Le province europee dell'Impero romano. Le province iberiche
I Romani chiamavano Hispania la provincia iberica nel suo complesso, riconoscendo a questa vasta regione caratteristiche di sostanziale unitarietà: è per questo che, malgrado le province istituite in quest’area fossero tre (Hispania Baetica, Hispania Tarraconensis, Lusitania), si potrà qui procedere a un esame a sua volta unitario.
Gli interventi romani nella Penisola Iberica, come quelli nelle grandi isole al centro del Mediterraneo, ebbero inizio nel quadro della drammatica vicenda delle guerre puniche. Cartagine, battuta al termine della prima di tali guerre (241 a.C.), aveva creato un nuovo impero territoriale in Spagna dove del resto la presenza fenicio-punica risaliva a fasi molto antiche; il fiume Ebro, con un trattato stipulato nel 226 a.C., fu adottato come linea di confine: a meridione la sfera di influenza della potenza nordafricana (che tale restava anche se duramente colpita); a nord quella di Roma, che in quei decenni era in forte espansione. Il precario equilibrio si spezzò nel 219 a.C., quando Annibale (che dal 221 era diventato il comandante cartaginese nella penisola) dopo otto mesi di assedio prese e distrusse Sagunto (Saguntum), posta a sud dell’Ebro ma alleata dei Romani (i quali per la verità, in quel momento critico, non la aiutarono affatto). Non era una città di grandissima importanza strategica, ma divenne un casus belli.
L’esercito romano nel 218 a.C. sbarcò a Emporion (Ampurias), sede di un’antica colonia greca, al comando di Publio e Gneo Scipione; ma i due generali, rappresentanti di un’illustre famiglia, trovarono la morte nel 211 e fu il loro nipote Scipione Africano a portare a termine l’occupazione di un’ampia porzione del paese. Non era, però, che l’inizio: le operazioni per la sottomissione della Penisola Iberica durarono due secoli e non per caso diceva Livio (XXVIII, 12, 12) che questa era stata la prima provincia a essere invasa e l’ultima a essere conquistata. Una provincia, in effetti, fu subito costituita anche se divisa in due parti: Hispania Citerior (“al di qua” dell’Ebro, quindi per chi arrivava dalla Gallia e da Roma, a nord) e Hispania Ulterior (“al di là” dell’Ebro, quindi a sud). Non mancarono nei decenni successivi buoni governatori, come Catone il Censore (195 a.C.) e Tiberio Gracco (180 a.C.), ma si verificarono anche numerosi casi di corruzione e concussione.
Il malgoverno fu fra le cause di gravi e persistenti rivolte di popolazioni iberiche: quella dei Lusitani e dei Celtiberi terminò con la presa di Numantia, dopo un lungo assedio, da parte di P. Cornelio Scipione (141 a.C.) e con la morte di Viriato, valoroso capo-guerriglia lusitano catturato grazie a un tradimento (139 a.C.). Nel I sec. a.C. le vicende della Spagna si intrecciano con quelle delle guerre civili che infiammano l’Urbe: Sertorio, nominato governatore della provincia da Mario nell’82 ma poi proscritto da Silla, organizza proprio qui per 10 anni (prima di soccombere nel 72 a.C.) la sua opposizione contro il dittatore, appoggiandosi alle élites locali; fra il 49 e il 46 a.C. Cesare, con le battaglie di Ilerda (Lerida) e di Munda, liquida i seguaci di Pompeo assumendo il controllo delle Hispaniae e di tutto l’Occidente. Cesare fonda nella penisola 30 colonie; altre 100, a coronamento di un programma di urbanizzazione intensissimo (qui come altrove), ne fonderà Ottaviano Augusto, il quale tuttavia dovrà anche affrontare (assumendo direttamente nel 27 a.C. il comando dell’esercito) le ultime rivolte, quelle delle popolazioni nordoccidentali della Cantabria, delle Asturie e della Galizia.
Il comando sarà poi “girato” al fido Agrippa, che porterà a termine l’impresa nel 19 a.C. Duecentouno anni dopo lo sbarco a Emporion e dopo una serie di episodi cruenti e crudeli finisce quella che, riprendendo un’espressione di Polibio relativa alla guerra di Numantia (XXXV, 1, 1), si può definire una “guerra di fuoco”. La penisola assume un suo assetto istituzionale definitivo e si articola in tre province: Hispania Baetica (dal nome del fiume Baetis, Guadalquivir) o Ulterior, a sud, con capitale Corduba (Cordova); Hispania Tarraconensis (dal nome della capitale Tarraco, Tarragona) o Citerior, a nord e a est (nettamente la più grande delle tre), comprendente anche le ultime conquiste di Augusto e di Agrippa; Lusitania (corrispondente più o meno all’attuale Portogallo) a ovest, con capitale la Colonia Iulia Augusta Emerita (Mérida). Al principio del III sec. d.C. la Asturia et Callaecia (i territori delle conquiste augustee) diviene provincia a sé; con il riassetto dell’Impero attuato da Diocleziano, alla fine del III secolo, la Tarraconensis è divisa in due unità minori; nel IV sec. d.C. vengono distaccate le Baleari.
