Le province europee dell'Impero romano. Le province iberiche: Ampurias
di José M. Blázquez
Colonia focese (gr. Ἐμπόριον; lat. Emporiae) situata a 2 km dalla frontiera tra la Spagna e la Francia presso La Escala (Gerona). La città fu fondata poco dopo il 600 a.C. nel territorio degli Indigeti.
Lo Pseudo-Scilace (II, 3), lo Pseudo-Scimno (202 ss.) e Stefano di Bisanzio affermano che A. fu fondata dai Focesi di Marsiglia; Polibio (III, 39, 7) pone ad A. il confine orientale dell’Iberia. Strabone (III, 4, 8), concordemente con Posidonio, scrive che la prima colonia focese era nell’isola dove oggi si trova il villaggio di San Martín; si suppone che prima dell’arrivo dei coloni focesi quest’isola, detta Palaiapolis in Strabone e successivamente unitasi al continente, fosse un insediamento etrusco e fenicio. Anche Sallustio (Hist., III, 6) descrive A. come un’isola, unita al continente da un istmo di sabbia, con un tempio nella sua parte più alta. Quando nel 195 a.C. il console Catone sbarcò ad A., questa era una città divisa (dipolis), un muro separava il quartiere greco da quello indigeno e la parte greca misurava meno di 400 passi.
Dopo la battaglia di Munda, Cesare fondò ad A. una colonia romana (Liv., III, 4, 9) che col tempo comprese la città iberica e poi la greca. Livio fornisce alcuni dati interessanti su A.: la parte che dava verso il mare era ben fortificata, aveva una sola porta e un magistrato, a turno, aveva la responsabilità della sorveglianza durante la notte. Anche gli scrittori r omani del periodo imperiale, come Pomponio Mela (II, 89) e Plinio (Nat. hist., III, 22), menzionano l’origine greca di A. La città è stata scavata estesamente ed è possibile avere un’idea abbastanza esatta dell’impianto urbano e delle sue necropoli. Si suppone che la chiesa di S. Martín sia stata costruita sul luogo di un tempio, forse dedicato ad Artemide Efesia (Strab., III, 4, 6): da qui provengono sicuramente le due sfingi di stile arcaizzante conservate nel Museo Archeologico di Barcellona. Scavi effettuati presso la chiesa hanno restituito ceramica del livello di fondazione della città e hanno portato alla scoperta di una parte delle mura, datate al IV sec. a.C.
Nella parte meridionale della Neapolis si conservano i resti di mura ciclopiche databili al III sec. a.C. con una porta fiancheggiata da due torri: si tratta probabilmente delle mura menzionate da Livio. La porta conduce a una piccola piazza, nella quale si trovano le fondazioni di un edificio che doveva ospitare la statua dell’imperatore; un secondo basamento doveva appartenere alla vasca di una fontana che aveva attorno varie cisterne e una scalinata portava al tempio di Esculapio, le cui statue di provenienza greca si datano al III sec. a.C. Vicino a questo fu costruito un secondo tempio dedicato probabilmente a Igea e davanti a entrambi venne eretto un grande altare. Sopra il tratto di mura, entro un recinto fortificato assai simile a quello del tempio di Iside a Pompei, si trova il tempio dedicato a Zeus Serapide. La città ha un impianto ippodameo; la parte scavata, percorsa da una lunga strada centrale, è di epoca romana. Al di sotto si trovano case greche con due o tre stanze, datate tra il V e il IV sec. a.C. L’agorà doveva essere porticata; su uno dei lati è stato rinvenuto un pozzo pubblico e tre basi di statue. Questa piazza era attraversata da una strada che conduceva al mare, lungo la quale vennero alla luce la stoà, con due file di 12 colonne, e in fondo alcune tabernae.
