Le scommesse della cosiddetta Buona scuola
La Riforma della cd. Buona scuola affronta la sfida, difficile ma decisiva e centrale, dell’attuazione e della valorizzazione dell’autonomia scolastica, intesa come capacità della comunità educante di rispondere del conseguimento della funzione istruzione agli studenti e al contesto sociale e produttivo di riferimento. Sebbene il principio sotteso al suo riconoscimento sia risalente, nella sua introduzione, già al d.P.R. 8.3.1999, n. 275, questo, in realtà, non è mai stato realmente attuato. Si tratta di valutare, dunque, se le principali innovazioni introdotte per realizzarlo, ossia l’organico funzionale dell’autonomia, il rafforzamento dei poteri dei dirigenti e le misure di premialità dei docenti, così come sono disegnati dalla nuova disciplina, siano realmente adeguati a rispondere alla sfida assunta dal legislatore.
Il principale fine, quantomeno dichiarato, del testo di Riforma sulla cd. Buona scuola (l. 13.7.2015, n. 107) è quello di una piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 1, comma 1), introdotta dal d.P.R. 8.3.1999, n. 275, emanato in applicazione dei primi due commi dell’art. 21, l. 15.5. 1997, n. 59, e in seguito garantita dalla Costituzione, all’art. 117, co. 2. Attorno ad essa ruota, sotto il profilo logico, l’intero impianto della Riforma e le principali innovazioni da questa introdotte sono specificamente dirette a realizzarla1.
Prima di analizzare se le innovazioni introdotte dalla nuova disciplina abbiano accresciuto il grado o il livello di autonomia delle istituzioni scolastiche, è necessario identificare anzitutto, sia pure in sintesi, quale sia la natura sostanziale dell’autonomia riconosciuta dal legislatore alle scuole al fine di valutare, di seguito, se le scelte compiute dal legislatore risultino o meno coerenti con il modello individuato. Com’è noto, le istituzioni scolastiche sono state da tempo ricondotte sia dalla scienza giuridica sia dallo stesso legislatore al modello delle autonomie funzionali ossia quei modelli organizzativi che rispondono all’esigenza fondamentale di determinate comunità di persone coinvolte dallo svolgimento di funzioni di particolare rilievo, come quella dell’istruzione, di contribuire direttamente alla loro amministrazione. Se tale esigenza di auto-amministrazione trova il suo fondamento nell’art. 2 della Cost. e, più di recente, nell’art. 118 della Cost. e, precisamente, nel principio di sussidiarietà, un suo elemento costitutivo è senza dubbio la formazione sociale nella quale e per la quale viene svolta la funzione affidata all’autonomia funzionale2.
L’autonomia delle istituzioni scolastiche, in realtà, non è un valore in sé ma rappresenta, senza dubbio, uno strumento centrale e irrinunciabile per adattare le scuole ai bisogni formativi e sociali del territorio e a quelli di genitori e studenti e renderle responsabili del loro soddisfacimento. La sua valorizzazione è, al tempo stesso, una sfida decisiva per rendere la formazione erogata dalle istituzioni scolastiche realmente rispondente alle attese del mondo del lavoro e favorire, quindi, la futura effettiva occupabilità degli studenti.
In sintesi, dunque, la sua attuazione è un passaggio essenziale perché la scuola risponda realmente alla società del conseguimento o meno della funzione istruzione.
È certo, infine, che il giudizio sulla riforma dovrebbe vertere sulla capacità degli strumenti introdotti dalla nuova disciplina ad attuare o meno l’autonomia scolastica nel suo effettivo significato di responsabilità nell’assunzione della funzione istruzione e non sulla difesa ad oltranza di prerogative o di posizioni acquisite rispetto ad ogni possibile mutamento dello status quo.
La reazione di sindacati e insegnanti avverso la Riforma dovrebbe essere rivolta in realtà, anziché a ostacolare e a paralizzare qualsiasi forma di cambiamento nella scuola, soprattutto se riguardante l’indebolimento della mediazione sindacale, sul merito delle innovazioni introdotte, riguardo alla loro capacità di realizzare o meno l’autonomia delle istituzioni scolastiche3.
