Le scienze matematiche nell'islam
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra l’XI e il XII secolo l’incontro tra la cultura greca e quella araba crea sicuramente un ambiente stimolante per la nascita di nuove teorie scientifiche, frutto di nuove osservazioni e di nuove ricerche che consentono il superamento e l’aggiornamento delle contraddizioni del passato. Gli ambiti in cui tale dibattito pare più animato sono l’astronomia e l’ottica.
Nel corso dell’XI e del XII secolo le scienze matematiche, prima fra tutte l’astronomia, hanno nel mondo islamico un notevole impulso. Alla traduzione di testi greci e indiani e all’assimilazione dei relativi contenuti, si aggiunge un’operazione di aggiornamento dei risultati ottenuti nel passato mediante nuove osservazioni e la ricerca di un assetto speculativo generale in cui inquadrare le varie teorie scientifiche. Questa operazione porta i filosofi e i matematici islamici a evidenziare alcune delle contraddizioni presenti nel sapere ereditato dai Greci. Tuttavia, mentre nel mondo cristiano il divario fra il sapere greco e le Sacre Scritture ha influito negativamente sul futuro delle scienze matematiche, il divario fra il sapere filosofico e il sapere matematico greco ha nel mondo islamico risvolti creativi. A lungo termine ne emerge una rinnovata visione della natura destinata a risultare utilissima proprio agli Europei.
Una delle prime contraddizioni con cui si confrontano gli islamici riguarda l’incongruenza fra la spiegazione fisica del cosmo data dai massimi filosofi e la spiegazione geometrica dello stesso fornita dai massimi astronomi matematici. Seguendo le indicazioni generali di Platone e accogliendo i modelli planetari di Eudosso di Cnido, Aristotele aveva elaborato una cosmologia dove i pianeti erano condotti intorno alla Terra immobile da sistemi di sfere cristalline concentriche. Questa struttura permetteva di leggere nel corso dei pianeti gli effetti fisici di un moto naturale circolare e uniforme caratteristico delle regioni eteree. La sfera cristallina più esterna e veloce, quella delle stelle fisse, comunicava parte del proprio movimento alle sfere sottostanti, man mano sempre più lente. Il moto naturale circolare e uniforme cessava al di sotto della sfera della Luna, dove dominava un altro moto naturale, rettilineo dall’alto verso il basso (o viceversa), con una velocità dipendente dal peso del corpo in movimento. Malgrado la consistenza fisica, la cosmologia di Aristotele era però inutilizzabile per calcolare le posizioni degli astri.
Elaborando quanto avevano concepito Apollonio di Perga e Ipparco di Nicea, Tolomeo era invece ricorso a modelli planetari basati su sistemi di circonferenze. Per rendere i vari modelli in grado di restituire il più possibile le posizioni osservate dei pianeti, Tolomeo aveva tuttavia introdotto una serie di artifici geometrici che contravvenivano le indicazioni generali di Platone sul moto circolare e uniforme dei corpi celesti. Ciascun pianeta scorreva uniformemente lungo un epiciclo (cerchio di sopra), il cui centro scorreva intorno alla Terra lungo un grande cerchio eccentrico, ma con moto uniforme rispetto a un terzo cerchio, detto “equante”, avente a sua volta un centro che non coincideva né con la Terra, né con il centro dell’eccentrico. Per quanto permettano di prevedere le posizioni dei pianeti lungo lo zodiaco, questi modelli appaiono meri artifici ai quali è difficile attribuire un senso fisico. Soprattutto appare arduo spiegare quale macchina del cosmo possa produrre il movimento delle varie circonferenze le une rispetto alle altre.
La precoce traduzione in arabo delle opere di Platone e di Aristotele mette gli islamici a contatto con la dottrina dei moti naturali circolari uniformi dei corpi super-lunari e dei moti naturali rettilinei in verticale dei corpi sub-lunari. Anzi, per rendere più funzionale la cosmologia aristotelica, già Thabit b. Qurra aggiunge alle otto sfere celesti principali dell’astronomia aristotelica una nona sfera più esterna a cui compete la funzione di primo motore del cosmo. L’altrettanto precoce traduzione delle opere di Tolomeo fa invece sì che gli islamici acquisiscano confidenza con i modelli planetari basati su epicicli, eccentrici ed equanti, sia per compiere calcoli sul tempo, sia per stilare oroscopi. Non a caso già Muhammad Muhammad al-Battani si era dedicato a calcolare nuove tavole planetarie basate sui modelli planetari tolemaici aggiornati per alcuni parametri.