Al di là degli assetti politico-amministrativi, la romanizzazione della provincia è intensissima. Potrebbe sembrare cosa singolare, vista la lunghezza e la durezza delle guerre di conquista; ma contemporaneamente alle operazioni belliche era stata attuata una costante, seppur graduale, politica di assimilazione delle élites locali. L’intensità della romanizzazione è comprovata da una serie di circostanze: sono iberici il primo senatore non italico (e precedentemente, a partire dal 90 a.C., tribuno della plebe), Q. Varius Severus; il primo console non italico, L. Cornelius Balbus (40 a.C.); il primo imperatore non italico, Traiano, salito al trono nel 98 d.C. Di origine iberica saranno Adriano, che succederà allo stesso Traiano nel 117, e molto tempo dopo (a partire dal 347) Teodosio I il Grande. Originari della Penisola Iberica sono anche scrittori come Seneca, Marziale, Lucano, Quintiliano. Questa romanizzazione così accentuata non solo si riflette nell’architettura e nelle arti figurative, ma anche nell’assetto economico-produttivo.
Intenso, per tutta la durata dell’età imperiale, è lo sfruttamento delle risorse minerarie (piombo, rame, minerali di ferro), ma soprattutto, in misura davvero notevole, di quelle agricole. Nella vallata del Guadalquivir si producono in abbondanza vino e olio di qualità notevole che alimentano soprattutto all’inizio dell’età imperiale (in prosieguo di tempo si farà avvertibile la concorrenza delle province africane) una fiorente esportazione. A Roma, principale importatrice, l’accumulo di anfore olearie provenienti dalla Baetica, soprattutto la cosiddetta Dressel 20, dalla caratteristica forma panciuta, ha dato luogo addirittura alla formazione di una collina, il Mons Testaceus, cioè letteralmente “monte dei cocci” (Testaccio). Il singolare accumulo di cocci era determinato dal fatto che, dopo l’uso, le anfore non potevano essere riutilizzate e dovevano perciò essere eliminate. Legate al settore alimentare erano anche le principali industrie, come quelle della salagione e conservazione del pesce, particolarmente rilevante sulle coste atlantiche e su quelle meridionali. Un dato storico di grande importanza, anche perché forse decisivo nell’orientare la religiosità degli Spagnoli dei secoli successivi, è la precoce e intensa fioritura del cristianesimo. Anche se non è certo che vi abbia fondato comunità antichissime (come riportano alcune tradizioni) addirittura s. Paolo, assistiamo nel IV e V sec. d.C. all’affermazione di forti personalità, come il vescovo Osio di Cordova, consigliere spirituale dell’imperatore Costantino, o come il poeta Prudenzio o lo storico Orosio, allievo di s. Agostino. In un intreccio assai stretto (che pure ritroveremo nei secoli successivi) fra religione e potere, dobbiamo anche ricordare che la corte del già menzionato Teodosio, costituita da Iberici intransigenti, ebbe un ruolo notevole nella definitiva condanna del paganesimo. La vita della Hispania Romana sarà interrotta dalle successive penetrazioni di Alani, Suebi, Vandali e Visigoti: intorno alla metà del V secolo, questi ultimi fonderanno un loro nuovo regno; saranno a loro volta sconfitti dagli Arabi all’inizio dell’VIII secolo e costretti a rifugiarsi sulle montagne delle Asturie.
Urbanistica
Le province iberiche presentano una situazione peculiare: rispetto alle altre regioni dell’Occidente qui l’urbanizzazione, già prima dell’arrivo dei Romani, non era un fenomeno del tutto sconosciuto. Non solo vi erano colonie fenicio-puniche e in qualche caso città greche (come Emporion), ma anche i centri iberici in altura, che si potrebbero denominare oppida, erano organicamente articolati in spazi pubblici e privati e si potevano definire in molti casi vere e proprie città. Ciò non toglie che l’urbanizzazione introdotta dai Romani fosse un fenomeno su tutt’altra scala, sia come numero di interventi (altissimo, come si è detto, con inserimenti in situazioni preesistenti, ma anche e soprattutto con insediamenti costruiti ex novo) sia come qualità delle realizzazioni. Alle porte dell’antica Emporion si era stabilito, già all’epoca dello sbarco del 218 a.C., un presidio militare cui ben presto si sovrappose, alla fine del secolo, una nuova e importante città, Emporiae (Ampurias).
Le mura erano costruite con due diverse tecniche: zoccolo di opera poligonale, parte superiore di opera cementizia; all’interno, in un sistema di isolati costruiti secondo un modulo costante, si inseriva il grande complesso del foro, costruito a opera di maestranze fatte venire dalla Campania: comprendeva un tempio ed era circondato da dimore signorili. La Colonia Lepida Celsa, fondata nella Hispania Citerior dal cesariano M. Emilio Lepido in corrispondenza di un guado dell’Ebro, presenta anch’essa un impianto ortogonale con isolati regolari: le case ad atrio, alcune delle quali notevoli, sono ispirate a modelli centro-italici. Il caso più rilevante è però quello di Tarraco (Tarragona), che sarà capitale della provincia e che nasce (similmente a Emporiae) come insediamento militare, ma accanto a un centro indigeno in altura chiamato Kesse; e già in età repubblicana si realizzano terrazzamenti sul fianco dell’altura stessa, dove poi si svilupperà, disposta scenograficamente in vista del mare, la città di età imperiale. La Colonia Iulia Augusta Tarraco ha un assetto urbano notevole. In basso è il cosiddetto “foro municipale” con tempio (unico elemento oggi ben riconoscibile, per la verità) e basilica; in alto, all’estremità nord-est della città, viene costruito da Vespasiano e completato da Domiziano un grandioso insieme monumentale su tre livelli. Vespasiano fa impiantare sulla quota più elevata una porticus triplex, un portico a tre bracci che racchiude un’ampia piazza e si apre verso la città; al centro del braccio di fondo è il tempio dedicato al culto imperiale provinciale. Subito sotto, lo stesso Vespasiano aggiunge una piazza decisamente enorme, anch’essa circondata da portici, probabilmente sede dell’assemblea provinciale annuale, o concilium. Sotto ancora si aggiunge con Domiziano un circo, anch’esso di dimensioni notevoli, sede di giochi che si svolgevano in occasione delle manifestazioni politiche e religiose ospitate dai settori sovrastanti. A Roma in età augustea era stato raccordato il Circo Massimo con il portico delle Danaidi e con il tempio di Apollo sul Palatino: l’aspetto di insieme non doveva essere del tutto dissimile. A Tarragona, come ad Augusta Emerita (Mérida) e a Corduba (Cordova), (cioè nelle capitali delle tre province iberiche) erano presenti cicli di sculture ispirati al programma figurativo del foro di Augusto a Roma.