La stessa composizione eterogenea del testo normativo, costruito attorno all’obbligo, discendente dalla pronuncia del giudice europeo4, di stabilizzare a tempo indeterminato un cospicuo numero di precari ma poi sviluppatosi, in modo più ambizioso, quale vera e propria Riforma di sistema, consiglia di operare valutazioni distinte della nuova disciplina. Nello scritto che segue si concentrerà l’attenzione maggiore verso gli strumenti di attuazione dell’autonomia per valutare se questi siano in grado di valorizzarla maggiormente rispetto al d.P.R. 8.3.1999, n. 275, attuativo dell’art. 21 della l. 15.5.1997, n. 59. Le innovazioni introdotte dalla Riforma sono di grande rilievo.
Per rispondere alla sfida dell’accrescimento dell’autonomia scolastica, anzitutto, la Riforma innalza in modo condivisibile di circa un miliardo e mezzo, già all’avvio, la spesa destinata all’istruzione, con una decisa inversione di tendenza rispetto al passato; il nostro Paese risultava, nell’ordinamento europeo, quello con il minor livello di risorse investite sia rispetto al Pil, sia come percentuale rispetto alla spesa pubblica complessiva (8%). La nuova disciplina, viceversa, stanzia fondi per l’incentivazione del merito dei docenti (200 milioni annui), per incrementare il fondo di funzionamento (123 milioni di euro nel 2015), per alleviare i docenti dalle spese per consumi culturali (una card annuale di 500 euro per docente, pari a circa 400 milioni di euro), per l’incentivazione dei dirigenti (35 milioni a regime dal 2016) e per l’edilizia scolastica.
Nello stesso tempo la Riforma perfeziona e offre un più ampio respiro ai documenti di programmazione dell’offerta formativa, dotandoli di un orizzonte triennale e introduce l’innovazione dell’organico funzionale, ossia il contingente di docenti destinato a garantire l’erogazione della progettazione didattica specifica di ciascuna istituzione scolastica.
Appare ragionevole, altresì, che l’attuazione di una più estesa autonomia possa essere favorita da un ampliamento delle prerogative dei dirigenti scolastici nella selezione e nella valutazione dei docenti e da una valorizzazione delle migliori capacità didattiche degli insegnanti attraverso la distribuzione di un Fondo di premialità.
Nello scritto che segue, dopo un’analisi delle principali innovazioni della Riforma, si affronteranno i profili più problematici della nuova disciplina indicando quali siano i pregi e i difetti delle novità introdotte ma soprattutto la loro coerenza rispetto alla più generale finalità propostasi dal legislatore.
All’attuazione e al potenziamento dell’autonomia scolastica sono strumentali, infatti, alcune fra le principali novità della Riforma ossia la sostituzione del precedente Piano dell’offerta formativa con il “piano triennale dell’offerta formativa” e le forme di flessibilità dell’autonomia didattica e organizzativa permesse dal regolamento sull’autonomia. Ad esse sono strettamente connessi il rafforzamento delle funzioni del dirigente scolastico e l’istituzione dell’organico dell’autonomia (art. 1, co. 79). Ai fini di provvedere alla programmazione triennale dell’offerta formativa e al suo potenziamento sono diretti l’individuazione, da parte di queste, del fabbisogno di posti dell’organico dell’autonomia, oltre che la copertura dei posti di sostegno per gli alunni con disabilità, ferma restando la possibilità di istituire posti di sostegno in deroga nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente.
Nello stesso programma sono inserite sia le attività di formazione rivolte al personale docente e tecnico amministrativo sia le iniziative, tanto contestate da parte dell’opinione pubblica, volte all’attuazione dei principi di pari opportunità, di promozione dell’educazione alla parità di genere e di prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni (art. 1, co. 16). Le stesse iniziative sono dirette a informare e a sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori, sulle tematiche indicate dall’art. 5, co. 2, del d.l. 14.8. 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella l. 15.10. 2013, n. 119 riguardanti l’elaborazione di un Piano straordinario diretto a contrastare la violenza sessuale e di genere. Il Piano dovrebbe comprendere una serie articolata di interventi riguardanti attività di informazione, educative e di tutela volte a prevenire e a combattere il fenomeno della violenza legata all’appartenenza della vittima al genere femminile.
