Le province romane d'Asia
di Sergio Rinaldi Tufi
Sul versante mediterraneo del continente asiatico si affacciano le vaste aree di Asia Minore, di Asia Superiore e di Asia Anteriore, terre di antichissima civiltà. La distinzione, con conseguente denominazione, viene introdotta all'epoca delle conquiste di Alessandro Magno: l'Asia Minore corrisponde alla Penisola Anatolica, cioè all'attuale Turchia; l'Asia Superiore alle satrapie orientali dell'impero achemenide fino alla Mesopotamia, l'Asia Anteriore all'area siro-palestinese. Tutte e tre le aree sono soggette all'espansione romana, ma in diversa misura: in maniera significativa la prima e l'ultima, con estensione (al tempo di Traiano) alla Penisola Arabica; in maniera limitata ed episodica l'altra, con particolare riferimento ai territori fra il Tigri e l'Eufrate. Soprattutto riguardo all'Asia Minore, si può dire che la casistica sia immensa: Giuseppe Flavio (lo scrittore di origine ebraica che nel I sec. d.C. lavora alla corte di Vespasiano e Tito) parla di 500 città; quelle di cui si conoscono resti o almeno notizie sono 282. Per l'importanza anche demografica delle province orientali basta pensare ai dati proposti nel 1938 da T. Frank per la popolazione delle province e si consideri che la popolazione di tutto l'Impero romano è valutata, durante il II sec. a.C., attorno ai 60.000.000 di abitanti. Alcune città dovettero avere una densità demografica molto notevole. A Pergamo, fiorente centro industriale, Galeno attribuisce, nel II sec. d.C., 40.000 cittadini e una popolazione di 120.000 (o meglio di 180.000) abitanti. Ancora più popolosa doveva essere Efeso, che forse arrivava a 400.000 abitanti.
Per quanto concerne l'economia, i dati forniti dalle fonti letterarie, numismatiche e archeologiche sono molto ricchi. L'industria e il commercio in Asia erano floridissimi: quest'ultimo soprattutto verso l'Italia. L'artigianato era molto qualificato. I mantelli, le coperte, le tuniche, le camicie, le dalmatiche, gli scialli, i fazzoletti, i copricapi, le cinture, le lenzuola, le federe, i tessuti tutti, di lino e di lana, soprattutto di Laodicea, erano confrontabili solo con quelli della Palestina, della Cilicia, dell'Egitto. I legni, le essenze, i profumi, i coloranti, la porpora dell'Asia erano famosi. I cereali, l'olio, i vini, le frutta secche rinomate; così moltissimi animali e pesci. Le miniere dell'Asia producevano oro, argento, rame, stagno, zinco, coloranti, pietre preziose e semipreziose, marmo bianco e colorato, pietre da costruzione.
T. Frank, Economic Survey of Ancient Rome, Baltimore 1936-38.
di Sergio Rinaldi Tufi
Per essere più precisi, i Romani definivano Asia un territorio ancora più ristretto e cioè la parte occidentale dell'Anatolia: fu la prima provincia a venire in possesso dell'Urbe non in conseguenza di guerre vittoriose, ma in virtù di un testamento. Nel 133 a.C. fu Attalo III, ultimo rappresentante della dinastia ellenistica degli Attalidi di Pergamo, a disporre questa donazione: forse fu un atto di realismo politico, per far sì che l'ormai inevitabile passaggio sotto il controllo della potenza egemone si svolgesse in maniera indolore. La politica estera romana, del resto, si era già intrecciata con quella di Pergamo. Gli Attalidi avevano arrestato la micidiale espansione verso est dei Celti, che in Oriente erano definiti Galati, e contemporaneamente avevano tenuto a bada un'altra grande dinastia, quella dei Seleucidi di Siria: in tali occasioni, Roma era stata (sia pure con qualche pausa e qualche contraddizione) al loro fianco. Dalle vittorie militari Pergamo aveva tratto potenza e prestigio: era celebre per l'architettura e l'urbanistica, per la presenza di una fiorente scuola di scultura, di una grande biblioteca, di un'autorevolissima scuola di medicina.
Per venire effettivamente in possesso di questa impegnativa eredità, i Romani dovettero affrontare varie difficoltà. Anzitutto la resistenza di un pretendente, Andronico: se ne occuparono le truppe guidate da Manio Aquilio. Venne quindi costituita la provincia: i confini oscillarono a lungo e sensibilmente, rispettando solo in parte il tracciato vigente ai tempi degli Attalidi. Inoltre, cosa ben più grave, la gestione politica e amministrativa non fu né corretta né efficace: i mercanti romani e italici, e anche altri operatori già da tempo presenti nella Penisola Anatolica, assunsero atteggiamenti più aggressivi e speculativi, che trovarono conniventi molti dei magistrati romani inviati a governare il territorio. Nell'88 a.C. Mitridate, re del confinante regno del Ponto, ebbe buon gioco a promuovere un'azione spietatamente antiromana, con una strage di ben 80.000 Italici. La regione, dopo questa gravissima crisi, conobbe anche nel prosieguo del I sec. a.C. una forte depressione, concomitante con le discordie fra i generali romani e le violente tensioni nell'Urbe, culminanti con l'esplosione delle guerre civili: ultima quella fra Antonio e Ottaviano, che, dopo una spartizione delle aree di competenza (l'Oriente era stato assegnato ad Antonio), era esplosa con violenza e si era conclusa con la battaglia di Azio del 31 a.C.
Ottaviano, divenuto Augusto, avvia anche qui come in altre province dell'Impero un deciso rilancio economico e produttivo. Riprende fiato l'attività manifatturiera, con la lavorazione della lana e di altri tessuti; riprendono a prosperare l'agricoltura e l'allevamento, soprattutto nella valle del fiume Meandro; si estraggono marmi pregiati. Rifioriscono le lettere, le arti figurative, l'attività edilizia. Tornano a svilupparsi i traffici, collegandosi con l'antica Strada Reale, che dai tempi dell'impero persiano attraversava tutta l'Anatolia, e sfruttando la costruzione di nuove arterie. L'Asia è provincia senatoria (è cioè fra quelle province il cui governatore è nominato dal senato senza che debba intervenire necessariamente l'imperatore, titolare dell'imperium proconsulare maius: anche se naturalmente l'imperatore stesso, all'occorrenza, non manca di far sentire la sua voce) e il governatore, come in Africa e Achaia, è sempre scelto fra gli ex consoli e non fra gli ex pretori. L'assetto definitivo, o quasi, comprende Frigia, Lidia, Misia, Caria e numerose isole dell'Egeo fra cui Lesbo, Chio, Samo, Rodi. Attorno alla metà del II sec. d.C. un retore nativo della Misia, Elio Aristide, esalta in un enfatico panegirico di Roma l'opulenza e la bellezza dell'Asia e di tutto l'Impero.
Verso la fine di quello stesso secolo, tuttavia, anche l'Asia è coinvolta in alcune fasi della lotta fra Settimio Severo e Pescennio Nigro: quasi un preambolo dell'instabilità e dell'incertezza che caratterizzeranno buona parte del III secolo, aggravate infine dalle minacce e dalle incursioni dei Persiani e dei Goti. Nella riorganizzazione tentata da Diocleziano il territorio è diviso in ben sette province: ordinamento che sarà in varia misura modificato ancora da Giustiniano e poi dagli imperatori bizantini. Il cristianesimo trova in Asia una diffusione talvolta contrastata, ma precoce e significativa: la predicazione di s. Paolo a Efeso viene inizialmente respinta, ma poi coglie grandi successi; s. Giovanni Evangelista vive e opera in questa stessa città, dove infine muore, ricordato da una monumentale basilica.
Nella provincia d'Asia e anche nelle altre province insediate nell'Anatolia e nell'Asia occidentale, il tipo di intervento che i Romani attuano è paragonabile a quello riscontrato nelle province greche: in queste aree dell'Oriente mediterraneo la civiltà urbana ha già conosciuto da tempo forte sviluppo e quindi nella stragrande maggioranza dei casi non si tratta di impiantare nuove città, ma di intervenire in centri già esistenti, anzi spesso magnificamente consolidati. Anche entro questi limiti le operazioni promosse dagli imperatori o dalla munificenza di ricchi cittadini sono di grande, talora enorme dimensione e prestigio: non si alterano le caratteristiche generali, ma si ristrutturano santuari e altri edifici, o se ne costruiscono di nuovi, che si adattano spesso mirabilmente agli impianti urbani preesistenti.
Fra i principali interventi di Augusto si segnala quello attuato nella capitale, Efeso (che era stata già capitale con Antonio). Esisteva da tempo una grande via colonnata che conduceva dal porto al teatro, cioè alla parte centrale della città: fu più volte rifatta, fiancheggiata da terme e ginnasi, anche in età imperiale. L'ultimo intervento fu di Arcadio: le rimase, così, il nome di Arkadianè. Non lontano dal teatro era l'agorà ellenistica, di forma approssimativamente quadrata: con Augusto non solo si interviene su questa (che rimane destinata a scopi commerciali), ma se ne crea una seconda al termine di una via obliqua, la Via dei Cureti. Più precisamente, nella prima agorà due ricchi liberti, Mazeo e Mitridate, inseriscono una porta monumentale dedicata allo stesso Augusto e a Livia (altre ristrutturazioni saranno attuate in età neroniana); per realizzare la seconda, si interruppe la costruzione di un tempio di Dioniso che era stata avviata da Antonio per realizzare una piazza rettangolare, con un arco di ingresso a quattro fornici e, sul fronte esterno, un grande ninfeo, la "mostra d'acqua", nel punto dell'arrivo in città del fiume Marnas, costruito da Sestilio Pollione. Sul lato nord si dispone una basilica di forma stretta e lunga accompagnata dal bouleuterion, dal prytaneion e da altri edifici. Quest'agorà, rispetto a quella "commerciale" più antica, si caratterizza come centro direzionale politico della città. Gli interventi di età imperiale non si fermano con Augusto: oltre alla ristrutturazione neroniana dell'agorà commerciale, bisogna aggiungere almeno la Biblioteca di Celso, il tempio di Adriano, il Ginnasio di Vedio, il menzionato restauro di Arcadio della via colonnata fra porto e area centrale.
Mileto, l'antica città presso il grande santuario di Apollo a Didyma, aveva appoggiato la rivolta di Mitridate ed era stata punita con la perdita della libertà, più tardi restituita da Antonio. Sostanzialmente, venne mantenuto in vita l'impianto che era stato forse progettato nel IV sec. a.C. dal grande urbanista Ippodamo, che qui era nato. Anzi non uno, ma almeno tre impianti differenti seppur analoghi, corrispondenti quasi certamente a quartieri dalle funzioni diverse: tutti ortogonali, ma con lievi variazioni nell'orientamento delle vie e nelle dimensioni degli isolati. In questo quadro spiccavano inoltre grandi monumenti, come le due agorài, con una strada colonnata che dal porto settentrionale (il principale della città) raggiungeva la maggiore fiancheggiando la minore. Pur inseriti in schemi preesistenti, gli interventi romani furono di notevole impegno: già Pompeo aveva fatto costruire nel 63 a.C. un monumento alto 18 m (oggi perduto) per celebrare le vittorie contro i pirati della Cilicia; Augusto realizzò un nuovo e scenografico ingresso al porto settentrionale e vi inserì un monumento votivo marmoreo in forma di grande tripode (si vedono ancora i resti della base) in onore di Apollo Aziaco, con riferimento alla battaglia di Azio. Accanto a questo, venne inserito anche un monumento votivo minore.
Ma non mancano altre importanti iniziative: si amplia la già ricordata via colonnata e si aggiunge un portico sul lato a essa prospiciente dell'agorà minore; dall'altra parte della stessa strada si ristruttura l'antico tempio di Apollo Delphinios e si aggiunge successivamente un impianto termale; alla fine della via colonnata, nello slargo che precede l'ingresso, si va costituendo via via una situazione di grande ricchezza architettonica. Sul lato ovest si affacciava, fin da epoca ellenistica, la facciata tetrastila del bouleuterion, una delle costruzioni più caratteristiche di Mileto: nel cortile dietro questa facciata Augusto inserisce un altare, con colonnato sovrastante uno zoccolo ornato di ghirlande. Successivamente, sul lato opposto (est) della stessa piazza, Traiano fa costruire un grande ninfeo (uno dei più notevoli del mondo romano), con largo impiego di marmi policromi; sul lato sud, probabilmente ai tempi di Settimio Severo, viene dato un aspetto monumentale all'ingresso dell'agorà con la creazione di una nuova porta, caratterizzata da un'architettura molto mossa. A queste splendide facciate bisogna aggiungere quella del preesistente ginnasio ellenistico, anche se (nel nuovo assetto) parzialmente nascosta dal ninfeo, e quella di un edificio inserito nel III sec. d.C. fra lo stesso ninfeo (in posizione più arretrata) e l'agorà, completamente ristrutturato nel V secolo per erigere la chiesa diocesana della città. Anche nel non lontano tempio di Apollo a Didyma gli interventi romani furono di grande consistenza; fu anche rifatta all'epoca di Traiano la Via Sacra che collegava il santuario con la città.
A differenza di Efeso e Mileto, che erano sul mare, Pergamo era all'interno, costruita su più livelli su un'altura (acropoli) e alle sue pendici (città media e città bassa); a parte era l'Asklepieion, grande luogo di culto di Asclepio e al tempo stesso luogo di cura, sede della scuola di medicina che era una delle glorie scientifiche della città. In quest'urbanistica scenografica, i monumenti di età imperiale romana si inseriscono senza troppo turbarne gli assetti: lo si vede soprattutto sull'acropoli, dove si trovano i grandi edifici degli Attalidi. In questo contesto si inserisce, a opera di Adriano, il Traianeum, o tempio di Traiano divinizzato: per fargli posto vengono demolite alcune costruzioni di età ellenistica, ma l'impostazione architettonica d'insieme viene rispettata. Altri interventi si effettuano nel teatro: viene rifatta la scena; alle sue spalle, all'estremità della lunga terrazza affacciata sulla valle, il preesistente tempio di Dioniso viene ricostruito all'epoca di Caracalla. Nella città media, laddove sorgevano templi, ginnasi, case e soprattutto la cosiddetta "agorà inferiore", gli interventi romani non sono troppo rilevanti; lo sono, invece, nella città bassa, soprattutto nel Serapeion e infine nel già ricordato Asklepieion.
Priene, che aveva conosciuto un magnifico sviluppo in età classica ed ellenistica, era dotata di un impianto ortogonale di tipo ippodameo malgrado si trovasse su una collina: una situazione particolarmente suggestiva, con soluzioni (scale, raccordi) molto elaborate, in uno schema urbanistico che i Romani non alterarono in misura sensibile. Lo stesso si può dire per Alicarnasso in Caria o per le città in altura della Licia, che invece avevano adottato schemi movimentati e scenografici di tipo pergameno. A Hierapolis in Frigia si costruiscono in età flavia una via colonnata, le porte urbiche, l'agorà; in prosieguo di tempo si aggiungono il tempio di Apollo e il teatro, ma la situazione preesistente non viene molto alterata. In alcuni casi gli interventi romani sono più consistenti. A Sardi, in Lidia, nel 17 d.C. un terremoto provoca ingentissimi danni: qui si avvia perciò per impulso di Tiberio una ristrutturazione generale, incentrata su una via colonnata che è una delle più antiche dell'Oriente romano. Un altro terremoto, nel 178 d.C., rade al suolo Smirne: grazie anche alle pressioni del già ricordato retore Elio Aristide, l'imperatore Marco Aurelio avvia una ricostruzione ex novo, in questo caso con due vie colonnate, la via Sacra e la via Aurea. Anche ad Afrodisiade in Caria (sia pure in assenza di eventi parimenti tragici) si può dire che l'impianto urbano sia fortemente determinato dagli interventi di età imperiale.
Edifici di culto - Le varie tipologie edilizie sono rappresentate, in questa provincia sotto molti aspetti opulenta, da un numero di esempi rilevantissimo: impossibile perseguire quindi un obiettivo di completezza. Le città sono estremamente numerose, come si è detto, e ricche di culti antichissimi: i primi monumenti da passare in rassegna sono perciò i templi e i santuari, sia quelli già fiorenti prima dell'arrivo dei Romani, sia quelli fondati o ampliati a partire dall'epoca di Augusto.
A Didyma presso Mileto si era andato sviluppando a partire dal VI sec. a.C., con varie fasi e con una decisiva ristrutturazione in età ellenistica, un celebre e immenso tempio di Apollo: un decastilo diptero, con una grande cella a cielo aperto che ospitava un tempietto, probabilmente l'ambiente più sacro. In epoca romana si completò il colonnato esterno: otto nuove basi decagonali delle colonne del pronao (con formelle decorate con temi marini alternate a motivi vegetali) sono databili ai tempi di Caligola, mentre i capitelli corinzi (e non ionici, come quelli della costruzione ellenistica), la parte alta delle colonne (decorata con busti di divinità: Zeus, Apollo, Artemide, Latona) e la trabeazione (che nel fregio reca teste di Medusa) vennero completati nel II sec. d.C. Proprio all'inizio di quel medesimo secolo, la strada monumentale che portava da Mileto a Didyma era stata restaurata da Traiano. Notevole anche l'intervento nel tempio di Artemide a Sardi: all'esterno viene ampliato e trasformato in un grande ottastilo; all'interno viene modificata la cella. O meglio, adesso le celle diventano due (con la parete di fondo in comune), una rivolta a ovest e dedicata, come in origine, alla dea, l'altra a est e dedicata a Faustina, la moglie di Antonino Pio.
Ancor più radicale fu la ristrutturazione dell'Asklepieion di Pergamo, collegato alla città da una via colonnata (via tecta). L'impianto originario, costituito da un enorme spazio aperto racchiuso da portici e popolato da edifici diversi, viene sottoposto a interventi eseguiti in fasi diverse e completamente rifatto. Due operazioni di evergetismo vengono attuate intorno alla metà del II secolo: Claudius Charax (personaggio evidentemente facoltoso, ma non altrimenti noto) fa edificare sul lato orientale l'ingresso monumentale (vestibolo) con cui la via tecta si immette nel santuario, ingresso che prospetta sul grande spazio interno con una facciata tetrastila; il console L. Cuspius Pactumeius Rufinus finanzia invece la costruzione del tempio vero e proprio, parallelo al vestibolo e anch'esso prospettante verso il centro del santuario con una facciata tetrastila (l'effetto di queste due facciate gemelle era indubbiamente notevole); ma, soprattutto, questo edificio si impone all'attenzione per la pianta circolare, con pareti interne in cui si aprono esedre a sezione alternativamente rettangolare e semicircolare. È una ripresa, in scala minore, dello schema del Pantheon di Roma. Lungo questo stesso lato del grande complesso si trovano anche altre realizzazioni architettoniche di grande interesse. A nord è una "Kaisersaal", sala presumibilmente destinata al culto imperiale, ma con numerose nicchie alle pareti che fanno pensare anche a un uso come biblioteca; a sud è un grande edificio circolare con sei absidi interne, a due piani, che fu aggiunto nella seconda metà del II secolo: era forse adibito a trattamenti terapeutici. Lungo il lato nord è un piccolo edificio teatrale; nello spazio centrale sono presenti ambienti di cura, sia al livello del suolo, sia sotterranei.
Altre volte si tratta non di riadattamenti, ma di edifici costruiti ex novo, in qualche caso di dimensioni colossali. Da ricordare alcuni templi sorti nell'età di Adriano. Il tempio di Afrodite ad Afrodisiade era circondato da un grande temenos porticato. Il tempio di Zeus ad Aizanoi è un ottastilo che riprende gli schemi introdotti in età ellenistica da Hermogenes di Priene (pseudodiptero, con intercolumnio centrale in facciata più ampio degli altri) e che forse ospitava anche, nelle sostruzioni a volta del grande podio, il culto di Cibele. A Cizico, un altro ottastilo, poggiante su sostruzioni a volta, era dedicato al culto dello stesso imperatore, proclamato "tredicesima divinità dell'Olimpo" (in aggiunta ai Dodici Dei classici). E qui si apre il peculiare capitolo del culto imperiale che in Asia si era avviato già in età augustea, con sede principale in Pergamo. In questa stessa città, ancora ad Adriano (e, insieme con lui, a Eracle e a Hermes) fu dedicato un piccolo tempio nel ginnasio della città media; sulla città alta, lo stesso imperatore fece inserire, fra gli edifici creati dagli Attalidi, il grande tempio di Traiano divinizzato.
Una grande piazza porticata poggia su un terrazzamento artificiale sostenuto, verso valle, da concamerazioni a volta e si affaccia con effetto panoramico sulla cavea del teatro, adottandola (al pari degli edifici ellenistici) quasi come punto di riferimento; al centro della piazza è il tempio, intorno al quale sono disposti numerosi edifici minori. All'estremità della terrazza retrostante la scena del teatro, esisteva un tempio dedicato a Dioniso: fu ristrutturato da Caracalla, il quale del resto (come già a suo tempo aveva fatto Antonio) si presentava appunto come nuovo Dioniso, e quindi in questo caso indirizzava il culto verso sé stesso. Altre, svariate manifestazioni di culto imperiale: a Efeso troviamo affacciata sull'agorà civile la nuova e grande aedes di Domiziano; lungo la Via dei Cureti che conduce a quell'agorà è un piccolo, elegantissimo tempio dedicato ad Adriano. È un tempio in antis dalla ricca decorazione architettonica: il frontone è spezzato al centro da un arco, che reca nella chiave di volta il busto della Tyche della città; in corrispondenza di tale arco, in una sorta di lunetta sopra la porta di ingresso della cella, è rappresentata un'altra figura femminile, di difficile interpretazione, che nasce da un cespo di acanto, il quale si espande inoltre in girali lussureggianti.
Ma per vedere l'edificio di culto più singolare di tutta la provincia (culto, per giunta, di una popolare divinità di origine egiziana) bisogna tornare a Pergamo e più precisamente al Serapeion. Il santuario, dedicato probabilmente ‒ oltre che a Serapide ‒ anche a Iside, è costituito da un immenso cortile di 100 × 200 m e, in corrispondenza del lato orientale di questo, da una grande costruzione a pianta basilicale (tre navate, di cui la centrale nettamente maggiore delle altre, e una grande abside sul fondo) fiancheggiata da due edifici simmetrici e identici, costituiti entrambi da un cortile porticato e da una torre cilindrica. Il complesso fu realizzato in età adrianea (un'epoca, dunque, di grande attività edilizia anche in questa provincia) e presenta soluzioni tecniche notevoli e inconsuete: soprattutto la doppia galleria a volta con cui la spianata del santuario scavalca il corso di uno dei due fiumi della città, il Selino (l'altro è il Caico).
Agorài - Dopo i templi e i santuari, sono i luoghi dell'attività politica e amministrativa (i luoghi cioè che forse più di altri danno un'impronta all'assetto dei centri urbani) a registrare i più numerosi e significativi interventi di età romana: anche in questo caso si può parlare sia di modifiche di impianti preesistenti, sia di realizzazioni ex novo.
Talvolta le modifiche si limitano al restauro delle strutture originarie di età ellenistica, con l'inserimento di qualche elemento nuovo, ma circoscritto: è il caso dell'agorà commerciale di Efeso, dove i liberti Mazeo e Mitridate aggiungono un ingresso monumentale dedicato ad Augusto e Livia, di forme assai sobrie e severe (restaurato in età neroniana), o della già ricordata agorà meridionale di Mileto, cui nel II sec. d.C. si aggiunge a nord una porta dalle linee architettoniche molto movimentate. Nella stessa Mileto l'altra agorà, quella settentrionale più vicina al porto, rimane sostanzialmente invariata nella pianta, ma lungo il lato est, quello che fiancheggia l'importante via proveniente dal vicino porto, si aggiunge un portico che conferisce al complesso un maggiore impatto monumentale; proprio il porto, peraltro, viene sottoposto a un intervento analogo.
Le due agorài che meritano maggiore attenzione sono quelle, di nuova costruzione, di Efeso e di Afrodisiade. L'agorà civile di Efeso, in particolare, assomma una serie di tipologie edilizie e di funzioni molto significativa. Per coloro che giungono dalla Via dei Cureti, l'entrata nella piazza è preceduta da una fontana e dal monumento dedicato a Memmius; si arriva poi in vista del lato breve occidentale, caratterizzato all'esterno da due grandi ninfei, quello dedicato in età augustea (con modifiche in età flavia) a Sestilio Pollione, costruttore dell'acquedotto proveniente dal fiume Marnas, e quello costruito da Lecanio Basso. Il primo è il più notevole: con un'esedra decorata da statue si rivolge verso l'esterno, ma data la sua altezza doveva essere ben visibile anche dall'interno della piazza. Le statue che decoravano l'esedra componevano un gruppo raffigurante Ulisse e Polifemo: si è ipotizzato che fossero state eseguite per il già ricordato tempio di Dioniso (potenza del vino, grazie al quale l'eroe sconfigge il Ciclope) progettato da Antonio e abbandonate quando la costruzione fu interrotta; in corrispondenza del tratto compreso fra questi due monumenti si affacciava il tempio di Domiziano, un imponente ottastilo su alto podio.
Nell'agorà civile ‒ o "agorà di Stato", come pure viene definita ‒ le funzioni più specificamente politiche e amministrative si concentravano sul lato settentrionale ed erano rivolte verso la piazza. Questo settore settentrionale era frutto di un progetto unitario messo a punto in età augustea, progetto che comportava probabilmente la demolizione di strutture preesistenti: basilica di forma stretta e allungata, prytaneion, tempio di Hestia Boulaia. Il prytaneion era la sede del senato cittadino, Hestia Boulaia era la divinità protettrice della boulè, cioè del senato stesso: bisogna pensare che qui si svolgessero anche cerimonie, udienze, banchetti. Subito dopo era una piccola cavea teatrale interpretabile come odeion o, forse più fondatamente, come bouleuterion. Questi monumenti furono spogliati nel III secolo da una ricca dama cristiana (nota da epigrafi), Scholastikia, che usò i materiali per la costruzione di un impianto termale sulla Via dei Cureti.
Una realtà molto complessa è anche l'agorà di Afrodisiade. Si trattava di una grande piazza rettangolare con l'asse maggiore disposto in direzione est-ovest. Sul lato settentrionale prospetta un edificio con cavea teatrale, interpretabile come odeion o, forse meglio, come bouleuterion. Adiacente a sud è un'altra piazza porticata, che concorre ad ampliare ulteriormente lo spazio pubblico disponibile: è il monumento noto come Portico di Tiberio. All'estremità occidentale di questa seconda piazza sono le terme, aggiunte in età adrianea. All'estremità orientale dell'agorà stessa, infine, si trova un complesso straordinario, il Sebasteion, luogo di culto di Augusto e della mitica progenitrice Afrodite. Si tratta di una sorta di via processionale che conduceva ‒ seguendo un asse leggermente obliquo ‒ verso un tempio. La peculiarità è data dalla ricchezza e dalla complessità delle architetture e dell'apparato figurativo: sui due lati della strada sono grandi portici costituiti da tre ordini sovrapposti, decorati da semicolonne doriche, ioniche, corinzie e con un'esuberante varietà di bassorilievi figurati e di elementi ornamentali. Nel quadro, pur ampio, dei monumenti celebrativi di età imperiale, questo è finora un unicum: la serie di rilievi è tanto più interessante e significativa, in quanto Afrodisiade era sede di una delle scuole di scultura più famose dell'antichità.
Teatri - Si può partire dalla stessa Afrodisiade anche per una rassegna tipologica dei teatri, ricordando fin d'ora che sia nella provincia d'Asia propriamente detta, sia ‒ in genere ‒ nell'Asia Minore, la casistica è ampia e differenziata e la funzione non è solo quella di ospitare spettacoli. Alcuni di questi edifici sono realizzati ex novo in epoca romana, altri, pur se più volte rifatti, sono di origine ellenistica: i più antichi sono quelli di Mileto e di Priene, che risalgono al IV sec. a.C.
Il teatro di Afrodisiade è parzialmente appoggiato alla collina dell'acropoli ‒ la cui sommità è stata finora poco esplorata ‒ e poteva contenere fino a 30.000 spettatori. Forse più ancora della conformazione e della capienza sono interessanti i dati storici che se ne possono ricavare: nell'ampio apparato epigrafico che caratterizza l'edificio della scena e il proscenio, apprendiamo anzitutto che l'edificio stesso fu costruito a cura di un ricco e influente cittadino, C. Iulius Zoilos, "liberto del figlio del divino Cesare": siamo perciò in una fase anteriore al 27 a.C., quando Ottaviano non era ancora Augusto. Oltre alla dedica, Zoilos fece incidere altre iscrizioni di indubbia rilevanza: sono trascritte le lettere che spediva all'imperatore per attirare la sua attenzione sui problemi della città e le risposte ottenute. Quest'uso del teatro come archivio pubblico prosegue anche nelle epoche seguenti. Un personaggio dell'epoca di Antonino Pio, Tiberius Claudius Zelos, elenca (in epigrafi collocate sul pulpitum e sulla conistra) gli interventi da lui finanziati: creazione della conistra stessa e di un tribunal; ampliamento dell'orchestra; adattamenti per consentire all'edificio di ospitare spettacoli gladiatori e venationes. In effetti nell'Oriente romano erano in genere i teatri a ospitare questo tipo di evento, mentre gli anfiteatri sono molto rari.
In epoca più avanzata, cioè alla fine del II secolo, si data un altro notevole teatro costruito ex novo: quello di Hierapolis in Frigia (la città ellenistica era stata distrutta dal terremoto del 17 d.C.). Ben conservata è la cavea, parzialmente appoggiata a un'altura e leggermente maggiore del semicerchio; ma soprattutto è importante la scena, ricomposta da una missione italiana dopo essere stata rinvenuta in stato frammentario. La parete di fondo, cui sono applicati tre ordini architettonici, è caratterizzata dalle solite porta Regia e portae Hospitales; le sculture decorative più importanti sono costituite dai rilievi collocati in corrispondenza della stessa porta Regia e sul podio del pulpitum. Sulla prima sono raffigurati, in posizione ieratica, Settimio Severo e la famiglia imperiale, punto di convergenza di una composizione, oggi in gran parte perduta ma in qualche modo comprensibile, in cui erano raffigurati gli agoni con cui si celebrava in città il culto imperiale. In una struttura come quella teatrale, che ‒ come si è visto per altri aspetti ad Afrodisiade ‒ è particolarmente adatta alla trasmissione di messaggi e segni, l'imperatore e la sua famiglia appaiono inseriti in un contesto religioso: un contesto che viene ribadito nei rilievi del podio, dove vediamo scene relative al mito di Apollo e di Artemide. Stilisticamente, possiamo dire che, come nel caso delle sculture del Sebasteion di Afrodisiade (due secoli più antiche), anche qui siamo in presenza di un'impostazione piuttosto accademica.
