Le roman d'un tricheur
(Francia 1936, Il romanzo di un baro, bianco e nero, 81m); regia: Sacha Guitry; produzione: Serge Sandberg per Cinéas; sceneggiatura: Sacha Guitry dal suo romanzo Mémoires d'un tricheur; fotografia: Marcel Lucien; montaggio: Myriam; scenografia: Jacques Gut, Henri Ménessier; musica: Adolphe Borchard.
Seduto al tavolino di un caffè, un uomo di mezza età sta scrivendo le sue memorie. È nato in Vaucluse, dove la sua famiglia gestiva una drogheria. Un bel giorno il ragazzino dodicenne ruba otto soldi per comprarsi delle biglie. A causa di questo furto viene punito: andrà a letto senza cena. Fortunatamente per lui quella sera la cena prevedeva dei funghi, a causa dei quali l'intera famiglia, dodici persone, muore avvelenata. Insomma, la sua disonestà lo ha salvato. Un cugino della madre, notaio, si incarica della sua educazione, non per magnanimità ma per sottrargli tutto ciò che resta dalla vendita della drogheria. Disperato per le vessazioni continue a cui è sottoposto dal cugino e da sua moglie, il ragazzo scappa e finisce a fare il fattorino in un albergo di lusso. Qui, per la prima volta in vita sua, scopre che esistono delle persone ricche e, in particolare, che la ricchezza gli piace. Nel tentativo di entrare a far parte di quella invidiata categoria, il ragazzo si sposta da un hotel all'altro, a Saint-Raphaël, a Parigi, a Monaco, dove approda dopo essere miracolosamente sfuggito alla polizia parigina per via di un attentato, organizzato da un amico, allo zar Nicola II in visita alla città. Arriva quindi il momento del servizio militare ad Angoulême e infine il ritorno a Monaco, dove decide di praticare il solo mestiere in grado di tenerlo lontano dalla disonestà: quello di croupier. La bella vita dura poco perché scoppia la guerra. Il giovane è inviato al fronte dove agisce come infermiere di campo. Riesce a scamparla grazie a Charbonnier, che lo porta in salvo caricandoselo sulle spalle ma rimettendoci un braccio. Finita la guerra, il nostro riprende il suo mestiere di croupier, che gli permette di avere numerosi incontri galanti, tra cui quello con una spericolata ladra di gioielli, e, in particolare, con una seducente signora che diventerà sua moglie e sua complice in una serie di truffe alla roulette. Finché trucca i giochi per favorire la compagna, tutto fila liscio, ma quando, per cautela, ridiventa onesto e alla roulette, per caso, esce molte volte di fila lo zero, allora viene licenziato. Incontrato di nuovo Charbonnier, si associa con lui per mettere in atto l'ennesima truffa al baccarà. Purtroppo l'incontro con Charbonnier gli ha instillato il vizio del gioco che gli farà perdere tutto quanto ha guadagnato con la disonestà. Qui finisce il racconto del baro, proprio mentre un'anziana contessa, con cui aveva avuto una relazione tanti anni prima quand'era ancora un ragazzo addetto all'ascensore, gli propone una nuova associazione per delinquere. Ma il baro ha ormai trovato un rimedio sicuro per vincere le tentazioni: è diventato agente di sicurezza.
Nel 1915 la propaganda tedesca diffuse la voce che la Germania, madre di spiriti eccelsi come Leibniz, Kant, Goethe e Schiller, era dovuta scendere in guerra per salvare i propri geni dalla barbarie, principio sostenuto dagli stessi intellettuali tedeschi che avevano firmato una sorta di 'manifesto' in cui dichiaravano di essere solidali con i loro soldati in questo sacro impegno. Sacha Guitry, infuriato, con una macchina da presa da poco acquistata se ne andò in giro a filmare le glorie patrie con l'intento di rispondere al nemico per le rime. Filmò così Rodin, Monet, Antoine mentre recita Molière, e poi ancora Rostand, Sarah Bernhardt, Renoir, Degas. Fu il primo vero contatto di Guitry con il cinema, da lui in precedenza sottovalutato o persino disprezzato. Del resto, è comprensibile: Alexandre (Sacha è il diminutivo russo) era sempre vissuto nell'ambiente teatrale, seguendo nelle tournée il padre grandissimo attore, e già a vent'anni aveva scritto la sua prima commedia. Se in un'intervista del 1919 sottolineava la natura effimera e illusoria del film ("lo schermo è solo una striscia bianca, le immagini svaniscono… e l'operatore se ne va indossando la giacca con i crampi al braccio destro"), quindici anni dopo finiva per dichiarare: "Io adoro il cinema!". Pur rimanendo sostanzialmente uomo di teatro, Guitry ha realizzato trentuno film tra il 1935 e il 1957, anno della sua morte. Se nel teatro il suo estro frizzante ha trovato naturale forma espressiva, nel cinema ha invece faticato a imporsi. Nella maggior parte dei suoi film Guitry raramente riesce a tenere a freno il suo gusto per la parola, non trova il modo di assecondare l'immagine, il ritmo, la narrazione cinematografica. Così, accade che soggetti brillanti si perdano in una messa in scena spesso pesante, al limite della noia.