Si tratta di iniziative di mera attuazione di principi costituzionali, quali l’art. 3, sul principio di eguaglianza, e l’art. 51 Cost., sul principio di pari opportunità; le stesse rispondono a legittime istanze di tutela dei diritti individuali legati al rispetto delle identità di genere e degli orientamenti sessuali delle persone. Stupisce molto, pertanto, l’ostilità con cui sono stati accolti da una parte dell’opinione pubblica, talora fondata su una diffusione ed interpretazione non corretta del dato normativo.
Nella versione definitiva della nuova disciplina, inoltre, l’elaborazione del piano è rimasta affidata, anziché al dirigente scolastico, ancora al collegio docenti (art. 1, co. 4), preservandone quindi la dimensione collegiale. Tale elaborazione, tuttavia, avviene «sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e le scelte di gestione e di amministrazione definite dal dirigente scolastico» che in precedenza erano affidati al consiglio d’istituto. La sua approvazione è affidata, viceversa, sempre al consiglio d’istituto.
Nell’istruttoria della predisposizione del piano, tuttavia, è preservato un ruolo decisivo del dirigente scolastico che, ai sensi dell’art. 1, co. 5, «promuove i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio; tiene conto, altresì, delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti».
Sono passaggi necessari perché il piano triennale risulti effettivamente uno strumento di potenziamento dell’autonomia e l’offerta formativa dell’istituzione scolastica rifletta realmente le attese del territorio di riferimento. Il conseguimento di tale finalità, peraltro, è esplicitato in uno degli obiettivi formativi specifici della programmazione triennale (art. 1, co. 9, lett. m) ossia la «valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese».
Nella nuova disciplina si avverte senza dubbio l’eco dell’art. 3, co. 2, del d.P.R. n. 275/1999 che, nello sforzo di far divenire la scuola una comunità educante che interagisce con la più ampia comunità sociale e civile, in coerenza con una delle finalità prioritarie del riconoscimento dell’autonomia scolastica, prevedeva che il Piano dell’offerta formativa riflettesse «le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa».
La pubblicazione del piano, prevista dall’art. 1, co. 17, dovrebbe permettere, inoltre, una sua valutazione comparativa da parte degli studenti e delle famiglie, al fine di rendere più ragionata e trasparente la scelta, da parte di questi, dell’istituzione scolastica da frequentare. La differenziazione dell’offerta formativa di ciascuna istituzione scolastica è diretta, dunque, anche ad accrescere le alternative a disposizione delle famiglie per orientare i propri figli all’istituzione scolastica che maggiormente risponda alle loro attitudini e attese di successiva realizzazione professionale.
Probabilmente in questa sede avrebbe anche potuto ampliarsi la quota dell’offerta formativa riservata all’autonomia di ciascuna istituzione scolastica che attualmente è del 20%. Se infatti il cuore della Riforma è l’attuazione e il potenziamento di tale autonomia la sua intensità avrebbe dovuto accentuarsi per permettere una maggiore differenziazione delle istituzioni scolastiche riguardo alle attese specifiche dell’utenza e del contesto sociale e produttivo di riferimento5.
Nella nuova disciplina, in realtà, il fabbisogno di posti dell’organico dell’autonomia viene determinato, all’art. 1, co. 7, «tenuto conto della quota di autonomia dei curriculi e degli spazi di flessibilità, nonché in riferimento a iniziative di potenziamento dell’offerta formativa e delle attività progettuali» per il raggiungimento di specifici obiettivi formativi.
La specificazione molto puntuale degli obiettivi della programmazione triennale all’art. 1, co. 7, tuttavia, rischia di subordinare la stessa valorizzazione dell’autonomia scolastica alle esigenze dei docenti, anziché a quelle degli studenti, legittimando un arricchimento eccessivo dell’offerta formativa diretto a gonfiare a dismisura l’organico dell’autonomia.
Si tratta, infatti, di obiettivi di rilevanza e di contenuto molto diversi, taluni relativi all’offerta formativa, altri riguardanti le finalità stesse del sistema scolastico. Gli stessi spaziano dal potenziamento delle competenze linguistiche a quelle matematico-logiche e scientifiche, dallo sviluppo di competenze in materia di cittadinanza attiva alla diffusione di comportamenti ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità e alla prevenzione e al contrasto della dispersione scolastica.