La contraddizione esistente fra l’approccio cosmologico, che soddisfa i filosofi, e l’approccio geometrico, che invece soddisfa i matematici, genera posizioni più o meno polemiche verso gli antichi. Tendenzialmente sono sollevate più critiche contro Tolomeo che contro Aristotele; ma la portata delle critiche si differenzia molto nelle varie aree dell’islam, la cui estensione va dalla Spagna lungo tutto il bacino meridionale del Mediterraneo fino alla Persia e alle regioni settentrionali dell’India. L’area più orientale (dall’Egitto alla Persia) privilegia un approccio di tipo matematico, supportato da tentativi di osservazione accurata dei fenomeni celesti. Si cercano soluzioni alternative in grado di “salvare i fenomeni” planetari, considerando secondaria la consistenza fisica dei modelli geometrici impiegati. Nell’area occidentale (Spagna e Marocco) prevale invece un approccio di tipo filosofico, attento alla possibilità di dare al cosmo un senso fisico compiuto. In questo caso è considerata trascurabile l’esatta rispondenza fra la struttura cosmologica e i fenomeni celesti osservabili.
Nell’area occidentale, e in particolare in Andalusia, il filosofo ibn-Rushd, meglio noto nel mondo latino come Averroè, critica aspramente l’astronomia di Tolomeo. Egli ritiene che gli epicicli, gli eccentrici e gli equanti non abbiano alcuno spazio nella realtà fisica del cosmo e sostiene pertanto una concezione di tipo aristotelico basata su sistemi di sfere celesti rigorosamente concentriche alla Terra immobile. Il suggerimento è sviluppato più in dettaglio da un altro astronomo andaluso, Abu Ishaq al-Bitruji, noto in seguito come Alpetragius, il quale tenta di elaborare dei modelli planetari strettamente basati su sistemi di sfere concentriche. I risultati non sono ottimi, se si pensa che alcuni di questi modelli conducono i pianeti fuori rotta anche di decine di gradi. Anziché indurre a rivedere i modelli, questa circostanza porta alla generale conclusione filosofica che, al di là dei principi fisici generali, per i quali contava la parola di Aristotele, la meccanica spicciola dei moti planetari fosse sostanzialmente imperscrutabile.
Nell’area orientale la critica a Tolomeo passa attraverso i canali di una sempre più attenta osservazione dei fenomeni celesti e di una sempre più raffinata applicazione dei metodi matematici. Dopo aver delineato l’algebra elementare e le relazioni basilari fra gli angoli, i cateti e l’ipotenusa di un triangolo rettangolo (seno, coseno, tangente ecc.), i matematici islamici cominciano a elaborare le prime formule utili nella soluzioni dei triangoli piani e sferici, nonché metodi alternativi a quelli greci per determinare alcuni parametri celesti. Questa superiore abilità matematica spiega il grande fiorire del genere delle tavole astronomiche (gli Ziji) in tutto il mondo islamico, là dove il mondo greco può vantarne una sola raccolta: le Tavole pratiche di Tolomeo nella rielaborazione di Teone di Alessandria. In Egitto, ‘Ali b. ‘Abd al-Rahman ibn Yunus osserva il corso del Sole con alcuni grandi strumenti collocati nella maggiore moschea del Cairo, dei quali si dice che attraverso l’anello graduato più grande potesse passare un uomo a cavallo. Aggiornando i modelli tolemaici con risultati delle proprie osservazioni, ibn Yunus elabora una delle più influenti raccolte di tavole astronomiche, Al-Ziji al-Hakimi, dedicate al sovrano al-Hakim. L’abilità degli studiosi islamici si esercita tuttavia anche nella progettazione di raffinati strumenti matematici, come per esempio l’astrolabio piano. Questi permettono di risolvere numerosi e complessi problemi cronometrici, astronomici, astrologici, geografici e di rilevamento topografico senza di fatto compiere manualmente alcun calcolo trigonometrico. Anche il filosofo persiano ibn Sina, poi conosciuto come Avicenna, non disdegna di progettare e costruire strumenti astronomici di grandi dimensioni con cui studiare gli astri. Osservatori destinati allo stesso scopo cominciano a sorgere un po’ ovunque nell’area orientale dell’islam, abbinati alle moschee o alle scuole coraniche, oppure finanziati da vari capi politici e militari desiderosi di dissipare il velo del proprio futuro grazie allo studio degli astri. È all’interno di questi osservatori che inizia l’operazione più profonda di revisione della scienza greca.