Nella Hispania Ulterior, o Baetica, già Scipione nel 206 a.C. aveva fondato, lungo il corso del Guadalquivir, Italica, così chiamata perché erano di origine italica i veterani inviati a popolarla. La città di età repubblicana è sotto l’attuale Santiponce e si è ipotizzato che a sua volta sorgesse sopra un insediamento indigeno. La sua vita continuò ovviamente anche in età imperiale: qui nacquero Traiano e Adriano e qui sorse, per volontà di quest’ultimo (e in onore del predecessore) una Nova Urbs dall’impianto regolare, molto più grande rispetto al nucleo originario e dotata di monumenti importanti, quali un Traianaeum e un anfiteatro, e di case riccamente mosaicate. Italica non diventa tuttavia capoluogo della provincia (ruolo che resta affidato a Corduba), in quanto il suo rapido e straordinario sviluppo è dovuto a intenti più celebrativi che funzionali; anzi per la verità la sua fioritura è alquanto effimera.
Corduba era stata fondata anch’essa in età repubblicana nella fertilissima vallata del Guadalquivir, nei pressi di un guado del fiume, non lontano da un abitato preromano rispetto al quale tuttavia la città si discosta, alla ricerca di un sito ancor più favorevole; sembra che il suo impianto urbano fosse di tipo ortogonale fin dall’inizio (anche se la presenza della città attuale rende difficili le indagini) e che in età imperiale fosse dotata di tre grandi piazze: il foro, collocato all’incrocio fra cardine e decumano; un secondo complesso monumentale tangente al cardo maximus, che ospitava fra l’altro statue dei flamines provinciali, di cui restano piedistalli con iscrizioni; un terzo grande spazio lungo il tratto orientale delle mura, circondato su tre lati da portici e aperto sul quarto lato verso l’esterno, con al centro un tempio (esastilo su alto podio) databile all’età di Claudio. Fra le altre città della Tarraconense in cui in qualche modo è ricostruibile l’assetto complessivo, ricordiamo Caesaraugusta (Saragozza) presso un ponte sull’Ebro, con due complessi forensi situati proprio in prossimità del fiume, e Clunia, nel Nord della Meseta, punto di riferimento per ampi territori pianeggianti coltivati a cereali. Questa funzione di “attrazione” per quanti risiedevano nelle campagne circostanti sembra confermata dalle dimensioni del foro, del teatro, delle terme, monumenti che appaiono troppo grandi per essere destinati soltanto ai residenti.
La capitale della Lusitania, Colonia Iulia Augusta Emerita (Mérida), viene anch’essa fondata, come molte delle città prese in considerazione, in prossimità di un importante fiume, la Guadiana: a impiantare la colonia è Agrippa, genero e uomo di fiducia di Augusto. L’impianto (a quanto si può ricostruire nella difficile situazione determinata dalla presenza della città moderna) era tendenzialmente (anche se non del tutto rigorosamente) regolare, dominato da un grande teatro fatto costruire dallo stesso Agrippa e da un annesso anfiteatro e caratterizzato (come nel caso di Corduba) dalla presenza di tre cospicui spazi pubblici: due diversi fori, uno legato probabilmente ai riti della provincia, l’altro a quelli della colonia; e una terza piazza, detta convenzionalmente Foro di Marmo, con una ricca decorazione scultorea che riprendeva elementi ispirati al foro di Augusto a Roma. Ponti, acquedotti, ville suburbane arricchiscono il quadro di questa importante città.
Sempre in Lusitania, notevole è anche il caso di Conimbriga: sul luogo di un insediamento preromano, dall’impianto piuttosto ordinato anche se non regolare, si attua (inserendosi abbastanza rispettosamente in tale impianto) un primo rilevante intervento in età augustea, con la creazione di un grande complesso forense tripartito, costituito da foro, tempio e basilica; fra il tempio, sopraelevato, e la piazza è presente un criptoportico. In epoca flavia l’abitato viene totalmente ristrutturato, assumendo un impianto ortogonale, come pure viene rifatto il complesso forense che, abbastanza curiosamente, mantiene lo stesso sito e la stessa articolazione tripartita senza però riutilizzare affatto le strutture augustee.
Edilizia pubblica
Proprio dai complessi forensi, che evidentemente occupano un posto di spicco nel panorama delle città, possiamo ripartire per una valutazione delle principali tipologie monumentali testimoniate nella Hispania Romana. Gode di notevole diffusione la sequenza tempio - piazza porticata - basilica giudiziaria, così come si è andata definendo in Italia fra la fine dell’età repubblicana e l’inizio dell’età imperiale. Si tratta in genere di un organismo architettonico progettato unitariamente e non – come spesso in età mediorepubblicana – di una piazza “aperta” a successivi inserimenti; il tempio, in genere, è in fondo alla piazza, offrendosi (dato che questa abitualmente non è molto larga) in una prospettiva che per i visitatori è quasi obbligata. Si affermava comunemente, almeno fino a non molto tempo fa, che fonti di ispirazione per questo tipo di schema fossero il Foro di Cesare e il Foro di Augusto a Roma. In realtà, né il Foro di Cesare (in origine) né quello di Augusto ebbero forse basiliche; inoltre, se è vero che alcuni elementi (spazio progettato unitariamente, tempio in prospettiva obbligata) sono spesso presenti, è anche vero che nei templi delle province iberiche a noi noti, e per la verità non solo in quelli, le soluzioni di volta in volta adottate presentano tali varianti che quello schema finisce per costituire un punto di riferimento un po’ vago.