Singolare è il caso di Pergamo, che in età romana giunge ad avere ben tre teatri: a quello sulle pendici dell'acropoli, di cui abbiamo visto l'importante ruolo architettonico e urbanistico, se ne aggiungono due nella città bassa, capaci l'uno di 30.000, l'altro di 50.000 spettatori; grandi impianti, dunque, di cui però si conservano solo pochi resti. Abbiamo visto anche che un quarto edificio di tipo teatrale è presente nell'Asklepieion, ma le sue piccole dimensioni fanno pensare che fosse riservato a un pubblico ridotto, probabilmente interno al luogo di cura. Il teatro principale, dunque, rimane quello della città alta: la capienza non è enorme (10.000 spettatori), ma la cavea alta 36 m, con 80 file di sedili, conferisce una particolare imponenza a un edificio che si segnala anche per il suo funzionale inserimento nel paesaggio. Qui i Romani non aggiungono nemmeno una scaenae frons stabile e di grandi dimensioni: la scena, secondo l'uso greco, rimane di ridotte dimensioni ed era probabilmente integrata con strutture di volta in volta reversibili, forse anche per non frapporre impedimenti alla visione del bel panorama. L'unico intervento significativo di età imperiale è perciò ‒ all'estremità della terrazza retrostante la scena stessa ‒ la ricostruzione del tempio di Dioniso.
Altra situazione è riscontrabile a Mileto. Abbiamo visto che questa città, a differenza di Pergamo, era impostata secondo schemi ortogonali: ebbene, l'asse del teatro diverge da quelli del regolare reticolo urbano. L'edificio si affaccia sul mare e la scena si dispone lungo la linea di costa, appoggiandosi e adattandosi alle mura, che a loro volta poggiano su preesistenti fortificazioni di età arcaica. È il più antico edificio per spettacolo che conosciamo in Asia (IV sec. a.C.): fu rifatto in età ellenistica e poi ancora in età romana, per una capienza di 15.000 spettatori in una cavea di forma corrispondente al semicerchio. Il teatro di Priene era di poco successivo, sempre però entro i limiti del IV sec. a.C.: anche qui si registrano successive ricostruzioni, una in età ellenistica e addirittura due in età romana (l'ultima nel II sec. d.C.). In questo caso l'edificio è esattamente inserito nel reticolo urbano (che a Priene è rigorosissimo malgrado gli scoscendimenti del terreno), in cui occupa la dimensione di un isolato e mezzo. Il che significa che, malgrado la suggestione esercitata dalle rovine, le dimensioni sono piuttosto contenute; né ‒ sembra ‒ la decorazione era particolarmente ricca.
Ma l'edificio per spettacolo più noto della provincia è, per vari motivi, quello di Efeso. Era stato costruito in età ellenistica secondo gli schemi propri del teatro di tipo greco: la cavea è maggiore del semicerchio ed è appoggiata a un'altura. In età imperiale gli interventi sono numerosi: ai tempi di Claudio si ingrandisce la cavea, in età neroniana si costruiscono i primi due ordini di una nuova scaenae frons; poi la cavea viene completata con Traiano, la scena con Antonino Pio. Più precisamente, la cavea raggiunge una capienza di 24.000 spettatori; la scena assume, come accade di norma anche altrove, un aspetto particolarmente complesso e architettonicamente assai mosso (crollata, è ricostruibile in base ai numerosi elementi rinvenuti). L'edificio è di grande impatto visivo, ma la sua celebrità ha anche altre cause. Qui, come si legge negli Atti degli Apostoli, s. Paolo conobbe uno dei momenti più duri nell'ambito dei suoi viaggi missionari: mentre predicava alla gente raccolta sulle gradinate, fu duramente contestato dai venditori di statuine della Artemide Efesia, divinità molto venerata fin da tempi remoti. Il grido "Grande è la Diana degli Efesini" fu scandito per ore.
Ispirati all'architettura teatrale per quanto riguarda la presenza di una cavea, ma in dimensioni minori, sono i bouleuteria, edifici per le riunioni del senato cittadino. Si è già accennato alla presenza di una struttura del genere in corrispondenza dell'agorà civile di Efeso; rimangono in funzione in età romana alcuni edifici di questo tipo che si possono considerare gioielli di età ellenistica, come quelli di Priene e di Mileto. Nel bouleuterion di Priene la cavea non è semicircolare, ma presenta una pianta a Π; in quello di Mileto la cavea è semicircolare, ma inscritta in una grande sala rettangolare. Davanti alla sala era un cortile, in cui Augusto fece inserire un altare monumentale.
Facciate di tipo "teatrale": ninfei, ingressi monumentali, biblioteche - Se strutture ispirate alla cavea teatrale caratterizzano altri tipi di monumento, si può anche dire che l'idea architettonica della facciata riccamente decorata e articolata in più ordini si applica non solo alla scaenae frons dei teatri stessi, ma a ninfei, ingressi monumentali, perfino biblioteche.
L'edificio più peculiare è forse la Biblioteca di Celso a Efeso, situata presso l'agorà commerciale, vicina alla Porta di Mazeo e Mitridate. Le due facciate vicine creano un interessante contrasto: sobria e lineare quella della porta, databile all'età augustea; movimentata, ben diversa quella della biblioteca. Questo edificio fu fatto costruire dal console C. Iulius Aquila nel 110 d.C. (ma da testimonianze epigrafiche si apprende che fu completato nel 135 dagli eredi) come monumento sepolcrale per il padre C. Iulius Celsus Polemaeanus. Si tratta dunque di una sepoltura in pieno centro urbano: significa che si voleva conferire a Celso un culto di tipo eroico ed è interessante notare che la strada che conduce all'eroizzazione passa (grazie alla presenza dei libri) attraverso la sapienza. La facciata è stata accuratamente ricostruita da archeologi austriaci: la decorazione, su due ordini, presenta sporgenze e rientranze, con nicchie, edicole, statue di divinità e personificazioni. All'interno, la vasta sala di lettura aveva alle pareti, su due ordini, ballatoi e scaffali per i volumina; sulla parete di fondo, un'alta esedra ospitava la statua di Atena; sotto quest'ultima (in posizione privilegiata) è la camera funeraria, con un bel sarcofago a ghirlande.
Fra le facciate che a Mileto prospettano sulla piazza adiacente all'agorà meridionale, spiccano quella del Ninfeo di Traiano e della porta dell'agorà stessa. Il ninfeo celebra l'ingresso dell'acqua in città: acqua convogliata da un acquedotto che è il più importante dell'Anatolia romana, insieme con quello di Aspendos in Lycia et Pamphylia. La grande vasca è sovrastata da una facciata su tre ordini, con nicchie ed edicole colonnate; ai lati (quasi a racchiudere la vasca stessa) si protendono due grandi avancorpi (su due soli ordini). L'impiego di granito e di vari marmi colorati dava alla struttura un aspetto festoso. La porta dell'agorà, databile alla seconda metà del II sec. d.C., è a tre fornici e sembra quasi mirare a creare con il preesistente monumento traianeo un rapporto di continuità: anche qui (distribuite su due ordini) sporgenze e rientranze, con colonne in forte aggetto. Al di sopra del fornice centrale vi è un elemento architettonico di uso frequente nell'Oriente romano, cioè un frontone spezzato da un arco.
Stadi, terme, ginnasi - Fra gli altri edifici che esemplificano la qualità della vita in età romana, ricordiamo alcuni importanti stadi: Afrodisiade, Hierapolis, Efeso, Mileto. Mancano gli anfiteatri, come in genere nelle province orientali di lingua greca: gli spettacoli gladiatori, le venationes fra gladiatori e belve, perfino spettacoli più complessi come le naumachie, o battaglie navali, si svolgevano in teatri opportunamente riadattati.
Anche le terme avevano spesso un ruolo rilevante nel panorama urbano: si possono ricordare quelle di Hierapolis (che sfruttavano l'acqua calda e medicamentosa di sorgenti ancora oggi attive), di Afrodisiade, di Efeso, di Pergamo e soprattutto di Mileto. Dappertutto troviamo soluzioni monumentali notevoli, con statue, bacini e altre ricche decorazioni; qui, nell'impianto fatto costruire da Faustina Minore, moglie di Marco Aurelio, si sono trovate anche pregevoli sculture impiegate per decorare fontane, come una statua di divinità fluviale e una di leone. A Efeso e Pergamo, inoltre, è interessante osservare come la tradizione romana delle terme si combini con quella greco-asiatica dei ginnasi. Fra i quattro ginnasi noti a Efeso ricordiamo soprattutto quello detto "del porto", iniziato sotto Domiziano e completato, con una grande palestra scoperta, all'epoca di Adriano per impulso dell'asiarca (cioè del capo dei sacerdoti del culto imperiale in Asia) Claudius Verulanus; e quello fatto costruire da P. Vedius Antoninus attorno alla metà del II sec. d.C., notevole soprattutto per le grandi dimensioni. Come si è già accennato, infine, è anche da ricordare un bell'impianto che testimonia la vita intensa della città fino a età tarda: quello fatto costruire dalla ricca dama cristiana Scholastikia attorno al 400 d.C. sul sito di un ginnasio preesistente e utilizzando materiali di spoglio prelevati dall'area dell'agorà civile.
Case, monumenti funerari - Mentre i monumenti pubblici testimoniati in Asia sono numerosissimi e spesso assai notevoli per dimensioni e per qualità, l'edilizia privata offre un'esemplificazione molto più ridotta. A Efeso bisogna però ricordare il complesso residenziale che si affaccia sul pendio sopra la Via dei Cureti, dalla parte opposta rispetto al tempio di Adriano: gli isolati sono particolarmente ampi e sapientemente raccordati fra loro, con planimetrie però irregolari in quanto condizionate dalla conformazione del terreno. All'interno di ogni isolato si possono trovare sia case d'appartamenti sia ricche domus dai numerosi ambienti, talvolta decorati da pitture.
Per quanto riguarda i monumenti funerari, abbiamo ricordato il caso della Biblioteca di Celso a Efeso: vi sono però anche altri heroa, come quello all'inizio di Via dei Cureti, a pianta circolare, datato al principio dell'età augustea. Ma soprattutto, verso la fine della stessa strada, poco prima dello slargo che precede l'ingresso nell'agorà civile, troviamo l'heroon dedicato a C. Memmius: personaggio di illustre famiglia, nipote di Silla e figlio di un altro C. Memmius che era stato propretore di Bitinia nel 57 a.C. e protettore di Catullo e Lucrezio. Rivolgendosi a un artista greco, Avianus Evander, Memmius padre fece erigere questo monumento al figlio morto prematuramente fra 49 e 46 a.C.: un'elevata struttura a pianta quadrata, decorata nella parte alta da rilievi raffiguranti divinità e personificazioni e anche da personaggi del ciclo troiano visti come mitici progenitori. A Pergamo, ricordiamo l'uso eclettico di motivi architettonici tradizionali nell'heroon di un notabile locale, Diodoros Pasparos. Oltre a questi eccezionali casi di sepolture in città, esistono anche necropoli extraurbane: molto ampie, si direbbe quasi spettacolari quelle di Hierapolis, fra le quali la più importante è quella a nord della città. Vi sono edifici quadrangolari con letti funerari all'interno, coperti con tetto piano, o a spioventi, o talvolta a botte; tumuli a pianta circolare; dadi che sorreggono sarcofagi. Nell'insieme, centinaia di monumenti, in genere costruiti in grandi blocchi squadrati.
Intorno a celebri cave di marmi bianchi e colorati, si sviluppò un'intensa attività di scuole o botteghe di scultori. Dell'opera di alcune di queste botteghe si è già anticipato qualche dato, quando si è parlato di statue o rilievi presenti come decorazione di importanti monumenti; si è anche accennato al tono talvolta un po' freddo e accademico. Ciò non toglie che la produzione fosse, nel suo insieme, di grande rilevanza.
Particolare notorietà rivestiva la scuola di Afrodisiade. Gli artisti originari di quella città firmavano in genere le loro opere con il nome, con il patronimico e con l'etnico Aphrodisieus: una sorta di "marchio di fabbrica" paragonabile a quello che a loro volta usavano gli scultori neoattici (Athenaios). Per noi, si tratta ovviamente di dati preziosi per ricostruire l'ambito in cui questi artisti operavano e le loro genealogie. Gli Afrodisiensi lavoravano, in effetti, in molteplici luoghi nell'Urbe e nelle province: nel loro repertorio figurano copie e rielaborazioni (talora assai libere) di opere classiche, ritratti, rilievi, elementi di decorazione architettonica. A Roma sono presenti dall'età di Domiziano, e forse anche prima: il monumento più noto in cui si impegnano (la cosa sembra certa) è il Tempio di Venere e Roma progettato dall'imperatore Adriano in persona. A Leptis Magna, in Tripolitania, lavorano per conto di Settimio Severo nel foro, nella basilica e nell'arco onorario; sono ancora attivi in età tarda, quando eseguono fra l'altro alcune celebri statue di magistrati, che nella solennità della figura e nell'intensità dell'espressione sono fra le loro opere migliori. Oltre che "in trasferta", gli Afrodisiensi lavorano ovviamente anche nella loro città: si è detto del Portico di Livia e Tiberio e del suo singolare fregio; il fregio dedicato a Zoilos raffigura questo influente personaggio insieme a una serie di divinità e personificazioni. È una serie di figure dall'aspetto compassato e solenne, non esente, soprattutto in alcune capigliature, da qualche accenno di colorito "barocco".
Importante anche la scuola di scultori di Efeso, soprattutto a partire dall'inizio del II sec. d.C.: è il momento in cui si eseguono le figure (sempre divinità e personificazioni, ma qui si tratta di statue a tutto tondo) che decorano la ricca facciata della Biblioteca di Celso e in cui si ha notizia di artisti efesi presenti a Roma. Vive fra Mileto ed Efeso uno scultore, Pantouleios, cui viene commissionata la statua dell'imperatore Adriano nel rinnovato Olympieion di Atene. Ma il ciclo figurativo più importante di Efeso romana è quello della cosiddetta Ara: monumento che presenta temi celebrativi della dinastia degli Antonini e che era (così come è stato ricostruito nel Kunsthistorisches Museum di Vienna) a forma di ferro di cavallo, sulla base del modello del Grande Altare di Pergamo. Scena chiave di tutta la grande e complessa composizione è l'adozione di Antonino Pio da parte di Adriano alla presenza di Marco Aurelio giovinetto e di Lucio Vero fanciullo; per il resto, il fregio costituisce un'evocazione (più che la raffigurazione di un preciso evento) delle spedizioni partiche di Lucio Vero, con la raffigurazione, soprattutto, di una grande carica di cavalleria. Sono presenti inoltre le personificazioni delle città sottomesse; la composizione è conclusa da una doppia apoteosi, con un imperatore (forse lo stesso Lucio) sul carro di Helios e un'imperatrice, assimilata alla dea, sul carro di Selene. Il movimento nelle scene di battaglia, gli accentuati chiaroscuri riecheggiano apparentemente la tradizione del "barocco pergameno", ma altre scene, come quella dell'adozione, sembrano improntate a una classicheggiante compostezza.
Nella stessa Pergamo, si coglie l'eco (un po' affievolita) delle grandi tradizioni di età ellenistica: notevoli soprattutto alcuni ritratti di Augusto, di Traiano, di Adriano. Presso Synnada, nelle estesissime cave di Dokymion, si formano botteghe di scultori che lavoreranno anche a Roma e a Villa Adriana con Traiano e con Adriano e che, a partire dall'età dello stesso Adriano, avvieranno una produzione di sarcofagi destinati a larga esportazione: in un primo tempo prevalgono le decorazioni con Eroti e ghirlande, poi si affermano le decorazioni con colonnette (che formano serie di edicole) e con figure derivate dalla statuaria classica ed ellenistica.
In generale:
K. Humann - O. Puchstein, Reisen in Kleinasien und Nordsyrien, Berlin 1890; D. Magie, Roman Rule in Asia Minor, I-II, Princeton 1950; A.H.M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 1971; S.R.F. Price, Rituals and Power. The Roman Imperial Cult in Asia Minor, Cambridge 1984; M. Sartre, L'Orient romain. Provinces et sociétés provinciales en Méditerranée orientale d'Auguste aux Sévéres (31 avant J.-C. - 235 après J.-C.), Paris 1991.
Architettura, urbanistica e territorio:
si vedano le pubblicazioni degli scavi austro-tedeschi (Ephesos, Altertümer von Pergamon, Milet) e americani (Sardis); G.E. Bean, Aegean Turkey, London 1966; Id., Turkey beyond the Meander. An Archaeological Guide, London 1971; D. De Bernardi Ferrero, Teatri classici in Asia Minore, I-IV, Roma 1966-74; E. Akurgal, Ancient Civilisations and Ruins of Turkey. From Prehistoric Times until the End of the Roman Empire, Istanbul 1973; G.M. Hanfmann, From Croesus to Constantine. Cities of Western Asia Minor and their Arts in Greek and Roman Times,, Ann Arbor 1975; A. Giuliano, Le città dell'Apocalisse, Roma 1978; T. Pekary, Kleinasien unter römischer Herrschaft, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 595-657; A.D. Magro, The Cities of Asia Minor under the Roman Imperium, ibid., pp. 658-97; B. Virgilio, Gli Attalidi di Pergamo. Fama, eredità, memoria, Pisa 1993. Scultura: M. Floriani Squarciapino, La scuola di Afrodisia, Roma 1943; A. Giuliano, La ritrattistica dell'Asia Minore dall'88 a.C. al 211 d.C., in RIA, 8 (1959), pp. 146-201; G. Ferrari, Il commercio dei sarcofagi asiatici, Roma 1966; J. Inan - E. Rosenbaum, Roman and Early Byzantine Portrait Sculpture in Asia Minor, London 1966; D. Monna - P. Pensabene, Marmi dell'Asia Minore, Roma 1977; W. Oberleitner (ed.), Funde aus Ephesos und Samothrake, Wien 1978; M. Waelkens, Dokimeion. Die Werkstatt der repräsentativen kleinasiatischen Sarcophage. Chronologie und Typologie ihrer Produktion, Berlin 1982.
di Sebastiana Lagona
Città della Caria presso l'odierna Geyre in Turchia (gr. ᾿ΑφϱοδισιάϚ; lat. Aphrodisias), posta ai confini con le antiche regioni della Frigia a est e della Lidia a nord.
A. sorgeva a 600 m s.l.m. su un'ampia piattaforma alle pendici occidentali del monte Salbakos (od. Baba Dagh) presso il fiume Timeles, affluente del Meandro. L'appartenenza alla Caria, confermata da Plinio (Nat. hist., V, 109), Pausania (I, 26, 5), Appiano (Bell. civ., I, 97) e Stefano di Bisanzio, sembra messa in forse da Strabone (XII, 8, 13), che la cita fra i piccoli centri vicini alle grandi città della Frigia. La mancanza di testimonianze letterarie non consente di conoscere nulla di preciso circa le sue origini e la sua storia più antica. Secondo Stefano di Bisanzio, A. è città antichissima che, uno dopo l'altro, ebbe i nomi di Lelegonpolis, Megalopolis, Ninoe.
Il nome di A. si trova in uso in età ellenistica, quando compare su alcune monete d'argento e di bronzo in unione con quello di Plarasa (tardo II sec. - inizi del I sec. a.C.). Antichissimo doveva essere il culto di Afrodite, che, come i culti di Cibele, dell'Artemide Efesia e di altre dee madri anatoliche, è collegato al simbolo della vita e della fertilità. Sappiamo ancora che A. era chiamata "grande" ai tempi di Silla, il quale nell'82 a.C. aveva inviato al santuario di Afrodite una corona d'oro e una doppia ascia (App., Bell. civ., I, 97). Più tardi Giulio Cesare prendeva posizione a favore di A. (Tac., Ann., III, 62); in Plinio, A. appare come città libera (Nat. hist., V, 109). Essa raggiunse il massimo sviluppo in età imperiale quando divenne famosa, oltre che per il santuario, come centro importante per le arti e la letteratura.
I resti archeologici di A., individuati nel XVII e XVIII secolo dai primi viaggiatori (L. Laborde, Ch. Texier, Società dei Dilettanti), sono stati oggetto d'indagini regolari solo di recente, a causa delle difficoltà di accesso dovute alla sua posizione all'interno di una regione priva di buone strade. In precedenza, alcune brevi campagne di scavo avevano messo in luce i primi documenti importanti. Alle due campagne di scavo condotte nel 1904-1905 da una missione francese guidata da P. Gaudin, seguirono nel 1913 le ricerche di A. Boulanger e nel 1937, dopo una lunga sosta, le indagini di una équipe italiana guidata da G. Jacopi, proficua ma troppo breve. Soltanto a partire dal 1961 si è dato avvio a campagne sistematiche, sostenute dall'Università di New York, dirette da K.T. Erim e, in seguito, da R.R.R. Smith.
Le testimonianze archeologiche acquisite riguardano la città ellenistica, sviluppatasi in un sito abitato in età preistorica e frequentato anche in età arcaica e classica. I resti preistorici scoperti nell'area del santuario e nell'hüyük, consistenti in muretti di mattoni crudi e in frammenti di manufatti litici e ceramici, appartenevano a sette strati di frequentazione, databili al Calcolitico e fra l'età del Bronzo e l'età del Ferro. Dalle stesse zone provengono testimonianze relative all'età arcaica (VI sec. a.C.): un abitato di non grandi dimensioni con frammenti ceramici, in gran parte di tipo lidio, e frammenti di figure di leoni di marmo. La scoperta è particolarmente importante perché lascia supporre che il tempio ionico di Afrodite sia stato costruito nel sito di un santuario già importante nel VI secolo.
Nessuna testimonianza archeologica relativa ai secoli successivi è stata finora rinvenuta, se si eccettuano alcuni frammenti di ceramica d'importazione del V sec. a.C. dall'area dell'hüyük, dove si trovano anche i resti più importanti di età ellenistica. All'interno del temenos di Afrodite è il tempio, databile tra il II e il I sec. a.C., un ottastilo con 13 colonne sui fianchi (19,6 × 32 m), di ordine ionico; l'ordinamento interno sembra consistesse in un pronao e in una cella abbastanza grande, priva di opistodomo, in analogia con la pianta di molti templi del tardo Ellenismo nell'Anatolia occidentale, come, ad esempio, l'Hekateion di Lagina. Attorno a questo complesso, ai tempi dell'imperatore Adriano, fu costruito un elaborato temenos con colonne corinzie. A sud di questo era un odeion, databile probabilmente al tardo II sec. d.C.; l'edificio, che misurava 50 m di diametro, presentava dietro la scena un corridoio con tre porte che si apriva su di un'area porticata connessa con il lato settentrionale dell'agorà. Dietro uno dei fornici occidentali che sostenevano la cavea dell'odeion è stato scoperto nel 1967 un heroon a base circolare, con un sarcofago e un altare, preesistente alla costruzione dell'odeion. A est e a nord-est dell'odeion si ritrovano nella stratigrafia altre parti dello stesso complesso, trasformate nella fase successiva. Nella zona tra l'odeion e il tempio di Afrodite, presso la piazzuola del più tardo Palazzo del Vescovo, era un edificio della fine dell'età ellenistica, forse un ginnasio. Più a est, oltre la strada nord-sud che portava all'agorà, era il tetrapylon della metà del II sec. d.C. L'edificio presentava quattro file di colonne, di cui quattro tortili costituivano la facciata, sormontate da un coronamento e da un frontone (frammentario) riccamente scolpiti. A sud del tetrapylon era il Sebasteion, consistente in due portici paralleli lunghi 80 m circa. Tra questi ultimi passava una strada processionale larga 14 m, al cui limite occidentale era un propylon che si apriva sulla strada nord-sud che toccava a nord il tetrapylon e a sud l'agorà. L'agorà rettangolare (205 × 120 m) si trova a sud-ovest del Sebasteion, oltre la strada, ed è chiusa da portici ionici almeno su tre lati; il complesso si può datare ai primi anni del I sec. d.C.
Nella zona meridionale dell'area archeologica, sul declivio occidentale dell'acropoli, è il teatro; si tratta di una costruzione imponente (di oltre 100 m di diam.), ma poco conservata. Fu realizzato a partire dalla tarda età ellenistica, come attesta la scoperta nella scena di un architrave che ricorda la costruzione, riconducibile al terzo quarto del I sec. a.C., del logeion da parte di Zoilos, liberto di Augusto e importante cittadino di A. Alla seconda metà del I sec. d.C. si datano alcune strutture che trasformarono il teatro, come gli accorgimenti per gli spettacoli gladiatori e il combattimento di animali. Dietro il teatro si è scoperta una piazza tardoromana, limitata, dalla parte del teatro, da un muro che si imposta su precedenti strutture tardoellenistiche. A sud del teatro sono le terme: si conoscono l'apodyterium, il calidarium, un sudatorium e una sala imperiale con colonne di marmo blu-grigio.
Una cinta muraria di età tardoromana racchiude il sito della città nelle sue parti essenziali, con un circuito di circa 35 km. Nella cinta, che mostra restauri di epoche successive con materiale riutilizzato, si aprono alcune porte. Appena all'interno delle mura, nel settore settentrionale, è lo stadio. Mancano elementi sicuri per una ricostruzione dell'impianto urbanistico e dello sviluppo di A., anche se si possono riconoscere alcune tracce dell'impianto viario. La rete stradale della città lungo i margini dell'area del tempio mostra una strada di una certa ampiezza, che costeggia l'estremità dell'atrio del tempio in direzione nord-sud. Tracce di un'altra area lastricata, localizzata in una trincea praticata a ovest del Palazzo del Vescovo, possono essere interpretate come l'avanzo di una via di direzione est-ovest. Nel complesso, si osserva che le tracce delle vie seguono una pianta regolare, che unisce la tradizione ellenistica alla monumentalità romana.
K.T. Erim, s.v. Afrodisiade, in EAA, Suppl. 1970, pp. 9-17 (con bibl. prec.); Id., s.v. Aphrodisias, in PECS, pp. 68-70; G. Bean, Turkey beyond the Meander, London 1980, pp. 188-98; J.M. Reynolds, Aphrodisias and Rome, London 1982; K.T. Erim, Aphrodisias. City of Venus Aphrodite, London - New York 1986; Id., s.v. Afrodisiade, in EAA, II Suppl. 1971-1994, I, 1994, pp. 88-95 (con ampia bibl. prec.).
di Alessandra Bravi
Le indagini recenti hanno confermato le fasi di evoluzione della città già precedentemente delineate da K.T. Erim. L'impianto urbano di A. ha assunto un aspetto regolare con un tracciato di strade ortogonali tra la fine del II e il I sec. a.C. Nella prima età imperiale un'arteria attraversava il centro cittadino da nord a sud. Lungo questa strada principale, pavimentata con lastre di marmo e in epoca più tarda dotata di colonnati, si disponevano i principali complessi pubblici, tra cui il Sebasteion, il santuario del culto imperiale sotto gli auspici di Afrodite, la grande divinità cittadina, concepita come paredra del culto dinastico degli imperatori giulio-claudi e capostipite dei Giuli. Scoperto nel 1979 da Erim, il complesso fu costruito tra l'età di Tiberio e quella di Nerone, come uno spazio allungato orientato in senso est-ovest, sorta di via sacra bordata da portici. Un propylon monumentale a occidente era impostato in senso obliquo rispetto all'asse della lunga piazza pavimentata (14 × 90 m ca.), bordata sui due lati lunghi da portici a tre piani con colonnati a tre ordini, dorico quello inferiore, ionico al centro, corinzio al livello superiore. All'estremità orientale era una scalinata di accesso alla terrazza che ospitava il tempio, un prostilo corinzio su alto podio.
Il programma figurativo del complesso è annunciato dall'iscrizione dedicatoria del propylon, "ad Afrodite, agli imperatori Theoi Sebastoi e al popolo" e dalle sculture che decoravano la facciata del propylon, raffiguranti membri della famiglia giulio-claudia (Gaio e Lucio Cesare, Druso Minore, Agrippina Minore, ecc.) accanto alle immagini di Enea e Afrodite, detta Prometor dei Theoi Sebastoi (Venus Genetrix). Il significato del luogo era sottolineato dalle serie di lastre di marmo a rilievo poste tra le semicolonne dei portici nei livelli medio e superiore; l'intercolumnio centrale, più ampio di quelli laterali, ospitava il rilievo di maggiore significato, fiancheggiato ai lati da due rilievi "minori". Tra le semicolonne di ordine corinzio del Portico Sud i rilievi celebravano le Vittorie degli imperatori e figure di divinità, mentre nel livello inferiore si disponevano scene tratte dal panorama di miti greci e romani (Leda e il cigno, Demetra e Trittolemo, Bellerofonte e Pegaso, Oreste a Delfi, Meleagro e il cinghiale, Centauri e Lapiti, Achille e Teti, Achille e Pentesilea, Aiace e Cassandra, Apollo, Eracle, Enea in fuga da Troia e la Lupa con i gemelli).
All'estremità orientale del Portico Sud si raggruppavano i pannelli più significativi. Ad Augusto e la Vittoria nel livello superiore, corrispondeva nel registro inferiore la fuga di Enea, corredata nei pannelli laterali da un'immagine di Poseidone e sul lato opposto da una scena con la nascita di Eros dal grembo di Afrodite. Claudio e Agrippina figurano al centro di una triade completata a est da un'immagine di imperatrice che compie un sacrificio, a ovest da un pannello allegorico con Roma e Ghe, mentre sul livello inferiore compaiono nei pannelli laterali una scena di consultazione dell'oracolo di Delfi (nelle figure di Apollo e della Pizia) e le tre Grazie. La terza "stanza" era chiusa da una Nike al centro, fiancheggiata da Claudio che sconfigge la Britannia e sull'altro lato da Nerone e l'Armenia: sul piano inferiore alla Nike corrispondeva una scena di sacrificio, a Claudio la Lupa che allatta Romolo e Remo, a Nerone un eroe che caccia in compagnia di due cani. Seguono divinità del Pantheon greco-romano, Zeus, Atena e Hera, poi un imperatore con la sua Nike fiancheggiano una divinità centrale con volto eraso. Un principe accanto al Senato Romano (o il Popolo) occupa lo spazio centrale della sesta stanza, corredato ai lati da due figure (principi giulio-claudi) e da una scena di Roma che incorona A.; seguono Nikai, trofei, una Roma armata, Augusto con le personificazioni della Terra e del Mare, Germanico e personaggi divini.