È inevitabile dunque il rischio che la scelta degli obiettivi formativi prioritari possa essere effettuata dalle istituzioni scolastiche sulla base delle competenze dei docenti precari da stabilizzare nell’organico funzionale dell’autonomia anziché, prioritariamente, delle esigenze formative degli studenti.
L’innovazione degli strumenti di programmazione quanto alla durata di esplicazione, tuttavia, è senza dubbio condivisibile perché restituisce alle scuole un orizzonte temporale triennale in cui collocare una serie di processi collegati al funzionamento delle istituzioni scolastiche: oltre alla programmazione triennale e all’assegnazione dei nuovi organici dell’autonomia, la valutazione degli esiti dei rapporti di autovalutazione a livello di istituto e quella dei dirigenti, nonché la cadenza dei concorsi per l’ingresso nella professione docente6. L’ampliamento dell’orizzonte temporale offre senza dubbio alle scuole un maggior respiro nelle proprie possibilità di pianificazione e di progettazione anche se non mancano zone d’ombra, come si vedrà in seguito.
Sempre dalle forme di flessibilità inserite nell’offerta formativa e dall’esigenza di favorire l’occupabilità degli studenti, inoltre, discende l’introduzione del “curriculum dello studente” (art. 1) in cui sono inserite le attività opzionali presenti nel secondo biennio e nell’ultimo anno seguite dallo studente, che individua il proprio profilo associandolo ad un’identità digitale e comprende tutti i dati utili ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro. Vi sono inserite, ad esempio, le competenze acquisite, le esperienze formative anche in alternanza scuola-lavoro, le attività culturali, artistiche, le pratiche musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extrascolastico. Si introduce poi la possibilità, all’art. 1, co. 29, di accedere a fonti esterne di finanziamento dei percorsi formativi per sostenere iniziative dirette a favorire un maggior coinvolgimento degli studenti e una valorizzazione del merito scolastico e dei talenti.
Per rafforzare il collegamento delle scuole con il territorio circostante e favorirne il ruolo di volano dell’occupabilità degli studenti si prevede, inoltre, l’ampliamento della tipologia di soggetti che potranno stipulare convenzioni con le scuole per progettare ed attuare percorsi di alternanza scuola-lavoro, si introducono maggiori finanziamenti e si estendono i tempi dei percorsi stessi. I percorsi di alternanza saranno attuati, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, per almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio. Questi potranno essere svolti durante la sospensione dell’attività didattica secondo il programma formativo e le modalità di verifica stabilite dal piano triennale dell’offerta formativa o con la modalità stabilita dall’impresa formativa.
Fra i soggetti che potranno stipulare convenzioni sono ricompresi ex novo, all’art. 1, co. 34, gli ordini professionali, i musei, gli istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, nonché enti svolgenti attività afferenti al patrimonio ambientale o di promozione sportiva riconosciuta dal Coni. Gli stessi dovranno essere iscritti nel registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro e sottoporsi ad una attività di valutazione che farà capo al dirigente scolastico e agli studenti e permetterà l‘emergere della specificità del loro potenziale formativo e delle eventuali difficoltà incontrate nella collaborazione.
Allo stesso fine l’art. 1, co. 60 prevede che le istituzioni scolastiche potranno dotarsi di «laboratori territoriali per l’occupabilità» attraverso la partecipazione, anche in qualità di soggetti confinanziatori, di enti pubblici e locali sia per l’orientamento della didattica ai settori strategici del made in Italy, in base alla vocazione produttiva, culturale e sociale di ciascun territorio, sia per la fruibilità di servizi propedeutici al collocamento al lavoro sia per aprire le scuole al territorio e permettere l’utilizzo dei relativi spazi al di fuori dell’orario scolastico.
Uno degli aspetti su cui la Riforma avrebbe potuto incidere maggiormente era quello di un’opzione più precisa verso uno specifico modello di ordinamento complessivo della scuola secondaria e un effettivo rispetto dell’obbligo scolastico e formativo7. Alla ridefinizione di questo modello è affidata, in effetti, una delle principali sfide del sistema d’istruzione ossia quella di restituire alla scuola una reale capacità di agire come veicolo di riduzione delle disparità di partenza e di effettiva mobilità sociale ai sensi dell’art. 3 Cost.