Bisogna anche tenere presente che alcuni fori spagnoli (non solo quelli che abbiamo menzionato, per i quali è possibile cogliere le modalità di inserimento in un tessuto urbano, ma anche altri, che ci sono noti frammentariamente o comunque avulsi da contesti) hanno conosciuto le prime fasi costruttive anteriormente alla costituzione del presunto modello urbano. Quello di Saguntum è di età augustea ma la piazza con basilica cresce attorno a un Capitolium già eretto in età tardorepubblicana. Quello di Emporiae, risalente al 100 a.C. circa, è costituito in origine da una piazza circondata da un portico a tre bracci a doppia navata, poggiante su un criptoportico; al centro della piazza è un tempio corinzio pseudoperiptero, forse anche qui un Capitolium. In età augustea la piazza è più che raddoppiata e reca sul lato opposto al tempio una fila di botteghe; viene aggiunta inoltre una serie di edifici minori.
Non sembrano tuttavia seguire rigidamente uno standard precostituito nemmeno i complessi forensi costruiti ex novo a partire dall’inizio dell’età imperiale. Qualche volta è il tempio a presentare situazioni inusuali: il Capitolium di Baelo (scegliendo una soluzione non del tutto unica – come, ad es., a Sufetula in Africa Proconsolare – ma certo non troppo frequente) è costituito da tre templi affiancati. Anche la posizione della basilica si rivela tutt’altro che costante: si trova sul lato opposto rispetto a quello dell’edificio (o degli edifici) di culto nella stessa Baelo, a Valeria (anche qui siamo in età giulio-claudia), a Barcino (Barcellona) e a Caesaraugusta (età augustea), nonché nella già ricordata fase flavia di Conimbriga; sorge invece (parallelamente all’asse principale del foro) lungo uno dei portici laterali (di cui sembra costituire una dilatazione) a Bilbilis (età augustea) e nelle menzionate fasi, rispettivamente, di ristrutturazione e di primo impianto (siamo sempre in età augustea) di Emporiae e di Conimbriga. A Bilbilis, a Saguntum e, per quanto riguarda l’età flavia, a Munigua la conformazione scoscesa del terreno determina assetti non canonici, su più livelli, ammesso che – di fronte a situazioni orografiche siffatte – si possa ancora parlare davvero di “canone”.
La situazione delle tre capitali, come abbiamo già visto, è ancor più variegata, in quanto i complessi forensi o affini sembrano moltiplicarsi. Ad Augusta Emerita, una prima piazza con portico e criptoportico (in gran parte scomparsi) era disposta attorno al cosiddetto Tempio di Diana (che invece è parzialmente conservato e ricostruibile). Un secondo foro, con arco di ingresso a tre fornici e con un tempio più grande (ma anche qui i resti sono incerti) era forse di poco più tardo. A sud-est si aggiungeva una terza piazza, detta Foro di Marmo: ed è qui che si recupera un legame con il Foro di Augusto a Roma. Si è visto che è ben difficile cogliere a livello di progetto complessivo la dipendenza da un presunto modello architettonico urbano: il Foro di Marmo ci consente di afferrare qualche analogia con il grande complesso romano in certe componenti, ma soprattutto in alcuni temi della decorazione scultorea.
Il Foro di Augusto presentava fra l’altro, entro nicchie lungo le pareti di fondo dei portici laterali e delle esedre (e talvolta distribuite qua e là fra le colonne dei portici stessi), le statue dei personaggi più importanti della storia dell’Urbe (summi viri); sull’asse delle stesse esedre, da un lato e dall’altro del pronao del tempio di Marte Ultore, rispettivamente il gruppo di Enea, Anchise e Ascanio e la statua di Romolo avanzante; sull’attico dei portici Cariatidi (imitazioni di quelle dell’Eretteo di Atene) alternate con clipei contenenti busti di Giove Ammone, ma anche di divinità proprie del mondo celtico (Cernunnos), a simboleggiare il dominio di Roma sulla parte orientale e su quella occidentale del mondo conosciuto. Nel monumento romano restano numerosi avanzi dei summi viri e delle sculture dell’attico, ma dell’Enea e del Romolo (espressione di momenti diversi del mito della nascita di Roma) non resta nulla e fino a poco tempo fa ne avevamo un’idea attraverso riproduzioni in modeste pitture pompeiane e in rilievi “minori” (vista la loro popolarità, tali opere erano state evidentemente riprodotte un po’ dovunque).
Ebbene, nel Foro di Marmo di Mérida è stato individuato, pochi anni fa, un muro a nicchie; nella zona sono state rinvenute inoltre, intere o frammentarie, numerose statue di togati, alcune scolpite da artigiani di ottimo livello, altre da esecutori un po’ sommari. Quel muro doveva dunque contenere una galleria locale di summi viri. Sono stati rinvenuti inoltre (anche in questo caso, sia interi, sia frammentari) molti clipei e molte Cariatidi: malgrado queste ultime siano in bassorilievo (mentre quelle del foro di Augusto sono a tutto tondo), il riferimento è molto chiaro. Nel medesimo foro sono stati anche rinvenuti, pochi anni fa, frammenti di un gruppo ricostruibile come “gruppo di Enea”, stilisticamente meno raffinato rispetto al presumibile livello dell’originale, ma di dimensioni nettamente maggiori rispetto alle pitture e ai rilievi finora noti, i quali hanno suggerito lo schema compositivo dell’opera e hanno quindi consentito l’interpretazione e l’ideale ricollocazione dei frammenti di Mérida.