Vicino alla stoà fu costruita la basilica paleocristiana, elevata sopra l’apodytherium di un complesso termale: è una chiesa a doppia navata con abside semicircolare e con diakonikòn; la parte interna è occupata da una necropoli visigota e carolingia. Alla fine della strada, ormai sulla spiaggia, si conserva gran parte del porto ellenistico. Della città indigena, chiamata Indaka, si conosce ben poco: a essa sono pertinenti le monete con leggenda UNIKESCEN. La città romana è un grande rettangolo di 300 x 700 m; vi sono state scavate due magnifiche case. Quella detta Casa n. 1 risponde ai canoni vitruviani: ha due porte di ingresso aperte su una via secondaria e una di esse costituisce l’entrata a un atrio porticato con impluvium centrale. Le stanze di abitazione si trovano alla sinistra dell’ingresso, disposte intorno a un peristilio porticato, diviso da un corridoio centrale, con un’esedra circolare al centro. I pavimenti erano decorati a mosaico, mentre i muri erano coperti di stucchi. Verso nord, dove si trova un balcone, era costruito un piccolo impianto termale e al di sotto di queste stanze erano i locali per la servitù. Orientati in direzione della città greca erano gli orti, i giardini e i depositi di acqua della casa. Sotto il portico si trova il criptoportico, al quale si accedeva tramite una scala. Nel lato meridionale dell’abitazione altre stanze erano pavimentate con mosaici; in una fu trovata una magnifica testa di statua muliebre, datata al I sec. d.C. La Casa n. 2 è analoga alla precedente, ma di dimensioni minori. Anche i pavimenti di questa erano mosaicati in bianco e nero e le pareti erano decorate con stucchi. Il centro della casa era occupato dal peristilio dove si trovava un’ara dipinta; i muri sono di argilla sopra zoccoli di pietra. L’atrio, collegato con l’esterno per mezzo di una scala, aveva un impluvium con una grande cisterna sottostante e pavimenti di marmo.
Più a sud era il foro della città (68 x 63 m), con un por tico su tre lati e una serie di otto tempietti sul quarto, dedicati a divinità e a imperatori ed eseguiti su commissione privata. In alcune costruzioni edificate sopra il decumanus si trova uno degli ingressi del foro, mentre nella parte meridionale di esso è collocata una grande porta d’ingresso coperta da una volta di cemento, oggi crollata. Intorno al foro erano disposte le tabernae, tra le quali vi era forse una panetteria, a giudicare dalla presenza di una macina. La città aveva anche un macellum, un piccolo anfiteatro di forma ellittica e una palestra. Nel III sec. d.C. dovette iniziare la decadenza della città, che solo più tardi fu sede episcopale. Le necropoli di A. sono state scavate; in quella ellenistica di Las Corts si praticava il rito dell’incinerazione.
Tra la ceramica greca qui ritrovata vi sono alcuni notevoli vasi ionici e focesi importati dal Mediterraneo orientale. A. ha anche restituito una discreta varietà di vasi attici a figure nere databili a partire dal 575 a.C. Presenti sono pure piccoli aryballoi per profumi, corinzi e di Naukratis, e due rhytà ionici a forma di animale (VI o V sec. a.C.). Sono stati rinvenuti anche vasi a figure rosse del IV sec. a.C., frammenti di pasta vitrea e un contenitore di alabastro per profumi, mentre gli unguentari si datano tra il VI sec. a.C. e il I sec. d.C. La ceramica greca fu imitata in ambito locale ed è anche abbondante la ceramica campana. Il mosaico più famoso di A., copia di una pittura originale greca del IV sec. a.C., rappresenta il Sacrificio di Ifigenia; sono presenti inoltre mosaici in bianco e nero con iscrizioni in greco e altri policromi con pesci o uccelli.
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di José M. Nolla
La storiografia tradizionale riteneva A. praticamente distrutta in seguito alle invasioni germaniche della metà del III sec. d.C.: la Tarda Antichità e l’Alto Medioevo non avrebbero visto altro che la modesta sopravvivenza di un luogo sostenuto dal prestigio di un nome nobile e antico; nonostante ciò, alcuni importanti dati non combaciavano. In effetti, a partire dal 516 d.C. è documentata l’esistenza di una sede episcopale che fu attiva fino all’invasione saracena degli inizi dell’VIII secolo. Dopo la conquista della Marca Ispanica da parte dei Franchi, A. divenne capitale comitale e centro di un distretto politico: ricopriva quindi un ruolo importante, in contrasto con la tradizionale visione di una città in rovina e pressoché abbandonata.
