Le ricadute giurisprudenziali della l. n. 47 del 2015
A seguito delle numerose censure europee, il legislatore con la riforma del 2015 ha inteso razionalizzare la carcerazione preventiva; il merito della riforma, invero, non si arresta sulla soglia delle previsioni volte a decongestionare il mondo carcerario, essendo volta anche a ricomporre alcuni contrasti interpretativi e a guidare la discrezionalità del giudice sia nella fase genetica di applicazione della misura sia nella fase dinamica. Il contributo analizza l’orientamento giurisprudenziale successivo alla novella, che mostra un atteggiamento di tendenziale chiusura rispetto allo spirito della riforma.
Con la l. 16.4.2015, n. 471, il legislatore ha inteso ricomporre alcuni contrasti interpretativi e correggere prassi distorsive, incidendo sui presupposti applicativi della misura cautelare, valorizzando il principio di adeguatezza e gradualità e rafforzando la motivazione del provvedimento restrittivo.
La riforma del sistema delle cautele, tuttavia, conferma la tendenza del legislatore ad intervenire nella delicata materia con una tecnica frammentaria, legata al fattore emergenziale. Tra le diverse e molteplici ragioni ispiratrici della legge si ascrive la volontà di decongestionare l’apparato carcerario, sulla spinta degli obblighi derivanti dalle censure europee e dai moniti della Corte costituzionale. L’obiettivo viene perseguito attraverso la predisposizione di norme tese a “guidare” la discrezionalità del giudice, sia nella fase di adozione della misura cautelare sia con riguardo alla sfera cognitiva dei successivi controlli.
Se la parte più efficace dell’intervento normativo è apparsa quella relativa alle garanzie riconosciute nel corso dei giudizi di impugnazione avverso i rispettivi provvedimenti, si registrano interessanti pronunce giurisprudenziali anche in merito ad ulteriori elementi di novità.
L’art. 3 l. n. 47/2015 ha modificato il primo periodo del comma 3 dell’art. 275 c.p.p., secondo cui la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive «anche se applicate cumulativamente» risultano inadeguate. Il nuovo comma 4 dell’art. 299 c.p.p. stabilisce che, fermo quanto previsto dall’art. 276, quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del p.m., sostituisce la misura applicata con un’altra più grave ovvero ne dispone l’applicazione con modalità più gravose o «applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva». La modifica legislativa supera l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità2 che, in applicazione del principio di legalità, sosteneva l’impossibilità, al di fuori dei casi espressamente previsti dall’art. 276, co. 1, c.p.p., relativo ai casi di trasgressione delle prescrizioni della misura applicata e dall’art. 307, co. 1-bis, c.p.p., nel caso di scarcerazione per decorrenza dei termini di fase, di applicare cumulativamente due diverse misure cautelari tipiche, sebbene tra di loro eventualmente compatibili. L’argomentazione sostenuta dalle Sezioni Unite trovava conforto in una interpretazione letterale dell’art. 275 c.p.p. che, nella previgente formulazione, menzionava la misura cautelare al singolare.
La novella legislativa, tuttavia, mostra una incompletezza sistematica, poiché la disposizione è suscettibile di una doppia interpretazione. Se da un lato, infatti, si può sostenere che la cumulabilità sia limitata ai soli casi espressamente previsti, dall’altra, valorizzando i principi di adeguatezza e di proporzionalità, quali prescrizioni di carattere generale, è possibile ritenere che l’applicazione cumulativa costituisca la regola generale per l’esercizio del potere cautelare.