I pannelli superiori del Portico Nord ospitavano una serie di allegorie, di cui ci restano le personificazioni di Hemera e di Okeanos. Personificazioni di popoli (ethne), province ed entità geografiche erano raffigurate nei rilievi del livello mediano, come figure stanti, statuarie, su alte basi decorate con ghirlande e maschere, sormontate da iscrizioni, grazie alle quali è stato possibile identificare ethne di popoli stranieri e province (Iapodes, Cardani, Callaeci, Arabi, Reti, Bosforani, Bessi, Andizeti e Piroustae, Trumpilini e Daci, la Giudea) e le isole di Creta, Cipro e la Sicilia. Questo complesso costituisce una grande rappresentazione dell'assetto ecumenico dell'Impero e delle vittorie imperiali e si configura come un modello architettonico originale, che non trova confronti nel mondo romano.
Una straordinaria serie di munificenze pubbliche implementa l'arredo urbano tra il I e il II sec. d.C. Il fulcro della vita pubblica di A. imperiale era l'agorà Sud, ambientata tra gli impianti scenografici dell'agorà Nord e del teatro. Dalla metà del II secolo l'area fu circondata da portici colonnati e da edifici monumentali e dominata a ovest dalle terme dedicate ad Adriano, mentre una basilica civile viene a occupare l'angolo sud-ovest della piazza.
Una stasi si registra nell'attività edilizia tra il III e il IV secolo, da alcuni attribuita alla crisi amministrativa che coinvolse le province orientali, congiunta agli effetti che seguono l'invasione dei Goti nel 260; la creazione di una nuova provincia di Caria e Frigia con A. capitale, l'imposizione di tasse con l'editto di Diocleziano, che figura peraltro affisso nel 301 sulla facciata della basilica, contribuirono al declino dell'evergetismo locale. Probabilmente fu un governatore, Helladios, che sovvenzionò i restauri alle terme adrianee agli inizi del IV secolo, un segnale di ripresa che caratterizzerà la "rinascita" tra la metà del IV e la metà del VI secolo. Nel 350-360 vengono costruite le mura (3,5 km di lungh., 80 ha). L'erezione di statue onorarie caratterizza gli spazi pubblici di A. tardoantica. Ad Antonius Tatianus, governatore tra il 360 e il 364, si deve la costruzione del Tetrastoon, una piazza colonnata a est del teatro dove l'evergeta fece collocare statue degli imperatori Giuliano e Valente. Nel V secolo, ritratti di Valentiniano, Onorio, Arcadio furono posti nell'agorà Sud. Un luogo secondario, deputato alla rappresentazione pubblica dell'élite urbana e della famiglia imperiale, era in quest'epoca la stoà settentrionale dell'agorà Nord, dove sono stati rinvenuti due ritratti di governatori imperiali all'interno di un'ampia esedra tra il bouleuterion a est e il cosiddetto Palazzo del Vescovo a ovest. Entrambe le statue sono datate nel IV o V secolo e si è tentati di associarle con l'uso in epoca tardoromana del Palazzo del Vescovo, edificio che necessita tuttora di essere studiato, ma che probabilmente assunse la sua forma attuale nel IV o V secolo, sorgendo sul luogo di una struttura più antica, forse il prytaneion della città.
In epoca tardoantica la Chiesa è la principale promotrice di imprese evergetiche, tra cui la conversione del tempio di Afrodite in chiesa: i colonnati dei lati brevi est e ovest furono smantellati e le colonne usate per estendere i colonnati nord e sud. L'estremità occidentale del temenos fu incorporata nel nartece e un atrio colonnato prese forma a ovest. L'abside nord del nartece fu eretta durante o dopo il regno di Leone I (457-474). Sui rilievi del Sebasteion vennero erase le scene di sacrificio e i volti delle divinità, mentre i rilievi mitologici furono risparmiati; il santuario fu utilizzato come mercato e nel V o VI secolo ospitava botteghe di artigiani per la lavorazione del vetro.
Nuove ricerche hanno fatto luce su un'abitazione sorta a nord del santuario chiamata Casa del Temenos Nord, il cui primo impianto sembra risalire al III o IV secolo. Nel tardo V o VI secolo nell'agorà Nord venne rinnovato il bouleuterion, grazie all'intervento degli evergeti Flavius Ampelius e Pytheas, attivi anche all'agorà Sud e nelle terme adrianee. Pytheas, Ampelius e un Asklepiodotus si fecero inoltre promotori di restauri al teatro e alla cosiddetta Atrium House a nord del Sebasteion, forse risalente all'epoca augustea e in uso fino al VI secolo, che ha restituito una serie di ritratti tardoromani di filosofi. Ricche abitazioni sorgono in città tra il V e la prima metà del VI sec. d.C., quando A. era ancora integra, con i suoi colonnati ed edifici. Sul Tetrastoon si ergevano statue onorarie di imperatori, ufficiali e cittadini di riguardo; la grande cattedrale sorta sul santuario di Afrodite era imponente e in generale l'impressione di una prosperità della vita urbana perdura fino alla metà del VI secolo, quando cessano le testimonianze epigrafiche sulla costruzione di nuovi edifici. Intorno alla metà del VII secolo una cinta viene eretta a racchiudere l'altura del teatro, che assume la funzione di una cittadella; A. muta il suo assetto urbano, come accade ad altre città asiatiche, quali Efeso e Sardi.
Bibliografia
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di Sergio Rinaldi Tufi
Le due entità territoriali che confluiscono nella provincia di Bithynia et Pontus entrano a far parte dello Stato romano in tempi e modi differenti: nel 74 a.C. il re di Bitinia Nicomede IV Filopatore, ripetendo il gesto compiuto da Attalo III di Pergamo, lascia in eredità il suo regno all'Urbe; nel 63 Pompeo, portando a conclusione le sue numerose campagne d'Oriente, batte Mitridate re del Ponto (lo stesso che aveva promosso stragi di Italici d'Asia) e si impossessa del suo territorio. La provincia viene costituita negli anni immediatamente successivi, nell'ambito di una riorganizzazione dell'area asiatica mediterranea predisposta dallo stesso Pompeo e sancita in un convegno ad Amisos, a cui vengono invitati tutti i sovrani della zona. A nord il confine è dato dal Pontus, o Mar Nero; la Bitinia è compresa fra i fiumi Rhyndakos e Sangario; il Ponto si estende verso est, ma con confini e assetti non sempre chiarissimi rispetto ai regni vicini; confini che continueranno a essere incostanti anche quando questi regni confluiranno nello Stato romano.
Non mancavano centri di grande importanza: nell'entroterra Nicea, Prusa e la capitale della Bitinia, Nicomedia; sul mare Sinope, Eraclea e la capitale del Ponto, Amastris. Venne assegnata alla Bitinia anche l'antica e grande Bisanzio, sul Bosforo, la futura Costantinopoli. Molte città vennero fondate o rifondate già da Pompeo (Magnopolis, Megalopoli, Nicopolis, Pompeiopolis), poi da Cesare (Colonia Iulia Apamea), e in seguito da Augusto e dai suoi successori (Germanicopolis, Claudiopolis, Flaviopolis); fu potenziata la rete stradale; ai fiumi navigabili già presenti vennero aggiunte canalizzazioni artificiali. Traiano, tenendo conto della grande importanza strategica di quest'area (soprattutto in vista della preparazione delle campagne d'Oriente), inviò un governatore di sua particolare fiducia, lo scrittore Plinio il Giovane. Altri famosi uomini di lettere, peraltro, erano originari della Bitinia e del Ponto: Strabone di Amasia, Cassio Dione di Nicea, Arriano di Nicomedia, Dione Crisostomo di Prusa. Come tante altre province, anche questa venne frazionata da Diocleziano in unità minori: Bitinia, Onoriade, Diosponto, Ponto Polemoniaco, Armenia Minore.
Si può tentare (spesso restano avanzi di non grande rilevanza; non mancano però notizie fornite dalle fonti) una rassegna degli interventi romani in Bithynia et Pontus, sia per quanto riguarda l'inserimento di nuove realtà nel tessuto delle antiche città greche, sia per quanto riguarda la fondazione di nuovi centri.
Prusa, città fondata dal re Prusia I, era ancora vitalissima in età romana: era la patria dell'oratore Dione Crisostomo che, intrapresa a Roma la carriera di retore, cadde in disgrazia durante il principato di Domiziano e divenne "filosofo errante" in Grecia, in Asia e nei Balcani, fino alla "riabilitazione" con Nerva e con Traiano e al ritorno, in vecchiaia, nella sua città di origine. Prusa ospitava, comunque, un'attività culturale non trascurabile; era molto frequentata, inoltre, grazie alle sue sorgenti termali. Restano tratti delle mura del III sec. d.C. e
rovine di un teatro; singolare la sorte di un altro monumento, la biblioteca, di cui non ci sono pervenuti resti, ma che ci è nota perché protagonista di un caso che creò qualche imbarazzo a Plinio il Giovane nella sua qualità di governatore. A giudicare da ciò che lo stesso Plinio scrive a Traiano, sembra che proprio Dione Crisostomo volesse donare alla città un edificio del genere e farvi collocare la sua sepoltura e una sua statua. Una pretesa un po' eccessiva, sulla quale però l'imperatore consiglia di "chiudere un occhio": del resto, in quello stesso inizio di II sec. d.C., una biblioteca-sepolcro si costruisce anche a Efeso, quella di Celso Polemeano.
Nicea (Nikaia) aveva ricevuto questa denominazione nel 281 a.C. da Lisimaco di Tracia, dopo essere stata fondata da Antigono Monoftalmo con il nome di Antigoneia: situata su un lago, nel cuore di una fertile area agricola, aveva fin dall'età ellenistica pianta quadrata e reticolo stradale ortogonale, in cui spiccava un importante ginnasio. Per l'età imperiale, le fonti parlano dell'Apollonio, del tempio di Cesare e Roma, del mercato fatto costruire da Adriano: monumenti perduti, perché la città bizantina si è sovrapposta a quella antica. Restano avanzi delle mura fatte costruire dallo stesso Adriano e di un teatro che apparteneva all'impianto originario, rifatto in età romana.
Nicomedia, città rivale di Nicea, era stata fondata da Zipoite, il re che aveva dato origine alla dinastia bitinica; era sulla costa, all'inizio di un'importante via di penetrazione verso l'interno. Anche qui, nell'assetto urbanistico e monumentale di età ellenistica (da ricordare il tempio di Nike e quello di Zeus Nikephoros) si inserirono notevoli realizzazioni di età romana: restano avanzi di mura, di torri e soprattutto del palazzo imperiale di età tarda (quest'ultimo, a giudicare dai resti ‒ benché incompleti ‒ era di estensione notevolissima). Altri monumenti tutt'altro che trascurabili sono citati dalle fonti: il porto, la basilica, il circo, l'ippodromo, una basilica fatta costruire da Traiano (contemporaneamente all'ampliamento del foro curato dall'amico Plinio), un impianto termale risalente all'età di Antonino Pio.
Apparteneva amministrativamente alla Bitinia anche Bisanzio. Ma passiamo al Ponto, a partire da Eraclea detta appunto Pontica, fondata già nel 560 a.C. da Beoti e Megaresi, rifondata da Lisimaco e successivamente annessa da Mitridate. Il suo doppio porto conservò certo la sua importanza anche in età imperiale, come pure la cinta muraria; Cesare e Augusto fecero costruire un ponte e un acquedotto. Amastris, pur appartenendo geograficamente al Ponto (e avendo appoggiato Mitridate), fu annessa alla Bitinia e Plinio la definì elegans et ornata. Aveva ragione? I resti che ci sono pervenuti (tempio, terme, teatro) sono troppo esigui per dare una risposta. Sinope, che era stata fondata all'incirca nel 630 a.C. da Mileto, era divenuta così importante da fondare a sua volta numerose colonie sulle coste del Ponto. Era rimasta autonoma all'epoca dell'avanzata verso oriente di Alessandro Magno, ma più tardi fu inglobata nel regno pontico: quando Roma lanciò l'offensiva contro Mitridate, l'incarico di assalire Sinope fu affidato a un generale di prestigio, Lucullo, che in effetti ne ebbe ragione. Colonia Iulia Felix con Cesare o con Augusto, mantenne in funzione il santuario arcaico sull'acropoli e le abitazioni di età ellenistica, a cui si aggiunsero in età imperiale importanti necropoli.
Anche Amasia aveva occupato nel regno pontico un ruolo di primo piano (la sua posizione nell'ambito di una notevole rete stradale le assicurava una certa rilevanza amministrativa ed economica) e anch'essa fu sottomessa da Lucullo: mantenne presumibilmente l'antica importanza anche in età imperiale e fu patria (come si è detto) di Strabone. Il monumento più importante era il tempio di Zeus Stratios. Altra impresa da ricordare di Lucullo nel Ponto è la conquista di Cerasunte, che era stata fondata con il nome di Pharnakeia. Era al centro di una zona nota per la sua produzione ortofrutticola: fu proprio Lucullo, famoso buongustaio, a importare in Italia il ciliegio, che (come suggerisce il nome della città) era la pianta più tipica.
Nel quadro di un assetto amministrativo non sempre chiarissimo, va segnalata nella regione pontica la particolare situazione di due antiche città-santuario, Zela e Comana. Inizialmente, esse mantennero lo stato di "regno sacerdotale" indipendente; continuarono a godere di una certa autonomia anche quando, con Tiberio, furono incorporate nella provincia. Per la più importante delle due, che è Comana (ribattezzata Hierocaesarea), gli autori antichi parlano di "mollezza di costumi"; si alludeva, presumibilmente, a modi di vita alquanto peculiari, dovuti a un'intensa ed eterogenea frequentazione. Qui si teneva infatti un culto, quello della antica divinità anatolica Ma-Enyó, che all'epoca di Pompeo poteva contare su oltre 6000 fedeli; Comana, inoltre, era un notevole nodo stradale e centro commerciale.
Fra fine della repubblica e inizio dell'età imperiale, sono da segnalare soprattutto alcuni ritratti: uno maschile di intonazione repubblicana a Sinope, una Livia ancora a Sinope (ma l'identificazione è da verificare), una Ottavia a Nicomedia, una Agrippina Maggiore a Trapezunte e un personaggio giulio-claudio di Amisos. Un quadro (nell'ambito del quale gli ultimi due ritratti citati sembrano dipendere in maggior misura da modelli urbani) che appare esauriente per il periodo iniziale dell'età imperiale, meno ricco per le epoche successive, anche se per l'età traianea abbiamo il singolare caso della statua di Dione Crisostomo.
A.H.M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 1971, pp. 147-73; B.F. Harris, Bithynia: Roman Sovereignity and the Survival of Hellenism, in ANRW, II, 7, 2 1980, pp. 857-901; E. Olshausen, Pontos und Rom (63 v. Chr. - 64 n. Chr.), ibid., pp. 903-12; A.N. Sherwin-White, Roman Foreign Policy in the East, London 1984; C. Marek, Pontus et Bithynia. Die römischen Provinzen im Norden Kleinasien, Mainz a.Rh. 2003.
di Sergio Rinaldi Tufi
La Galatia non è certo fra le province più romanizzate, eppure nella sua capitale, Ancyra (Ankara), è conservato il Monumentum Ancyranum: il testo in greco e in latino delle Res gestae Divi Augusti, il testamento politico del fondatore dell'Impero. Il lungo documento, definito "la regina delle iscrizioni", era stato inciso su tavole di bronzo e collocato all'ingresso del mausoleo dell'imperatore a Roma; era stato poi replicato in copie diffuse un po' dovunque nell'Impero.
In questa antica regione dell'altipiano centrale anatolico si erano insediate nel III sec. a.C., inserendosi fra le genti preesistenti, tribù celtiche: "frange" estreme di quella enorme espansione che caratterizza l'età del Ferro in Europa avevano varcato l'Ellesponto e ‒ note in Oriente come Galati ‒ erano state sconfitte dai re di Siria e dai re di Pergamo. In questa nuova sede fondarono un piccolo regno: alla morte dell'ultimo re, Aminta (25 a.C.), Augusto incorporò in modo indolore il territorio nell'Impero romano, costituendolo in provincia. Le tribù celtiche che costituivano la parte prevalente della popolazione continuarono, come era nelle loro tradizioni, a vivere soprattutto in villaggi sparsi e a praticare l'agricoltura e l'allevamento; oltre alla Galazia "storica", la provincia comprendeva anche porzioni più o meno ampie della Pisidia, dell'Isauria, della Licaonia e, più tardi, della Paflagonia, del Ponto, dell'Armenia Minore; il territorio fu inoltre, in vari momenti, alternativamente unificato e separato con quello della Cappadocia. Confini tutt'altro che stabili, dunque, e scarsa omogeneità etnica e culturale: l'assetto del territorio ebbe tuttavia caratteristiche ben riconoscibili, organizzandosi spesso in grandi latifondi, come del resto era accaduto già in età ellenistica. La proprietà, che in precedenza era stata dei dinasti fino ad Aminta, passava ora in gran parte alla famiglia imperiale, ma, in certi casi, anche a ricchi abitanti delle città della costa anatolica meridionale: i Planci di Perge in Panfilia possedevano terre, oltre che in Galazia, anche nell'interno della Pisidia; i Pacci di Attaleia le possedevano invece in Licaonia.
Le crisi del III secolo investirono pesantemente la provincia, attraversata da eserciti in marcia e invasa da orde di Goti; con Diocleziano si attuò un tentativo di riordino e il territorio fu diviso in Galatia Prima a est e Galatia Salutaris a ovest; ma la decadenza, accompagnata da frequenti carestie e dal declino delle città, andò accentuandosi nel prosieguo del IV e nel V secolo.
Mancano elementi per parlare di un'urbanistica romana in Galatia: il fenomeno dell'urbanizzazione, in conseguenza di quanto si è detto a proposito dell'organizzazione del territorio, non ebbe qui un impulso rilevante; inoltre i siti archeologici, in genere, non sono stati finora adeguatamente indagati. I monumenti veramente notevoli che conosciamo non solo nella Galazia propriamente detta, ma anche nei territori che le vennero di volta in volta aggregati, sono ad Ancyra, ad Antiochia di Pisidia e a Pessinunte.
Dell'antica Ancyra si conservano un impianto termale dell'età di Caracalla e il tempio che recava la "regina delle iscrizioni". Era dedicato a Roma e ad Augusto; inizialmente era un tempio tetrastilo con opistodomo in antis, costruito in bei blocchi di marmo; il testo delle Res Gestae era inciso in latino sulle pareti interne delle ante del pronao e in greco sulla parete esterna meridionale. Numerose copie dovevano essere diffuse, come si è detto, nel mondo romano, con lievi varianti di luogo in luogo e soprattutto con sottili differenze fra versione latina e versione greca: il caso ha voluto che l'unico esemplare pressoché completo si conservasse proprio nella capitale di una provincia scarsamente romanizzata e altri frammenti del testo si rinvenissero in due non lontane città della Pisidia, Apollonia e Antiochia. Nel II sec. d.C. il tempio di Augusto e Roma fu ampliato, con la creazione di una peristasi di 8 colonne per 15; lungo i fianchi, la distanza fra colonnato e parete della cella corrisponde al doppio di un intercolumnio. La pianta che ne deriva è quella di uno pseudodiptero; l'intercolumnio centrale del pronao e dell'opistodomo, inoltre, è più grande degli altri: siamo nell'ambito degli schemi planimetrici messi a punto in età ellenistica dall'architetto Hermogenes di Priene. Mentre la cella si è in buona parte conservata, anche perché è stata trasformata in chiesa in età medievale (adiacente, poi, è stata costruita nel XV secolo la moschea di Hacı Bayram), della peristasi si conserva ben poco, anche se le basi di colonne che sono state rinvenute consentono di ricostruirne la pianta.
Antiochia di Pisidia (ai confini della Frigia), città fondata nel 280 a.C. da Seleuco Nicatore, ebbe nuova vita in età romana. La città di Yalvaç, cresciuta sul sito del centro antico, rende impossibile la comprensione della planimetria d'insieme; numerosi materiali, inoltre, sono stati asportati e reimpiegati come pietra da costruzione. Restano avanzi di una cinta muraria, di un teatro, di un acquedotto e soprattutto del tempio di Men e Augusto, costruiti nell'ambito di una vasta area sacra ricavata nella roccia: l'aedes vera e propria, di ordine corinzio e di pianta tetrastila, aderisce alla parete di fondo. Da sottolineare le analogie fra Ancyra e Antiochia. In entrambi i casi il tempio è un tetrastilo ed è in qualche modo presente la figura di Men: ad Ancyra venerato con Cibele prima della romanizzazione, ad Antiochia venerato insieme con Augusto in un audace sincretismo di età imperiale.
Cibele, la Gran Madre degli Dei, e lo stesso Men sono oggetto del culto praticato nell'antico e frequentatissimo santuario di Pessinunte: qui sono associati con Attis. Già attivo nella fase di insediamento delle tribù celtiche, tale santuario fu ricostruito dagli Attalidi quando, a loro volta, occuparono la città; alla fine del III sec. a.C., su indicazione di un oracolo della Sibilla, una pietra scura fu trasportata da qui a Roma sul Palatino. Del tempio restano interessanti avanzi: si discute se appartengano alla fase ellenistica o a quella romana imperiale. L'edificio è un esastilo che ricorda, per alcuni aspetti planimetrici e tecnici, l'illustre esempio del tempio di Atena a Priene; è orientato verso ovest, come l'Artemision di Efeso, il già ricordato tempio di Ankara e altre costruzioni dedicate al culto di divinità anatoliche. Qui si svolgevano anche culti sotterranei, come nel tempio di Aizanoi. La città era nota anche come luogo di notevole attività economica e commerciale: Strabone parla dei ricchi sacerdoti-eunuchi del tempio.
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di Cevdet Bayburtluoğlu
La capitale della Turchia (gr. ʹΑγϰυϱα; lat. Ancyra; ar. Anqira, Anqūriyya, Qal῾at al-Salāsil; turco Engüriye, Engüri, Engürü), abitata ininterrottamente dal Paleolitico a oggi e nel tempo capitale di diverse civiltà, è un importante centro archeologico.
La mancanza di dati riferibili al Paleolitico superiore, in considerazione dei rinvenimenti nel vicino sito di Etiyokoşu che appartengono al Paleolitico medio (100.000-40.000 a.C. ca.), è probabilmente dovuta al caso. Per la fase più antica del Paleolitico sono numerosi i resti ritrovati sia nella città sia nelle immediate vicinanze. I rinvenimenti effettuati nei siti di Durupınar, Kargabor, Sehitali, Balıkuyumcu sono molto simili a quelli di Çatal Hüyük, Hacılar, Mersin del periodo paleolitico e neolitico. Molto frequenti sono nella zona di A. gli insediamenti del tipo a hüyük del Bronzo Antico (III millennio a.C.). La prima ricerca archeologica effettuata nel territorio di A. nel 1933, subito dopo l'istituzione della Repubblica Turca, riguardò proprio uno di essi, quello di Ahlatlıbel. Altri insediamenti dello stesso tipo sono quelli di Bitik, Yalıncak, Karaoğlan, Koçumbeli, Yumurtatepe, tutti compresi entro i confini della città moderna. Gli scavi hanno restituito idoli, fuseruole di ceramica e di osso, vasi del tipo del depas amphikypellon, che hanno rapporti con i contemporanei esemplari balcanici, vasi a beccuccio, spille d'oro per i capelli, nonché la statuetta di Hasanhoğlan esposta al Museo delle Civiltà Anatoliche.
Agli inizi del II millennio a.C., allorché si stabilirono in Anatolia le colonie commerciali assire ed ebbe inizio l'uso della scrittura, A. e i suoi dintorni furono sotto l'influenza della cultura di Khatti. Nella seconda metà del millennio il territorio di A., come è dimostrato dai rinvenimenti di Bitik e di Yenikaya, di Gavourkalesi a sud della città e di Balıkhisar a nord, fu certamente controllato dagli Hittiti. Il periodo successivo alla caduta dell'impero hittita, fino all'emergere del regno frigio, cioè i primi due secoli del primo millennio a.C., è piuttosto oscuro nel territorio di A. così come in tutta l'Anatolia. Durante il periodo dell'impero frigio, che occupò la parte occidentale dell'Anatolia nella zona del fiume Sakarya, A. fu seconda solo alle capitali, prima Gordion e successivamente Midaion. Secondo la tradizione leggendaria, fu fondata dal mitico re Mida. L'importanza della città in questo periodo è illustrata da diverse testimonianze archeologiche, fra cui il tempio della Dea Madre, il cui culto risale forse a età anteriore a quella neolitica ed è dedicato ad Attis, a Cibele e a Men; importanti sono anche i tumuli Beştepeler, l'area della necropoli di Hacettepe, gli ortostati a rilievo e altri piccoli rinvenimenti che provengono da diverse zone della città. Il centro frigio aveva probabilmente l'area sacra nella zona poi occupata dal tempio di Augusto e la sua acropoli era l'attuale fortezza. Le aree funerarie per il popolo erano nella zona di Hacettepe, mentre i ceti abbienti seppellivano nella zona a ovest e a sud-ovest della città. Appena fuori dell'area urbana dovevano esserci fattorie e aree sacre, come è dimostrato dal rinvenimento di ortostati a rilievo.
Dalla metà del I millennio a.C. la storia della città è illustrata anche dalle testimonianze letterarie. A quanto racconta Erodoto, il re dei Lidi Creso fu convinto da un oracolo a spingersi al di là del fiume Halys per acquisire la supremazia su tutta l'area. Attraversato l'Halys, il re lidio conquistò le terre dei Frigi, ma fu sconfitto dai Persiani. Nel VI sec. a.C. la città cadde sotto il dominio di Ciro e dei suoi successori. Dopo l'incendio di Gordion da parte dei Persiani, A. dovette svilupparsi rapidamente essendo situata lungo il percorso della Strada Reale. Nonostante ciò, molto scarse sono le testimonianze risalenti al periodo persiano-achemenide; le più importanti sono i resti del palazzo, rinvenuti casualmente. Durante tutto il periodo achemenide A., il cui nome deriva da ἄγϰυϱα (= àncora), dovette essere un'importante città commerciale, situata all'incrocio di rilevanti strade di collegamento. Non conosciamo molto della città fino alla campagna di Alessandro Magno in Asia e al racconto di Arriano. Dopo la morte di Alessandro, essa fu sotto il controllo di Antigono; nel 278 a.C., la tribù galata dei Tectosagi, che invasero a ondate l'Anatolia, ne fece la propria capitale. Questa popolazione ha lasciato testimonianze della sua presenza nelle campagne intorno ad A., nelle località di Karalar, Tabanlıoğlu kale, Dikmen kale e Hisarlık kale e nelle vicinanze di Balıcuyumcu.
In seguito alla sconfitta definitiva dei Galati, le cui incursioni minacciavano tutta l'Anatolia, da parte di Gn. Manlio Vulsone nel 189 a.C., A. cadde sotto il dominio di Mitridate, finché a partire dal 25 a.C. Augusto ne fece la capitale della provincia di Galatia: A. ebbe uno sviluppo molto rapido e divenne punto di collegamento di diverse, importanti strade. Durante il periodo romano la città, oltre alla zona dell'attuale fortezza, doveva essere intensamente abitata nell'area del tempio di Augusto e Roma. Il recente rinvenimento dei resti di un teatro di età romana, la cui costruzione presenta due fasi, nonché la "regina delle epigrafi", le Res gestae Divi Augusti, ne sono le più importanti testimonianze archeologiche, filologiche e storiche. L'epigrafe, scolpita sulle pareti del tempio di Augusto, costruito allora in proporzioni più grandi sul sito dell'originario tempio della divinità locale Men, è un significativo documento della vita della città, dell'amministrazione e delle relazioni con l'Impero. Il II sec. d.C. fu un periodo di grande sviluppo per A., sia per l'importanza attribuitale da Adriano sia per l'atmosfera di pace favorita dallo stesso imperatore. La città raggiunse in quel periodo la sua massima estensione con l'aggiunta di una dodicesima phylè. All'inizio del III sec. d.C., A. conobbe ancora un periodo di sviluppo, con la costruzione delle terme di Caracalla e la ristrutturazione del teatro. Questo ebbe termine prima della metà del secolo, allorché Alessandro Severo, dopo avere subito una sconfitta contro i Parti, cinse la città di mura. In questo periodo alcuni importanti edifici, per incuria o per difficoltà economiche, vennero abbandonati. A seguito della scissione dell'Impero e dell'avvento della religione cristiana, A. ebbe un nuovo momento di fioritura. Nel IV sec. d.C. venne costruita la chiesa di S. Clemente, una delle più grandi del periodo. Fra il III e il IV sec. d.C. la città venne contesa fra i Bizantini e i Sasanidi. Questa situazione durò fino al VII secolo e A. fu spesso oggetto di scorrerie da parte degli Arabi. Dopo il 1071, a seguito della presenza dei Turchi in Anatolia, A. assunse l'aspetto di città turca, nonostante la conquista da parte dell'esercito crociato di Raimondo di Tolosa.
I resti antichi di A. per la maggior parte sono stati distrutti od occultati dalla città moderna. Ancora riconoscibili sono due insediamenti calcolitici, mentre non si riscontrano resti del periodo hittita; sono conservati anche due tumuli frigi. La città aveva un sistema di mura che racchiudeva l'intera acropoli e, in collegamento con questa, la città bassa. Esse ci sono pervenute con molteplici rimaneggiamenti di età romana, bizantina, selgiuchide e ottomana; specialmente nel periodo bizantino vi furono reimpiegati numerosi elementi architettonici, basi e altari provenienti dalla città bassa. La cinta muraria, con le sue porte d'ingresso visibili fino al XIX secolo, prosegue fino sulla collina che si affaccia sull'acropoli e fino al teatro romano, a est del tempio di Augusto. La porta romana, sul muro che collega la città all'acropoli, documentata da riprese fotografiche degli anni fra il 1910 e il 1920, si trovava ad almeno 2 m di profondità rispetto al livello stradale moderno. La porta, collocata all'estremità nord della strada colonnata che collegava il temenos del tempio di Augusto e Roma e le terme di Caracalla, è ricordata fino ai nostri giorni con il nome di Çankırı Kapısı e ne erano conservati i resti fino agli inizi del XX secolo. Ancora fino al XIX secolo erano visibili numerosi altri monumenti antichi, soprattutto del periodo romano, dei quali ne ricordiamo tre: il primo è il complesso ginnasio-terme, all'interno del quale era forse collocata la colonna detta "di Giuliano", il cui pavimento a mosaico giace sotto gli uffici pubblici del quartiere di Ulus. Il secondo si trovava nella zona in cui la via colonnata si avvicinava alle terme di Caracalla ed era probabilmente un ninfeo collegato al precedente complesso. Non è determinabile la funzione del terzo edificio, collocato a sud-ovest degli altri, adiacente alle terme di Caracalla.