Che il Foro di Augusto fosse un modello dal punto di vista del programma figurativo più che da quello della composizione architettonica è confermato da rinvenimenti verificatisi nei fori provinciali delle altre due capitali, Tarraco e Corduba. A Tarragona, il portico che racchiude il terrazzo più in alto, cioè quello in cui sorgeva il tempio, era decorato da clipei, anche se per la verità meno simili agli originali urbani rispetto a quelli di Mérida (siamo in età imperiale più avanzata, cioè in età flavia, e questo potrebbe forse spiegare la maggiore indipendenza dal modello). A Cordova, è stato ritrovato il torso di una statua dalla finissima lorica (corazza) che, a quanto si può giudicare da quel che resta, rappresentava una figura in movimento con il busto leggermente proteso in avanti: sulla base delle modeste riproduzioni finora note, è stato interpretato come replica (stavolta di buon livello) del Romolo del foro di Augusto. In sostanza, se Mérida ci offre la riproduzione (su scala meno monumentale) di una parte delle architetture del monumento romano, ben più consistente appare, oltre che nella stessa Mérida, a Tarragona e a Cordova il riferimento al programma figurativo con i suoi significati ideologico-propagandistici.
I templi, oltre a quelli dei complessi forensi, nella maggior parte dei casi sono edifici di dimensioni cospicue anche se non straordinarie, esastili, corinzi, su alto podio, che hanno notevole evidenza nelle piazze porticate. Un caso particolare è quello del Capitolium di Baelo, tempio della Triade Capitolina (Giove, Giunone, Minerva) che dedicava a ognuna delle tre divinità una cella diversa. In genere, comunque, i templi forensi tendono a trasformarsi man mano da capitolia in sedi del culto imperiale. Se si sposta lo sguardo al di là dei fori, bisogna ricordare anzitutto il cosiddetto Tempio di Diana (ma in realtà non si sa a quale divinità fosse dedicato) di Évora in Lusitania, esastilo corinzio del II sec. d.C., in stato di conservazione assai notevole; forse ancor più rilevante, il complesso di età flavia di Munigua nella Baetica, costituito da varie terrazze disposte sul pendio di un’altura, con grandi rampe di raccordo, e che costituisce perciò un’importante ripresa di soluzioni scenografiche adottate in età repubblicana in santuari del Lazio come quelli di Praeneste e Tibur (Palestrina e Tivoli), i quali a loro volta si ispirano a complessi monumentali ellenistici. Non è da escludersi, in ogni caso, che si tratti della monumentalizzazione di un luogo di culto iberico. Anche qui non si sa a quale divinità fosse dedicato l’edificio: fra le ipotesi avanzate, ricordiamo quelle di Hercules Gaditanus o della Fortuna Augusta, anche se alcuni frammenti di iscrizione testimoniano il successivo subentrare (come avviene spesso anche altrove) del culto imperiale.
Nell’Andalusia orientale e nel Levante erano state già attuate in età repubblicana monumentalizzazioni di santuari preromani collocati in altura. Particolarmente noto è il santuario iberico di Cerro de los Santos, in cui si sono rinvenute numerose e rilevanti sculture; il tempio romano che vi si inserisce, dedicato forse alla dea italica Pales, è oggi scomparso ma è noto da disegni ottocenteschi. Era di forma piuttosto allungata, condizionata dalla forma lunga e stretta dell’altura (una sorta di promontorio) su cui sorgeva. Il santuario di La Encarnación, disposto su più terrazze, sembra fosse frequentato già alla fine del II millennio a.C.: qui i templi romani erano addirittura due e il maggiore era un ottastilo pseudoperiptero di ordine ionico. Molto complessa la situazione anche a La Luz (Murcia), dove la divinità venerata era probabilmente Demetra: le varie terrazze erano circondate da portici e collegate da gradinate.
Tornando al culto imperiale, una situazione da prendere in esame è quella del Traianeum di Italica, cioè del tempio dedicato da Adriano a Traiano divinizzato nella città che doveva il suo repentino ed effimero sviluppo proprio al fatto di essere la patria di questi due imperatori. Nello schema ortogonale dell’impianto della Nova Urbs costruita accanto al primitivo insediamento di Scipione, il Traianeum occupa lo spazio di due isolati ed è realizzato con il largo impiego di vari tipi di marmo: il tempio, un grande ottastilo corinzio, era al centro di una vasta piazza porticata in cui si entrava dal lato nord-est attraverso un ingresso monumentale esastilo; il muro che chiude il portico e la piazza si articola in nicchie alternate semicircolari e rettangolari. È singolare che tale pianta a nicchie caratterizzi anche il muro che racchiude un altro grande monumento adrianeo in una situazione differente (ben più rilevante) in cui pure, in qualche modo, l’imperatore aveva promosso lo sviluppo di una città nuova accanto all’antica: il grande giardino antistante la Biblioteca di Atene, che forse è da interpretarsi più correttamente come archivio del governo provinciale dell’Achaia.
