoriamente assai legato a queste terre) furono intrapresi intensi programmi edilizi con la completa trasformazione dei vecchi oppida indigeni come Alesia: questi più che abitati erano stati fra l’altro punti di riferimento per popolazioni sparse nei dintorni e la stessa funzione era esercitata, per quanto riguarda la vita religiosa, dai santuari. Ne esisteva uno anche nella stessa Alesia ed era dedicato a Taranis, divinità che in età romana sarebbe stata identificata spesso con Giove. Le condizioni di vita pacifica stabilite da Augusto e dai suoi successori si conservarono, in sostanza, fino alla metà del III sec. d.C.; dal 258 d.C., Franchi e Sassoni invadono da nord i paesi della Loira, intensificando questa attività a partire dal 275 con l’appoggio degli Alemanni. Alla fine del secolo si aggiunsero gravi tensioni sociali. Il riassetto dell’Impero attuato da Diocleziano comportò la divisione della provincia in due parti, la Lugdunensis I che mantenne la capitale a Lione e la Lugdunensis II, che ebbe per capoluogo Rotomagus (Rouen). Con Costantino trova larga diffusione in tutta la provincia il cristianesimo, che peraltro già nel II sec. d.C. aveva attuato una certa penetrazione: nel 177 si ricorda una persecuzione di fedeli a Autun e a Lione.
Romanizzazione, organizzazione del territorio, urbanizzazione
Ricca di fiumi, la Lugdunensis traeva da questa situazione (un po’ come la Belgica) un duplice vantaggio: aveva molte foreste e un territorio fertilissimo, con cospicua produzione soprattutto di grano e vino (per quest’ultimo, particolarmente abbondante in Borgogna, fu introdotto un nuovo contenitore, la botte, usata anche nella Belgica); poteva facilmente esportare i suoi prodotti data l’intensa rete di vie d’acqua, sia marine sia fluviali, il cui uso era affidato soprattutto a potenti associazioni di battellieri. Con le vie d’acqua si intrecciavano peraltro anche le strade “di terra” (presenti come sempre nel mondo romano), che costituivano quasi un’integrazione del sistema della stessa Belgica: gli assi principali erano le grandi arterie che da Lione portavano verso il Canale della Manica (Gesoriacum, Boulogne-sur-Mer) e verso il Reno a nord, verso i paesi danubiani a est, verso Bordeaux e l’Aquitania a ovest.
In questo quadro si pone la nascita e lo sviluppo di centri importantissimi, a partire ovviamente da Lugdunum (Lione), per cui si è riproposto con evidenza negli ultimi tempi proprio il problema delle origini. Si era a lungo sostenuto che qui fosse un importante centro indigeno, anche perché la componente Lug- è il nome di un dio celtico e perché la posizione della città, alla confluenza del Rodano e della Saône, è estremamente favorevole: non si è trovato però alcun resto anteriore all’età imperiale romana. Per questa età il quadro che abbiamo è abbastanza preciso per certi grandi monumenti, forse non altrettanto chiaro per il tessuto urbano medio, che comunque, pur essendo di notevolissimo impegno, non è uniformemente regolare.
Ad Alesia, “punto caldo” della guerra gallica di Cesare, la città romana sorge soprattutto per impulso di Augusto e Tiberio. Sull’antico luogo di culto di Taranis ne viene costruito uno dedicato alla stessa divinità; a questo tempio si aggiungono, in fasi successive, un foro e una basilica. Si verifica così quel modello di foro tripartito o bloc-forum (costituito appunto da edificio di culto, piazza porticata, spazio per funzioni amministrative e giudiziarie) che soprattutto (anche se non esclusivamente) nelle Gallie e in particolare nella Belgica è visto come aspetto più vistoso dell’urbanistica di età imperiale: è singolare qui che questa romanizzazione urbanistica sia affidata a un complesso contenente un monumento dedicato a una divinità preromana. Probabilmente è un’altra faccia dell’atteggiamento consueto: si recepiscono e anzi si valorizzano i culti preesistenti ponendoli però, per così dire, sotto controllo o inquadrandoli (come in questo caso) entro schemi solidi e noti. La struttura tripartita la ritroveremo nel foro di Lutetia Parisiorum (Parigi): qui peraltro sembra possibile ricostruire, in base a scoperte recenti, l’aspetto d’insieme dell’impianto urbano. La città, come molte altre, era priva di mura; il reticolo stradale e gli isolati da questo delimitati si estendevano in maniera abbastanza regolare sulla riva sinistra della Senna e sull’isola dove oggi è Nôtre Dame (Île de la Cité); non mancano tuttavia deviazioni, come ad esempio a sud-est, dove la viabilità si impernia sul tratto urbano della strada che poi da qui conduce a Lione.