Fra i monumenti ancora esistenti, il più importante è il tempio di Augusto-Men. La cella del tempio occupa un luogo considerato sacro forse già da epoca frigia; la funzione sacra del sito è proseguita con la costruzione di una chiesa bizantina e della moschea di Hacı Bayram. Si tratta del più grande edificio di culto costruito nella zona orienta-
le dell'Impero; ha pianta pseudodiptera e una peristasi di 8 × 15 colonne di ordine corinzio. Nel II sec. d.C. fu restaurato e vi furono effettuate alcune modifiche. Fu successivamente trasformato in chiesa cristiana, abbattendo la parete divisoria dell'opistodomo, trasformandone le ante in absidi e aprendo tre finestre sulla parete meridionale. Il teatro, costruito in età augustea e restaurato nel periodo di Adriano, ebbe modifiche sotto Caracalla. Nonostante la sua cavea sia piuttosto rovinata, l'orchestra, adibita anche a giochi acquatici, e la particolare struttura della scena ne fanno un esempio significativo dell'architettura romana in Asia. Il terzo importante edificio ancora conservato è quello delle terme costruite, secondo le iscrizioni rinvenute, nel periodo di Caracalla; la pianta di queste richiama, in proporzioni minori, le Terme di Caracalla a Roma. Della chiesa di S. Clemente non rimane alcuna traccia. Le moschee di Aslanhane, Zincirli e İmrahor, insieme ad altri edifici sacri musulmani, sono testimonianze ad A., ormai chiamata Engürü, del periodo bizantino-selgiuchide e del primo periodo ottomano.
E. Bosch, Quellen zur Geschichte der Stadt Ankara im Altertum, Ankara 1967; C. Foss, Late Antique and Byzantine Ankara, in DOP, 31 (1977), pp. 30-87; H. Hänlein, Zur Datierung des Augustustempels in Ankara, in AA, 1981, pp. 511-13; K. Fittschen, Zur Datierung des Augustus-Roma-Tempels in Ankara, ibid., 1985, pp. 309-15; E. Akurgal, Anadolu Uygarlıkları. Ankara [Le civiltà dell'Anatolia. Ankara], İstanbul 1989, pp. 508-12; İ. Bayburtluoğlu, s.v. Ankara, in EAA, II Suppl. 1971-1994, I, 1994, pp. 237-38 (con bibl. ult.).
di Sergio Rinaldi Tufi
La Licia e la Panfilia sono regioni assai diverse seppur confinanti: già menzionate dai poemi omerici, fiorenti in età classica ed ellenistica, in tempi e modi diversi furono aggregate allo Stato romano. La Licia è una regione aspra e montuosa, bagnata su tre lati dal mare, all'estremità sud-occidentale della Penisola Anatolica: la conformazione geografica rende difficili gli accessi sia per terra sia per mare. Sede di un'antica confederazione di città, la regione (che in precedenza era stata assoggettata dai Persiani, da Alessandro Magno, dai Tolemei, dai Seleucidi, dai principi rodi) stabilì ottimi rapporti con Roma nell'ultimo scorcio dell'età repubblicana, tanto da mantenere una formale indipendenza che si protrasse fino all'età di Claudio. Dopo essere stata organizzata provvisoriamente in provincia da questo imperatore, ricevette un assetto definitivo con Vespasiano nel 74 d.C. Le città mantennero l'antico assetto confederale.
La Panfilia si estendeva, a est della stessa Licia, in una serie di pianure costiere popolate di antiche città, che avevano raggiunto una loro piena formulazione in età ellenistica, quando la regione era stata sottomessa prima dai già ricordati Tolemei e Seleucidi, poi dagli Attalidi di Pergamo. Fu Attalo III a lasciarla in eredità, con tutto il suo regno, a Roma, che però non la inserì nella provincia d'Asia, ma le aggregò, immediatamente alle spalle, un ampio tratto dell'altopiano pisidico, parte significativa di un'area, appunto la Pisidia (caratterizzata da magnifiche città arroccate sui monti): una regione che si era mantenuta indipendente dall'impero persiano e, in parte, perfino dalla conquista di Alessandro, ma che in età ellenistica era stata inclusa nel regno di Pergamo e con quest'ultimo era entrata a far parte dello Stato romano. Inclusa da Pompeo nella provincia di Cilicia, fu poi assegnata in parte alla Galatia e in parte, appunto, alla Pamphylia. Quando fu creata la provincia di Lycia, vi fu un'ulteriore annessione. Pur nel quadro di un assetto apparentemente non troppo organico e di una romanizzazione non intensissima, la situazione di questa provincia con due nomi e con tre anime si mantenne a lungo pacifica.
Le diverse anime della provincia si riflettono nelle diverse situazioni urbanistiche e architettoniche. Le principali città della Licia, che in genere preesistono largamente all'arrivo dei Romani, sono spesso situate in luoghi impervi e scoscesi; pur mantenendo fin da tempi remoti stretti rapporti con il mondo greco, hanno nomi dal suono inconsueto per l'orizzonte classico: Xanthos, Patara, Limyra, Termesso, Telmessos. Più inserito nell'ambito culturale e cultuale ellenico appare, non lontano da Xanthos, il santuario del Letoon, dove i centri e le popolazioni della regione trovavano un importante punto di riferimento.
Per quanto riguarda l'età classica ed ellenistica, in queste città siamo in grado di valutare non tanto i piani urbanistici, quanto la rilevanza di alcuni monumenti; più delle "città dei vivi", in molti casi hanno lasciato resti significativi le "città dei morti". A Xanthos attorno alla cosiddetta "acropoli licia" si estendeva, su pendii rocciosi, una necropoli assai vasta, in cui spiccavano le tombe più monumentali. Verso la fine dell'età repubblicana, la città fu distrutta da Bruto (42 a.C.: uno degli ultimi "colpi di coda" dei Cesaricidi), ma conobbe una notevole rifioritura dopo la costituzione della provincia a opera di Claudio (43 d.C.). Fra gli altri monumenti, non tutti cronologicamente ben collocabili, l'unico databile con certezza, grazie al rinvenimento dell'iscrizione, è l'arco-porta di Vespasiano, a un fornice, i cui resti sono visibili a sud. Da notare il rapporto fra questi monumenti di età romana e quelli preesistenti: il teatro era sotto la Tomba delle Arpie, l'agorà sotto il Pilastro Iscritto, l'arco-porta di Vespasiano non lontano dal Monumento delle Nereidi. Parti consistenti della città romana, quindi, si sviluppavano laddove in precedenza erano stati costruiti monumenti funerari (dunque in area extraurbana). Quei monumenti furono però rispettati; inoltre ne vennero costruiti degli altri, fra cui un mausoleo circolare e un heroon. Meno ampia, forse, la portata degli interventi romani nel Letoon, unito a Xanthos da una strada che usciva dalla porta di Vespasiano. Nell'area si inserì in età adrianea un grande ninfeo, costituito da un ampio portico semicircolare attorno a un bacino del diametro di 27 m. Fuori dell'area sacra vera e propria, ma non lontano, si aggiunse un notevole teatro.
Patara era un'importante città portuale, su un litorale oggi insabbiato dai depositi alluvionali del fiume Koca. Della città si ha notizia solo a partire dal momento della conquista di Alessandro; coinvolta nelle lotte fra Diadochi, fu posta, a partire dal 197 a.C., sotto il controllo dei Seleucidi. Vi era un importante santuario dedicato ad Apollo, che fu distrutto durante la guerra mitridatica; ma in seguito la città, come altre nella regione, conobbe un rilancio, divenendo addirittura (sia pure per un breve periodo) "metropoli del popolo dei Lici". Al momento della costituzione della provincia, il centro principale era però Xanthos. Il tratto di costa su cui sorge Patara è caratterizzato da due piccole alture più vicine al mare e da una collina più elevata alle spalle: qui sono i resti di una fortezza ellenistica, ma il porto non è più riconoscibile e per avere un'idea del tempio di Apollo disponiamo solo di riproduzioni monetali. Oltre alla fortezza, restano alcune tombe
rupestri. Per l'età romana, invece, abbiamo testimonianze di una certa consistenza. Al margine est della collina settentrionale è un arco-porta a tre fornici: quello centrale è maggiore dei due laterali e reca sopra e ai fianchi, su entrambe le facciate, nicchie rettangolari, probabilmente destinate a contenere statue. Sempre su entrambe le facciate si allineano sei grandi mensole, ognuna delle quali sosteneva un busto-ritratto. Le iscrizioni superstiti ci informano che i busti (perduti) raffiguravano Mettius Modestus (governatore della provincia intorno al 100 d.C.) e la sua famiglia.
Fra gli altri monumenti (tre impianti termali, una cisterna, un grande magazzino di età adrianea presso il porto) spicca il teatro, appoggiato al lato nord della collina meridionale: la scaenae frons aveva cinque porte, la cavea (come negli altri teatri della Licia, sia quelli costruiti in età ellenistica sia quelli costruiti in età romana) è maggiore del semicerchio. La datazione dell'edificio (in gran parte da scavare) è incerta, anche se alcune iscrizioni parlano di un importante restauro tiberiano, nonché della ricostruzione del proscenio e della scena finanziata nel 147 d.C. da una ricca dama, Vilia Procura. Sappiamo che la vita della città proseguì intensa anche in età bizantina, con la costruzione di chiese e di una cinta muraria; non è noto se l'impianto urbanistico fosse regolare, anche se la conformazione del terreno (in attesa che eventuali scavi forniscano indicazioni più precise) sembra renderlo improbabile.
Sicuramente, di un impianto regolare non si può parlare a Termesso, situata all'interno, ai fianchi e sulla sommità di una montagna alta 1000 m che domina i passi verso la Pisidia. A questa posizione la splendida città doveva la sua importanza strategica e commerciale, fonte principale della sua prosperità. Anch'essa aveva origini antichissime, collegate dal mito alla figura di Sarpedonte; fu fra le poche città dell'Anatolia a non essere conquistata da Alessandro Magno. Alleata di Roma fin dal 189 a.C., restò fedele anche durante la rivolta mitridatica: nel 71 a.C. fu dichiarata amica et socia populi Romani. Nel II e III sec. d.C., a differenza di quanto accade in altre aree dell'Impero, qui si verifica il periodo di massimo splendore; nel IV secolo la città diviene sede episcopale. Sulla sommità della montagna, in una sorta di conca ricavata artificialmente, è il cuore politico e religioso, l'agorà.
La grande piazza, di forma trapezoidale, era di origine ellenistica, ma non mancano interventi successivi: a ovest era chiusa da un portico (stoà) donato da Attalo II di Pergamo, a nord da un altro fatto costruire nel II sec. d.C. da un ricco cittadino, Osbaras. Sull'agorà si affacciavano vari templi, uno a ovest, dedicato probabilmente ad Ares, altri, di varie dimensioni, su una terrazza presso l'estremità sud-est, che si può considerare l'acropoli della città. Il maggiore, che presumibilmente era il più importante dell'intera città (anche se i resti che si conservano non sono particolarmente consistenti), era dedicato ad Artemide: un esastilo periptero di ordine dorico databile alla seconda metà del II sec. d.C. Prospiciente a questo era un tempio minore (in migliore stato di conservazione) dedicato alla stessa divinità all'inizio del III secolo da una ricca dama, Aurelia Armasta. Si può osservare quanto fosse diffuso in queste città il fenomeno dell'evergetismo e, in questo ambito, la presenza di figure femminili; d'altra parte, Erodoto testimonia che, fin da tempi remoti, la donna aveva una posizione di spicco nella società licia.
La terrazza-acropoli si affaccia su un grande burrone: vi si affacciano anche, in posizione estremamente suggestiva, il bouleuterion e il teatro, entrambi risalenti a età ellenistica. Il bouleuterion, che probabilmente fungeva anche da odeion (ospitava cioè, oltre alle sedute del senato cittadino, anche audizioni musicali), riecheggia sotto alcuni aspetti (i pilastri addossati alla parete esterna) il meglio noto bouleuterion di Mileto. Il teatro, costruito in grandi blocchi squadrati, presenta una cavea maggiore del semicerchio: la capienza è di 5000 posti circa, un terzo, si calcola, della popolazione di Termesso all'inizio dell'età imperiale. La città fu ampliata nel II sec. d.C. con un vasto giro di mura che includeva anche la parte bassa della montagna: qui fu eretta una porta monumentale, di struttura peraltro molto semplice, dedicata ad Adriano; alle sue spalle un tempio più antico, consacrato al culto di Artemide, venne ridedicato allo stesso Adriano. In una situazione in cui la città dei morti non era meno importante di quella dei vivi e si estendeva in età classica ed ellenistica a sud e a nord-est dell'abitato, si aggiungono in età imperiale nuove tombe, soprattutto con facciate monumentali e con sarcofagi rupestri. Spicca fra le altre una tomba a camera, con la facciata movimentata da nicchie e con un'abside semicircolare sulla parete di fondo.
Ancor più antica era forse Limyra. In età preromana, il massimo del potere politico era stato raggiunto nel IV sec. a.C. dal re Pericle che si era assicurato il controllo di un vasto territorio, da Telmessos a Temioussa, da Phaselis a Rhodiapolis a Phellos. Come ormai abbiamo visto, i resti delle necropoli sono più significativi di quelli della città, costruita in altura: fra le tombe, spiccano mausolei di grande impegno, come quello attribuito al re Pericle, che è in altura e che ha una forma di tempietto tetrastilo anfiprostilo su alto podio, in cui alle colonne si sostituiscono singolari figure di Cariatidi. Nel quadro delle spartizioni dell'impero di Alessandro, la città fu assegnata alla dinastia dei Tolemei. A celebrazione di questa famiglia e soprattutto di una vittoriosa guerra contro gli invasori celti, fu eretto un edificio di culto detto appunto Ptolemaion. Limyra passò poi, come tutta la Licia, a una formale indipendenza sotto il protettorato romano: nel 4 d.C. vi morì prematuramente il successore designato di Augusto, Gaio Cesare (era scomparso in precedenza anche il fratello Lucio), che fu onorato con un cenotafio monumentale, degno delle tradizioni della regione nel campo dell'architettura funeraria.
L'edificio, notevolmente sviluppato in altezza, era costituito da un alto podio, da un corpo centrale decorato da lesene (che suggerivano l'idea di un porticato) e da una copertura a piramide. Il fregio raffigurava le res gestae di Gaio: è stato rinvenuto in frammenti. In età imperiale la città, che fu anche definita metropolis, si arricchì di altri monumenti, che in genere non furono costruiti sull'altura, come l'insediamento licio, ma ai suoi piedi. Il teatro è databile, nella sua ultima fase, alla fine del II sec. d.C. (anche qui un'iscrizione ci dà il nome di un evergete, Opramoas). Si conoscono inoltre alcuni edifici termali e soprattutto un ponte (360 m, 28 arcate), probabilmente tardoantico, che scavalca il fiume Limyros. Anche se un graduale abbassamento della costa contribuì a ridurre l'importanza della città, in età bizantina si continuava ancora a costruire: importanti alcune basiliche.
In qualche modo collegabili e confrontabili sono le realtà di Myra e Telmessos. A Myra, in altura, non lontana dal porto di Andriaki, si trova una grandiosa necropoli rupestre licia; appoggiato allo stesso pendio roccioso in cui si aprono le tombe, sorge in età ellenistica un grande teatro. Alcune iscrizioni, inoltre, testimoniano anche in questa città (come a Rhodiapolis, a Picara, a Tlos) l'attività evergetica del già ricordato Opramoas: non è da escludere quindi che il teatro di Telmessos, come quello di Limyra, sia stato restaurato dallo stesso personaggio. Anche a Telmessos, i resti più significativi sono costituiti da necropoli e teatro: fra le tombe con facciata monumentale, notevole una in antis, di cui un'iscrizione ci rivela il nome del destinatario, Aminta. Quanto al teatro, si tratta, ancora una volta, di un impianto di età ellenistica rimaneggiato in età imperiale. La fase romana appare più determinante nella città costiera di Phaselis, fondata peraltro da coloni rodi all'inizio del VI sec. a.C. e dotata di tre porti, uno a nord, uno a nord-est e uno a sud-ovest di una medesima penisola. Presso quest'ultimo approdo una porta monumentale, costruita all'epoca di Adriano (che visitò la città), dava accesso a una strada lastricata che conduceva a quello di nord-est: lungo tale strada si allineavano il teatro, le terme, l'agorà (di forma lievemente irregolare); non lontano era il tratto urbano dell'acquedotto, di cui restano cospicui avanzi.
Lasciamo la Lycia e passiamo alla Pamphylia, che entrò ufficialmente nello Stato romano nel 102 a.C. Fu assegnata inizialmente alla Cilicia, poi all'Asia; nel 36 a.C. Antonio la affidò ad Aminta, sovrano formalmente indipendente ma controllato da Roma; nel 23 a.C. fu accorpata alla Galatia; Claudio (come si è già accennato) la associò con la Licia e con parte della Pisidia. Dal punto di vista politico e amministrativo, una storia inquieta, ma la regione godette di notevole prosperità fino al III sec. d.C.; inoltre l'attività urbanistica romana, dal punto di vista progettuale resa più agevole dalla conformazione del territorio, fu qui più incisiva che non in Licia.
Perge è a 7 km di distanza dal fiume Caistro, sulla strada che conduce in Pisidia. L'abitato, posto ai piedi di una collina (acropoli), assume già in età ellenistica una precisa fisionomia: notevole soprattutto la poderosa cinta di mura con blocchi accuratamente squadrati, con una porta caratterizzata da alte torri a pianta circolare, dietro le quali si apre un cortile ovale. In età imperiale la città si espande notevolmente, anche al di là delle mura ellenistiche (teatro, stadio); l'area centrale assume un aspetto di grande monumentalità. Dalla porta principale parte una larga via colonnata, che lascia sulla sua destra, proprio all'inizio, l'agorà e sale verso l'acropoli. La pendenza all'inizio è lieve, poi (dopo l'incrocio con un'altra via colonnata) un po' più ripida, fino a un grande ninfeo posto ai piedi dell'altura dell'acropoli: una sorta di prospettiva obbligata verso lo sfondo monumentale di tutto il percorso. Non solo: lungo la parte centrale della grande arte-
ria scorre un canale che, con un effetto "a cascatelle" dato da una serie di vasche disposte a gradoni, convoglia acqua dal ninfeo alla porta. Scenografia di grande impatto, in cui si inserisce anche la porta, che come ingresso in città non ha più senso in quanto la città stessa si è estesa oltre: nel II sec. d.C. Plancia Magna, dama di una grande famiglia che possedeva latifondi in Pisidia, fa decorare il cortile ovale retrostante le due torri con una serie di nicchie, edicole e statue.
All'esterno si sviluppa, successivamente, un grande cortile trapezoidale, con una nuova (seppur minore) porta monumentale; con Settimio Severo sorgono, sulla sinistra per chi guarda la porta, un ninfeo e un impianto termale, con un ingresso tetrastilo che si apre lungo il muro del cortile ponendosi sulla stessa linea del ninfeo. Nel IV secolo si ricostruiscono le mura, più avanzate verso l'esterno rispetto a quelle ellenistiche, e si realizza quindi una nuova grande porta, che ingloba l'ingresso adrianeo e si presenta verso l'esterno con due torri a pianta quadrata. Non si è finora trovata traccia del tempio di Artemide Pergaia, noto dalle fonti, importante nella vita della città; avanzi di basiliche, complessi residenziali, impianti termali testimoniano inoltre, insieme con le già ricordare mura del IV secolo, che la vita di Perge dovette prolungarsi fino a epoca tarda.
L'impianto urbano di Aspendos è noto solo attraverso sparse rovine, alcune delle quali impressionanti; ma la città è famosa per il teatro, uno dei più belli e meglio conservati del mondo antico. L'edificio si addossa a sud-est al pendio con doppia altura su cui sorge la città; la cavea è costruita in gran parte in muratura, con struttura di conglomerato locale e rivestimenti di pietra bianca. La capienza doveva essere di circa 7000 posti. A Side, l'altra grande città della Panfilia, si ha un'idea più completa del tessuto urbano che è conservato abbastanza estesamente. Antica colonia di Kyme eolica, fu importantissima città portuale: mantenne la sua autonomia sotto Lidi e Persiani, si arrese ad Alessandro ed entrò poi nell'orbita seleucide. Si destreggiò abilmente durante le guerre romane in Asia, ma nel 36 a.C. si schierò incautamente per i Cesaricidi. Inserita nello Stato romano, la città conobbe poi una vigorosa ripresa, con lo sviluppo dell'agricoltura, della navigazione e dei commerci (anche di schiavi): nel II secolo, e fino alla metà del III, si insediò qui la residenza del governatore della provincia. In epoca tarda la città fu minacciata da invasioni di Isauri all'epoca di Claudio II il Gotico (268-270 d.C.) e da altre all'epoca di Giuliano l'Apostata (361-363): dopo una contrazione probabilmente dovuta a questi episodi, tornò a espandersi nel V secolo e fu sede di diocesi cristiana.
Risale all'epoca ellenistica la cinta muraria, che per gran parte del percorso segue la conformazione della penisola su cui si estende la città, mentre verso est, cioè dalla parte della terraferma, assume un andamento più regolare ed è dotata di torri e porte. Spicca la Grande Porta: facciata esterna fiancheggiata da torri, piazzale retrostante delimitato da muro semicircolare, porta interna. Nel II sec. d.C. il monumento viene sottoposto a sontuose modifiche: la parete interna del muro semicircolare viene decorata con due ordini di colonne e pilastri che inquadrano nicchie, destinate a contenere statue; davanti alla facciata esterna, in un contesto che non ha più nulla di difensivo, sorge un grande ninfeo. Si riscontrano analogie, in qualche modo, con quanto già visto a Perge. All'interno della cinta, la città si rimodella nel II sec. d.C. con un'architettura di rappresentanza che è espressione del già ricordato benessere. L'impianto urbanistico non è regolare, ma basato su alcuni precisi assi di grande rilevanza e prestigio. Si tratta di tre larghe vie colonnate, due delle quali nascono dalla Grande Porta: una punta verso la costa meridionale della penisola, incrociandosi con una strada minore che corre parallela alla costa stessa e conduce verso il centro della città; l'altra punta invece direttamente verso il centro stesso, costituito da un insieme teatro-agorà-mercato (fra agorà e mercato si inserirà poi un edificio bizantino).
Il teatro sorse nel II sec. d.C. sul sito di un precedente (e scomparso) teatro di età ellenistica (situazione non nuova) ed è fra i più grandi della regione; la cavea, che non si appoggia ad alcuna altura ed è interamente sostenuta da arcate, è divisa in due settori, l'inferiore con 29 file di posti e il superiore con 22; immediatamente accanto fu eretta una porta trionfale; fra la cavea e la porta si riutilizzò, trasformandolo in fontana, un monumento precedentemente dedicato all'imperatore Vespasiano. Dietro l'edificio scenico del teatro si estendeva l'agorà, di pianta approssimativamente quadrata, circondata da portici con botteghe: ne restano notevoli avanzi, come pure molto evidenti sono i resti di una tholos nel mezzo della piazza. Si tratta di un tempietto circolare, che probabilmente corrisponde a un edificio raffigurato in alcune monete della stessa Side, dedicato alla Tyche della città.
A non molta distanza dal teatro e dall'agorà, verso sud-est e cioè proprio sulla strada minore parallela alla costa, si estende una seconda piazza pubblica, ornata da numerose sculture raffiguranti divinità. A nord invece, descrivendo una sorta di gomito rispetto alla via colonnata che proviene dalla Grande Porta, ma proseguendone in qualche modo il percorso, parte l'ultima delle tre grandi strade che costituiscono l'ossatura della città-penisola: punta all'estremità occidentale, dove sorgevano il "grande porto" e il "piccolo porto", oggi interrati. Due templi esastili corinzi, quasi gemelli, si affacciavano su un ampio terrazzamento prospiciente l'approdo: si datano anch'essi al II sec. d.C. ed erano dedicati ad Atena e ad Apollo, divinità protettrici della navigazione (più tardi, i due templi saranno incorporati in una grande basilica cristiana). Alle spalle di questo complesso, presso il termine della stessa via che proveniva dal teatro e dall'agorà, fu costruito all'inizio del III secolo un tempietto tetrastilo su alto podio, con scalinata monumentale, dedicato al dio anatolico Men: la cella ha un'inconsueta pianta semicircolare. La città possedeva numerose terme, come pure numerose, più tardi, si inserirono le chiese bizantine, a testimonianza di una lunga fioritura. Sono da ricordare ancora alcune importanti aree funerarie sulla terraferma a est della penisola: fra l'altro, un tempio funerario, un mausoleo e altre tombe monumentali.
A circa 80 km di distanza sorgeva Attaleia, fondata dai re di Pergamo. Lo sviluppo della città di Antalya, che si è sovrapposta all'insediamento antico, ne preclude la comprensione. L'unico monumento superstite, una bella porta-arco a tre fornici di età adrianea dotata di una decorazione architettonica semplice ma elegante, consente di ipotizzare che anche la fase romano-imperiale dovesse essere di notevole importanza.
Restano da esaminare i centri della Pisidia, o meglio di quella parte di Pisidia che faceva parte della Lycia et Pamphylia. Termesso, di cui si è già parlato, era al limite fra Licia e Pisidia; la regione comprendeva altre splendide città arroccate sui monti, come Sagalasso e Selge, a cui si aggiunsero Kremna, Comama, Colbasa e altri insediamenti fondati nell'ambito del "rilancio" augusteo dell'area microasiatica. Sagalasso occupa una posizione di spicco nel quadro delle città montane dell'Asia Minore. Situata presso le sorgenti del fiume Caistro, ha origini per noi non chiare: delle fasi più antiche non conosciamo nulla. Sappiamo però che fu tra i centri conquistati da Alessandro Magno. In seguito mantenne a lungo la sua indipendenza, anche in epoca romana; ma poi i rapporti con l'Urbe si guastarono e la città fu distrutta da Manlio Vulsone. La situazione si modifica in età imperiale: vi sono ampie ricostruzioni e la città viene definita di volta in volta "splendida", "prima città della Pisidia", "amica e alleata di Roma". L'assetto rimane quello di età ellenistica: un nido d'aquila che si adatta alle alture rocciose, con l'arteria principale e con gli edifici più importanti distesi lungo un crinale, su terrazze a vari livelli che culminano con il tempio esastilo corinzio di Antonino Pio. Altri monumenti di età imperiale sono l'agorà superiore (dell'età di Claudio) e quella inferiore, l'odeion, altri templi; non lontano è il teatro, di impostazione ellenistica ma notevolmente rielaborato in età romana.
Selge, sulle pendici meridionali del Tauro nell'alta valle del fiume Eurimedonte, presenta una situazione non del tutto diversa (mentre diverse sono alcune circostanze storiche: a differenza di Sagalasso e Termesso, si schierò decisamente con Alessandro): la città si sviluppa in altura e in posizione spettacolare su aspri dirupi sono visibili i resti delle mura, di un'agorà, di un teatro, di un tempio, tutti costruiti in età ellenistica ma rimaneggiati in età imperiale.
Bibliografia
In generale:
K. Lanckoronski - G. Niemann - E. Petersen, Städte Pamphyliens und Pisidiens, Wien 1890-92; R. Paribeni - P. Romanelli, Studi e ricerche in Anatolia meridionale, in MonAnt, XII, Roma 1915; I. Kerl - F. Knoll, Denkmäler aus Lykaonien, Pamphylien und Pisidien, Brünn 1935; G.E. Bean, Turkey's Southern Shore. An Archaeological Guide, London 1968; Id., Lycian Turkey, London 1978; J. Borchhard - G. Dobesch (edd.), Akten des II. International Lykien-Symposions (Wien, 6.-12. Mai 1990), Wien 1993; D. French (ed.), Studies in the History and Topography of Lycia and Pisidia. In memoriam A.S. Hall, London 1994.
Perge:
A.M. Mansel, Die Nymphäen von Perge, in IstMitt, 25 (1975), pp. 367-72; C. Roueché, Floreat Perge, in M.M. MacKenzie - Ch. Roueché (edd.), Images of Authority. Papers Presented to J. Reynolds, Cambridge 1989, pp. 206-28.
Side:
A.M. Mansel, Die Ruinen von Side, Berlin 1963; A.M. Mansel - J. Inan, Roman Sculpture in Side, Ankara 1975; O. Avtur - U. Avtur, Side. A Guide of the Ancient City and the Museum, Istanbul 1984.
di Marcello Spanu
Città (gr. ʹΑσπενδοϚ; lat. Aspendus) della Pamphylia; le fonti letterarie fanno risalire la fondazione ad Argivi; un altro nome della città presente su monete ellenistiche è stato collegato ad Asitawandas, personaggio storico noto da un'iscrizione di VII sec. a.C. rinvenuta a Karatepe in Cilicia, nella quale è definito discendente di Mopsos, uno dei mitici eroi che presero parte alla colonizzazione della Panfilia dopo la guerra di Troia.
La città acquisì rapidamente prestigio e ricchezza, battendo moneta d'argento a partire dal V sec. a.C.; dopo la battaglia dell'Eurimedonte, avvenuta nei pressi della città (469 a.C ), A. aderì temporaneamente alla Lega delio-attica ma con il trattato di pace del 449 a.C. venne assegnata ai Persiani, continuando a godere comunque di larga autonomia. Conquistata da Alessandro (Arr., Anab., XXVIII), fu possedimento tolemaico e quindi seleucide; nel 189 a.C. conseguì la libertà versando 50 talenti a Gn. Manlio Vulsone (Pol., XXI, 5). Annessa al dominio romano probabilmente nell'80 a.C., anno in cui subì le spoliazioni di Verre (Cic., Verr., I, 20), fece parte inizialmente della provincia di Cilicia e quindi, sotto Claudio, della Lycia et Pamphylia, mantenendo un ruolo preminente e battendo moneta sino a Gallieno. In età bizantina la città sembra aver perduto gran parte della sua importanza; le ultime attestazioni significative risalgono al XIII secolo, quando divenne sede di una importante famiglia selgiuchide.
La città non è mai stata oggetto di scavi sistematici. Sita presso il fiume Eurimedonte (allora navigabile), occupò inizialmente un pianoro facilmente difendibile, probabilmente fortificato solo in corrispondenza degli accessi (resti di porte a nord e a est). Nella parte centrale dell'altura si trova l'agorà, delimitata da grandi edifici pubblici. Sul lato est è l'ampia basilica a tre navate (lunga 105,4 m), con ampio vestibolo a nord (25,9 × 19,8 m); l'edificio, che subì rifacimenti in età bizantina, è di età romana, ma insiste parzialmente su un monumento precedente di età ellenistica, costruito con blocchi senza uso di malta, articolato in due navate comunicanti con falsi archi. Sul lato occidentale era il complesso del mercato, costituito da grandi taberne (ne rimangono 15) su due piani, precedute da una stoà; sulla base della tecnica costruttiva e dei confronti con monumenti analoghi è molto probabile che anch'esso sia di età ellenistica. Nella parte settentrionale dell'agorà è ancora in gran parte visibile il ninfeo (lungo 32,5 m, alto 15 m). Il monumento, databile al I-II sec. d.C., aveva due ordini sovrapposti di altezza diseguale, con coppie di colonne corinzie inquadranti nicchie destinate a ospitare statue. Ancora più a nord rimangono i resti di un grande edificio (38,5 × 30 m ca.) a pianta quadrangolare con un lato curvilineo; considerata la vicinanza con l'agorà è molto probabile che si tratti del bouleuterion; nella stessa area sono visibili resti di abitazioni.