Un’altra contraddizione di rilievo presente nelle conoscenze matematiche che gli studiosi islamici hanno acquisito dai Greci riguarda l’ottica. Anche in questo caso si è creato un divario fra una concezione filosofica, particolarmente attenta alla natura della luce e al fenomeno della visione, e una visione geometrica, dedicata a comprendere i meccanismi di formazione delle immagini.
Sul primo argomento i filosofi greci appaiono contraddittori, propendendo talora per una teoria estromissiva della visione, secondo la quale l’occhio umano emette dei raggi visuali in grado di percepire tattilmente gli oggetti lontani, e talora per una teoria intromissiva, secondo la quale sono invece gli oggetti del mondo circostante a emettere dei raggi che entrano nell’occhio. Su questo tipo di argomenti, un filosofo come Aristotele si era dimostrato estremamente ambiguo, non eleggendo nessuna delle due teorie e nominandole entrambe nelle proprie opere. Del resto, indipendentemente dalla teoria della visione accettata, l’ottica geometrica prediletta dai matematici, fondata sull’idea che i raggi luminosi o, in alternativa, i raggi visuali viaggiano in linea retta, non cambia di una virgola.
Oltre a alcuni studi di astronomia, Ibn al-Haytham scrive il Kitab al-Manazir (“Trattato di ottica”) basandosi sulle traduzioni in arabo dell’Ottica di Euclide e dell’Ottica di Tolomeo, e sui lavori successivi di Hunain ibn Ishaq e di Yaqub al-Kindi. Nel Kitab, destinato a lasciare un’impronta durevole nella storia della scienza, egli esegue una sintesi di tutte le conoscenze acquisite sull’ottica con le quali superare il divario fra una teoria filosofica della visione e lo studio della geometria della formazione delle immagini. Nei primi tre libri che compongono l’opera, ibn al-Haytham si serve dell’esame anatomico dell’occhio umano per scartare la teoria estromissiva della visione, accettata sia da Euclide che da Tolomeo. L’occhio non emette alcun raggio visuale, ma riceve dei raggi luminosi che, una volta penetrati al suo interno, formano le immagini. In questo modo viene anche risolta l’annosa questione di che cosa produce i colori delle immagini osservate, difficilmente spiegabile in base alla teoria dei raggi visuali. I colori erano proprietà intrinseche del mondo sensibile e la luce che investiva un oggetto rinviava verso l’occhio raggi luminosi del particolare colore toccato.
Nei successivi quattro libri del Kitab ibn al-Haytham si dedica invece ad ampliare gli studi di Euclide sul comportamento rettilineo dei raggi luminosi nell’aria e gli studi di Tolomeo sulle leggi della riflessione (l’angolo formato dal raggio incidente su uno specchio piano è uguale all’angolo riflesso) e della rifrazione (il raggio che passa da un mezzo meno denso a uno più denso, o viceversa, subisce una flessione). Ibn al-Haytham studia infatti il comportamento dei fasci di raggi luminosi riflessi da specchi piani, concavi e convessi, nonché quello dei fasci di raggi luminosi rifratti da superfici trasparenti piane, concave e convesse. Da questi studi egli ricava più in particolare la soluzione del problema di determinare il punto di uno specchio sferico che riflette verso l’occhio il raggio di luce proveniente da una data sorgente (problema di Alhazen). In questa operazione si avvale delle conoscenze assunte da uno dei più importanti testi di geometria greca interamente tradotto in arabo, le Coniche di Apollonio. Ibn al-Haytham si interessa anche a una serie di problemi ritenuti affini all’ottica, come determinare la durata del crepuscolo, chiarire perché la Luna appaia più grande in prossimità dell’orizzonte e a che cosa siano dovuti particolari fenomeni meteorologici come gli aloni di Sole e di Luna e gli arcobaleni.
L’interesse per l’ottica geometrica coinvolge anche altri matematici, in special modo per quanto riguarda le proprietà riflettenti degli specchi. In linea di massima, questo ambito di studi non dispiace affatto ai vari capi militari dell’islam, ai quali non sono ignote le proprietà ustorie degli specchi concavi sferici o parabolici. Del resto è proprio in questo periodo che comincia ad acquistare rinnovata fortuna la figura di Archimede di Siracusa, che avrebbe costruito specchi ustori per incendiare le navi romane in avvicinamento. Il mito di un Archimede grande matematico, ma anche grande inventore, rinforzato dall’attribuzione di alcune opere più tarde (per esempio sulla costruzione degli orologi ad acqua) si diffonde in breve per tutto il mondo medievale.