Come scriveva infatti Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere del 19328, il sistema scolastico di impronta gentiliana tendeva a perpetuare, anziché a ridurre, le differenze sociali. Non va dimenticato, inoltre, che la vera «emergenza educativa» si consuma fuori e soprattutto dopo la scuola, e precisamente sul versante dell’educazione degli adulti e quindi richiederebbe, accanto e oltre il sistema scolastico, un reale ed efficace sistema di lifelong learning9.
Dal documento del Governo, peraltro, emerge come su questo tema si manifesti una leggera preferenza per il modello tedesco, ossia quello duale, caratterizzato da una differenziazione precoce dei percorsi scolastici e dall’istituzione di un secondo canale improntato sull’apprendistato anziché per quello comprensivo tipico dei Paesi scandinavi e del Regno Unito (caratterizzato da una contenuta e posticipata differenziazione degli indirizzi). L’intensificazione delle ore destinate ai percorsi formativi obbligatori in alternanza scuola-lavoro, nella scuola secondaria, potrebbe interpretarsi come un’espressione di questa preferenza.
In realtà il modello tedesco non è raffrontabile all’esperienza nazionale dell’apprendistato, poiché si caratterizza come un canale formativo rigoroso e strutturato, con almeno un quarto delle ore dedicate alla formazione. Nel nostro Paese, viceversa, l’apprendistato si è diffuso generalmente come un rapporto di lavoro a basso costo per le imprese e senza un’effettiva componente di formazione strutturata.
Per migliorare l’efficacia della didattica si prevede, infine, l’adozione di un Piano nazionale di scuola digitale (art. 1, co. 57) allo scopo di perfezionare le competenze digitali degli studenti e rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di costruzione delle competenze in generale. Lo stesso piano è finalizzato dalla nuova disciplina «all’adozione di strumenti organizzativi e tecnologici per favorire la governance, la trasparenza e la condivisione dei dati, nonché lo scambio di informazione fra dirigenti, docenti e studenti e tra istituzioni scolastiche ed educative e articolazioni amministrative del Ministero» (art. 1, co. 57 lett. c) e alla «formazione dei docenti per l’innovazione didattica e lo sviluppo della cultura digitale per l’insegnamento, l’apprendimento e la formazione di competenze lavorative, cognitive e sociali degli studenti» (art. 1, co. 57, lett. d).
Per favorire, infine, la costruzione di scuole innovative sul versante architettonico, impiantistico, tecnologico, dell’efficienza energetica e della sicurezza, viene infine disposta, all’art. 1, co. 153, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Struttura di missione per il coordinamento e l’impulso nell’attuazione di interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica, la ripartizione di risorse fra le Regioni. Sono inoltre definiti i criteri per l’acquisizione, da parte di queste, delle manifestazioni d’interesse degli enti locali proprietari delle aree oggetto di intervento, interessati alla costruzione di tali scuole.
Alle regioni è affidata la selezione degli interventi sul proprio territorio su cui di seguito il Ministero, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, indice uno specifico concorso con procedura aperta. La valutazione dei progetti è affidata ad una commissione di esperti, di cui fanno parte anche la Struttura di missione e un rappresentante del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
A parere di chi scrive, tre sono i principali nodi problematici che presenta l’impianto della riforma: il primo riguarda le difficoltà nella gestione del personale docente. Il precedente sistema, affidato alla determinazione dell’organico di diritto, fissava a febbraio il fabbisogno di personale docente di ciascuna scuola per poi assestarlo con quello di fatto a luglio, una volta stabilizzatesi le iscrizioni, ma peccava di un eccessivo grado di rigidità. Non rispondeva infatti in modo adeguato alle esigenze di flessibilità dell’offerta formativa richieste dall’attuazione dell’autonomia scolastica e tendeva a perpetuare l’assegnazione di incarichi di insegnamento precari.