Sul pendio orientale della collina, è il teatro, costruito intorno alla metà del II sec. d.C. da Zenon figlio di Theodoros, a spese di A. Curtius Crispinus Arruntianus e A. Curtius Auspicatus Titinnianus e dedicato agli dei patrii e alla famiglia imperiale, come ricordano le iscrizioni bilingui delle parodoi. La cavea ha pianta di forma di poco superiore al semicerchio (diam. 95,48 m), è divisa in due maeniana con un totale di 41 file di sedili ed è coronata da una galleria, originariamente con colonne poi parzialmente inglobate da pilastri. La frons scaenae (lungh. 48,8 m e alt. 20,5 m), su due piani (ordine ionico e corinzio), era decorata da coppie di colonne su basamenti in avancorpo; in corrispondenza delle rientranze della trabeazione erano le porte (di altezza decrescente verso i lati) e nicchie inquadrate da colonnine e frontoncini. In sommità le parti in aggetto erano sormontate da timpani alternativamente triangolari e ad arco di cerchio, mentre al centro era un grande frontone, di tipo "spezzato", nel quale era un grande rilievo con Dioniso. L'edificio subì alcuni rifacimenti in età tarda per l'allestimento di giochi gladiatori e nel XIII secolo, quando divenne un palazzo selgiuchide; di quest'ultima fase rimangono l'ingresso sul retro della scena e parte della decorazione di maioliche (ora al Museo di Antalya).
L'espansione della città avvenuta in età imperiale interessò la parte pianeggiante sul versante orientale del pianoro. A sud del teatro sono visibili due complessi termali con grandi ambienti coperti da volte a botte, costruiti con cementizio e paramenti rispettivamente a blocchi e di laterizio, mentre a nord sono i resti delle sostruzioni voltate dello stadio, probabilmente occupate da taberne. Altri edifici noti da iscrizioni (ippodromo e tempio di Artemide) sono ancora da individuare. Presso lo stadio era ubicata la necropoli: oltre a una tomba rupestre, sono da ricordare le numerose stele, molte delle quali in scrittura e dialetto locali.
All'esterno della città, infine, è l'acquedotto, che costituisce una delle testimonianze più note di ingegneria idraulica romana. Il condotto, proveniente da nord, era su arcate (caso raro in Oriente) e terminava probabilmente nelle grandi cisterne site sotto la basilica; per superare il problema della pendenza, legato all'attraversamento del-
l'Eurimedonte, furono costruite due torri di pressione alte 30 m circa. Un'iscrizione di I-II sec. d.C. ricorda il nome del donatore, Tiberio Claudio Eurimneo, ma la costruzione subì probabilmente rifacimenti nei secoli successivi, come del resto sembra indicare il largo impiego di opera laterizia nelle parti superiori.
Ch. Texier, Déscription de l'Asie Mineure, III, Paris 1849, pp. 217-21; B. Ward Perkins, The Aqueduct of Aspendos, in BSR, 31 (1955), pp. 115-23; D. Hereward, Inscriptions from Pamphylia and Isauria, in JHS, 78 (1958), pp. 57-77; H. Lauter, Die hellenistische Agora von Aspendos, in BJb, 170 (1962), pp. 77-101; P. Kessener, The Aqueduct at Aspendos and its Inverted Siphon, in JRA, 13 (2000), pp. 104-32.
di Sergio Rinaldi Tufi
All'interno della penisola, regione-culla dell'Anatolia preclassica, la Cappadocia fu l'epicentro della civiltà di Khatti e dell'impero hittita, nonché della crisi determinata dall'invasione dei Popoli del Mare; nel corso del I millennio a.C. si svilupparono qui alcuni principati locali, poi confluiti (VI sec. a.C.) nel regno di Lidia e infine nell'impero persiano. Nell'ambito di quest'ultimo, fu affidata a satrapi piuttosto autonomi rispetto al potere centrale, fra cui Ariarate I, che mantenne l'indipendenza della regione anche nei confronti di Alessandro Magno; i suoi successori stabilirono un rapporto di alleanza con la dinastia seleucide. Quando Antioco III soccombette ai Romani nella battaglia di Magnesia (189 a.C.), i re di Cappadocia si legarono all'Urbe. Nel corso dello stesso secolo, e poi nel I sec. a.C., l'alleanza con Roma (se si eccettua una momentanea convergenza con Mitridate VI Eupatore) rimase salda, fino alla trasformazione in provincia attuata da Tiberio. Le furono annesse, in certi momenti, parti del Ponto. Capitale era Mazaca (Caesarea).
Con le spedizioni di Corbulone ai tempi di Nerone e con la creazione del limes orientale sull'Eufrate, la provincia assunse una notevole importanza militare, con la costruzione di una serie di piazzeforti e di una rete stradale di uso soprattutto strategico: il sistema venne più volte ritoccato e modificato fino al III secolo inoltrato. L'invasione persiana guidata fra 256 e 260 da Shapur I ebbe drammatiche conseguenze: la stessa Mazaca fu rasa al suolo. Con la riforma di Diocleziano si procedette a un riordino: la Cappadocia (con parte del Ponto) fu frazionata in Diosponto Ponto Polemoniaco, Cappadocia Prima, Cappadocia Seconda, Licaonia, Armenia Prima, Armenia Seconda: capitali, rispettivamente, Amasia, Trapezunte, Caesarea, Iconium, Satala, Melitene. Diocleziano riordinò anche il limes e l'assetto da lui fissato rimase in uso per tre secoli; la popolazione dei villaggi ebbe addirittura un incremento.
Notevolissimo nella regione il successo del cristianesimo: sono originari della Cappadocia, fra l'altro, vescovi celebri come Basilio di Caesarea, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo, cui bisogna aggiungere Auxentius, vescovo ariano di Milano: un fervore religioso che ebbe un seguito anche in età bizantina, con manifestazioni assai peculiari come le celebri architetture rupestri o sotterranee.
Distesa su territori impervi e privi di sbocchi al mare, costituita in gran parte da altipiani non ricchi di acque e da vasti spazi non abitati, la Cappadocia aveva le sue principali risorse nell'allevamento (cavalli, asini), nella pastorizia, nell'agricoltura estensiva (grano) praticata su latifondi che erano proprietà soprattutto di grandi santuari: da ricordare quello di Comana, dedicato ad Artemide Tauropolos; quello di Venasa, nella regione di Morimene, dedicato a Zeus Dacieo; quello di Apollo in Cataonia. Luoghi dai nomi inconsueti, divinità anch'esse talvolta insolite, frutto della sovrapposizione di culti indigeni e di culti greci: è una regione un po' appartata, in cui all'importanza militare non fa riscontro un'intensa urbanizzazione.
Forse semplificando, Strabone dice che le città vere e proprie erano due, Mazaca e Tiana: non considerava tali, evidentemente, nemmeno tutti i centri (fortezze, villaggi, ecc.) che pure in epoca tarda si sarebbero trasformati in residenza dei governatori delle nuove province dioclezianee. Mazaca era stata ridenominata Caesarea Cappadociae già prima della costituzione della provincia da parte di Tiberio: aveva un importante centro monumentale, articolato intorno a un'agorà porticata e dotato di strade lastricate. La cinta muraria era talmente ampia da lasciare al suo interno spazi non edificati. Forse era addirittura difficile da difendere nella sua estensione e per questo fu presto abbandonata: nel IV secolo era già in rovina malgrado la vicinanza con il limes dell'Eufrate, che a lungo aveva presumibilmente costituito un forte stimolo per la produzione di armi e di tessuti.
Di Tiana non si sa molto, anche se si conosce un notevole acquedotto; eppure la città doveva avere una certa importanza, non solo perché lo testimonia Strabone, ma anche perché qui nacque il filosofo e "mago" Apollonio, che nel I sec. d.C. fu una delle massime figure del neopitagorismo, viaggiatore instancabile fra Roma e Atene, l'India, l'Etiopia, la Spagna. Nissa, sulla strada per la Galazia, aveva una cinta muraria di pianta poligonale; Faustinopolis era così chiamata perché vi era morta, di ritorno da un viaggio in Cilicia, Faustina Minore (figlia di Antonino Pio e moglie di Marco Aurelio), cui era dedicato un tempio. E certamente non era un grande centro Nazianzo, nota come mansio o stazione di cambio.
In questo quadro (che forse risente anche dello scarso impulso che hanno avuto finora le indagini archeologiche) spicca Comana: sede di un grande luogo di culto dedicato ad Artemide Tauropolos (nei cui enormi terreni lavoravano, secondo Strabone, 6000 schiavi consacrati alla divinità), ebbe, a differenza degli altri importanti santuari della Cappadocia, un certo sviluppo urbano. Lo stesso si può dire, fra le fortezze, di Melitene (Eski Malatya), sull'alto corso dell'Eufrate: Traiano la arricchì di templi, portici, teatri, terme, soprattutto nell'agorà. Se Melitene deve forse questa sua evoluzione alla rilevanza della sua posizione strategica, non mancano altri centri militari notevoli, come Satala; ma quello che soprattutto caratterizza il limes orientale è la complessità del sistema viario, sempre efficiente grazie ai continui rifacimenti e a un'assidua manutenzione, come provano i numerosi miliari con nomi di imperatori, governatori, magistrati.
Un ultimo impulso all'attività architettonica nella Cappadocia antica, prima della singolare fioritura bizantina di realizzazioni rupestri o sotterranee, è dato dal già ricordato successo del cristianesimo. Fra i notevoli edifici di culto che sorgono in vari centri, si può ricordare la chiesa fatta costruire proprio a Nazianzo dal padre di Gregorio.
Bibliografia
In generale:
R. Teja, Die römische Provinz Kappadokien in der Prinzipatszeit, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 1083-124.
Sulle fortificazioni del limes:
T.B. Mitford, Cappadocia and Armenia Minor. Historical Setting of the Limes, ibid., pp. 1169-228; J. Crow, A Review of the Physical Remains of the Frontiers of Cappadocia, in P. Freeman - D. Kennedy (edd.), The Defence of the Roman and Byzantine East, I, Oxford 1986, pp. 77-108.
di Sergio Rinaldi Tufi
La Cilicia, sulle coste meridionali dell'Anatolia, si divideva in Cilicia Aspera, dal territorio montagnoso (in qualche caso ricco di foreste, come sulle alture del Tauro) e dalle coste frastagliate in anfratti e isolette, e in Cilicia Piana o Campestris, più a est, certamente meno accidentata e minacciosa. È un'altra regione ben nota fin da tempi remoti: citata in testi egiziani e assiri, ebbe rapporti con gli Hittiti e, nell'VIII sec. a.C., fu assoggettata dal "nuovo impero" assiro. Dopo il crollo di quest'ultima potenza, trovò una sua autonomia e la conservò, entro certi limiti, anche durante l'impero persiano, rispetto al quale si poteva considerare uno "Stato vassallo". Conquistata da Alessandro, assorbì gli influssi della cultura greca, per essere contesa poi fra Tolemei e Seleucidi. L'assetto politico della regione, in sostanza, non fu mai particolarmente solido: il che favorì l'installazione di "nidi" di pirati, che fin dal II sec. a.C. davano filo da torcere a Roma nella sua crescente espansione ‒ commerciale e politica ‒ in Oriente.
I tentativi compiuti dall'Urbe in vari momenti nel corso di quello stesso secolo non avevano avuto troppo successo: finché nel 67 a.C. una legge speciale, la lex Gabinia, aveva in pratica dato carta bianca a Pompeo su tutti i mari e le coste del Mediterraneo. Sgominati in soli 40 giorni i pirati della parte occidentale del grande bacino, Pompeo impiegò meno di tre mesi a distruggere le flotte di quelli della Cilicia e a occuparne le basi, soprattutto nella Cilicia Aspera. Nel quadro di un generale riassetto dell'Oriente, la provincia fu istituita nel 62 a.C. e uno dei primi governatori fu Cicerone: comprendeva inizialmente, oltre alla Cilicia Aspera e Piana, anche Pisidia, Panfilia, Isauria, Licaonia e, a partire dal 58, l'isola di Cipro. Pompeo, con spostamenti e nuove distribuzioni di gruppi di pirati sottomessi, attuò anche un riassetto del popolamento; l'antica città di Soli fu rivitalizzata ed ebbe il nome di Pompeiopolis. Ma presto, nel quadro di un assetto inquieto, la Cilicia attraversò addirittura fasi di smembramento: Marco Antonio, quando a sua volta fu incaricato del controllo dell'Oriente, dapprima affidò ampie porzioni di territorio a re alleati; nel 36 donò la provincia, insieme con Cipro, a Cleopatra. Anche in età imperiale vi furono variazioni di confini e di estensione: con Vespasiano si raggiunse un equilibrio durevole.
Fra le città, oltre a Pompeiopolis bisogna ricordare Tarso, patria di s. Paolo e residenza del governatore; fra gli altri centri, Anemourion, Hieropolis, Elaiussa, Mopsouhestia, Anazarbos, Seleucia al Calicadno e Selinunte, che dopo la morte di Traiano fu ridenominata Traianopolis. La provincia non era ricchissima, ma fra le risorse sono da tener presenti i prodotti agricoli, anche un po' particolari come lo zafferano; il legname, ottenuto (soprattutto per costruzioni navali) dallo sfruttamento delle foreste del Tauro; la tessitura del lino, nonché di una stoffa di pelo di capra, detta appunto "cilicio". Dopo la fine della pirateria, i numerosi approdi assicuravano una vita commerciale piuttosto intensa. Anche la Cilicia fu suddivisa in età tarda in unità territoriali minori, in questo caso non da Diocleziano, ma da Arcadio: Cilicia Prima, Cilicia Secunda e Isauria, con capitali Tarso, Anazarbos e Seleucia al Calicadno.
Ben prima della romanizzazione, la Cilicia aveva conosciuto esempi di vita urbana evoluta. Dopo le operazioni di Pompeo e poi fino a età imperiale avanzata, tale sistema fu potenziato; fu inoltre sviluppato, soprattutto a partire dall'età flavia, un articolato sistema viario, esteso anche alle impervie regioni della Cilicia Aspera, da cui si passava all'Anatolia centrale. Era un sistema impegnativo, con frequente impiego di ponti, tagli nelle rocce, opere di sostruzione. Contemporaneamente si realizzavano altre infrastrutture, quali cisterne, acquedotti, attrezzature portuali.
Nelle città gli interventi si verificano nell'ambito di situazioni in gran parte precostituite, spesso non improntate a criteri di assialità: almeno nei casi oggi riconoscibili, gli assi viari non sono in genere organizzati secondo griglie ortogonali. La monumentalizzazione è affidata soprattutto alle grandi vie colonnate, con largo uso di capitelli corinzi e con frequente presenza (a metà altezza delle colonne stesse, spesso lisce) di mensole destinate a sorreggere statue. Accade a Pompeiopolis (collegamento della città con il porto), a Diocaesarea (strada che dal centro conduce al santuario extraurbano di Zeus Olbios), ad Anazarbos (vie colonnate come elemento di divisione fra i vari quartieri), ad Anemourion, Hieropolis, Korykos, Seleucia al Calicadno (tracce ben identificabili di arterie urbane di questo tipo). Frequente la presenza, in posizioni "strategiche", di archi onorari e porte. Seleucia, a suo tempo fondata da Seleuco I alla foce del fiume Calicadno, sulla costa della Cilicia Aspera, sul sito di un insediamento più antico chiamato Olbia, in età imperiale romana ebbe una vivace attività portuale, ma anche un'importante vita culturale: qui operò, a cavallo fra II e III sec. d.C., il noto erudito di origine egiziana Ateneo. Oltre alle vie colonnate, sono da ricordare santuari rupestri, un teatro, una porta monumentale eretta in onore di Vespasiano e soprattutto un tempio pseudoperiptero del II sec. d.C., probabilmente dedicato a Zeus, trasformato nel V secolo in chiesa degli Apostoli. Trasformazioni di questo genere erano tutt'altro che rare.
Ad Anemourion, lungo la grande via costiera meridionale, sono rappresentati numerosi tipi di edificio: teatro, odeion-bouleuterion, grandi terme e resti di case, talvolta a due piani. Ampie necropoli presentano tipologie monumentali molto variate: camere a volta, gruppi di camere disposte attorno a uno o due ambienti principali, tombe a casa, tombe a tempio. Elaiussa, ai confini fra Cilicia Aspera e Piana, dopo aver avuto buoni rapporti con Pompeo e con Antonio, li ebbe anche con Augusto: tanto che al nome della città fu aggiunto l'epiteto di Sebaste, cioè appunto Augusta. Restano avanzi delle mura, di un tempio, di un teatro, di un acquedotto, di cisterne e di altri monumenti distribuiti attorno a un'insenatura sul mare; altri edifici furono costruiti su un'isola di fronte (oggi collegata alla terraferma da un istmo), e fra questi spicca la residenza di Archelao I, uno dei re della Cappadocia, a cui lo stesso Augusto, in un momento politico ‒ diciamo così ‒ sperimentale, aveva affidato la città. Notevolissime le necropoli sulle vie suburbane, con tombe e con sarcofagi di tipi assai variati.
Soli, più a est, nella Cilicia Piana, era stata a suo tempo contesa fra Seleucidi e Tolemei ed era stata spopolata dal re Tigrane di Armenia, il quale aveva trasferito gli abitanti nella sua capitale, Tigranocerta: Pompeo la ripopolò e rilanciò, dandole il nome di Pompeiopolis. Anche qui era presente un'ampia via colonnata, restaurata nel II sec. d.C.; vanno ricordati inoltre l'agorà, il teatro, l'anfiteatro (uno dei pochi nell'Oriente romano), il tutto racchiuso da una cinta di mura che includeva anche il porto; al di là delle mura si estendevano ampie necropoli. Tarso, ancora più a est, sul fiume Cidno, era stata un centro seleucide (Seleucia sul Cidno). Come Soli, anch'essa era stata danneggiata da Tigrane e fu rilanciata da Pompeo, il quale ne fece addirittura il capoluogo della provincia, attirando una popolazione cosmopolita: fra l'altro, una folta comunità giudaica, di cui faceva parte la famiglia di s. Paolo. Restano un ponte, il podio di un grande tempio, una porta detta "di San Paolo" (o di Cleopatra), in realtà tardoantica, e ampie necropoli. Spicca proprio il tempio, di cui resta il vasto podio: uno pseudoperiptero databile alla seconda metà del II o all'inizio del III sec. d.C., destinato probabilmente a ospitare cerimonie connesse con lo svolgimento dell'annuale koinòn della Cilicia. Ben dieci altri templi sono citati dalle fonti.
All'interno, su un'importante strada verso la Cappadocia, era Mopsouhestia, forse di antica origine hittita. Sviluppatasi in altura durante l'età ellenistica, conobbe ulteriore sviluppo in età romana, con vie porticate, terme, case, porte. Anazarbos, anch'essa situata sulle alture dell'interno sulla via per la Cappadocia, era al centro di un territorio assai fertile. Fu ridenominata in età imperiale Caesarea e in età tarda fu capitale della Cilicia Secunda. I resti sono in qualche caso imponenti: vie colonnate con mensole, teatro, anfiteatro, stadio e soprattutto una porta monumentale a tre fornici dell'età di Antonino Pio. Anche qui si conservano resti di ampie necropoli, da cui provengono importanti sarcofagi. Oltre alle città, bisogna ricordare almeno le numerose ville rustiche in Cilicia Aspera, fra i fiumi Calicadno e Lamo.
Bibliografia
In generale:
Th. Liebman Frankfort, La provincia Cilicia et son integration dans l'Empire Romain, in J. Bibauw (ed.), Hommages à Marcel Renard, II, Bruxelles 1969, pp. 447-57; T.B. Mitford, Roman Rough Cilicia, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 1230-261; M. Bénabou, Rome et la police des mers aù Ier siècle av. J. Chr.: la répression de la piraterie cilicienne, in M. Galley (ed.), L'homme et la mer, Tunis 1981, pp. 47-50; P. Desideri, Le città della pianura di Cilicia in Strabone (XIV, 5, 8-19), in StTardoant, 2 (1986), pp. 331-46; P. Freeman, The Province of Cilicia and its Origins, in P. Freeman - D. Kennedy (edd.), The Defence of the Roman and Byzantine East, I, Oxford 1986, pp. 259-60.
Studi e ricerche:
R. Righini, Cilicia Tracheia. Aspetti di alcune città di recente scoperta nel primo periodo della dominazione romana, in RStCl, 24 (1976), pp. 126-38; H. Hellenkemper, Zur Entwicklung des Stadtbildes in Kilikien, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 1162-183; R.E. Blanton, Hellenistic, Roman and Byzantine Settlement Patterns on the Coast Lands of Western Rough Cilicia, Oxford 2000.
di Sergio Rinaldi Tufi
Siamo ora nell'Asia Anteriore: all'estesissima area desertica fanno riscontro aree coltivabili, soprattutto a nord. Qui, nella cosiddetta Mezzaluna Fertile, ampia distesa di territori fra l'alto corso dell'Eufrate e le coste del Mediterraneo, si verificò una precoce fioritura, culminante, nel III millennio a.C., nella nascita della cultura urbana. Segue un altro millennio di difficili equilibri, che termina (VIII sec. a.C.) con l'incorporazione nell'impero assiro. Di impero in impero, la Siria passa successivamente a quello neobabilonese, a quello persiano e a quello di Alessandro Magno; nella spartizione seguita alla morte del Macedone, finisce per impadronirsi della regione Seleuco I Nicatore (304-281 a.C.). È con il regno seleucide, e più precisamente con Antioco III, che viene a contrasto Roma: battuto nel 189 a.C. a Magnesia sul Sipilo, il re è costretto a firmare la Pace di Apamea (188 a.C.) con la quale in pratica si consegna la Siria all'Urbe. La conquista si consolida successivamente nel quadro delle campagne d'Oriente condotte da Silla, Lucullo, Pompeo ed è quest'ultimo a costituire la provincia nel 62 a.C. Vi saranno però in seguito frequenti aggiustamenti amministrativi e territoriali in quest'area estesissima che va dal Tauro e dall'Amano (a nord) fino al deserto d'Arabia (a sud) e dalle rive del Mediterraneo (a ovest) a quelle dell'Eufrate (a est): una distesa di aree diverse che oggi appartengono agli Stati di Siria, Israele, Giordania, Libano e (in piccola parte) Turchia. Vi erano inseriti regni minori (la Commagene a nord e la Giudea a sud), città indipendenti (principati sacerdotali di Damasco, Emesa e Calcide), gli antichi centri fenici della costa. Un caso a parte è quello di Palmira, a lungo autonoma; a poco a poco, però, tutte le autonomie vengono meno e si verifica una serie di annessioni alla provincia.
Nell'ambito dell'ordinamento augusteo, la Syria è provincia imperiale, affidata cioè direttamente all'imperatore e da lui governata attraverso un legatus Augusti pro praetore: quella di legato della Syria è una delle più importanti magistrature romane. A lui sono affidate quattro legioni: il territorio è strategicamente fondamentale, a ridosso dell'area iranica dei Parti, gli eterni nemici. La capitale è Antiochia sull'Oronte, una della maggiori città dell'Oriente romano. Proprio con alcune campagne contro i Parti cominciano, nel 113 d.C., le operazioni condotte da Traiano, che porteranno alla conquista dell'Assiria e della Mesopotamia: la Siria non si trova più sull'estremo limite dell'Impero romano e vede diminuire la sua importanza militare. Ma Assiria e Mesopotamia vengono presto abbandonate e quel ruolo strategico si ripropone, soprattutto ai tempi di Marco Aurelio e Lucio Vero, quando i Parti stessi irrompono quasi fino ad Antiochia. Il riassetto prosegue con Settimio Severo, che divide la provincia in Coelesyria o Syria Minor a nord e Syria Phoenike a sud, con capitali rispettivamente a Laodicea e Berytus (Beirut).
Nel III secolo la situazione si aggrava di nuovo: i Sasanidi, che si sono sostituiti ai Parti nell'egemonia sui territori iranici, invadono la Siria; fatto di inaudita gravità, l'imperatore Valeriano è sconfitto e imprigionato dal re persiano Shapur. La difesa dell'Impero romano è assunta da Odenato, Vaballato, Zenobia, membri della dinastia di Palmira, antica "tappa obbligata", presso un'oasi, per le carovane provenienti dall'Oriente. Ma il grosso ruolo giocato da questi principi finisce ben presto per suscitare una reazione da parte dell'Urbe: nel 272 l'imperatore Aureliano sconfigge Zenobia (che sarà portata prigioniera a Roma) e occupa la città. Diocleziano, nella sua riorganizzazione dell'Impero, rafforza anche questa grande provincia di frontiera, costruendo la Strata Diocletiana, un sistema di comunicazioni attraverso il deserto.
Oltre che strategica, l'importanza della provincia è anche economica e culturale. A nord, nell'area della Mezzaluna Fertile, e a ovest, in contrasto con i deserti che occupano gran parte del paese, si estendono ampie e fertili pianure; fioriscono produzioni prestigiose come la porpora e il vetro, si sviluppano, accanto alle già ricordate Antiochia, Laodicea, Berytus, anche altre grandi città di origine ellenistica come Seleucia, Apamea, Tolemaide, Heliopolis (Baalbek); dall'Arabia, dalla Cina, dall'India giungono merci preziose, che fanno la fortuna di città carovaniere come Palmira, ma anche come Damasco e Gerasa. Dura-Europos, antica fortezza dei Macedoni sull'Eufrate, non solo mantiene la sua funzione militare, ma si pone come luogo di incontro di merci e culture, al confine fra Impero romano e impero dei Parti, fin quando a questi ultimi si sostituiranno i Sasanidi.
Tutta la provincia è caratterizzata da un'intensa attività intellettuale, frutto della molteplicità di influssi greci, romani, semitici. Nascono qui personaggi come Apollodoro di Damasco, architetto di Traiano in opere di guerra e di pace; scrittori, giuristi e pensatori come Luciano, Libanio, Ammiano Marcellino, Giovanni Crisostomo, Papiniano, Filodemo, Ulpiano, Porfirio; il cristianesimo vi trova fin dall'inizio intensa diffusione con la presenza di s. Paolo ad Antiochia.
Anche qui, come in genere nelle province greche e orientali, i Romani si trovano di fronte a città che già prima della conquista hanno raggiunto un'importanza straordinaria, espressione di cultura classica ed ellenistica. L'Urbe perciò non crea essa stessa le condizioni per l'urbanizzazione; ciò non toglie che, pur intervenendo in impianti preesistenti, non si conseguano risultati significativi.
Anche in Syria, come in Grecia e Asia Minore, si registrano in età imperiale aumenti della popolazione, fino a epoca tarda: alla fine del IV secolo, ad esempio, Giovanni Crisostomo afferma che la popolazione libera di Antiochia ammontava a 200.000 persone: si calcola che il totale dovesse essere di circa 800.000. L'attività edilizia non si ferma mai, talvolta imposta dai frequenti terremoti che inducono a ristrutturazioni anche su larga scala, talvolta attivata dall'emulazione fra le città: era nota in Siria la rivalità fra Antiochia e Laodicea; nella Syria Phoenike, quella fra Berytus e Tiro.
È un'urbanistica costosa e monumentale, resa possibile dalle ricchezze ammassate da molti proprietari terrieri, o mercanti, o "industriali". In impianti spesso costituiti da strade che si incrociano ad angolo retto e da isolati che si ripetono secondo moduli identici, spiccano spettacolari vie colonnate (plateiai) che attraversano l'area cittadina da un'estremità all'altra. Apamea, base militare e centro di un'importante area agricola sul fiume Oronte, già fondata da Seleuco I Nicatore, era stata distrutta da Pompeo e poi punita da Ottaviano per aver parteggiato per Antonio; fu ricostruita con il nome di Claudia Apamea e in età tarda fu sede di famose scuole filosofiche. Ebbene, qui la plateia principale era lunga 1600 m e larga 24, fiancheggiata da portici larghi 7,5 m (a tale assetto si giunse con il rifacimento dopo un terremoto del 115 d.C.). Le colonne presentano in alcuni tratti scanalature tortili che creano suggestivi chiaroscuri; capitelli e fregi sono di vari ordini distribuiti in tratti diversi, anche se prevale il corinzio.
La principale plateia di Antiochia sull'Oronte era ancora più larga: 27 m di larghezza, più 9 m per ognuno dei portici laterali: qui il reticolo delle strade si estendeva anche a un'antistante isola sul fiume. L'entusiastica descrizione del retore Libanio, vissuto nel IV sec. d.C. e amico di Giuliano l'Apostata, si riferisce alla fase tardoantica di una città che era stata fondata sette secoli prima a opera di Seleuco I, affacciata su una vasta pianura dominata sullo sfondo dalla catena dell'Amano. Quei sette secoli erano stati accompagnati da una lunga serie di terremoti e da numerosi rifacimenti a quote sempre più alte. I resti di plateiai a noi noti sono posteriori al II sec. d.C.: sono piuttosto scarsi e scarsi sono anche i resti delle altre parti della città, quasi a contrasto con l'abbondanza delle fonti letterarie che, insieme con Libanio, ce ne forniscono svariate notizie.
Gerasa (Gerash, nell'attuale Giordania) presenta una delle plateiai più celebri. Città carovaniera, circondata da un ricco territorio, ebbe nel III sec. d.C. il titolo di colonia. Il fiume la taglia in due parti: a est era la zona residenziale, a ovest l'area monumentale, che conobbe la maggiore fioritura nel II sec. d.C., dominata dall'enorme santuario di Artemide e da altri edifici. Qui la plateia, che comincia a sud dalla vasta Piazza Ovale, presenta tetrapyla (monumenti costituiti da quattro gruppi di quattro colonne) in corrispondenza degli incroci principali, che così vengono enfatizzati. Una plateia (e forse più) la troviamo anche nell'antica città fenicia di Biblo (a nord di Berytus), che ebbe fin dagli inizi contatti con l'Egitto. Fu poi via via inserita nell'orbita achemenide, macedone (dopo la conquista di Alessandro), giudaica (sotto la dinastia degli Iturei e soprattutto all'epoca di Erode il Grande, che fece ricostruire le mura) e infine romana: in età imperiale, era celebre per il culto di Adone. La via colonnata, che conduce verso l'acropoli, si inserisce in un impianto urbano oggi non ricostruibile, ma non privo di grandi monumenti: teatro, case con mosaici, un magnifico ninfeo.