A sud del foro gli isolati sembrano più grandi; il complesso forense occupa lo spazio di sei degli isolati medesimi e sembra far parte di un unico grande organismo in cui sono compresi altri grandi edifici, fra cui due terme e un teatro; un altro teatro, in posizione non centrale, era orientato secondo un ulteriore asse divergente. Una cinta di mura fu costruita in età tarda intorno all’isola: come spesso accade in quell’epoca di crisi, qui si era ristretto e per così dire arroccato un abitato originariamente ben più ampio. Invece Augustodunum (Autun) ebbe subito una cinta muraria ampia e poderosa, con paramento di blocchi quadrati o tendenti al quadrato. Il perimetro che le mura scandivano era di pianta approssimativamente trapezoidale, condizionata da una serie di corsi d’acqua; la città si trovava sulla via Lugdunum - Gesoriacum (Lione - Boulogne-sur-Mer), creata da Agrippa, che nel suo tratto urbano costituiva il ben individuabile asse principale del reticolo urbano (cardo maximus) che correva da sud-ovest a nord-est fiancheggiato da portici (di cui si sono recuperati alcuni tratti). Non sappiamo però quanto fosse regolare quel reticolo, pur imperniato su un punto di riferimento così “forte”.
A parte questi tre centri maggiori non sappiamo molto neppure dell’aspetto di insieme delle altre numerose città della Lugdunense. Possiamo ricordare fra le altre Autricum (Chartres), Condate (Rennes), Fanum Martis (Corseul), Forum Segusiavorum (Feurs), Iuliobona (Lillebonne), Mediolanum (Evreux). Conosciamo in molti casi monumenti importanti, ma quasi mai il tessuto d’insieme, ricostruibile in un paio di casi: Caesarodunum (Tours) e Condevicnum Portus Namnetum (Nantes) conservano tracce di un impianto ortogonale. Quest’ultima città, in una profonda insenatura prossima al confine con l’Aquitania, era anche un notevole porto sull’Atlantico.
Edilizia pubblica
Nei casi di Alesia e Lutetia (Parigi) il complesso forense era in posizione di spicco nell’impianto urbano. Il foro più notevole e discusso è certamente quello di Lugdunum, ma un esempio interessante di questo tipo di complesso monumentale si trova anche in una città non grande, la cui impostazione urbanistica di insieme ci sfugge: Forum Segusiavorum, 50 km a nord di Lione. Qui l’organismo costituito da edificio di culto, piazza porticata e basilica-curia sembra essere già completato fra 15 e 20 d.C., cioè in anticipo rispetto agli altri esempi nella provincia. Anche per quanto riguarda la tipologia dei templi Lugdunum merita un discorso a parte: da ricordare il culto di Roma e Augusto, forse addirittura in due sedi, una “federale” (cioè di tutte le Gallie) e una “municipale” (cioè cittadina) e anche quello di Cibele. A Lutetia esisteva certamente, sull’Île de la Cité, un santuario singolare: fu dedicato (come ci informa l’iscrizione) a Giove Ottimo Massimo, durante il principato di Tiberio (14-37 d.C.), dalla potente corporazione dei battellieri che gestivano la navigazione sulla Senna: i nautae Parisiaci. Il santuario è andato perduto, ma resta un pilastro di grandissimo interesse che reca rilievi sulle quattro facce: troviamo raffigurato non solo Giove, ma anche Mercurio, Marte, Fortuna, Castore e Polluce e anche divinità celtiche (ancora una prova di sincretismo gallo-romano) come Esus, Tarvus Trigaranus, Eurises, Smertrius e – forse più importante di tutti – Cernunnos, con le sue caratteristiche corna a volute.