Nel solco di tali esegesi si inserisce la sentenza della quinta sezione della Corte di cassazione3, secondo cui la collocazione della modifica di cui all’art. 9 della legge n. 47/2015 nel corpo del solo comma 4 dell’art. 299 c.p.p. non è di ostacolo all’applicabilità congiunta di altre misure cautelari anche nel caso di sostituzione della misura ex art. 299, co. 2, c.p.p. L’applicabilità del cumulo, invero, incontra un duplice limite operativo. Da un lato, il favor rei impedisce l’applicazione congiunta di misure cautelari che risultino maggiormente afflittive rispetto alla singola misura cautelare considerata, dall’altra il cumulo deve riguardare solo misure applicate nei contenuti coercitivi o interdittivi previsti dalla legge; i principi di legalità e di tassatività, infatti, ostano – oltre che all’estensione dell’operatività della norma che prevede le singole misure a casi diversi da quelli tassativamente indicati dalla stessa – all’individuazione (e all’applicazione) di contenuti diversi da quelli tipici di ciascuna tipologia di misura cautelare. Ne consegue che l’estensione della cumulatività delle misure coercitive non custodiali pervade ogni aspetto della vicenda cautelare, dall’applicazione genetica della misura cautelare sino alle dinamiche successive, data la necessità di valutarne costantemente l’adeguatezza e la proporzionalità4.
La previsione del braccialetto elettronico, quale particolare procedura di controllo mediante mezzi elettronici, è stata introdotta con il d.l. 24.11.2000, n. 341, che attribuiva discrezionalmente al giudice la valutazione circa la necessità dello stesso, subordinandone la concreta applicazione a due condizioni, la disponibilità dello strumento da parte della polizia giudiziaria e il consenso dell’indagato. Se la l. 21.2.2014, n. 10 ha introdotto l’obbligatorietà della prescrizione del braccialetto elettronico, la riforma del 2015 onera il giudice che dispone la custodia cautelare in carcere, di indicare «le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea nel caso concreto la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275 bis comma 1». Secondo un orientamento costante in giurisprudenza5 ed in dottrina6, la prescrizione del braccialetto elettronico non configura un nuovo tipo di misura coercitiva, ma una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari. Nel valutare l’inadeguatezza degli arresti domiciliari rispetto al pericolo di recidiva, il Tribunale del riesame deve adeguatamente motivare le ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere tutelate con l’impiego del mezzo elettronico, che consente di monitorare continuamente la presenza dell’indagato nel perimetro entro il quale gli è consentito muoversi7. Il problema, invero, concerne la disponibilità dello stesso e le ricadute applicative in mancanza della possibilità di adottarle. Intervenute sul punto, le Sezioni Unite hanno stabilito che, in assenza dello strumento di monitoraggio, non opera nessun automatismo. In particolare, con una soluzione intermedia di compromesso tra le opposte opzioni esegetiche8, le Sezioni Unite hanno affermato che l’assenza del dispositivo impone al giudice una valutazione della «specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità delle altre misure cautelari in relazione alle specifiche esigenze esistenti in concreto»9. La pronuncia, dunque, risulta in linea con lo spirito della riforma del 2015 sotto il profilo della necessità di limitare il ricorso a meccanismi presuntivi. Se, infatti, la dottrina ha salutato con favore la novella dell’art. 276, co. 1-ter, c.p.p., introdotta per restituire primato alla discrezionalità del giudice, degradando la presunzione assoluta di sopravvenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari in relativa, per cui per i fatti di lieve entità non si può procedere alla revoca degli arresti domiciliari con la sostituzione nella custodia in carcere, la giurisprudenza successiva alla riforma mostra una tendenziale chiusura, permanendo un’interpretazione restrittiva e fortemente rigorosa dell’automatismo nella sostituzione della misura cautelare10.
Prima della novella legislativa, era legittima la reiterazione del provvedimento cautelare caducato per mancato rispetto dei termini perentori senza alcuna condizione. Il nuovo art. 309, co. 10, c.p.p., invece, consente la rinnovazione dell’ordinanza caducata solo in presenza di «eccezionali esigenze cautelari specificatamente motivate». Il divieto di reiterare la misura supera, dunque, la rigida distinzione tra vizi sostanziali e vizi formali; se i primi, infatti, determinano l’effetto preclusivo del cd. giudicato cautelare, e dunque, il divieto di reiterare la cautela, i secondi in passato erano ritenuti inidonei alla medesima preclusione11. Sin dalla sua approvazione, invero, la disposizione è apparsa ai commentatori foriera di criticità, in particolare, per quanto di interesse, in relazione all’estensione del divieto di reiterazione a qualsiasi misura coercitiva, anche minima e non solo alla custodia cautelare12.