Grazie alla presenza di un'oasi, Palmira occupa un posto privilegiato nel deserto arabo-siriano: una città carovaniera a lungo indipendente, poi assorbita nello Stato romano. La città ha una pianta allungata e irregolare, con nuclei che, se considerati uno per uno, appaiono regolari, ma che invece mutano orientamento l'uno rispetto all'altro. Anche qui c'è una grande via colonnata, che costituisce (come ha osservato J. Balty) un tentativo di urbanizzazione in un complesso altrimenti molto slegato. Questa via non ha infatti un andamento del tutto rettilineo: presenta lungo il suo percorso due cambiamenti di direzione piuttosto netti, due "snodi" che sono dissimulati da due notevoli monumenti, un tetrapylon e un ingegnoso arco a pianta triangolare che svolge le funzioni di cerniera. Le due file di colonne inoltre, completate nel II sec. d.C., recano mensole destinate a sorreggere statue di illustri personaggi: l'impatto scenografico era (ed è ancora) davvero notevole.
La romanizzazione comporta anche il potenziamento o, in qualche caso, l'allestimento ex novo delle opere di difesa e del sistema stradale. Le mura di cinta, in genere, sono di origine ellenistica, ma poi più volte ristrutturate (non senza variazioni, talora sensibili, di dimensioni e di percorso) fino a età tardoimperiale.
Interessante è il caso, ad Apamea, di una torre frettolosamente allestita nel III sec. d.C., costruita in gran parte con stele funerarie della legio II Parthica, riutilizzate ‒ data l'emergenza ‒ senza troppi scrupoli. Più ancora delle fortificazioni delle singole città, appare significativo il complesso di opere realizzate a difesa della frontiera con l'impero partico (e poi sasanide). Emblematico il caso di Dura-Europos, fortezza sull'Eufrate lungamente contesa e al tempo stesso punto di riferimento per le vie carovaniere: fortezza macedone fondata attorno al 300 a.C. sul sito di un antico insediamento semitico, la città-piazzaforte fu occupata attorno al 100 a.C. dai Parti e divenne loro avamposto contro Roma; ma Roma l'occupò a sua volta nel 165 d.C. con Lucio Vero e, meno di un secolo dopo, furono i Sasanidi a impadronirsene a loro volta. La città presenta un impianto urbanistico di notevole interesse, di origine ellenistica, con strade che si incrociano ad angolo retto. Significative, poi, alcune modifiche partiche, come nel caso dell'agorà, a cui si sono sovrapposte le botteghe di un sūq di tipo orientale (si conserva, sia pure modificata, la funzione commerciale dell'area; si perde quella politica). Si è rinvenuta inoltre una gran quantità di edifici di culto, sia di divinità greco-romane, sia di divinità orientali, a testimonianza di un ambiente cosmopolita: da ricordare una celebre sinagoga.
Questa frontiera dimostra, più ancora dei tratti del limes in Europa (e in maniera non dissimile da quanto avviene in Africa, ma qui con una documentazione più ampia), che il confine dell'Impero romano non è una linea rigida e bloccata, ma un sistema elastico, che risponde all'esigenza di consentire mobilità delle truppe, ma anche, in tempi di pace, di merci e mercanti. Si tratta di un fascio di strade punteggiate da fortezze, con notevoli avanzamenti e ripiegamenti a seconda delle varie epoche: i momenti di maggiore avanzamento si hanno con Settimio Severo. Questo avanzamento severiano è testimoniato fra l'altro dalla città-fortezza di Kifrin, 200 km a valle di Dura-Europos sul corso dell'Eufrate, in territorio oggi iracheno. Un insediamento dalla pianta irregolare, con edifici romani come i principia (sede del comando militare) e di tipo orientale come un grande ambiente a īwān (aperto in facciata con un'amplissima arcata). La cittadella è disposta su un pendio ad andamento semicircolare, quasi come una grande cavea teatrale: nulla di simile ai castra abituali altrove.
Oltre alle strade della zona di frontiera, sono da ricordare alcune grandi vie che attraversano l'intera provincia: da Damasco ad Apamea a Beroea; da Emesa a Palmira a Dura; lungo la costa, da Tiro a Berytus a Laodicea ad Antiochia; della Strata Diocletiana si è detto. Anche queste strade sono sorvegliate da fortezze; la più nota è quella tardoantica di Resafa, su un percorso carovaniero fra l'Eufrate e Damasco. La pianta è più o meno quadrata; le mura presentano all'interno un camminamento su arcate, magnificamente conservato. Qui, all'epoca di Diocleziano, fu martirizzato s. Sergio; Giustiniano fondò il luogo di culto, che prese il nome di Sergiopolis, con il martyrion, con due basiliche e anche con grandissime cisterne.
Nella Syria romana, nel quadro di un'attività edilizia particolarmente intensa, spiccano soprattutto i grandi santuari. Ad Apamea, a Gerasa, a Damasco sono testimoniati, sia pure in maniera frammentaria, templi posti al centro di vastissimi cortili porticati.
Ad Apamea, in particolare, domina la città il santuario oracolare di Zeus Belos: oltre alle dimensioni, è da segnalare la sovrapposizione sincretistica di una divinità greca con una orientale. A Gerasa i luoghi di culto sono costruiti in corrispondenza di sensibili dislivelli, con uso di gradinate spettacolari: il tempio di Zeus domina dall'alto la già ricordata Piazza Ovale, il tempio di Artemide si affaccia sulla via colonnata nella parte centrale del percorso, di fronte a una monumentale via di accesso a un ponte sul fiume Chrysorrhoas. È uno dei più grandi complessi di culto dell'Oriente classico: il recinto porticato che delimita l'area sacra misura ben 240 × 120 m. Ancor più grande, posto addirittura al centro di due cortili concentrici, era il santuario di Zeus a Damasco; vi si è sovrapposta la moschea degli Omayyadi, monumento a sua volta famosissimo: il suo perimetro corrisponde esattamente al muro che racchiudeva il cortile interno dell'antico luogo di culto. I resti più visibili di età romana sono quelli di un ingresso monumentale a est.
A Baalbek l'assetto urbano non è di per sé particolarmente significativo, ma su tutto domina, per dimensioni e per qualità architettonica, il santuario di Iuppiter-Baal (ancora un culto sincretistico: la maggiore divinità romana si assimila con la maggiore divinità orientale). Il grande tempio, un decastilo su alto podio e ampia gradinata, si affaccia su una piazza porticata, lungo il cui perimetro sono dislocati ambienti di vario genere. Al complesso si accede attraverso un propylon monumentale, raccordato alla piazza porticata da un grande cortile ottagonale. A sud è un altro cortile porticato, di forma stretta e allungata, in cui si trova un altro tempio che, pur minore, è comunque notevolissimo, con otto colonne in facciata, su alto podio con gradinata.
Anche i santuari di Palmira, in linea con l'esuberanza delle architetture della città carovaniera, sono ricchi di aspetti singolari. All'estremità della via colonnata, in posizione sopraelevata, era in origine il tempio di Atena e Allat, il cui sito fu occupato successivamente dal Campo di Diocleziano. All'estremità opposta della grande strada e della città era il tempio di Bel: con otto colonne in facciata, si ergeva al centro di un vastissimo cortile porticato. Architettonicamente è un appassionante ibrido. Non mancano elementi di derivazione classica: la cella è circondata da una peristasi di agili colonne corinzie, le facciate nord e sud erano provviste di frontoni. Ma questi erano semplicemente ornamentali e non, come in genere nell'architettura greca e romana, parte terminale di un tetto a spioventi: la copertura infatti era a terrazza, adibita presumibilmente a peculiari manifestazioni di culto. Non basta: alla cella non si accede, come in genere nei templi classici, da uno dei lati brevi, ma da uno dei lati lunghi, attraverso un portale riccamente decorato che, inoltre, è collocato in una posizione asimmetrica; in corrispondenza dei lati lunghi, che sono pertanto chiusi, si collocano all'interno due cappelle (thalamoi) contrapposte, anch'esse fittamente decorate, destinate a ospitare statue di culto; in tre dei quattro angoli erano presenti scale a chiocciola che portavano alla terrazza. Tale terrazza, infine, era bordata da merli dentati.
Merli, thalamoi, copertura a terrazza: gli elementi orientali sono numerosi e orientale è decisamente il dio Bel, di origine mesopotamica, anche se a Palmira si sovrappone al dio indigeno Bol; più tardi sarà identificato con Zeus-Iuppiter. La fondazione del tempio si data, grazie a un'iscrizione, al 32 d.C.; non bisogna dimenticare che il tempio è al centro di un vasto santuario, chiuso da un imponente portico a doppia navata, costruito in varie fasi fino al II sec. d.C. Un altro notevole tempio a Palmira è quello di Baal Shamin. Costruito in occasione di una visita di Adriano, il piccolo tempio presenta in facciata quattro colonne, le quali recano, come si è già visto in quelle della plateia centrale, mensole per statue. Il tempio era suggestivamente inserito in un preesistente santuario di tipo orientale, caratterizzato dal succedersi di un gran numero di cortili; ne restano notevoli avanzi.
Oltre ai templi, sono da ricordare i teatri: anche questa tipologia monumentale presenta in Syria situazioni e variazioni di grande interesse. Nella sola Gerasa se ne conoscono tre; un altro importante esempio si conosce a Palmira. Caratteristiche di tutti questi monumenti sono l'equilibrato assetto della cavea (cioè gradinate semicircolari per il pubblico) e la ricca decorazione della facciata della scena. A Biblo il teatro, piuttosto piccolo ma di aspetto piacevole, in vista del mare, presenta nell'orchestra un bel mosaico pavimentale con raffigurazione di Dioniso-Bacco (divinità assai legata, come si sa, al mondo degli spettacoli). Fra i monumenti pubblici, sono infine da menzionare gli archi, importanti per la loro funzione di valorizzazione di punti significativi dell'impianto urbano. Di questa funzione si è già parlato a proposito di Palmira e di Gerasa; bisogna inoltre ricordare almeno quello di Laodicea (Lattakya), unico monumento ancora ben visibile di una città che costituiva un importante scalo sul Mediterraneo. Si tratta di un arco quadrifronte costruito all'epoca di Lucio Vero o di Settimio Severo: è coronato da una cupola; alla base di questa, e alla sommità della parte esterna, reca interessanti fregi d'armi.
Non mancano, nelle città della Syria romana, testimonianze di sontuose dimore private, abbondantemente decorate da mosaici pavimentali fino a età tarda. È il caso di Apamea, con una varietà di temi assai notevole (dagli episodi del mito alle scene di caccia) e di Antiochia: qui il mosaico più noto (rinvenuto in una casa del sobborgo residenziale di Daphne) è quello della Megalopsychia (personificazione della magnanimità), raffigurata in un bellissimo busto femminile. L'emblema circolare con il busto è al centro di una composizione molto complessa, caratterizzata dal bordo "topografico". In una striscia, cioè, che costituisce il margine della decorazione lungo i quattro lati, sono allineati, in una prospettiva convenzionale e semplificata, numerosissimi edifici, spesso accompagnati da didascalie: case e botteghe, portici e circhi. Notevoli esempi di edilizia residenziale sono ad Apamea, dove spicca soprattutto la Casa delle Mensole, e ad Antiochia, dove era stato costruito, sull'isola di fronte alla città sul fiume Oronte, un grande palazzo, purtroppo in gran parte perduto. Sia pure entro certi limiti, questi casi arrecano un contributo al dibattito sull'architettura palaziale tardoantica e contribuiscono a confermare che non esisteva uno schema di residenza imperiale o signorile uniformemente applicato, ma che anzi le forme erano piuttosto varie.
Alcuni dei monumenti funerari di quest'area sono particolarmente famosi. Sono le tombe di Palmira, essenzialmente di tre tipi: a tempio, a torre e a ipogeo. All'interno delle tombe le sepolture sono numerose, anzi numerosissime: le famiglie proprietarie a volte "subaffittavano" i loculi. I loculi stessi sono chiusi da lastre scolpite, le cosiddette "stele palmirene": innumerevoli, sono state in gran parte asportate e si trovano in moltissimi musei. Vi sono raffigurati i defunti, vestiti alla romana, ma spesso, soprattutto per quanto riguarda le figure femminili, con acconciature, vesti e gioielli di tipo orientale, sempre più fastosi. Alcune volte la decorazione non è scolpita, ma dipinta; non di rado sono presenti, in sarcofagi e sculture di varie dimensioni, scene di banchetto funebre, con il defunto e con i suoi familiari.
In generale:
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di Eugenia Equini Schneider
Città (gr. ῾ΗλιόπολιϚ; lat. Heliopolis, Colonia Iulia Augusta Felix Heliopolitana; ar. Ba῾labakk) del Libano, nella valle della Beqaa, a 1150 m s.l.m. Il suo nome, legato al dio semitico Baal, attesta che il luogo fu sin dalle origini connesso con il culto del dio e che probabilmente serviva come centro religioso della regione.
Poche sono tuttavia le testimonianze archeologiche del suo primo periodo di vita. Scavi recenti, effettuati nella grande corte del tempio di Giove, hanno rivelato l'esistenza di un primitivo tell inglobato nelle costruzioni di età romana, con resti di abitazioni del Bronzo Medio e reperti del Bronzo Antico, ma la stratigrafia è stata in parte alterata dai livellamenti intervenuti in età romana e dai rifacimenti del periodo bizantino. Possono rimontare all'età fenicia le numerose tombe scavate nella roccia che circondano la città. In età ellenistica B. divenne parte del regno tolemaico e assunse il nome di Heliopolis, che mantenne fino alla fine dell'età bizantina. Passata sotto il controllo dei Seleucidi (200 a.C.) e poi con Pompeo sotto quello romano, la città acquisì, probabilmente sotto Tiberio, lo status di colonia con il nome di Colonia Iulia Augusta Felix Heliopolitana. A questo periodo deve datarsi l'inizio dei lavori al santuario dedicato alla triade eliopolitana (Giove, Venere, Mercurio), le cui rovine sono, per monumentalità e stato di conservazione, tra le più imponenti dell'antichità classica. Furono visitate per la prima volta agli inizi del XVI secolo da M. Baumgarten; a questa prima segnalazione ne seguirono numerose altre accompagnate da scavi sporadici, fino alle campagne di vasta portata eseguite tra il 1900 e il 1905 dagli archeologi tedeschi. Nuovi scavi e lavori di restauro sono stati promossi negli ultimi decenni dal Lebanese Department of Antiquities. Dopo l'esplorazione delle rovine e la pubblicazione dei risultati, è stato ripreso più volte il problema dello sviluppo cronologico del santuario.
All'età ellenistica rimonta l'iniziale progetto di un tempio più largo e più lungo di quello che fu poi realizzato nel I sec. d.C.; a questa prima fase appartiene il monumentale podio, di cui restano ora sul lato posteriore tre enormi lastre monolitiche (il cd. trilithon), su cui si impostò il tempio romano. Quest'ultimo, preceduto per la sua intera larghezza da una scalinata a tre rampe, era uno pseudodiptero corinzio con 10 × 19 colonne. Restano tuttora parti del colonnato esterno, con fusti non scanalati e frammenti della trabeazione con decorazione a protomi leonine e taurine. Intorno alla metà del II sec. d.C. fu completata la costruzione della grande corte su cui si affacciava la fronte decastila del tempio. Anche questa era stata preceduta da un primo cortile che doveva risalire al progetto iniziale del santuario e che sembra collegabile con il piccolo altare sacrificale posto nel centro della corte. L'altare, una struttura a torre munita di due scale interne, era provvisto di una canalizzazione che raggiungeva i due bacini aperti sui lati sud e nord della grande corte e destinati, secondo il rituale semitico, alle abluzioni. All'età flavia deve invece appartenere l'altare monumentale, a più piani, che si trova quasi al centro della grande corte. Il suo aspetto era quello di una torre a sezione rettangolare, con facciate dotate di finestre e ricca decorazione a pilastri; due scale interne raggiungevano la terrazza superiore, destinata evidentemente alle cerimonie religiose.
La grande corte, di pianta quasi quadrata (104,4 × 103,13 m) e dominata a ovest dalla massa imponente del tempio, era circondata sugli altri tre lati da portici con colonne di granito rosa, sul cui muro di fondo si aprivano esedre alternativamente rettangolari e semicircolari. Al regno di Filippo l'Arabo risale verosimilmente, perché attestato dalla monetazione di questo imperatore, il vestibolo esagonale, circondato da colonne, con pareti decorate da esedre, che serviva da monumentale collegamento fra la grande corte e l'edificio dei Propilei, di età severiana. Il complesso dei Propilei era costituito da un portico colonnato con muro di fondo ornato da due file di edicole, chiuso da due alte torri ornate da lesene su due ordini sovrapposti e dotato di una monumentale scala di accesso. Di fronte ai Propilei rinvenimenti recenti hanno rivelato l'esistenza di un'area per cerimonie, delimitata da un basso muro a semicerchio, munito all'interno di una sorta di banchina continua e collegato con gli angoli esterni delle torri. Tutta la decorazione architettonica e scultorea del santuario di Giove mostra un altissimo livello qualitativo e straordinarie sono la profusione e la varietà dei motivi ornamentali.
A una distanza di circa 40 m dal grande tempio, e parallelo a questo, si eleva un piccolo edificio sacro, periptero (8 × 15 colonne), corinzio, su podio, costruito in calcare locale probabilmente intorno alla metà del II sec. d.C. Tradizionalmente noto con il nome di Tempio di Bacco per il carattere della decorazione architettonica (racemi d'edera e di vite, Satiri e Menadi come motivi ornamentali della porta) e per il tema di alcuni rilievi figurati (thiasoi, scena di sacrificio, ecc.), si è ritenuto che esso fosse destinato alla triade e a particolari cerimonie misteriche; oggi sembra prevalere nuovamente l'ipotesi di una attribuzione a Mercurio-Bacco. Il suo eccellente stato di conservazione, l'armonia delle proporzioni, l'eleganza delle strutture interne e la ricchezza della decorazione scultorea, in particolare quella del soffitto del
peristilio, ne fanno uno dei gioielli dell'architettura antica. Resta ancora oggi intatta la maggior parte del colonnato. La cella, composta da un vano coperto da volta a botte e da un adyton posto su un piano più elevato e accessibile mediante una breve scalinata, secondo una consuetudine architettonica comune ai templi siriani di età romana, è anch'essa in buone condizioni; le sue pareti interne, scandite da semicolonne, erano decorate da nicchie arcuate ed edicole a timpano.
Recenti indagini portano a ritenere che, il Tempio di Bacco fosse dotato di una sua propria corte, ma la situazione complessa e la frammentarietà dell'evidenza archeologica non consentono conclusioni definitive sulle relazioni architettoniche fra templi e città e, più in generale, sull'impianto urbano.
Circa 130 m a sud dei Propilei si erge, all'interno di un grande temenos, il tempio rotondo dedicato verosimilmente a Venere, anche se si è ipotizzata una sua attribuzione alla Tyche di Heliopolis. Anch'esso in buono stato di conservazione, è caratterizzato da una cella circolare, elevata su un podio rettangolare, e da una fronte rettilinea preceduta da un pronao tetrastilo. La cella è circondata da una peristasi di colonne poste su un basamento sagomato a linee concave e lo stesso disegno è seguito anche dalla trabeazione. Le pareti interne mostrano una ricca decorazione a nicchie e colonnette su due piani. L'edificio, un bell'esempio di barocco antico, viene datato fra l'età severiana e la metà del III sec. d.C. Scavi hanno rivelato l'esistenza, nella corte del tempio di Venere, di un altro edificio sacro, pseudodiptero, corinzio, tetrastilo, con sei semicolonne addossate ai lati della cella. Costruito verosimilmente agli inizi del I sec. d.C. e attribuito, sulla base di un'iscrizione, alle Muse, il tempio fu parzialmente interrato quando il livello della corte venne rialzato per la costruzione del tempio di Venere.
L'esplorazione archeologica della città romana è stata resa difficile dal fatto che la moderna B. è sorta sul sito antico. La cinta fortificata, a pianta pentagonale, era dotata di torri quadrate e di quattro porte (di cui solo quella nord-occidentale è sfuggita alla completa distruzione perché inglobata in costruzioni successive), in relazione ai due
assi viari principali. Sul foro, posto all'incrocio, fu costruita una moschea in età omayyade. Extra muros restano solo tracce del tempio di Mercurio, costruito sulla collina di Sheikh Abdallah, a sud della città. Ai piedi della collina era il teatro, oggi parzialmente obliterato da edifici moderni; nei pressi, l'esplorazione di una vasta area ha messo in luce un complesso di ambienti e colonnati, pertinenti verosimilmente a edifici di carattere amministrativo. Consistenti resti di una villa (la Casa di Patricius), con bei mosaici databili al IV sec. d.C., sono stati rinvenuti lungo la strada verso Ras al-Ain. B. divenne sede vescovile con Costantino, che vi fece costruire una chiesa, forse distrutta da Giuliano l'Apostata. Teodosio edificò poi, nella corte del santuario, una basilica dedicata a s. Pietro, ma nella città il paganesimo si protrasse a lungo e B. è ripetutamente citata dagli scrittori cristiani come un centro di ateismo.
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di Alessandra Bravi
Le rovine della città antica (gr. Γέϱασα; lat. Gerasa; ar. Ǧaraš) si trovano circa 40 km a nord di Amman.
L'occupazione del sito, nella fertile vallata attraversata dal Wadi Gerash (l'antico Chrysorrhoas), presso la sorgente Ain Karawan, da parte di popolazioni di lingua semitica, risale almeno al II millennio a.C. Dalla metà del II millennio venne occupata una collina a sud-ovest della città (Camp-Hill), la cui frequentazione si protrae fino all'VIII-VII sec. a.C., mentre sul tell, nei pressi del quale venne successivamente eretto il santuario di Zeus, si sviluppava, nella prima età del Ferro, un'estesa necropoli. L'insediamento venne attratto in età storica nell'area della civilizzazione nabatea, per poi cadere, con Antioco IV, sotto l'influenza seleucide, quando assunse probabilmente una forma più compatta e organica, con il nome di Antiochia sul Chrysorrhoas. All'inizio del I sec. a.C., G. sarebbe stata saccheggiata, secondo Flavio Giuseppe, dalle truppe di Alessandro Ianneo e occupata dai Giudei fino alla venuta di Pompeo, nel 63 a.C. (Ios., Bell. Iud., I, 80, 86-87, 104). Pur facendo parte della Decapoli all'epoca di Pompeo, nella prima età imperiale la città sembra fosse ancora abitata da tribù locali prive di una compagine politica omogenea. Tra il II e il I sec. a.C. alcuni edifici cominciarono ad assumere elementi decorativi tipici della koinè architettonica ellenistico-romana, come testimoniano alcune strutture erette all'interno del santuario di Zeus.
L'impulso a una sistematizzazione dell'impianto urbano di G. seguì la sconfitta inflitta al regno nabateo dagli eserciti di Traiano nel 106 d.C. e il consolidamento della regione siro-palestinese sotto Adriano, che visitò la città nell'inverno 129/30 d.C. A epoca traiano-adrianea sembra dunque risalire un progetto di pianificazione urbanistica, come dimostra anche la datazione dei portici del decumano nord alla metà del II sec. d.C. Una grande via porticata, con colonne monumentali, attraversava in senso nord-sud la città (cardo); lungo l'asse naturale di circolazione, costituito dalla riva occidentale del wādī, la grande via collegava la Porta Nord, sulla quale è iscritta una dedica a Traiano, denominato fondatore e salvatore della città, ai complessi monumentali dell'estremità meridionale, tra i quali spiccava il santuario di Zeus. Davanti al santuario è la Piazza Ovale, larga circa 90 × 80 m, circondata da un colonnato ionico sormontato da un architrave. Alla fine del I secolo venne edificato nei pressi del santuario il teatro principale, che poteva ospitare fino a 3000 spettatori (Teatro Sud).
In epoca adrianea venne intrapresa la costruzione di un quartiere a sud del santuario di Zeus, secondo un progetto di pianificazione segnato dall'erezione della Porta Sud e dell'Arco di Adriano. In epoca antonina l'antico santuario di Zeus venne fatto oggetto di una ristrutturazione. Sulla terrazza inferiore (100 × 50 m) era il più antico luogo adibito al culto, una roccia che si apriva in una profonda grotta, mentre alla tarda età ellenistica risalgono i più antichi edifici del santuario. Nel I sec. a.C. sorse sulla spianata un piccolo naòs riccamente decorato, con stucchi in parte dipinti, le cui spoglie furono rinvenute nelle fondamenta dei successivi edifici di I-II sec. d.C.: la sua decorazione costituisce a G. la prima assunzione di elementi estranei alla tradizione orientale. A questo edificio era probabilmente collegato un altare cubico con scolpiti i simboli di Zeus, dei Dioscuri e di Eracle. Il santuario venne ingrandito in fasi successive e nel 27/8 d.C., a opera dell'architetto Diodoro di Gerasa, venne circondato da un'ampia corte; la struttura architettonica era scandita da semicolonne ioniche e da un fregio dorico. Nel 162/3 d.C. venne dedicato l'edificio templare, un grande periptero ottastilo che dominava la terrazza superiore dal suo alto podio.
Tra la fine dell'epoca adrianea e l'età antonina un nuovo ampliamento coinvolse anche la zona settentrionale della città, dove tra il 130 e il 150 d.C. venne intrapresa la costruzione del santuario di Artemide-Tyche, articolato in terrazze sorrette da imponenti sostruzioni, collegate da scalinate in asse con l'edificio templare. Tra il 150 e il 160 d.C., il santuario di Artemide giunge a occupare un'area di oltre 3 ha, che abbracciava entrambi i lati della strada principale. La Via dei Propilei, perpendicolare rispetto al cardo, costituiva una monumentale via d'accesso al santuario, attraverso un primo propylon monumentale (est), una piazza colonnata di forma trapezoidale bordata da fontane e un secondo propylon (occidentale), compreso tra file di botteghe a più piani, che formavano le sostruzioni della prima terrazza. Sulla terrazza superiore, oltre la corte del temenos, sorgeva il tempio di Artemide, un periptero corinzio (53,8 × 22,7 m) con 6 colonne sulla fronte e 11 sui lati lunghi e una cella strutturata alla maniera orientale con un adyton tripartito. Un altare a pianta quadrata (12 m di lato) era situato a nord rispetto all'asse principale. A partire dalla metà del II secolo, lungo la via che congiungeva la Porta Sud e l'Arco di Adriano, venne intrapresa la costruzione dell'ippodromo, che rimase in uso per un lungo periodo, tra il III e il VI sec. d.C.
Lungo il cardo si ergevano edifici adibiti a varie funzioni. Un ninfeo (198 d.C.) nei pressi del propylon occidentale e varie fontane segnalavano il passaggio delle acque, convogliate in città da uno o più castelli d'acqua, fino alle Terme Occidentali. Sulla sponda orientale del wādī la condotta dell'Ain Karawan serviva un grande complesso termale (Terme Orientali), costruito probabilmente alla fine del II sec. d.C., cui erano pertinenti una grande corte porticata (palestra?) e un'ampia sala basilicale. Un odeion fu edificato a sud del santuario di Artemide nel 164/5 d.C. e ingrandito sotto Alessandro Severo; ricoperto da un velarium veniva anche utilizzato come bouleuterion. Edifici adibiti ad attività commerciali sorgevano in città: come il grande ambiente a pianta centrale tra la Piazza Ovale e il Tetrapylon Sud, forse un macellum, corredato da botteghe; o la serie di botteghe che si aprivano ai piedi del santuario di Zeus e sotto i portici del cardo. La vocazione commerciale e artigianale della città si rivela anche nella monumentalità degli ambienti di riunione delle corporazioni, come quella dei commercianti di manufatti di bronzo ai piedi del santuario di Artemide.
A epoca tarda risalgono le mura, lunghe circa 3460 m, che abbracciavano un'area estesa su entrambe le sponde del Wadi Gerash, la cui costruzione sembra risalire al IV sec. d.C. Realizzate con blocchi rettangolari, erano larghe nella parte centrale 2,9 m e fortificate da varie torri, che si ergevano a intervalli di 17-20 m. Sulla linea delle mura si aprivano le porte: sono conservati i resti della Porta Nord e della Porta Sud, risalenti a un'epoca compresa tra Traiano e Adriano, concepite come sorta di archi onorari e più tardi incorporate nella cinta, e la Porta Est, contemporanea alla costruzione della cinta stessa.
Grazie alle attività commerciali il centro urbano di G. si mantenne vitale fino all'VIII sec. d.C., quando un terremoto rese inutilizzabile la maggior parte degli edifici imperiali. Prima di questo evento, già l'editto di Teodosio del 386 dovette segnare una cesura nella lunga pratica della frequentazione dei luoghi sacri pagani, visto che dopo questa data il santuario di Artemide sembra essere stato utilizzato come cava di marmi: nella cattedrale della G. cristiana vennero reimpiegati pezzi dall'architrave del peristilio del tempio. In epoca bizantina sorgevano a G. numerose chiese. Una di queste venne costruita nell'ambito del santuario di Artemide, la cui cella dovette assumere una funzione specifica, a giudicare dai resti di un mosaico pavimentale rinvenuto al suo interno. In epoca omayyade, poi abbaside, l'area del tempio venne occupata da abitazioni e officine furono impiantate al posto delle tabernae.
Il piano di distribuzione delle necropoli di G. è poco noto; le tombe finora rinvenute possono essere datate dall'età del Ferro all'epoca bizantina e omayyade. Prevalgono le tombe ipogee, molte scavate nel calcare, che contengono deposizioni individuali (in terra, in fosse protette da lastre di calcare, in sarcofagi, ecc.), multiple (tombe con due o più arcosoli) o collettive (ipogei a un solo ambiente o con più loculi). In generale la forma delle tombe di G. è semplice, con porte di pietra monolitiche non decorate e camere prive di una struttura architettonica. Fino a oggi soltanto una tomba ha conservato resti di pittura. Alcuni mausolei monumentali si distribuiscono lungo le strade in uscita dal centro urbano: la tomba del centurione Germanus, circa 2 km a nord della città; una tomba monumentale, riccamente decorata nella necropoli di nord-ovest, che ricorda le tombe a tempio palmirene. Lungo la strada verso Amman sono venuti alla luce resti di un complesso funerario decorato con capitelli ionici e corinzi e fregio dorico.
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di Alessandra Bravi
L'antica P. (gr. Παλμύϱα; ebr. Tadmōr), sita all'interno di un'oasi 230 km a nord-est di Damasco, costituiva l'unico luogo di sosta nel deserto sulla rotta che dal medio Eufrate giungeva sulle coste del Mediterraneo.