Non mancano nella provincia altri casi in cui compaiono associazioni di battellieri, né, soprattutto, altri esempi di culti sincretistici. A Condevicnum Portus Namnetum, città che già nel nome reca l’allusione a un approdo, un’iscrizione parla di un’altra corporazione, quella dei nautae Ligerici, cioè dei battellieri del fiume Liger (Loira). Quanto ai culti sincretistici, è da osservare che sono concentrati in gran numero in Lugdunensis esempi dei cosiddetti fana gallo-romani, o templi di tipo celtico.
Si tratta di edifici a pianta centrale (quadrata o, qualche volta, circolare) caratterizzati da un’alta cella centrale e da una galleria perimetrale. Sono diffusi soprattutto in ambito rurale, ma sono noti anche in ambito urbano, come si è visto nell’Altbachtal di Treviri. Spesso, quando siamo in grado di riconoscere la divinità cui erano dedicati, constatiamo che si tratta di accostamenti tra figure del Pantheon romano e figure celtiche dal nome per noi un po’ arcano: si ha comunque una notevole variabilità, non solo nei nomi ma anche nei dettagli architettonici. Ad Alesia conosciamo due casi: il tempio di Apollo Moritasgus era a pianta ottagonale, mentre quello di Ucuetis e Bergusia (due figure entrambe celtiche) presenta una cripta scavata nella roccia. Marte è fra le divinità che meglio si inseriscono in questo orizzonte sincretistico: nella località detta in antico, appunto, Fanum Martis (oggi Haut-Becherel presso Corseul) si conserva ancora in notevole misura, anche in alzato, la cella esagonale del tempio dedicato appunto a Marte; a Condate esisteva il tempio di Mars Mullo.
Il fanum più noto della Lugdunensis è il cosiddetto Tempio di Giano ad Augustodunum (Autun): la cella è a pianta quadrata; le pareti (che si conservano ancora per un’altezza di 24 m) hanno paramenti di blocchetti di pietra (di un tipo che gli archeologi francesi chiamano petit appareil) e recano ancora visibili i fori in cui erano inserite le travi di copertura della galleria esterna. Nel sito di Bolards, presso Nuits-Saint-Georges, non abbiamo testimonianze architettoniche altrettanto significative, ma possiamo ricostruire un interessante sviluppo sulla via dell’urbanizzazione: da luogo di pellegrinaggio isolato, frequentato fin da tempi antichissimi, si trasforma in età imperiale romana in un vero e proprio centro abitato. Si è a lungo pensato che questi fana fossero il risultato di un’“idea” celtica tradotta in architettura dai Romani, cioè costruita e decorata “alla romana”. Ora si tende a pensare, pur fra persistenti dubbi, che di celtico vi sia in realtà poco e che questi monumenti siano frutto di un’elaborazione dei vincitori, che anche per ragioni politiche sono sempre favorevoli (sotto vari aspetti, come anche in Belgica e nella Narbonense) a forme religiose sincretistiche.
Anche le porte di città sono strettamente legate all’idea stessa della romanizzazione o meglio dell’urbanizzazione che ne costituisce un aspetto qualificante, o ancor più precisamente (sembra ovvio, ma si tratta di situazioni significative dal punto di vista simbolico) del punto di passaggio, non privo di implicazioni sacrali, fra interno ed esterno dello spazio urbano. Nella Lugdunense gli esempi più notevoli di porta urbica sono ad Augustodunum. Si tratta di due monumenti quasi gemelli (anche se lo stato di conservazione è ben diverso): la Porte d’Arroux e la Porte de Saint-André; costituiscono un tipo di porta piuttosto diffuso, caratterizzato da due fornici, da un loggiato che li sovrasta e da due torrioni laterali. Gli edifici per spettacolo offrono una casistica abbastanza ampia, a partire da Lugdunum, dove sono presenti un anfiteatro (legato alla celebrazione della riunione annuale dei rappresentanti delle 60 tribù), un teatro e un odeon. Pur costruiti in zone diverse (l’anfiteatro vicino al famoso altare, presso la confluenza dei due fiumi, gli altri due nella parte alta della città), tutti e tre sfruttano, in tutto o in parte, la conformazione scoscesa del terreno.