Non è un caso, dunque, che proprio questa previsione sia stata sottoposta, per prima, al vaglio del giudice delle leggi, che ha rigettato la questione di legittimità, ritenendo incensurabile la scelta legislativa, ispirata all’esigenza di effettività del diritto ad un controllo tempestivo del sacrificio della libertà personale dell’imputato13. Nonostante le doglianze riguardassero esclusivamente la parte della disposizione relativa alle eccezionali esigenze cautelari che consentono la rinnovazione della misura cautelare e la difficoltà di rinvenirne in riferimento a misure cautelari diverse da quelle custodiali, la Corte costituzionale chiarisce che «indipendentemente dal grado dell’esigenza cautelare e dall’intensità del pericolo, è possibile che venga adottata una misura diversa da quella carceraria, sia perché lo impone la pena comminata per il reato, sia perché pur ostando la pena, la misura prescelta risulta adeguata, cioè idonea a contrastare il pericolo». La Corte, dunque, valorizza la ratio dell’intero sistema di riforma, teso a contrastare prassi distorsive, quali, nel caso di specie, l’adozione di una nuova ordinanza cautelare prima ancora della scarcerazione dell’interessato14 o quella della successione di “ordinanza-fotocopia”, caducate e non controllate. La dottrina ha sottolineato la decisività della pronuncia, in quanto collegata – eccezionalmente – alla perdita del potere dell’autorità giudiziaria15. La Corte costituzionale, inoltre, ha precisato che nei casi diversi da quelli per i quali sono riscontrabili le eccezionali esigenze, un nuovo provvedimento può essere emesso «solo se sopravvengono ulteriori elementi indicativi di pericolosità». La prassi, invero, mostra un diverso approccio esegetico, posto che se l’estensione del giudicato cautelare riguarda non tutte le questioni dedotte ma esclusivamente quelle che sono state effettivamente decise, con la conseguenza che l’annullamento per ragioni formali di un’ordinanza cautelare non determina alcuna preclusione e ne consente la reiterazione anche in assenza di elementi di novità, la giurisprudenza interpreta per “fatto nuovo in senso processuale” non solo quello che sopravvive cronologicamente ad una precedente decisione, ma anche quello che il giudice della stessa non ha potuto per qualsiasi ragione valutare16.
La legge n. 47/21015 ha cadenzato il procedimento che si instaura, innanzi al collegio de libertate, a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione. Ai sensi del nuovo comma 5 bis dell’art. 311 c.p.p., nelle ipotesi di annullamento con rinvio, su ricorso dell’imputato, di un’ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva di cui all’art. 309, co. 9, c.p.p. il giudice decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e l’ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. Il mancato rispetto dei termini perentori comporta la perdita di efficacia della misura coercitiva. L’intervento legislativo ha inteso colmare la lacuna creatasi per effetto delle restrizioni interpretative circa l’applicazione analogica del disposto di cui all’art. 309 c.p.p., in termini di perdita di efficacia17. La giurisprudenza, infatti, sosteneva la natura non perentoria dei termini per l’adozione della ordinanza dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione18, argomentando sull’impossibilità di far rivivere dopo un termine ordinatorio un termine perentorio. La previsione non trova applicazione nel caso di annullamento con rinvio di una ordinanza applicativa di misura cautelare emessa dal Tribunale in accoglimento di un appello del p.m., la cui esecuzione, ex art. 310 c.p.p. resta sospesa sino a quando la decisione diventa decisiva19. La giurisprudenza successiva all’entrata in vigore della riforma ha determinato l’insorgere di un contrasto interpretativo. Da un lato, infatti, è stato sostenuto che, anche nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento dell’ordinanza applicativa, il Tribunale del riesame può disporre il deposito dell’ordinanza in un termine superiore a 30 giorni, ma non eccedente il quarantacinquesimo giorno, ex art. 309, co. 10 c.p.p.20; dall’altro, in linea con una esegesi più garantista, si è affermato che «in caso di ordinanza cautelare emessa a seguito di annullamento con rinvio su istanza dell’imputato, di un provvedimento confermativo della misura coercitiva, il mancato rispetto del termine di trenta giorni per il deposito dell’ordinanza ne comporta la perdita di efficacia, non essendo prevista la possibilità di un termine più lungo, non eccedente i 45 giorni che il tribunale può disporre per la sola ordinanza ex art. 309 c.p.p.»21. Intervenute per dirimere il contrasto22, le Sezioni Unite hanno escluso la possibilità di prorogare il termine per il deposito dell’ordinanza oltre il trentesimo giorno, con conseguente perdita di efficacia dell’ordinanza genetica di applicazione della misura coercitiva nel caso di ritardato deposito23.