Citata in iscrizioni e documenti di epoca assira e nella Bibbia (II Chron., 8, 4), in epoca ellenistica Tadmor era uno degli stati clienti arabo-ellenistici (di Nabatei, Iturei, Emeseni e Osroeni), tra la Siria ellenizzata e la Mesopotamia achemenide. Dal tell sulla cui sommità si erge il santuario principale (tempio di Bel), la città, lungo l'asse naturale di circolazione (valle del Wadi al-Qubur), si estese verso ovest. La "città ellenistica", come hanno dimostrato gli scavi condotti da A. Schmidt-Colinet, era costituita tra il III e il II sec. a.C. da un agglomerato urbano di impianto irregolare e doveva occupare un'area di una ventina di ettari, tra il tempio di Bel a est e la fonte Efqa a ovest, con abitazioni di mattoni cotti, strette vie tortuose, una cinta di mattoni crudi, i cui resti sono stati trovati sul fianco del Gebel Muntar.
Tra il I e il II sec. d.C. comincia la ristrutturazione dei santuari più importanti e la monumentalizzazione della rete urbana con la costruzione dei grandi colonnati. Nel 106 viene creata la provincia di Arabia; cessa l'influenza dei Nabatei e i traffici carovanieri sono convogliati da Petra a P. In epoca adrianea P. viene denominata Hadriana Tadmor e riceve il titolo di "città libera". Il santuario di Bel sembra essere stato per primo oggetto di una ristrutturazione, contemporanea al viaggio di Germanico in Oriente e all'ingresso di P. nell'orbita romana. In esso, come negli altri santuari di Palmira, confluiscono varie tradizioni architettoniche: greco-orientale, ellenistico-romana, siriana e mesopotamica. Il tempio, pseudodiptero corinzio (8 × 15) si eleva al centro di un grande peribolo quadrato (ca. 200 m di lato) con porticati corinzi sul lato interno. La cella, a pianta rettangolare, orientata nord-sud, coperta a terrazza con frontoni posticci, venne dedicata nel 32 d.C. a Bel, Yarhibol, Aglibol. Alle due estremità di essa si aprivano edicole cultuali su un piano sopraelevato (thalamoi). Nella piazza lastricata erano un bacino lustrale, un altare e una sala per banchetti.
Il santuario di Baal Shamin (dal 23 d.C.), della tribù dei Maziyan, fu terminato nel II sec. d.C. Circondato da un temenos (160 × 60 m) con due portici a nord (67 d.C.) e un terzo a sud (metà del II sec. d.C.), il tempio prostilo tetrastilo, su uno zoccolo modanato, presenta una cella rettangolare (dedicata nel 131 d.C.), con adyton a forma di esedra, fiancheggiata da due avancorpi decorati da nicchie. Alla fine del I sec. d.C. due grandi famiglie palmirene intraprendono la ristrutturazione del tempio di Nabu (80-180 d.C.). Il tempio, un periptero corinzio (6 × 12) su alto podio, accessibile sul lato breve da una scalinata, era posto al centro di un peribolo a pianta trapezoidale circondato da portici coperti a terrazza. L'ingresso monumentale si apriva sul lato sud. La cella era a pianta rettangolare, con adyton, orientata nord-sud e coperta a terrazza, con ingresso sul lato breve meridionale in asse col propileo.
Alla fine del I secolo viene costruita la prima grande arteria a portici, la Colonnata Trasversale nel quartiere ovest, all'esterno dell'antica cinta ellenistica e all'arrivo della rotta proveniente da Emesa: il portico viene dedicato nel 129 d.C. alle divinità arabe Shams, Allat e Rahim. Alle spalle di questa via era un santuario appartenente alla tribù Zabdibol, che venne nel tardo II secolo incorporato nel santuario di Allat, grande divinità dei nomadi, menzionata da Erodoto che la identifica con Urania. Il portico ovest è datato in base a un'iscrizione bilingue dedicata ad Atena-Allat (114 d.C.).
Alla metà del II sec. d.C. questa zona venne congiunta al propileo del tempio di Bel con una larga via porticata (lungh. 1200 m): la Grande Colonnata, larga 23 m (11 m la pista centrale, 6 m ciascun portico laterale), il cui corso, da nord-ovest a sud-est, diviso in tre tronconi, costituiva una sorta di via processionale al tempio di Bel. I due cambiamenti di direzione erano segnalati da un tetrapylon e un tripylon (risalente a una data posteriore al 212 d.C.). Dalla piazza ovale si diparte una via porticata che conduce, a sud dell'agorà, al tempio di Arsu, della tribù Mattabol. Al tetrapylon, una via secondaria si diramava verso sud e portava all'agorà (84 × 71 m), una piazza quadriporticata. Annesso all'agorà sul lato orientale è un ambiente, denominato un tempo Serraglio, dove venne rinvenuta la Tariffa Palmirena. Vicino al Caesareum erano poi il cosiddetto bouleuterion, il teatro, un ninfeo. Le terme cosiddette "di Diocleziano" risalgono in realtà a epoca severiana e vengono dotate in età tetrarchica di un ingresso scandito da quattro colonne di granito rosso.
Nel 212 P. è colonia romana con ius Italicum. Alla fine dell'epoca severiana la città acquisì un notevole peso politico, venendo a trovarsi al centro del conflitto tra i Sasanidi, la nuova dinastia partica e l'Impero romano. Odenato, illustre senatore di una delle famiglie arabe più rappresentative della città, venne nominato da Gallieno dux Romanorum e condusse le armate romane a Ctesifonte, assumendo grazie alle sue vittorie il titolo di imperator e corrector totius Orientis. Alla sua morte ereditò il potere sua moglie Zenobia, che concepì un progetto espansionistico oltre i confini della Palmirene, culminato nell'invasione dell'Egitto. Le mire politiche di Zenobia ebbero fine quando, nel 272, l'imperatore Aureliano conquistò P.: Zenobia venne portata a Roma e pubblicamente esposta agli occhi dei Romani, in catene, nel corso di un celebre trionfo. In seguito, nonostante lo spostamento dei traffici sulla rotta di Nisibis, P. restò un punto strategico sul limes e fu fatta oggetto di grandi interventi edilizi da parte di Diocleziano. Nel quartiere a ovest della Colonnata Trasversale venne allora costruito il Campo di Diocleziano. Una cinta muraria di circa 5 km (di problematica interpretazione, in parte di epoca giustinianea) circondava i quartieri a nord del wādī e i principia, sede del comando militare, lasciando all'esterno i quartieri meridionali della città. Il Campo era attraversato dalla via praetoria e dalla via principalis, che si incrociavano in un tetrapylon; l'impianto era costituito da un foro bordato su un lato dagli arsenali e da una cappella (Tempio delle Insegne).
In epoca tardoantica vennero ancora realizzati alcuni interventi e restauri ai portici della via colonnata. Giustiniano insediò una guarnigione e fortificò le mura, che saranno distrutte alla fine dell'epoca omayyade (745 d.C.) in seguito a una rivolta contro l'ultimo califfo della dinastia. Nel 1132/3 il ciambellano del principe di Damasco trasformò il santuario di Bel in una cittadella e la cella in una moschea, intorno alla quale sorse in epoca ottomana un piccolo agglomerato di case.
Necropoli monumentali si estendono al di fuori della città, in prossimità delle vie carovaniere, come la più antica, la Valle delle Tombe, sulla pista per Homs. Sulle sue alture rocciose si ergono le più antiche torri funerarie, una tipologia che accomuna P. a una vasta zona comprendente la Cilicia, l'Hauran, la regione del medio Eufrate e la Penisola Arabica. Un corpo pseudoquadrangolare è strutturato all'interno in una o più camere funerarie raggiungibili tramite una scala; sono a volte corredate di ipogeo, come le torri di Atenatan (9 a.C.), di Hairan (33 d.C.), di Kithot (40 d.C.). Nelle due torri più celebri, quella di Giamblico (83 d.C.), sul versante nord della collina di Umm Belquis, e di Elahbel, si dipana una decorazione architettonica di tradizione greco-romana. Nelle gallerie dei più grandi ipogei, come quello cosiddetto dei Tre Fratelli (prima metà del II sec. d.C.), caratterizzato dalle decorazioni mitologiche di tradizione greco-romana, potevano essere inumati fino a 400 defunti. Alla metà del II secolo circa si sviluppa una nuova tipologia di tombe, i cosiddetti "templi funerari" (143-253 d.C.). Emblematica la tomba-tempio n. 36, in cui si suppone fosse sepolto l'argapetes Iulius Septimius Worod, senatore e cavaliere romano nel 258/9, gravitante alla corte di Odenato, identificato da Schimdt-Colinet con il Worod citato nelle Res gestae di Shapur. Le sculture funerarie, come i busti femminili che dal 50 al 273 d.C. circa decorano le tombe di P., o i grandi sarcofagi sistemati a triclinio nelle camere dei templi, rendono un quadro vivace dello stile di vita proprio dei magnati palmireni, che al sostrato locale autoctono sovrappongono modelli occidentali come elementi di prestigio.
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di Sergio Rinaldi Tufi
La Iudaea, o Palaestina, costituisce un caso particolare, non solo per quanto riguarda il suo straordinario passato e il suo singolare destino di "terra promessa", ma anche a causa della discontinua natura dei rapporti istituzionali con Roma. Fu definitivamente aggregata alla provincia Syria et Palaestina solo nel 44 d.C., ma già in precedenza si era stabilita una sorta di alleanza, soprattutto all'epoca del re Erode, figlio di quell'Antipatro che era stato uomo di fiducia di Pompeo, poi di Cesare, di Crasso, di Antonio e infine di Ottaviano Augusto. Prima delle operazioni condotte da Pompeo in Oriente, per oltre un secolo si erano svolti in questa regione ‒ da sempre tormentata ‒ eventi assai drammatici, di cui sono da ricordare soprattutto la rivolta dei Maccabei e la salita al trono della dinastia degli Asmonei.
La rivolta capeggiata dai fratelli Maccabei, Giuda e Gionata, era esplosa come reazione al tentativo di ellenizzazione della regione operato da Antioco IV (175-164 a.C.), esponente della dinastia seleucide che dal 198 aveva preso il posto di quella tolemaica nel controllo di quest'area: il nome di Gerusalemme era stato cambiato in Antiochia; sulla spianata del Tempio (che non aveva più raggiunto lo splendore dell'edificio costruito da Salomone e distrutto da Nabucodonosor di Babilonia) era stato introdotto il culto di Zeus. Giuda e Gionata, inizialmente spinti dal padre Matatia (a sua volta figlio di Simone Asamonaios), purificarono il Tempio e fecero ricostruire le mura della città; la loro lotta fu proseguita dai fratelli Giovanni, Eleazaro e Simone; a quest'ultimo (ucciso dal genero Tolemeo) subentrò nel 135 a.C. Giovanni Ircano, che avviò la dinastia degli Asmonei (dal nome del padre di Matatia). Non cessarono però le lotte, anche sanguinose: l'intervento di Pompeo si ebbe solo nel 63 a.C., con la trasformazione della Palestina in regno vassallo e con l'insediamento sul trono di Ircano II, ultimo degli Asmonei, a cui era affiancato come consigliere il già ricordato Antipatro.
Il figlio di quest'ultimo, Erode, fu nominato nel 37 a.C. re "federato" della Giudea. Fu il re che fronteggiò verso meridione le mire di Cleopatra, mettendo in discussione le buone relazioni con Antonio, e che in seguito riuscì a mantenere un rapporto privilegiato con Augusto e a pilotare abilmente il suo regno, sia pure fra mille crudeltà e ambiguità (è lui il sovrano della Strage degli Innocenti), durante i primi decenni dell'età imperiale romana, unificando tutto il territorio costituito non solo dalla Giudea strettamente detta, ma anche dall'Idumea, dalla Samaria e dalle antiche città greche della costa. Un occhio alle tradizioni della sua terra, un occhio alla cultura e alle esigenze politiche e strategiche di potenti alleati, Erode il Grande (come venne un po' enfaticamente definito) perseguì una sua ricerca del consenso attraverso un'attività edilizia di grandissima intensità: ricostruì il Tempio di Gerusalemme, ma, come vedremo fra poco, fece anche costruire edifici colossali e inconsueti in tutto il suo territorio.
Fu superato in crudeltà dal successore Archelao, che nel 6 d.C. i Romani ritennero opportuno rimuovere, creando una prima provincia di Giudea. Il governatore più noto è, fra il 26 e il 36, Ponzio Pilato: sono gli anni culminanti della vicenda terrena di Gesù Cristo. Viene poi creato un nuovo regno vassallo, affidato stavolta a Erode Antipa; ma nel 44 si ripristina il diretto controllo dello Stato romano, con l'annessione del territorio alla Siria e la creazione della Syria et Palaestina. Il malgoverno dei magistrati romani e la fierezza del popolo di Israele nel tentativo di difendere le proprie tradizioni sono all'origine di una tensione che si mantiene assai alta e che sfocia in insurrezioni che danno il via alla prima e alla seconda guerra giudaica; la prima viene vinta nel 70 da Tito (non ancora imperatore), con la presa di Gerusalemme e la nuova e definitiva distruzione del Tempio; la seconda esplode quando Adriano avvia la trasformazione della Città Santa di Gerusalemme nella colonia di Aelia Capitolina e viene repressa con lo sterminio del 135 d.C., cui segue la collocazione sulla spianata del Tempio delle statue di Giove e dello stesso imperatore, mentre sul Calvario viene eretto un tempio di Venere.
In età tardoantica, quando con l'editto di Costantino del 313 si ufficializza il cristianesimo, comincia la costruzione di chiese e basiliche sui luoghi sacri della fede. Patriarcato autonomo con il concilio di Calcedonia del 451, Gerusalemme è devastata nel 614 dai Persiani di Khusraw, liberata nel 629 dai Bizantini di Eraclio, occupata nel 638 dagli Arabi guidati dal califfo Omar; il territorio della Giudea seguì la sorte dell'antica capitale.
L'attività edilizia di questo abilissimo sovrano si dispiega sia nella costruzione ex novo (o quasi) di importanti monumenti e insediamenti, sia in interventi di grande peso e prestigio in centri urbani già esistenti.
Fra le città costruite ex novo ricordiamo anzitutto Caesarea Maritima: templi, teatro, circo-ippodromo e soprattutto il monumentale Porto Sebastos, un porto "da manuale" elogiato da Vitruvio, i cui resti sono ancora visibili sopra e sotto il pelo dell'acqua. A Samaria Sebaste l'insediamento precedente viene completamente modificato, soprattutto con la creazione di una grande via colonnata. Ad Antipatris (dal nome del padre del re, Antipatro), sorta sul sito di una precedente città ellenistica, Pegae, spiccano una grande strada centrale fiancheggiata da botteghe e un foro dotato di ingresso monumentale.
Un intervento su un'antica città santa è quello che si effettua a Hebron, con il complesso detto Ramat el-Khalil (cioè "il prediletto da Dio", uno dei nomi di Abramo in arabo), 3 km a nord dell'abitato, cui è collegato da una lunga strada pavimentata. Si tratta di un grande recinto (con ingresso monumentale fiancheggiato da torri), al cui interno sono i cenotafi di Abramo e Sara, Giacobbe e Lia, Isacco e Rebecca, nonché una grotta forse identificabile con quella di Malpela, contenente ‒ secondo la tradizione ‒ le sepolture dei Patriarchi. Il complesso fu distrutto dai Romani nel 68 d.C.; nel 130, Adriano insediò qui i culti di Hermes e Dioniso.
Ma sono soprattutto importanti gli interventi su Gerusalemme. Quello che dà un'impronta a tutta la città è il nuovo Tempio. I lavori durarono dieci anni, più (per alcune parti) altri anni ancora fino al 64 d.C., molto dopo la morte del sovrano e poco prima della distruzione operata da Tito. Le dimensioni della spianata precedente furono raddoppiate con terrazze artificiali, muri di contenimento di grandi blocchi, concamerazioni a volta (dette Scuderie di Salomone). All'interno di questo vasto spazio, a cui si accedeva da otto porte diverse, era un ampio cortile accessibile a tutti, detto Cortile dei Gentili, poi il tempio vero e proprio, dove le entrate erano selezionate, che si articolava, come quello di Salomone, in Vestibolo Santo e Santo dei Santi. Accanto, incombeva la Fortezza Antonia. Dopo la distruzione da parte di Tito, il Tempio non fu più ricostruito. Il Muro del Pianto, presso cui gli Ebrei pregano e si dolgono di questa definitiva scomparsa, è un tratto delle strutture di contenimento create da Erode (poi rinforzate nel XVI sec. da Solimano il Magnifico). Con Adriano, qui viene eretto un tempio di Giove; Aelia Capitolina è una città del tutto nuova, con cardini e decumani che costituiscono l'impianto che sarà ripreso in età bizantina e che è raffigurato in uno straordinario "mosaico topografico" del VI secolo conservato a Madaba (attuale Giordania).
A Gerusalemme si trovano anche testimonianze di edilizia residenziale: un po' dovunque nella regione non solo Erode stesso, ma anche i suoi predecessori si fecero costruire palazzi giganteschi e complessi. Nella capitale, il Palazzo di Erode si trovava dove oggi è la caserma di polizia presso la Cittadella, o Torre di David; restano, inglobati in quest'ultima, avanzi di uno dei tre torrioni (Ippico, Fasaele e Mariamne, rispettivamente dal nome di un amico, del fratello e della moglie del re), che erano stati eretti a difesa del palazzo stesso. Più cospicui, nell'odierno settore ebraico della città, i resti di un altro complesso residenziale collegabile con lo stesso sovrano, il cosiddetto Quartiere Erodiano, in cui si sono individuate sei abitazioni di due o tre piani evidentemente destinate alle classi agiate: sono presenti bei mosaici pavimentali e bagni rituali (mikweh); nell'abitazione più grande, la cosiddetta Palatial House, i mikweh sono ben cinque.
A Gerico, sulle due rive del Wadi Qelt, sorgeva un grande complesso di edifici reali appartenenti sia alla dinastia asmonea, sia a quella erodiana. Sono state individuate sette fasi, fra cui bisogna ricordare, prima di Erode, almeno il palazzo eretto nel 120 a.C. da Giovanni Ircano I, comprendente fra l'altro il più antico mikweh della regione; un vasto gruppo di piscine creato nel 100 a.C. circa da Alessandro Ianneo; e soprattutto, ancora durante il regno di questo stesso sovrano (completato poi dalla vedova Alessandra), un articolatissimo complesso costituito da due palazzi gemelli, da una collina artificiale, da magazzini, da bagni rituali (uno dei quali insolitamente riscaldato) e da altre strutture che restarono in uso fino al tempo di Erode.
Come in una sorta di cantiere perpetuo, quest'ultimo fece costruire ben tre successive residenze: un complesso (databile intorno al 35 a.C.) incentrato su un vasto giardino con peristilio e comprendente fra l'altro un impianto termale di tipo romano e un mikweh; un secondo palazzo (25 a.C. ca.) sorto sulle rovine del palazzo asmoneo presumibilmente danneggiato da un terremoto, con portici e giardini che inglobavano le piscine preesistenti, con un ulteriore giardino pensile al di sopra delle rovine dei palazzi gemelli e con una nuova ala eretta su due livelli; e infine il terzo palazzo (15 a.C. ca.) con un'ala residenziale a nord, un giardino, una piscina e di nuovo una collina artificiale. L'ala residenziale, con due triclini, due giardini e numerosi altri ambienti, era decorata con stucchi e affreschi; il giardino presentava una lunga vasca chiusa da un muro provvisto di numerose nicchie e di un'esedra centrale in forma di cavea teatrale. La grande piscina era adibita anche a giochi d'acqua e alla navigazione di piccole imbarcazioni. Il tell artificiale presentava fra l'altro, su una fondazione di blocchi di pietra circondata da un terrapieno, una grande sala circolare. Il complesso si estendeva su entrambe le rive del wādī, collegate da un ponte oggi scomparso.
Di un grande palazzo che fu costruito a Caesarea resta solo la piscina. Ma il gusto della dinastia degli Asmonei e del re Erode per le residenze grandi e complesse si manifesta anche in straordinarie realizzazioni fuori dai centri urbani: il palazzo di Macheronte, costruito dagli Asmonei sulle rovine sovrastanti il Mar Morto, e i due monumenti che forse più di altri rispecchiano la personalità del sovrano, Masada e Herodion. Masada, fortezza imprendibile in vista del Mar Morto (come a Gerusalemme con la Antonia, le fortezze occupano un ruolo significativo nell'universo erodiano), fu costruita nei primi anni di regno su un ripido sperone di roccia dalla sommità appiattita. Rinforzata su tre lati da mura e casematte (soprattutto verso sud), presentava terme e cisterne, alloggi e magazzini; verso nord (lato riparato dal Sole) l'intero pendio era occupato dalla parte di rappresentanza, con tre terrazzi (uno dei quali porticato) disposti su differenti livelli. Abbandonata dopo la morte di Erode, Masada conobbe una drammatica riutilizzazione quando, alla fine della prima guerra giudaica, un gruppo di zeloti, Ebrei intransigenti che non riconoscevano l'autorità di Roma e rifiutavano di sottomettersi a Tito, si insediò nella munitissima residenza e resistette a lungo all'assedio di diversi generali, fino alla capitolazione e al suicidio collettivo.
Ma il maggior numero di significati si assomma forse a Herodion. Nella pianura semidesertica nei dintorni di Betlemme, si trova un'altura alla cui sommità, integrata e sistemata artificialmente, si erge una possente fortificazione cilindrica con tre torrioni (in uno dei quali era collocato il sepolcro del re), che contiene al suo interno una sontuosa residenza con vari ambienti articolati attorno a un grande cortile a peristilio. Le funzioni, dunque, sono molteplici: fortezza, palazzo, sepolcro; ai piedi dell'altura, inoltre, è un altro grande complesso, con portici, vasche, biblioteca, edifici sacri. Questa rispondenza fra una ben visibile struttura in alto e un luogo di culto in basso è paragonabile alla situazione che si riscontra in svariati Augustea, luoghi deputati alla veneratio dell'imperatore, sia nella parte orientale sia in quella occidentale del mondo romano: quasi come se Erode volesse proporre sé stesso come oggetto di culto.
Erode ha dato dunque una sua impronta a città maggiori e minori e a grandi complessi extraurbani, con un gusto (in parte di derivazione ellenistica) per le architetture scenograficamente disposte su più livelli e con opere murarie che (anch'esse derivate da modelli ellenistici) spesso impiegano una tecnica ben individuabile: grandi blocchi squadrati, in cui tuttavia le facce a vista non sono completamente lisciate, dando l'impressione di una sorta di poderoso bugnato.
Al di là dell'intensissima attività promossa da Erode, sono da ricordare anche altri importanti insediamenti della Iudaea.
È il caso, ad esempio, di Sepphoris, che con Erode fu a capo della metà occidentale della Bassa Galilea e che poi, dopo la trasformazione in provincia, con Vespasiano ebbe il titolo di municipio e con Adriano (che la ribattezzò Diocaesarea) fu abbellita da un tempio della Triade Capitolina; restano inoltre avanzi di un teatro e, nella parte alta, di un edificio con mosaici, forse di carattere residenziale. Tiberiade, fondata da Erode Agrippa (figlio di Erode il Grande) e passata indenne attraverso le due guerre giudaiche, fu capitale della Galilea: restano avanzi, poco a sud della città, di un importante impianto termale (Hamat Teverya) e di una grande sinagoga. Notevoli anche i resti della sinagoga della non lontana Cafarnao, dove si trovano inoltre alcune interessanti abitazioni, modeste, ma raggruppate fra loro in quartieri compatti che fanno pensare a una divisione per clan: una di queste, su cui è sorta una basilica bizantina del V secolo, è stata attribuita a s. Pietro e in effetti è stata oggetto di culto fin da tempi antichissimi. Sempre in Galilea, Bet Shean, o Beisan (Scythopolis con i Tolemei, Nisa con i Seleucidi) è una delle città più antiche della regione: in età imperiale fu dotata di vie colonnate, templi, ninfei e soprattutto di un edificio teatrale dai caratteristici dispositivi acustici. Si tratta, più precisamente, di cavità ricavate nel maenianum (elemento di separazione) fra primo e secondo ordine di gradinate, destinate a ospitare conche metalliche; di questo accorgimento tecnico parla Vitruvio, ma non se ne conoscono altre testimonianze archeologiche.
Con Erode e non solo con Erode, la Iudaea si arricchisce in età romana di monumenti che rivaleggiano con quelli del suo illustre passato. Fra templi e palazzi, teatri e terme, gli edifici che forse offrono aspetti più caratteristici sono le sinagoghe; formulazioni notevoli presentano anche alcuni sepolcri.
Συναγογή è un termine che in origine designa un gruppo di Ebrei riunito in comunità, successivamente passa a indicare il luogo di riunione e preghiera della comunità. L'"invenzione" della sinagoga si deve secondo alcuni a Mosè, secondo altri a Geremia ed Ezechiele; ma mentre le rare menzioni epigrafiche risalgono al VI e al III sec. a.C., per le testimonianze archeologiche a noi note bisogna aspettare l'età imperiale (importante la sinagoga di Ostia risalente al I sec. d.C., anche se conosciamo meglio quella del IV che le si è sovrapposta). Complementare in origine al Tempio di Gerusalemme, la sinagoga gli sopravvive a lungo: i più antichi esempi in Giudea hanno pianta a tre navate (derivata dall'architettura basilicale greca e romana) con portico davanti all'ingresso e l'asse orientato verso Gerusalemme. Sembra da recenti scavi che la sinagoga di Cafarnao sia databile al IV sec. d.C.; allo stesso secolo e al successivo si datano edifici analoghi presenti nella regione: Hamath-Tiberiade, Bet Alpha, Gaza, mentre a en-Geddi (Eleutheropolis) si coglie un notevole scarto fra le dimensioni di un primo edificio databile al II o III secolo e quelle di un rifacimento effettuato nel V. In molte decorazioni parietali compaiono il candelabro a sette braccia, l'Arca, il ramo di palma, il cedro, il corno d'ariete; nei pavimenti musivi troviamo segni dello Zodiaco e scene bibliche, in cui spesso è raffigurata, in alto, la mano stessa di Dio. L'impronta iconografica e stilistica sembra di tipo bizantino; ma si può osservare che non vi era un particolare rispetto per il noto divieto di rappresentazione della figura umana.
Per quanto riguarda l'architettura funeraria, a parte il singolare caso dell'Herodion, si può dire che esempi veramente significativi si concentrino a Gerusalemme. Nella valle di Cedron, a est della Città Vecchia, sono allineati quattro maestosi mausolei, noti con denominazioni alquanto fantasiose: la Tomba di Giosafat (databile in realtà al I sec. d.C.) ha una bella facciata rupestre, con timpano decorato a motivi vegetali e otto camere sepolcrali; le altre tombe precedono l'età di Erode e si datano al I sec. a.C.: la Tomba di Assalonne, alta ben 20 m, con corpo di base quadrato e copertura conica, scavata nella roccia; la Tomba di Zaccaria, struttura monolitica decorata con colonne ioniche, e la Tomba di Beni Hazir, costituita da una serie di celle precedute da una facciata in antis di ordine dorico. Questa tomba, grazie a un'iscrizione posta sull'architrave, è l'unica attribuibile con certezza: Beni Hazir apparteneva a una nota famiglia sacerdotale. È probabile che anche le altre tombe monumentali appartenessero a persone di questo ceto.
A nord della Città Vecchia è un ipogeo, cui si discende attraverso una gradinata e un porticato: le sepolture, distribuite in sei celle, sono oltre cinquanta. Mentre gli scopritori, nell'Ottocento, parlavano di tombe dei re di Giudea, si ipotizza ora (anche sulla base di notizie desunte da Giuseppe Flavio) che si tratti della tomba fatta costruire per sé e per la famiglia da Elena, regina dell'Adiabene (regione dell'Assiria), che si trasferì a Gerusalemme nel 44 a.C.
A. Frova et al., Gli scavi di Cesarea Marittima, Milano 1965; M. Sordi, Giudea, Siria Palestina, Palestina all'epoca di Settimio Severo, in BStLat, 1 (1971), pp. 251-55; L.I. Levine, Roman Caesarea, an Archaeological-Topographical Study, Jerusalem 1975; B. Isaac - I. Roll, Judaea in the Early Years of Hadrian's Reign, in Latomus, 39 (1979), pp. 54-66; B. Isaac, Roman Colonies in Judaea. The Foundation of Aelia Capitolina, in Talanta, 12-13 (1980-81), pp. 31-54; S. Applebaum (ed.), Judaea in Hellenistic and Roman Times. Historical and Archaeological Essays, Leiden 1989, pp. 30-46.
di Sergio Rinaldi Tufi
La presenza araba nelle terre fra il Mar Morto e il Golfo di Aqaba si fa rilevante a partire dal V sec. a.C., con un progressivo affermarsi dei Nabatei. I loro re, che hanno la residenza a Petra, presentano nomi ricorrenti: Rabel, Oboda, Areta, Malico. È con Areta II (88-62 a.C.) che il regno raggiunge la massima espansione, giungendo fino a Damasco e sviluppando la sua posizione privilegiata nel controllo dei commerci carovanieri; nel 65 a.C. il sovrano assedia Gerusalemme, ma qui si scontra con la presenza romana tanto che, negli anni successivi, Pompeo e i suoi legati compiono numerose spedizioni contro i Nabatei stessi. Al re Malico I, salito al trono nel 59/8, toccarono difficili scelte fra pompeiani e cesariani, fra cesaricidi e Antonio, fra Antonio e Ottaviano, in una situazione resa ancor più scomoda dalla vicinanza con Erode il Grande.
Ottaviano, divenuto Augusto, non sembra tanto interessato ai Nabatei quanto ai Sabei, che occupano l'angolo sud-occidentale della Penisola Arabica (Arabia Felix) e controllano i traffici di profumi e spezie fra India, Yemen e Mediterraneo: Marib, la capitale, è un terminale della "via dell'incenso". Viene inviato contro i Sabei Elio Gallo, prefetto dell'Egitto, ma la spedizione si risolve in un insuccesso; per tutto il I sec. d.C. non si registrano più interventi romani nella penisola. La capitale Petra diviene un punto di riferimento cosmopolita e, soprattutto durante i regni di Oboda III e Areta IV, si arricchisce di monumenti tuttora celeberrimi: il Khazneh, l'ed-Deir, il Qasr el-Bint, il Tempio dei Leoni Alati. Più vincolato a una sudditanza nei confronti di Roma appare Malico II, che fornisce truppe a Tito per la prima guerra giudaica. Proprio con l'ultimo sovrano, Rabel II (che regna a partire dal 70-71), si ha un deciso rilancio che comporta (grazie a un avanzato sistema di irrigazione) l'estensione dell'agricoltura nel Negev e una certa "stabilizzazione" delle popolazioni nomadi dell'area settentrionale, mentre cresce l'importanza di Bostra. Alla morte di Rabel II (105 d.C.) l'Arabia è annessa da Traiano, grazie a operazioni condotte dal governatore della Syria, A. Cornelio Palma.