Anche ad Augustodunum il teatro (databile a età augustea), piuttosto grande, si appoggia in parte sul pendio naturale, mentre in parte (secondo e terzo ordine di posti della cavea) è sostenuto da due sostruzioni concentriche. Il paramento esterno era di piccoli conci regolari, molto accurati. Parzialmente ricavato nella roccia era anche l’anfiteatro di età adrianea (117-138 d.C.) di Caesarodunum. Doveva essere di dimensioni notevoli: restano avanzi di muri alti fino a 20 m, nonché parti significative dei quattro ingressi monumentali. La lettura dell’edificio è resa complessa dal fatto che, attorno al 275 d.C., fu inglobato in mura frettolosamente allestite. Un teatro di una certa rilevanza è noto anche ad Alesia, ma gli edifici di spettacolo più caratteristici per quest’area sono i cosiddetti “teatri-anfiteatri”. Queste strutture sono dotate cioè di una cavea che, pur non formando un’ellisse completa, è nettamente maggiore del semicerchio (e comporta una drastica riduzione dell’edificio scenico) e racchiude uno spazio che, più che un’orchestra, è una vera e propria arena: può così ospitare, oltre alla danza e al mimo, anche combattimenti fra gladiatori e venationes (lotte fra gladiatori e belve).
Teatri-anfiteatri di questo tipo li troviamo a Iuliobona, a Iuliomagus (Angers), dove si data all’età di Claudio, ad Aragenua (Vieux), dove l’edificio deriva da un ampliamento, realizzato anche con gradinate lignee, di un precedente teatro. A Lutetia Parisiorum, infine, abbiamo sia un teatro (piuttosto piccolo), sia un teatro-anfiteatro. Nella Lugdunense non sono rimasti (frutto probabilmente del caso) impianti termali di importanza pari, ad esempio, a quella di alcuni edifici della Belgica e in particolare di Treviri: sono da ricordare però almeno due impianti termali di Noviomagus Lexoviorum (Lisieux). Uno era a nord dell’abitato, con un portico a L che divideva la parte riservata agli uomini da quella riservata alle donne: nel tepidarium della parte maschile erano affreschi con soggetti mitologici (II sec. d.C.). L’altro edificio termale era precedente, probabilmente di età neroniana, e sorgeva nel centro della città: l’ambiente più noto è la Salle aux Poissons, così detta perché fra i soggetti raffigurati nei suoi mosaici policromi spiccano appunto pesci.
Edilizia privata
Nell’ambito dell’architettura domestica i casi più interessanti sembrano concentrarsi ad Augustodunum, dove si sono effettuati negli ultimi decenni scavi di particolare rigore e impegno. Di una domus conosciamo il nome del proprietario, Balbius Iassius, rivelato da una sua iscrizione con dedica alla dea Tutela: fra i molti ambienti che si distribuiscono attorno al cortile centrale, ne spicca uno absidato, insieme con due cospicue sale di rappresentanza. Da segnalare pavimenti di mosaico e di opus sectile. Questa casa si colloca nella seconda metà del I sec. d.C. e si sovrappone a precedenti strutture di età augustea; la stessa datazione, la stessa situazione e lo stesso tipo di decorazione pavimentale si ripropongono per la Domus de l’Étui d’Or (così chiamata a causa del ritrovamento di un pregevole astuccio dorato).
In un’altra domus si è rinvenuto un mosaico policromo di buona qualità databile a una fase più avanzata, II sec. d.C., con la raffigurazione (interpretabile grazie a un’iscrizione) del poeta greco Anacreonte. È comunque difficile rinvenire altrove nella provincia testimonianze di architettura residenziale urbana paragonabili a queste; non mancano però ville extraurbane di notevoli dimensioni, come quella di Selongey. L’architettura funeraria offre i suoi esempi più celebri soprattutto a Lione: il monumento più noto è quello dei Salonini, dove si è ipotizzato che abbia lavorato la stessa officina all’opera a Glanum (cd. “bottega del mausoleo”).
Arti figurative
Come un po’ dovunque nel mondo romano anche nella Lugdunense confluiscono, in diversa misura, elementi di arte colta e di arte provinciale. Esempio illustre di arte ufficiale era il ciclo di sculture (perdute, ma in vari modi ricostruibili) che decoravano l’altare di Lione. A Lutetia Parisiorum, oltre al menzionato pilastro dei Nautae ne troviamo un altro proveniente da Saint-Laundry, databile al II sec. d.C., che presenta fra l’altro figure di Marte e Venere rese con una forte ponderatio e con una torsione di gusto barocco. Ad Alesia ricordiamo due bei bronzi: una divinità femminile e soprattutto uno straordinario ritratto di dama di età claudia o flavia, con trecce disposte sulla sommità della fronte che danno, quasi con un gioco calligrafico, l’idea di un diadema. Ancora ad Alesia, una ieratica figura femminile che reca una corona turrita è da interpretarsi come personificazione della città.