Fa eccezione Le roman d'un tricheur, che, costruito con grandissimo equilibrio e senso cinematografico, mantiene intatta e persino esalta la squisita leggerezza del romanzo quasi omonimo.
Fin dall'inizio Guitry adotta come struttura quella del film muto, cui sovrappone la propria voce come sonoro che commenta l'azione. Ma le immagini non sono rappresentazione passiva degli eventi evocati dalla parola, possiedono una forza autonoma che con la parola entra in sottile dialettica. Il risultato è una scintillante riflessione sulla volatilità dei concetti di vizio e di virtù. Infatti la vita del protagonista è caratterizzata da momenti felici ogni volta che si comporta in modo disonesto e da situazioni disgraziate quando decide di comportarsi rettamente. Guitry gioca leggiadramente con le immagini per farci entrare nel suo mondo assolutamente liscio, privo di risvolti psicologici, dove tutto è superficie, tutto è chiacchiera, tutto è perdita di profondità. In tal senso va il suo gioco con le stesse convenzioni cinematografiche, quelle riguardanti i titoli di testa, per esempio, quando scopre le carte che formeranno il titolo del film, o quando disegna lui stesso la propria firma, o presenta i suoi collaboratori e gli attori, in un frivolo e coinvolgente gioco con gli spettatori. Questa dimensione così piacevolmente disincantata della storia, questo scherzo con il nulla, spingerà Jean Cocteau a definire Guitry un pre-dadaista.
Il continuo ricorso alla sorpresa verbale e visiva sostenuto da Guitry ebbe però poca fortuna nei film seguenti, tanto che lentamente il regista divenne per il pubblico e per la critica un sopravvissuto, un bolso mestierante che continuava a coltivare una visione del mondo ormai sorpassata dalla Storia. La riabilitazione di Guitry si deve a François Truffaut, che sui "Cahiers du cinéma", nel 1954, difese Si Versailles m'était conté (Versailles), riuscendo poi a convincere delle sue tesi anche il resto della redazione, inizialmente piuttosto riluttante. L'omaggio di Truffaut al regista appena deceduto, sempre sui "Cahiers du cinéma", fu una sentenza lapidaria: "Guitry fu un grande cineasta realista".
Interpreti e personaggi: Sacha Guitry (il baro), Serge Grave (il baro da bambino), Pierre Assy (il baro da ragazzo), Jacqueline Delubac (sua moglie), Marguerite Moreno (contessa Beauchamp), Rosine Deréan (ladra), Pauline Carton (madame Morlot), Fréhel (cantante), Pierre Labry (Morlot), Henri Pfeifer (Charbonnier), Roger Duchesne (Serge Abramitch).
Hugo., Le roman d'un tricheur, in "Variety", October 14, 1936.
M. Gromo, F. Pasinetti et al., Le roman d'un tricheur, in "Bianco e nero", n. 8-10, agosto-ottobre 1959.
J. Bontemps et al., Sacha Guitry, in "Cahiers du cinéma", n. 173, décembre 1965.
J. Siclier, Sacha Guitry, in "Anthologie du cinéma", n. 13, 1966.
C. Arnaud, Ph. LeGuay et al., Dossier: Sacha Guitry, in "Cinématographe", n. 86, février 1983.
V. Amiel, Sacha Guitry ou les étonnements gourmands, in "Positif", n. 384, février 1993.