A Petra e a Bostra si aggiungono Philadelpheia, Gerasa, Adraha, distaccate dalla stessa Syria; il territorio si estende dalla valle del Giordano e dal Mar Morto fino al Negev e al Sinai. Bostra, ristrutturata nell'assetto urbanistico e ridenominata Nea Traiane Bostra, diviene la capitale; la capitale nabatea, Petra, perde di conseguenza il ruolo di guida politica e amministrativa, pur conservando i suoi splendidi monumenti, subendo anzi rilevanti ritocchi urbanistici e architettonici e ricevendo da Adriano il titolo onorifico di metropoli; viene creato un nuovo sistema di strade, anche in funzione delle comunicazioni con la Syria et Palaestina; continuano a svolgere il loro antico ruolo le vie carovaniere.
Con Settimio Severo, contemporaneamente al riassetto della Siria, l'Arabia viene ingrandita con l'annessione dello Hawran, già appartenente alla Syria stessa, con la città di Kanatha e il suo territorio: è in quest'area che nasce nel 220 (poco dopo l'annessione) l'imperatore Filippo, detto appunto "l'Arabo", il quale nel 244 vi fonda la città di Philippopolis. Nell'ambito della riforma dioclezianea, anche qui viene attuata una suddivisione: la parte meridionale, prevalentemente desertica, viene distaccata da quella settentrionale (ambiente agricolo densamente popolato), che va a costituire la Palaestina Tertia, o Salutaris.
Gli interventi architettonici romani incrementano ulteriormente la già notevolissima monumentalità degli assetti urbani.
Bostra, la capitale, aveva un nucleo nabateo di cui non conosciamo la consistenza, ma che aveva un ingresso di notevole effetto, detto appunto Porta Nabatea, caratterizzato da una decorazione architettonica che in certi casi si distacca dagli esempi classici. Dopo l'annessione romana, presso questo nucleo sorge un palazzo, forse residenza del governatore; vengono create inoltre vie colonnate che rinnovano l'aspetto della città. L'antica e celebre capitale nabatea, Petra, perse una parte della sua importanza a causa della "promozione" di Bostra, ma incrementò sotto il dominio romano il suo patrimonio monumentale, sia nella necropoli, sia nel centro urbano.
Sotto l'attuale Amman, capitale della Giordania, sono quasi completamente nascosti i resti dell'antica Philadelpheia: l'unico monumento superstite è il teatro, che in compenso è ben conservato. Costruito all'epoca di Antonino Pio, poteva ospitare 6000 spettatori in una cavea divisa in tre maeniana: cavea che in parte è ricavata in un pendio naturale, in parte poggia su sostruzioni artificiali. Anche ad Adraha resta solo il teatro. Nello Hawran, annesso all'epoca di Settimio Severo, l'imperatore Filippo l'Arabo fonda Philippopolis, unica città costruita ex novo in tutta la provincia. Aveva pianta più o meno quadrata, con due vie centrali che si incrociavano ad angolo retto: da ricordare il santuario imperiale (Kalybe), le terme, una sontuosa domus ornata di ricchi mosaici e, anche qui, il teatro. In pratica non c'è città senza un simile tipo di edificio per spettacolo: questa constatazione, di per sé non troppo sorprendente, assume una sua maggiore rilevanza in quanto siamo in una provincia "estrema".
Nel Negev è da ricordare, nella città di Oboda, un singolare sincretismo testimoniato in età tarda, ma forse già sviluppatosi in precedenza: il tempio di Zeus-Oboda, databile su base epigrafica al 258 d.C. Mampsis, sempre nel Negev, non lontana dal Mar Morto, in origine stazione di passaggio sugli itinerari che dai porti del Mediterraneo conducevano al Golfo di Aqaba (e dotata perciò di cisterne, magazzini, caravanserraglio), famosa anche per l'allevamento dei cavalli sviluppatosi a partire dal I sec. d.C., si arricchì via via di una grande torre, sede del comando militare della città, nonché di una notevole edilizia residenziale, con palazzi piuttosto ampi e complessi. Da ricordare fra l'altro la Casa dell'Allevatore di Cavalli: edificio provvisto di torre e di un tempio di uso domestico, nonché di una stalla a una navata con copertura ad archi. Significativo è anche il cosiddetto Edificio XII, quasi un palazzo (1600 m2): presenta due cortili, il primo affiancato da un ufficio e da una stanza per la sentinella, l'altro (cui si accede mediante una porta decorata da capitelli di stile nabateo) di forma piuttosto allungata e decorato da affreschi; vi si affacciano stanze e ambienti di servizio, anch'essi affrescati. Restano inoltre avanzi di un secondo piano, con un ambiente mosaicato, e di una torre che conduce a una "stanza del tesoro", dove si è rinvenuta un'olla di bronzo contenente 10.500 monete databili fra Traiano e Settimio Severo.
In età medioimperiale, pur restando un centro piuttosto vitale, Mampsis non presenta altre novità di grande rilievo e l'allevamento dei cavalli man mano decade; un rilancio si avrà con la riorganizzazione militare da parte di Diocleziano, che istituirà qui una guarnigione di cammellieri e costruirà una cinta muraria, e con la diffusione del cristianesimo: si ricostruiranno e adatteranno alloggi e si edificheranno importanti chiese.
A. Negev, The Nabataeans and the Provincia Arabia, in ANRW, II, 8, 1977, pp. 520-686; M.G.W. Bowersock, Roman Arabia, Cambridge (Mass.) 1983; M. Macadam, Studies in the History of the Roman Province of Arabia, Oxford 1986; A. Segal, Town Planning and Architecture in Province Arabia, Oxford 1988; Id., Theatres in Roman Palestine and Province Arabia, Leiden 1995; M.G. Amadasi Guzzo - E. Equini Schneider, Petra, Milano 1997.
di Alessandra Bravi
Antica capitale del regno nabateo, in epoca romana della provincia di Arabia, P. era situata nella Transgiordania meridionale, a sud di Amman.
Chiamata dagli Arabi Wadi Musa (Valle di Mosè), Giuseppe Flavio (Bell. Iud., IV, 161) la identificò con l'inespugnabile Rekem, forse a causa della sua posizione strategica, sulla sommità del monte Umm el-Biyara (1160 m). Nel IV sec. a.C., P. era un punto nodale di transito tra le coste del Mediterraneo, l'Arabia meridionale e l'India, soprattutto legato al commercio delle spezie.
Intorno al IV sec. a.C., l'occupazione nabatea si sovrappose a un preesistente insediamento edomita a Umm el-Biyara, non provocando, per un lungo periodo di tempo, la nascita di una città vera e propria né la realizzazione di strutture monumentali. Secondo Diodoro Siculo (XIX, 94, 3-4), nel 312 a.C. i Nabatei vivevano come nomadi ed era loro proibito costruire case. La sedentarizzazione deve essere avvenuta tra il III e il I sec. a.C., se all'epoca di Strabone P. si presentava come una città con case e giardini (XVI, 4, 21). Nel 64/3 a.C., Pompeo fece della Nabatea uno Stato cliente di Roma. Non oltre la metà del I sec. a.C. vengono costruite le prime case sulla terrazza naturale al di sotto di az-Zantur, quartiere che ha rivelato, nel corso di recenti indagini, una continuità abitativa che si protrae fino al IV sec. d.C. P. sorgeva in una valle a forma di anfiteatro racchiusa tra alte rocce, percorsa dal Wadi Musa. L'unico accesso a P. era da oriente e consisteva in un angusto letto di torrente chiamato Siq. Il corso del Wadi Musa segnava l'asse urbano di P., la lunga strada che attraversa la città da est a ovest, un'antica via processionale che conduceva al maggiore santuario urbano, il Qasr el-Bint. I principali edifici lungo questa direttrice assumono una forma architettonica monumentale tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., durante i regni di Malico I (62-30 a.C.), Oboda II (30-9 a.C.) e Areta IV (9 a.C. - 40 d.C.). Con Traiano o forse sotto gli Antonini la plateia viene dotata di colonnati.
Il Qasr el-Bint fu probabilmente realizzato nella sua forma attuale tra il tardo I sec. a.C. e il I sec. d.C. Preceduto da una vasta piazza lastricata a forma di rettangolo irregolare (180 × 80 m), il cosiddetto temenos, il tempio si erge all'interno di una seconda corte, su un alto podio: orientato in senso nord-sud, aveva pianta quadrata (32 m di lato), ampio pronao, una cella orizzontale e un adyton tripartito (che ospitava secondo il lessico bizantino Suidas, l'idolo di Dusara, un pilastro quadrato di pietra nera su una base dorata). La facciata, tetrastila in antis, era preceduta da un'ampia gradinata rivestita di marmo. La mescolanza di schemi e forme è evidente anche nella decorazione, come nelle basi attiche decorate del colonnato esterno della fronte, nei capitelli a volute o nel fregio dorico dell'architrave esterno, a metope
riempite da rosette e cerchi con busti di divinità alternati e triglifi. All'interno del temenos erano un altare (13,5 × 12 × 3 m) e statue dei re nabatei, come quella di Areta, la cui iscrizione venne reimpiegata lungo il muro meridionale dell'anticorte. Sulla via sacra, ai lati dell'ingresso del temenos del Qasr, sorgevano gli altri due grandi santuari di P., il Tempio dei Leoni Alati (Tempio Nord) e il Tempio Sud (o Grande Tempio).
Il Tempio dei Leoni Alati era preceduto da due ampie terrazze su diversi livelli, quella inferiore forse circondata da un porticato, ed era strutturato in pronao e cella, decorata all'interno da nicchie e con una piattaforma-altare sul fondo, il motab, rivestita di marmo bianco e nero, con sopra un baldacchino a colonne. Il Tempio Sud (Grande Tempio) era compreso all'interno di un'area sacra estesa oltre 7000 m2. Il complesso, orientato nord-sud, era preceduto da propilei, ai lati di una scalinata, che consentivano l'accesso a un temenos inferiore, chiuso a est e ovest da due esedre con absidi; una seconda, più ampia scalinata immetteva nel temenos superiore, all'interno del quale si ergeva il tempio, un edificio tetrastilo in antis, con cella allungata e in fondo l'adyton, entrambi in asse con le scalinate davanti alla fronte. Eretto probabilmente tra i regni di Malico I e Oboda II, ebbe una fase di grande ristrutturazione (Nabatea II, 40-106 d.C.) quando la cella venne ricostruita, comprendendo all'interno una sorta di theatron ipetro. Lo sviluppo architettonico del Tempio Sud rispecchia le grandi fasi edilizie di P. imperiale. Sotto Rabel II, o dopo il 106 d.C., viene intrapreso un nuovo grande progetto, che prevedeva interventi al Siq, lavori di canalizzazione delle acque (viene ora realizzata la diga all'imbocco del Siq), l'erezione della porta cittadina e di ponti, inoltre la costruzione di un grande teatro all'uscita del Siq, con cavea ricavata nella roccia, orchestra a pianta semicircolare (diam. 25,2 m) e parodoi coperte da volte a botte, decorato da ornamenti architettonici di tipo nabateo e da sculture di tradizione occidentale.
Il tracciato della via sacra venne innalzato, pavimentato e lungo il lato sud sorsero ora ampi spazi, denominati convenzionalmente Mercato Superiore, Mercato Medio, infine Mercato Inferiore, una piazza (65 × 92 m) la cui funzione di temenos viene suggerita dai resti di un edificio (forse un tempio) nella parte posteriore. La via venne poi dotata di portici colonnati, che fecero assumere al centro urbano un aspetto tipico delle città romane d'Asia. L'arco dedicato a Traiano nel 114 d.C. ai piedi della scala del Mercato Superiore, primo chiaro elemento della presenza romana, e la porta del temenos del Qasr (eretta probabilmente in epoca traianea o al più tardi adrianea), dalla forma tripartita tipica di un arco trionfale, segnano l'ingresso di P. nella koinè urbanistica e architettonica dell'Impero.
Nonostante il terremoto del 363 d.C. e il successivo restringimento dell'area urbana, P. mantenne in età bizantina una certa vitalità. La città era all'epoca la sede del metropolita della provincia Palaestina Tertia. Nel V sec. d.C. alcuni monumenti (Qasr e Tomba dell'Urna) vennero trasformati in chiese, mentre una chiesa venne edificata ex novo nel VI secolo a nord della via colonnata e a est del Tempio dei Leoni Alati. Ulteriori eventi sismici, nel 551 e infine nel 747, determinarono la distruzione e l'abbandono dell'area urbana.
Alla fase protourbana (II sec. a.C.) risalgono le tombe rupestri più semplici, del tipo a pilone, sul pendio occidentale di al-Khubta e sulla parete opposta al Wadi Musa, con facciata liscia, una porta inquadrata talvolta da due pilastri e architrave, decorate nella parte superiore da una o due file di pinnacoli a scalini, interpretazione nabatea di una tipologia tombale diffusa nella Siria ellenistica. Contemporaneo o di poco posteriore è il tipo a scalini, ove la fila di pinnacoli è sostituita da due grandi scalini posti agli angoli. Durante il I sec. a.C. e in parte del I sec. d.C. si sviluppano a P., poi a Hegra, facciate più complesse, che prevedono l'adozione su larga scala di motivi ellenistici e del cosiddetto "capitello nabateo" (tombe ad arco, a tempio, di tipo Hegra complesse). Il processo di acquisizione di elementi decorativi occidentali promossa da Areta IV e dai suoi successori si riflette nelle facciate decorate da colonne, capitelli corinzi, tholoi, frontoni semicircolari (attestati sporadicamente anche a Hegra), frontoni spezzati, con ordini di colonne sovrapposti, delle tombe cosiddette "di tipo complesso" e nelle tombe "a tempio" realizzate tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C. Tra le più significative figurano il Khazne, l'ad-Deir, la Tomba a Palazzo, la Tomba Corinzia. Nella Tomba del Soldato Romano, la grande corte aperta a peristilio tra il triclinium e lo spazio della sepoltura, il frontone e il fregio a triglifi sulla facciata, al di sopra della porta, richiamano l'architettura greco-ellenistica. La facciata del Khazne, monumentale struttura a due piani, con un vestibolo al centro del piano inferiore, una tholos a rilievo nella parte superiore e ricca trabeazione, richiama modelli alessandrini (capitelli e fregio dell'architrave a racemi, fregio a rosette sopra al frontone dell'attico). Discussa è la datazione del monumento, che oscilla tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C.
La facciata dell'ad-Deir, una delle ultime tombe di tipo complesso realizzate a P., pur contenendo una tholos a imitazione del Khazne, presenta la commistione di componenti locali e di tratti stilistici romani: le nicchie a parete, il frontone pesante, l'ornamentazione architettonica basata su elementi tipicamente nabatei, come i capitelli a corno e il fregio a triglifi con cerchi nelle metope. La diversa ricchezza e monumentalità tra le tipologie tombali di P. ha fatto pensare che le divergenze rispecchiassero le suddivisioni di status della società nabatea. Si è ipotizzato che le tombe complesse appartenessero a esponenti dell'ambiente della "corte", in genere propenso ad assimilare ed emulare modelli ellenistico-alessandrini o romani, alla classe alta le tombe a gradoni, a una classe media le tombe a piloni. Gli stili e le forme prescelti dalle élites di P. costituiscono comunque un segnale del livello di diffusione e del prestigio assunto dai modelli greco-romani, mescolati ai sostrati locali con un processo culturale tipico nelle zone di confine dell'Impero romano.
I. Browning, Petra, London 1974; A. Negev, The Nabataeans and the Provincia Arabia, in ANRW, II, 8, 1977, pp. 520-686; J.A. McKenzie - A. Pippen, The Chronology of the Principal Monuments at Petra, in Levant, 19 (1987), pp. 145-65; J. McKenzie, The Architecture of Petra, Oxford 1991; M. Spanu, s.v. Petra, in EAA, II Suppl. 1971-1994, IV, 1996, pp. 343-46; M.G. Amadasi Guzzo - E. Equini Schneider, Petra, Milano 1997; Th. Weber - R. Wenning (edd.), Petra. Antike Felsstadt zwischen arabischer Tradition und griechischer Norm, Mainz a.Rh. 1997.
di Sergio Rinaldi Tufi
Prima della morte, nel 117 d.C., Traiano condusse in Oriente le sue ultime campagne, oltre la Cappadocia, la Syria e l'Arabia. Conquistò l'Armenia, la Mesopotamia, l'Assyria: territori che erano stati sedi di civiltà antichissime e di potenti imperi, che in parte erano anche stati sottomessi prima ad Alessandro, poi (sia pure in maniera discontinua) alla dinastia dei Seleucidi, ma che come province romane ebbero (in diverse misure) vita alquanto effimera, a contatto con le terre dei Parti.
Nell'Armenia, le testimonianze scritte della presenza romana sono rare: si conosce un nucleo di iscrizioni latine scoperte ad Artaxata. Non risulta che qui sia stata fondata alcuna colonia: non vi fu forse il tempo, in quanto già con Adriano la provincia fu ufficialmente abbandonata. Ma, anche dopo tale abbandono, l'importanza strategica dell'area armena non fu certo sottovalutata dai Romani, che fecero ricorso a vari tipi di provvedimento per mantenerne il controllo: insediarono, ad esempio, re "amici", spesso sostenuti dalla presenza delle legioni. Vi furono perciò, anche in questo lembo di terra ai margini del mondo classico, fortezze che (pur diverse dai castra "normali") ospitarono truppe romane: le rovine più significative finora individuate sono quelle in località Gayda Kale, presso il Lago di Van. In altri siti si conoscono impianti termali di una certa importanza: ad esempio a Ga.rni, dove sono presenti mosaici risalenti al III sec. d.C. apparentemente ispirati a modelli siriani.
La situazione della Mesopotamia era in un certo senso meno precaria: la "terra fra i due fiumi" continuò a essere occupata anche dopo la conquista di Traiano, ma in maniera intermittente, con forti oscillazioni delle frontiere. Il limes, pur gravitando prevalentemente in corrispondenza dei fiumi Tigri, Khabue e Gaghgagh, non era costituito da una linea rigida, ma da una serie di fortezze scaglionate a varie distanze, piuttosto diversificate per dimensioni, tipologie architettoniche e tecniche edilizie. Malgrado le fonti parlino anche di una riorganizzazione del limes all'epoca di Lucio Vero, nessuna fra le fortezze finora indagate è anteriore al III sec. d.C. Fra i vari tipi, sembra prevalere la pianta quadrangolare, con o senza torri: singolare il caso della località di Gaddala (forse l'antica Ad Herculem) dove furono impiantate in momenti diversi due diverse strutture difensive, una romana e una partica. Ma forse il caso meglio noto è quello di Zagurae. Anche qui si trovano due complessi fortificati contigui (entrambi romani, però): è stato indagato più a fondo il primo, di pianta quadrata, con oltre 300 m di lato (è uno dei più grandi dell'Oriente romano) e con, all'interno, file di vani costruiti in mattoni crudi. Nel 237 d.C., in occasione dell'attacco di Ardashir I, queste fortezze furono abbandonate; la loro vita fu dunque assai breve. Fu anche realizzata (sempre per fini strategici, e perciò con un'importanza più militare che commerciale) una rete stradale: delle due principali vie verso il Tigri, una passava per Nisibis, l'altra per Thannuris (Singara), non lontano da Zagurae.
Edessa è l'unica città finora organicamente indagata, insieme con il territorio circostante. Il nome le fu dato da Seleuco I, in ricordo dell'omonima città della Macedonia; nel 132 a.C. ai Seleucidi subentrò una dinastia araba; in età imperiale romana, la città fu alternativamente sotto il controllo dei Romani e dei Parti, mantenendo inoltre in varie fasi le prerogative di piccolo Stato indipendente. Dal 109 al 159 d.C. e in alcuni momenti anche nel prosieguo del II e poi nel III secolo, la città fu governata da re armeni. Uno di questi, Abgar VIII (179-212), durante il suo lungo regno si convertì al cristianesimo: sintomo del successo della nuova religione, che peraltro conviveva con il paganesimo e con l'ebraismo. Fra le rovine degli edifici di culto, sono da ricordare quelle del Trono di Nemrud, grande santuario di Baal costruito in altura. Per quanto riguarda gli edifici cristiani, si sa di una grande chiesa fatta costruire da Giustiniano (dopo una piena del fiume Daisan) con forme ispirate a quelle di Santa Sofia a Costantinopoli: non se ne sono ancora individuati i resti, anche se si è ipotizzato che si trovasse dove poi è sorta la principale moschea della città. Nelle valli attorno a Edessa, molte sono le grotte funerarie, che spesso erano decorate da sculture in facciata, piuttosto rozze, e che talvolta recavano all'interno, sulla parete di fondo, rilievi con il capofamiglia riunito a banchetto con i suoi cari. Notevoli erano soprattutto i mosaici pavimentali: gruppi familiari, banchetti, ritratti, Orfeo, animali, la Fenice e altro. Databili in gran parte in età tardoantica, erano opera probabilmente di un unico atelier, che per alcuni aspetti si ispira alla grande scuola di Antiochia e per altri risente di influssi partici.
Notevolissimo il santuario situato in località Sumatar Arabesi, in montagna a 60 km dalla città. Il luogo di culto è costituito da un picco dedicato al dio della Luna, Sin, e, a varie distanze da quest'ultimo, da edifici a pianta diversa (circolare, rettangolare, quadrata) individuati come tombe dei Signori di Arab, o Signori della Steppa: figure di capi locali in qualche modo dipendenti politicamente da Edessa.
Monete emesse a Roma nel 116 d.C. celebrano Armenia et Mesopotamia in potestatem populi Romani redactae; almeno per quanto riguarda l'Armenia, conosciamo anche alcuni nomi di governatori; sull'Assyria romana non sappiamo, invece, praticamente nulla. Per la verità si ha l'impressione che anche alcuni illustri autori antichi avessero idee poco chiare sulla sua effettiva ubicazione: quando nel 363 d.C. Ammiano Marcellino segue la spedizione in Persia dell'imperatore Giuliano, sembra che faccia confusione fra Assyria e Mesopotamia inferiore. Alcuni studiosi pensano che l'Assyria che secondo le fonti fu conquistata da Traiano fosse in realtà l'Adiabene: si ha notizia di una spedizione condotta oltre il Tigri, nel 115, contro un re di quella regione, Mebarsapes. Non si ha notizia invece di annessioni durevoli: più che provincia effimera, forse l'Assyria non fu provincia affatto.
In questa affascinante situazione all'estremità orientale del mondo romano, si inserisce il particolare caso di Tell Barri, l'antica Kahat, sul fiume Gaghgagh. Il sito è stato frequentato pressoché ininterrottamente dal V millennio a.C. (periodo detto Halaf) all'età islamica; una fase di grande fioritura si ha con il regno di Mitanni (XV-XIV sec. a.C.). In età imperiale e soprattutto tardoantica, Kahat era un luogo fortificato: ma anche qui, più che di un castrum, si trattava di una fortezza "leggera", nell'ambito di quel limes orientale che ‒ come ormai si è detto più volte ‒ non presentava un deciso sviluppo lineare, ma costituiva una larga e mutevole "fascia di contatto" fra Romani e Parti.
Bibliografia
Armenia:
V.P. Alekseev et al., Contributions to the Archaeology of Armenia, Cambridge (Mass.) 1968; T.B. Mitford, Cappadocia and Armenia Minor: Historical Setting of the Limes, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 1169-228; Id., A Late Roman Fortress South of Lake Van?, in P. Freeman - D. Kennedy (edd.), The Defence of the Roman and Byzantine East, Oxford 1986, pp. 565-73.
Mesopotamia:
D. Oates, Studies in the Ancient History of Northern Iraq, London 1968; M.G. Angeli Bertinelli, I Romani oltre l'Eufrate nel II sec. d.C. (le province di Assiria, di Mesopotamia e di Osroene), in ANRW, II, 9, I, 1976, pp. 3-45; D.H. French - C.S. Lightfood (edd.), The Eastern Frontier of the Roman Empire, Oxford 1989, pp. 7-18; D. Kennedy - D. Riley, Rome's Desert Frontier, London 1990.
Assyria:
F.A. Lepper, Trajan's Parthian War, Oxford 1948; A. Maricq, Classica et Orientalia, 5. Res gestae divi Saporis, in Syria, 35 (1958), pp. 295-360; Id., Classica et Orientalia, 6. La province d'"Assyrie" créée par Trajan. À propos de la guerre parthique de Trajan, ibid., 36 (1959), pp. 254-63.
di Sergio Rinaldi Tufi
Nel quadro del mondo mediterraneo, Cipro è un caso a parte, sia per la posizione geografica che la espone a contatti e influssi diversi e talvolta contrastanti da parte delle potenze che si avvicendano nella regione, sia per la conformazione: una catena centrale di notevole altezza e, lungo la costa settentrionale, una catena minore che si prolunga verso nord-est in un'affilata penisola. Inoltre, ha sempre sfruttato i suoi ottimi approdi, nonché le ricchezze naturali, come le foreste, le fertilità del suolo, l'abbondanza della pesca. Fiorente era inoltre l'industria della porpora, motivo di fitti rapporti con le città fenicie; ma l'isola era soprattutto famosa per le miniere di rame, tanto che il nome latino di questo metallo, aes Cyprium, deriva proprio da quello dell'isola.
L'urbanizzazione qui è un fenomeno preclassico; in epoca ellenistica si aggiungono importanti realizzazioni, come il porto di Amatunte e le fortificazioni di Nea Paphos, il teatro e il ginnasio della stessa Salamina, ancora un teatro a Kourion, dove si trovava inoltre un importante santuario di Apollo. Nel 58 a.C. Cipro era governata in un regime di semi-indipendenza da un fratello del re d'Egitto, Tolemeo Aulete, quando ‒ per impulso di Catone ‒ fu annessa a Roma, aggregata alla provincia di Cilicia. Donata poi da Cesare a Cleopatra, con la vittoria di Ottaviano ad Azio tornò in possesso di Roma, prima come parte della Cilicia, poi come provincia indipendente, con residenza del governatore a Paphos. La vita dell'isola in età imperiale fu in genere pacifica, con l'eccezione, all'epoca di Traiano (come a Creta), di una gravissima rivolta di Giudei, che nell'isola avevano numerose comunità. Proprio a queste si era rivolta peraltro, nel 47, la predicazione di Paolo e Barnaba, avviando la diffusione del cristianesimo.
Gli interventi romani appaiono abbastanza circoscritti, anche se non privi di importanza. A Paphos, residenza del governatore, nel II secolo viene rimodellata l'area centrale, con la costruzione di un'agorà di notevoli dimensioni, circondata da portici di pregio (colonne di granito grigio, capitelli di marmo bianco); nei pressi sorgono anche un piccolo odeion e un Asklepieion. A sud e a sud-ovest della stessa agorà si sviluppa inoltre un quartiere residenziale veramente notevole: le case avevano ricche pavimentazioni musive e contenevano sculture e altre opere d'arte.
La Casa di Orfeo (databile fra la fine del II e l'inizio del III sec. d.C.) era del tipo ad atrio e peristilio e comprendeva, oltre al mosaico da cui prende il nome, anche altri con Ercole e il Leone Nemeo e con altri temi mitologici. Di poco più tarda è la Casa di Dioniso: qui il mosaico principale è quello in cui a Dioniso stesso tengono compagnia la ninfa Akmè (che beve vino) e Icario (che guida un carro carico di otri); ma troviamo anche Piramo e Tisbe, Apollo e Dafne, Fedra e Ippolito e altri temi in oltre quaranta stanze articolate, anche qui, intorno a un atrio e a un peristilio. Nella Casa di Aion, databile al IV sec. d.C., il dio del tempo e dell'eternità è raffigurato come arbitro della gara di bellezza fra Cassiopea e le Nereidi. La residenza più grande, la Villa di Teseo, costituita da un grande cortile centrale e da quattro ali, fu lungamente in uso dalla fine del II fino al V sec. d.C.: forse era questa la residenza del governatore. Gli ambienti sono moltissimi e anche qui molti sono a mosaico; vi era inoltre un grosso impianto termale.
La fioritura di un'importante comunità cristiana, che si rende anche indipendente dal patriarcato di Antiochia, è testimoniata da chiese come la Panaghia Chrysopolitissa, costruita a sette navate nel IV secolo e più volte rifatta fino al VII. Mentre Salamina, pur restando un importante punto di riferimento, non conosce in età romana sviluppi paragonabili a quelli delle età precedenti, bisogna ricordare invece ad Amatunte, sulla costa meridionale, il grande santuario di Afrodite Cipria. Il culto, probabilmente il principale dell'isola, era antichissimo: si sono rinvenuti depositi votivi risalenti all'VIII sec. a.C.; anche in età ellenistica il prestigio doveva essere notevole, se il re Androkles (come illustrano due iscrizioni) rende omaggio sia alla stessa Afrodite sia a Iside e Serapide. Agli inizi del II sec. d.C. viene costruito un tempio grandioso (resta ben visibile soprattutto il grande podio), caratterizzato fra l'altro dall'uso di capitelli nabatei. Distrutto nel IV secolo, l'edificio è stato ricostruito come chiesa nel VII. Ai piedi dell'acropoli un vasto piazzale, circondato da portici con colonne dipinte di rosso, costituiva forse l'agorà; adiacente al lato settentrionale era un tempio; un po' più a nord, sulle pendici dell'acropoli stessa, era un grande ninfeo.
Bibliografia
T.B. Mitford, Roman Cyprus, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 1285-384 (con bibl. prec.); V. Karageorghis, Cyprus from the Stone Age to the Romans, London 1982; V. Tatton-Brown, Archaeology in Cyprus 1960-1985. Classical to Roman Periods, in V. Karageorghis (ed.), Archaeology in Cyprus, 1960-1985, Nicosia 1985, pp. 60-72; Id., Ancient Cyprus, London 1987; J. Pouilloux, L'époque classique à Chypre, in JSav, 1989, pp. 147-61; J.R. Leonard, Evidence for Roman Ports, Harbours and Anchorages in Cyprus, in Res maritimae. Cyprus and the Sea. Proceedings of the International Symposium (Nicosia, 25-26 September 1993), Nicosia 1995, pp. 227-45; G.R.H. Wright, Roman Cyprus and Roman Cyrenaica. An Architectural Contrast within Historical Parallels, in Thetis, 5-6 (1999), pp. 169-95; M. Rautman, Rural Society and Economy in Late Roman Cyprus, in T.S. Burns - J.W. Eadie (edd.), Urban Centers and Rural Contexts in Late Antiquity. III Biennial Conference on Shifting Frontiers in Late Antiquity, East Lansing 2001, pp. 241-62.