La produzione di bronzi di alta qualità è una delle prerogative della Lugdunense. È addirittura di bronzo dorato una testa femminile di Autun, notevole per il libero movimento delle chiome. Da Agedincum (Sens) provengono rilievi a soggetto mitologico come quello relativo al ciclo di Ifigenia, in cui spicca un poderoso Oreste legato raffigurato di tre quarti posteriore, e rilievi funerari, come quello in cui si vede un uomo che scrive su tavolette avanzando con andatura lievemente ondulante sottolineata dall’inclinazione della testa. A Châlon- sur-Saône (Musée Denon) è una statua di Apollo di impostazione colta, proveniente da Ciel, ma anche opere fortemente influenzate da gusti e tradizioni preromane, come il gruppo (di notevoli dimensioni) che sovrasta un gladiatore carponi. È l’esito, fortemente drammatico, di uno spettacolo d’anfiteatro: se, ad esempio, lo slancio della belva viene reso tenendo d’occhio schemi ellenistici (pur con qualche semplificazione), affiora anche indubbiamente l’antica predilezione celtica (a cui sono state date spiegazioni diverse) per le immagini di mostri divoranti.
Molto significativa anche, nel Museo di Bar-le-Duc, una statua raffigurante una dea Madre seduta proveniente da Nasium, oggi Naix (nella Meuse). È una tradizionale divinità celto-germanica, rappresentata in tanti esemplari diversi per dimensioni e per stile in tutta la parte nord-occidentale dell’Impero: ai casi in cui si raffigura una divinità singola (come in quello di Naix) si alternano spesso le rappresentazioni di triadi. Qui la formulazione del tema (quasi memore di grandi opere classiche, come la celebre dea di Taranto nei Musei di Berlino) è decisamente monumentale, ma il gusto celtico per i motivi curvilinei è echeggiato nelle calligrafiche pieghe dell’abito. A Vienne-en-Val, nell’area di Orléans, è stato rinvenuto un gruppo scultoreo con un cavaliere (probabilmente il dio celtico Taranis) che abbatte un mostro anguipede: un pezzo non privo di interesse, che tuttavia non appare allo stesso livello del dio-cavaliere da Atuatuca Tungrorum (Tongres).
Alto artigianato, ceramica, oggetti di uso comune
La maestria nella lavorazione del bronzo riscontrata nella scultura a tutto tondo si manifesta nella produzione di piccoli oggetti di uso quotidiano, fabbricati in località anche non grandi come Vertillum (Vertault) e Vindubia (questo forse il nome antico del sito di Bolards). La produzione di terra sigillata è abbondante, forse non come in Gallia Belgica e sul Reno, soprattutto a Lione (come nella vicina Vienne in Narbonense) e nella valle del Rodano. Non mancavano neanche qui anfore fabbricate in vista dell’esportazione di grano, vino e garum prodotto lungo la costa della Manica e quella dell’Oceano. Di un contenitore tipico delle Gallie, la botte di legno, non resta purtroppo nella Lugdunense testimonianza diretta (ricordiamo però il monumento di Neumagen nella Belgica che raffigura un trasporto di botti su nave) a causa della deperibilità del materiale.
In generale:
A. Chastagnol, Les cités de la Gaule Romaine, in Sept siècles de civilisation gallo-romaine vus d’Autun, Paris 1985, pp. 85-100.
Archéologie de la France. 30 ans de découvertes (Catalogo della mostra), Paris 1989.
G. Coulon, Les Gallo-Romains, I. Les villes, les campagnes et les échanges, Paris 1990.
P. Gros, La France gallo-romaine, Paris 1991, in part. pp. 53-67.
Si rinvia a:
Le province europee dell'Impero romano. Le province galliche. Narbonensis
Le province europee dell'Impero romano. Le province galliche. Belgica
Le province europee dell'Impero romano. Le province galliche. Aquitania