In una provincia così romanizzata gli edifici per spettacolo non possono non essere numerosi, dato il posto di primo piano che teatro, anfiteatro e circo occupano nella vita quotidiana di età imperiale. I primi a diffondersi sono i teatri, alcuni dei quali sono già costruiti addirittura prima della fine dell’età repubblicana; in età giulio-claudia cominciano ad aggiungersi importanti anfiteatri; dall’età flavia si inizia la costruzione anche di circhi, che si protrarrà fino al III-IV sec. d.C. Solo le tre capitali e alcune delle città maggiori possiedono tutti e tre i tipi di edificio; spicca il caso di Mérida, dove tutti e tre sono ultimati precocemente e contemporaneamente. Quasi sempre (fra le poche eccezioni è da ricordare Tarragona) i teatri sono collocati all’interno delle mura: anche se sono tutti – per usare una definizione convenzionale – di tipo romano (cioè con cavea pari a un semicerchio e non maggiore come nel caso dei teatri greci), spesso non sono interamente costruiti di muratura (come di norma quelli, appunto, romani), ma collocati in modo da sfruttare almeno parzialmente pendii naturali.
Sono spesso riccamente ornati di sculture: il teatro di Mérida ospitava nel portico-foyer retrostante la scena (porticus post scaenam) statue e fontane ed era arricchito da altari con rilievi; altari scolpiti erano anche nei teatri di Clunia, di Tarraco, di Italica. La scaenae frons (facciata dell’edificio della scena) esponeva spesso statue-ritratto di imperatori o di membri della famiglia imperiale. Anche gli anfiteatri sono in genere costruiti sfruttando almeno in parte la conformazione del terreno. I due più grandi, quelli di Mérida e di Italica, si pongono in maniera diversa dal punto di vista della collocazione urbanistica: il primo è stato realizzato quasi contemporaneamente al teatro e fa parte, insieme con quest’ultimo, di un unico progetto; il secondo è invece situato al di fuori della Nova Urbs voluta da Adriano e impostato secondo assi non coincidenti con quelli dell’impianto urbano. Nell’anfiteatro di Mérida, inoltre, sono state rinvenute lastre di granito dipinte con scene di venationes. I circhi sono poco numerosi e, in genere, piuttosto semplici: fanno eccezione quello di Tarragona, che fa parte del grandioso complesso del “foro provinciale” e, ancora una volta, quello di Mérida, notevole per dimensioni e per la qualità di realizzazione delle gradinate per il pubblico.
Gli archi onorari non sono molto numerosi in queste province, ma quando sono presenti pongono interessanti problemi. Il più noto è quello di Bará, presso Tarragona, a un solo fornice, con pilastri angolari scanalati e con capitelli corinzi: la sua sobria eleganza (che si apprezza anche per l’eccellente stato di conservazione) è stata confrontata con quella di noti archi traianei, come quello sul porto di Ancona. Anzi, poiché l’iscrizione parla di un Licinio Sura, in passato era dato per scontato che l’arco fosse collegato con il generale e uomo di fiducia del primo imperatore spagnolo, che era presente, ad esempio, nelle campagne daciche. Studi epigrafici recenti hanno però accertato che il Sura menzionato nell’epigrafe non sarebbe il personaggio in questione, ma un suo progenitore dell’inizio dell’età imperiale. Un altro arco in Tarraconensis è quello situato in altura presso Medinaceli (Soria), con vista su un’ampia pianura. Rispetto a quello di Bará è del tutto diverso: più piccolo, a tre fornici anziché uno, meno sobrio ma anche meno elegante. Non lontano, sono stati individuati resti di un muro di cinta e di edifici non ancora meglio precisati: elementi sufficienti, tuttavia, per dire che l’arco faceva riferimento a un abitato. Alla fine del I sec. d.C., in un momento che in tutta la provincia è di intenso rinnovamento edilizio, una piccola città pensò quindi di dotarsi di un ingresso monumentale (più che di un arco onorario), posto tuttavia in posizione avanzata rispetto alle mura, con funzioni più ornamentali e scenografiche che non pratiche.
A Segovia e a Tarragona si conoscono acquedotti (entrambi di età traianea) di straordinaria importanza, a due ordini di altissime arcate. I tratti superstiti, ben conservati, sono molto lunghi e spettacolari: a Tarragona si estendono per 217 m, a Segovia addirittura per 818 m; mentre il primo è un tratto suburbano, il secondo è quello con cui l’acqua entrava (ed entra tuttora) in città, giungendovi da una sorgente lontana 17 km. L’aspetto imponente di questo grande manufatto è dato anche dalla tecnica muraria impiegata, con uso di grandi blocchi squadrati e uniti a secco. Insieme all’adduzione delle acque anche il buon assetto della viabilità è caratteristica costante della romanizzazione. Sono noti in Spagna alcuni ponti di grande evidenza monumentale, come quello di Norba Caesarea (Alcantara, in Estremadura), città fondata sulla riva destra del Tago nel 54 a.C. Questo ponte sull’importante fiume fu costruito anch’esso in età traianea (epoca di notevolissimo impulso, quindi, per i grandi lavori pubblici): le sue sei arcate sviluppano 188 m di lunghezza. Un arco a un fornice sottolinea il punto centrale dell’attraversamento; all’ingresso è situato un tempietto e l’insieme è indubbiamente ragguardevole. Allo stesso periodo o poco prima, risale il lunghissimo ponte (lungh. 792 m, 60 arcate in grandi blocchi squadrati) che attraversa la Guadiana davanti a Mérida: è ancora in funzione anche se nei secoli è stato sottoposto a molteplici interventi.