La l. 23.6.2017, n. 103 ha modificato l’art. 104 c.p.p., laddove ha circoscritto ai soli casi previsti per i delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, c.p.p. la limitazione temporanea del diritto dell’imputato di conferire con il difensore dopo l’inizio dell’esecuzione di una misura cautelare coercitiva o dopo il fermo o l’arresto. La disposizione mostra il limite di non aver fissato dei criteri oggettivi per evitare il rischio di applicazioni arbitrarie, avendo esclusivamente delimitato il campo di applicazione della disposizione ad un catalogo di ipotesi di reato desumibile dal richiamo ai reati rientranti nelle attribuzioni del Procuratore della Repubblica distrettuale. Nonostante la novella, dunque, permangono le problematiche applicative pregresse derivanti dalla formulazione troppo generica, ancorata alla formula “specifiche ed eccezionali ragioni di cautela”, e dalla considerazione per cui l’eventuale rimedio contro l’illegittimità del decreto di differimento del colloquio interviene a distanza temporale molto ampia dalla cessazione del divieto temporaneo, ovvero quando i suoi effetti si sono già prodotti24. Si condivide il timore che la norma possa essere interpretata nel senso di autorizzare – in via generale – il differimento del colloquio nei casi in cui si procede per i reati di cui all’art. 51, co. 3bis e quater, c.p.p.25
==Note==
1 Si veda Bene, T., a cura di, Il rinnovamento delle misure cautelari. Analisi della legge n. 47 del 16 aprile 2015, Torino, 2015; D’Arcangelo, F., Le misure cautelari personali (l. 16 aprile 2015, n. 47), in Officina del diritto. Il penalista, Milano, 2015.
2 Cass. pen., S.U., 30.5.2006, n. 29907, in Dir. giust., con nota di Macchia, A., Provvedimenti de libertate, no al cumulo. Ma il nodo è l’equilibrio del sistema, in Guida dir., 2006, fasc. 39, 72; si veda in senso critico, anche Spangher, G., Misure cautelari: dubbi sul no al cumulo, in Dir. giust., 2006, 69.
3 Cass. pen., sez. V, 23.11.2016, n. 6790, in CED rv. n. 266191.
4 Si veda Campoli, E., La modifica delle misure cautelari in sede di attenuazioni delle esigenze cautelari: cumulate giudici, cumulate, in Il penalista, 19.4.2017; di diverso avviso Ludovici, L., Il cumulo tra le misure dopo la l. n. 47 del 2015 tra nuove ipotesi applicative e vecchie questioni di fondo, in La parola alla difesa, 2017, 3, 301, secondo cui la novella legislativa consente il cumulo quando sia necessario scongiurare l’applicazione della custodia in carcere ovvero in caso di aggravamento delle esigenze cautelari.
5 Cass. pen., sez. V, 19.6.2014, n. 40680, in CED rv. n. 253716; Cass. pen., sez. II, 23.9.2014, n. 50400, in CED rv. n. 261439; Cass. pen., sez. IV, 3.7.2015, n. 35571, in Guida dir., 2015, fasc. 44, 64; Cass. pen., S.U., 28.4.2016, n. 20769.