Un’analisi più dettagliata dei dati consente di comprendere adeguatamente l’evoluzione della città nel passaggio dal mondo antico a quello medievale. La grave crisi che colpì A. a partire dalla fine del I sec. a.C., che l’archeologia illumina perfettamente, obbligò la città a cercare un nuovo equilibrio. Si abbandonarono a poco a poco diversi settori, fino a che, verso la fine del III sec. d.C., la popolazione si concentrò a San Martín de A., l’antica isola che aveva costituito il primo insediamento (la Palaiapolis di Strabone). La città, adattatasi alla nuova realtà, superò la crisi, come è provato da una nutrita serie di dati. In un momento indeterminato del Basso Impero, San Martín de A. venne protetta da poderose mura, che ricordano le fortificazioni tarde di Gerunda: se ne conservano alcuni settori, tali da consentire la ricostruzione del perimetro, coincidente con quello medievale. Queste solide difese assicurarono la protezione della città e della popolazione dispersa che abitava nei dintorni.
Poco sappiamo della sua struttura urbana, visto che sono stati effettuati scavi solo nell’area immediatamente a nord della chiesa attuale: sono stati rinvenuti muri e pavimenti pertinenti a un edificio tardoromano e resti della necropoli più antica intra muros del VI sec. d.C., ma con continuità d’uso. Questi resti sembrano provare l’esistenza nell’area di un edificio sacro, forse la basilica cattedrale, e di fortificazioni altomedievali. Nell’altro lato del porto, sopra le rovine della Neapolis, si localizzò la principale necropoli della città, in uso tra il IV e l’VIII secolo, con più di 500 tombe e con una cella memoriae dedicata a un personaggio importante, ma sconosciuto, del primo cristianesimo ampuritano. A Santa Margarita la fotografia aerea ha consentito l’individuazione di un edificio di notevoli dimensioni, che i più recenti scavi datano alla Tarda Antichità e al quale si possono associare la grande necropoli di Ca n’Estruc e molte altre tombe tarde collocate attorno. A Santa Magdalena, a San Vincenç e soprattutto nel Castellet, nella collina di Las Corts, altre importanti necropoli provano l’esistenza di una numerosa popolazione dispersa nel suburbio. L’invasione saracena (attorno al 717) non lasciò alcuna traccia, ma segnò la fine della sede episcopale ampuritana.
La conquista carolingia di questi territori a sud dei Pirenei è del 785 o di poco successiva; la zona venne di nuovo ristrutturata e A. fu la residenza comitale, con le altre due civitates della zona, Gerunda e Bisculdunum (Besalú), prova evidente del suo prestigio. La città era fortificata e, come nell’epoca del suo massimo splendore, era orientata verso il mare. All’interno era una chiesa dedicata a s. Martino di Tours, documentata nell’843: potrebbe essere la vecchia basilica episcopale visigota, ambiziosamente ricostruita nel 926 dal conte Gausberto. Disponendo di buone navi, i conti praticarono scorrerie al largo della costa peninsulare e nelle Isole Baleari fino al 935, quando il califfo di Cordova inviò una poderosa spedizione punitiva che assediò A., distrusse i cantieri navali e le navi, nel porto e mise a ferro e fuoco le terre dei dintorni, finché, senza prendere la città, si ritirò. Questo evento significativo è forse una tra le cause dello spostamento della capitale della contea da parte di Gausberto (931-991) e di Ugo II (1078-1116). San Martín fu, a partire da quel momento, solo un forte militare avanzato e soffrì gli effetti delle terribili guerre civili della metà del XV sec. d.C., durante le quali venne attaccato varie volte e distrutto. La chiesa di S. Martino, ricostruita nel 1312, dovette essere nuovamente edificata nel 1516, approssimativamente con l’attuale aspetto. Al suo interno tre mensae altaris, due paleocristiane e un’altra preromanica, costituiscono alcuni dei pochi elementi conservatisi dell’antico splendore.
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