Edilizia privata
Non mancano nella penisola situazioni interessanti, sia per quanto riguarda le case che i sepolcri. Le ricche, anche se effimere dimore della Urbs Nova di Italica sono fra le più note, sia per la bella decorazione musiva, sia per le loro planimetrie, che, pur con diverse varianti, sono in genere del tipo “ad atrio e peristilio”, con i vari ambienti disposti attorno a tali spazi scoperti. Numerose anche le ville extraurbane, sia in campagna, sia affacciate sul mare, con varie fasi costruttive e con rifacimenti talvolta radicali. È il caso, a Carcadilla presso Cordova, di una modesta residenza rurale dell’inizio dell’età imperiale che alla fine del III sec. d.C. viene trasformata addirittura nella residenza (Palatium) del praeses Provinciae Baeticae: il vasto complesso è impostato su grandi spazi e costituito da molti edifici diversi.
Elemento di snodo è un’ampia esedra porticata al termine di uno spazio molto largo e lungo, anch’esso fiancheggiato da portici. Attorno all’esedra si dispongono tre semicerchi, uno costituito da edifici pubblici, fra cui una grande aula che è stata paragonata addirittura alla basilica costantiniana di Treviri; uno costituito da edifici semipubblici, fra cui un ambiente simile alla cella trichora della villa di Piazza Armerina in Sicilia e a quella del Palazzo di Diocleziano a Spalato; uno costituito da strutture presumibilmente private, fra cui un piccolo impianto termale. Anche presso Complutum (non lontano da Madrid) sorgono numerose dimore composte da corpi di fabbrica diversi: una di queste comprende una stalla con cavalli e questo può essere messo in collegamento con le notizie delle fonti letterarie circa i rinomati allevamenti della Penisola Iberica. Presso Tarragona erano due sontuosissime villae maritimae, da porre in collegamento con il potere politico ai più alti livelli: quella in località El Munts fu sede nel II sec. d.C. del governatore della provincia e successivamente (III-IV secolo) fu ancora arricchita; quella, parimenti lussuosa, di Centcelles subì grossi riadattamenti fino al IV o all’inizio del V secolo, quando vi fu inserito il mausoleo di un imperatore, Costante o Massimo.
La villa di Almendralejo presso Mérida è nota non solo per le sue qualità architettoniche, ma perché è stato qui rinvenuto un celebre missorium d’argento, dono dell’imperatore Teodosio, capolavoro della toreutica tardoantica. Tuttavia altre ville, pur molto grandi e variate, non sono caratterizzate da simili lussi, ma legate a fattori produttivi, sia quelle rurali, che mantengono una fiorente attività agricola fino a età assai avanzata, sia quelle marittime (specialmente nell’Algarve), legate allo sfruttamento della pesca, con impianti per la salagione del tonno o di altre varietà di pesci oppure per la produzione di garum, la celebre salsa di interiora di pesce molto apprezzata dai Romani. Fra le ville rurali, occupano un posto a parte le tre di São Cucufate in Lusitania, nella regione portoghese dell’Alentejo presso il borgo di Vidigueira. Si distribuiscono lungo un ampio arco cronologico, che abbraccia l’intera età imperiale: la terza, databile al IV sec. d.C., è la più grande e anche la più ambiziosa dal punto di vista architettonico, in quanto propone (o forse è meglio dire accenna in scala minore) un tema, quello della galleria in facciata, che ebbe larga fortuna nelle grandi residenze tardoantiche, da Colonia alla regione di Treviri a Ravenna, da Spalato all’isola di Melita a Mogorjelo.
I numerosi sepolcri monumentali che furono costruiti nella penisola dovevano avere importanti precedenti: grandi tombe, anche decorate da sculture, erano senz’altro presenti prima della romanizzazione ed è incerto se possano essere compresi fra queste anche i rilievi, su cui però gravano non pochi dubbi. A romanizzazione avvenuta, il moltiplicarsi dei monumenti funerari di notevole impegno riflette l’esigenza di autocelebrazione sia da parte dei coloni, sia da parte delle aristocrazie locali che man mano si omologavano ai gusti e ai valori della potenza egemone, ma che già in precedenza avevano mostrato in qualche caso analoghe inclinazioni. Le forme sono varie: alcuni mausolei sono simili a grandi altari, altri sono a più ordini, impostati per di più su gradinate di base, e quindi raggiungono altezze considerevoli. Su un corpo inferiore chiuso, qualche volta decorato da un fregio dorico, se ne imposta uno superiore in forma di edicola che ospita statue; spesso è anche presente una copertura a piramide. Questo tipo di monumento è piuttosto diffuso: da Tarragona ad Ampurias, da Baelo a Gerona.
Il cosiddetto Sepolcro degli Scipioni, che con gli Scipioni non ha nulla a che fare, è fra i principali esempi di un tipo meno diffuso ma non trascurabile: i “monumenti turriformi”. La Torre Ciega di Cartagena presenta un corpo di base di opus reticulatum sormontato da un coronamento in forma di meta da circo. Un mausoleo circolare di Cordova (grande ma poco conservato) e il recinto funerario degli Atili di Sabada presso Saragozza (movimentato da edicole in facciata) sono esempi di monumenti meno diffusi, ma di rilievo. Estremamente significativo è il caso della necropoli di Carmona, presso Siviglia, in cui si alternano mausolei circolari e prestigiose camere funerarie ipogee. Un caso del tutto eccezionale è quello del mausoleo inserito nella già ricordata villa di Centcelles: un grande edificio a cupola, collegato con un altro conservato in misura assai minore. La cupola presenta mosaici a soggetto biblico (sia Vecchio, sia Nuovo Testamento) di singolare splendore. È una struttura degna di un imperatore: alcuni pensano a Costante, che fu ucciso in Spagna nel 350 d.C. (in questa ipotesi pesa anche il fatto che il vicino villaggio si chiama Constanti); altri pensano all’inizio del V secolo e all’imperatore Massimo.