6 Si veda Tonini, P., Manuale di procedura penale, Milano, 2015, 425; solo una parte minoritaria della dottrina ritiene che si tratti di una autonoma misura cautelare; si veda Della Torre, J., Per la Suprema Corte l’indisponibilità del “braccialetto elettronico” comporta l’applicazione degli arresti domiciliari “ semplici”: una discutibile lettura dell’art. 275 bis c.p.p., in Proc. pen. e giust., 2016, 1, 80.
7 Cass. pen., sez. III, 12.4.2016, n. 15090, con nota di Mugnai, G., Arresti domiciliari con braccialetto elettronico: non si tratta di una nuova misura cautelare, in Dir. pen. e processo, 2017, 5, 650 e ss.
8 Ad una presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere si contrapponeva l’opposto automatismo per cui l’unica misura applicabile nell’ipotesi in esame era quella degli arresti domiciliari semplici. Il primo orientamento era sostenuto da Cass. pen., sez. II, 17.12. 2014, n. 520; Cass. pen., sez. II, 19.6.2015, n. 28115, in CED rv. n. 264230.
9 Cass. pen., S.U., 19.5.2016, n. 20769, con nota di Quagliano, G., Il ragionevole compromesso delle Sezioni Unite sull’indisponibilità del c.d. “ braccialetto elettronico”, in Dir. pen. e processo, 2017, 2, 198 e ss.
10 In tal senso Cass. pen., sez. II, 3.2.2017, n. 18760, in Dir. giust., 2017.
11 Si veda, tra le molte pronunce, Cass. pen., S.U., 1.7.1992, n. 11, in CED rv. n. 191182, Grazioso.
12 Così Illuminati, G., Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell’imputato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1162.
13 C. cost., 3.11.2016, n. 233. Si veda Giuliani, L., Diritto a un controllo tempestivo sulla limitazione della libertà ed esigenze cautelari (eccezionali e non), in Cass. pen., 2017, 5, 1854 e ss.
14 Come rappresentato dall’Avv. Spigarelli in sede di audizione nel corso dell’indagine conoscitiva pressa la Commissione giustizia in merito all’esame della proposta di legge C. 631B, Atti Camera – XVII Legislatura – seduta del 28 maggio 2014, 19.
15 Così Spangher, G., Art. 309, comma 10 c.p.p.: una decisione “al ribasso”, in Giur. cost., 2016, 6, 2079 e ss., secondo cui la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare sembra correlarsi alla perdita di potere dell’autorità nei confronti del cittadino.
16 Cass. pen., sez. I, 5.11.1993, n. 4877; Cass. pen., sez. VI, 30.11.2006, n. 4112, in CED rv. n. 235610.
17 Cass. pen., sez. I, 14.6.2013, n. 30344, in CED rv. n. 256798.
18 Così anche Cass. pen., S.U., 17.4.1996, n. 5, in CED rv. n. 204464, D’Avino.
19 Cass. pen., sez. V, 16.9.2008, n. 39029, in CED rv. n. 242316.
20 Cass. pen., sez. V, 4.5.2016, n. 18571, con nota di Spangher, G., L’art. 309, comma 10 c.p.p.: una nomra “ usa e getta”, in Giur. it., 2016, 6, 1500.
21 Cass. pen., sez. II, 6.5.2016 n. 20248, in CED rv. n. 266898.
22 Ritiene superfluo l’intervento del massimo Consesso, La Rocca, E.N., Termini per il deposito della motivazione nel giudizio di rinvio ex art. 311 c.pp,: le incomprensibili incertezze su un dato normativo inequivocabile, in Arch. pen., 2017, 2, 1 e ss.
23 Cass. pen., S.U., 20.7.2017, n. 47970, in Dir. giust., rel2017, 165, 9.
24 Si veda Bertuol, R., Il differimento del colloquio con il difensore nella riforma Orlando: ancora poca certezza sulle “eccezionali ragioni di cautela”, in www.ilpenalista.it, 30.6.2017.
25 Così Spangher, G., Il colloquio con l’indagato in vinculis, in Spangher, G., a cura di, La Riforma Orlando, Pisa, 2017, 103.