Arti figurative
Prima dell’intervento romano, la Penisola Iberica presentava una situazione culturale piuttosto netta e consolidata: arte iberica a est e a sud, arte di ispirazione celtica a nord; soprattutto l’arte iberica, influenzata peraltro dalle presenze fenicia e greca, aveva conosciuto esiti particolarmente ben caratterizzati. Si è visto, inoltre, quanto dura fosse stata la conquista. Malgrado tutto questo la romanizzazione diede come risultato una sorta di azzeramento di quelle pur vigorose tradizioni; in età imperiale non se ne trova più eco in alcun sostrato, poiché la classe superiore iberica, fortemente condizionata dalla presenza di nuclei di Romani e di Italici, “ha assorbito meglio che altrove le forme dell’arte ufficiale romana, non dando spazio alla formazione di una vera e propria arte provinciale” (R. Bianchi Bandinelli). Qualche volta, specialmente alla fine dell’età repubblicana e in età augustea, certi atteggiamenti stilistici di origine locale riaffiorano, dando luogo a un riadattamento abbastanza libero dei temi dell’arte ufficiale: è il caso di alcune stele funerarie dei dintorni di Cordova, fra cui una in cui è raffigurata, in maniera piuttosto semplificata ma efficace, la raccolta delle olive.
Per considerazioni più specifiche, sarebbe necessario collocare con una certa sicurezza i già ricordati rilievi di Osuna, che furono rinvenuti reimpiegati in una fortificazione e che raffigurano soprattutto soldati ma anche, ad esempio, una danzatrice: si tratta di opere di arte iberica preromana o sono rilievi di epoca tardorepubblicana o imperiale (e in questo caso sarebbero stilisticamente collocabili accanto a quelli di Cordoba)? Nel primo caso, la fortificazione potrebbe essere dell’epoca delle guerre civili: probabilmente eretta da pompeiani che fronteggiavano da queste parti un assedio di Cesare. Nel secondo caso, forse, i rilievi stessi potrebbero aver fatto parte di un monumento cesariano che celebrava proprio la vittoria contro i seguaci di Pompeo e il muro in cui furono rinvenuti dovrebbe essere perciò un’opera più tarda. Se in presenza di questi dubbi è difficile commentare adeguatamente i rilievi di Osuna, certo il giudizio di R. Bianchi Bandinelli diviene particolarmente calzante con l’età imperiale; anzi, viene confermato anche da sculture che il grande studioso ancora non conosceva, come quelle scoperte a Mérida e a Cordova che avevano come modello diretto le sculture del foro di Augusto a Roma.
Nettamente ispirati a modelli urbani sono anche moltissimi ritratti, provenienti praticamente da tutti i centri della penisola. Qualche volta si riprendono fedelmente elaborate pettinature come quelle femminili di età flavia, come nel caso di una dama di Ampurias, eseguendole però con una facilità e disinvoltura nel trattamento dei materiali (in questo caso il bronzo) che ritroviamo anche in opere di arte minore. In un reggi briglie bronzeo da Marchena è rappresentato un Greco che disarciona un’Amazzone, reinterpretando in modo quasi divertente un tema assai diffuso nell’arte classica; in un’applique pertinente in origine a un recipiente, conservata a Madrid, è raffigurata in maniera gustosa una partenza per la caccia. Altre volte il persistere di mode indigene è rivelato da un piccolo tocco, come nel caso della cosiddetta Gitana di Mérida, ritratto di dama che presenta fra tempie e zigomi curiosi riccioli a volute simili a strane basette. In alcune zone di preesistente cultura celtica, come nel Nord-Ovest (area di Burgos), persistono in certe stele compiacimenti decorativo-disegnativi, in cui spicca fra gli altri, con vari gradi di accuratezza, il motivo del disco a intaglio (“stella-ruota”) che sembra derivato dalla lavorazione del legno.
I mosaici riprendono, nel I e II sec. d.C., motivi provenienti dal centro dell’Impero: in città come Mérida e Italica sono presenti esempi in bianco e nero del tipo di quelli di Ostia, cosa che in altre province praticamente non si riscontra. Dal III secolo in poi prevalgono, piuttosto a lungo, mosaici policromi di ispirazione africana; proprio fra le opere più tarde è possibile rintracciare quelle più interessanti. A Mérida un mosaico prodotto (come dice l’iscrizione) ex officina Anniponi raffigura, con immagini fortemente schematizzate, il mito di Dioniso e Arianna; nella Casa del Mitreo, il cosiddetto Mosaico Cosmico presenta le personificazioni dei diversi elementi della natura ruotanti attorno ad Aion, divinità del tempo assoluto (contrapposto a Chronos, personificazione del tempo terreno).
Ceramiche e oggetti di uso comune
Interessanti nella Penisola Iberica sono anche produzioni che, più che con la sfera storico-artistica, hanno attinenza con la cultura materiale. Per il trasporto delle derrate alimentari da esportazione (vino, grano, olio) si fabbricano contenitori adeguati: anfore vinarie, granarie, olearie, fra le quali, come si è accennato, spicca soprattutto quella adibita al trasporto dell’olio dell’Hispania Baetica, la Dressel 20. Per quanto riguarda il vasellame da mensa, dopo un lungo periodo in cui si importavano, in successione, ceramica campana a vernice nera, poi aretina, poi sud-gallica, si avviò nel 50 d.C. circa una fiorente produzione di ceramica iberica, in cui peraltro riemergevano (pur con adattamenti) motivi propri della fase preromana: serie di pannelli, bordure a lisca di pesce, serie di cerchietti, piccole figure di uomini, di animali, di piante. Questa ceramica ebbe una certa diffusione, oltre che nella penisola, nelle Baleari, in Mauretania e, in minor misura, nella Gallia Narbonense.
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