Anche la soluzione individuata dalla nuova disciplina, tuttavia, presenta profili di applicazione assai problematici. Com’è noto il principale impulso all’avvio della Riforma è stato la condanna del nostro Paese, da parte del giudice europeo, per l’eccessivo e continuativo ricorso all’assunzione di docenti attraverso contratti temporanei. La prima risposta offerta dalla nuova disciplina consiste, anzitutto, nell’immissione in ruolo di più di 100000 precari iscritti nelle liste delle graduatorie ad esaurimento attraverso lo stanziamento di 1,5 miliardi nella legge di stabilità.
In tal modo si è ritenuto di venir incontro, ad un tempo, alle esigenze di flessibilità dell’offerta formativa di ciascuna scuola ed eliminare la legittimazione alla presentazione di ricorsi dinnanzi al giudice amministrativo da parte del personale precario. L’assenza di un’anagrafe completa, a livello nazionale, del personale docente delle scuole impedisce, tuttavia, di quantificare con precisione il numero dei potenziali ricorrenti e di capire, anzitutto, se il piano straordinario di immissione in ruolo di docenti precari sia in grado di soddisfare completamente l’obbligo discente dalla pronuncia del giudice europeo.
Una stabilizzazione così massiccia di personale precario, inoltre, appare eccessiva rispetto alle reali necessità didattiche della scuola italiana, dato che, sulla base dei dati Ocse10, nel nostro Paese la spesa in istruzione per studente è più alta che in altri paesi comparabili mentre la relativa performance, misurata dagli indicatori di apprendimento degli studenti, non risulta soddisfacente. In realtà l’assorbimento di tale personale avverrà in modo graduale e, nell’immediato, l’aumento di spesa in istruzione sarà riferito solo a poco più della metà di essi11.
3.1 L’innovazione dell’organico dell’autonomia
Un’ulteriore risposta della Riforma consiste «nell’introduzione», a partire dal 2016, dell’«organico funzionale dell’autonomia», ossia nell’assegnazione a ciascuna rete di scuole di un numero di docenti superiore a quello strettamente necessario per lo svolgimento della didattica ordinaria. Tale assegnazione sarà finalizzata alla sostituzione dei colleghi temporaneamente assenti ma, soprattutto, a promuovere progetti didattici aggiuntivi o a qualificare e differenziare l’offerta formativa di ciascuna scuola. Come recita l’art. 1, co. 5, «i docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento».
Non è possibile, tuttavia, prevedere se la stabilizzazione dei precari di lungo corso sarà in grado di coprire esigenze didattiche effettive presenti nelle aree in cui questi operavano.
L’attuale sistema di reclutamento, infatti, collega strettamente l’acquisizione dell’abilitazione in uno specifico settore concorsuale con l’insegnamento di una materia specifica e quindi non offre alle scuole una flessibilità adeguata per una progettazione dell’offerta formativa realmente rispondente ai bisogni formativi degli studenti. Il rischio paventato, pertanto, sarà quello di una sanatoria ope legis di soggetti non tutti adeguatamente selezionati attraverso il meccanismo concorsuale che saturerà le future esigenze di organico per i prossimi anni mentre resteranno con ogni probabilità non coperte alcune cattedre i cui insegnamenti forniscono le competenze più richieste (ad es. quelle di matematica).
Inoltre fra l’esigenza di provvedere, con l’assegnazione aggiuntiva, alla sostituzione di colleghi temporaneamente assenti e quelle correlate alla qualificazione dell’offerta formativa vi è il rischio che prevalga spesso la prima con una conseguente messa in secondo piano delle esigenze formative relative alla valorizzazione dell’autonomia.
A parziale correzione di tale rigidità, tuttavia, è prevista dall’art. 1, co. 79, la possibilità, da parte dei dirigenti scolastici, di utilizzare il personale docente di ruolo in classi di concorso diverse da quelle per la quale possiede l’abilitazione, purché «posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire».
3.2 L’ampliamento delle competenze dei dirigenti scolastici
L’aspetto più controverso ma anche denso di potenzialità della Riforma, tuttavia, riguarda l’ampliamento dei poteri del dirigente scolastico, a cui la nuova disciplina assegna un ruolo fondamentale per il funzionamento del sistema scolastico attraverso l’attribuzione degli incarichi triennali ai docenti (art. 1, co. 7879) e la valorizzazione della loro capacità didattica attraverso la distribuzione di un fondo di premialità.
La proposta di incarico viene conferita dal dirigente, ai sensi dell’art. 1, co. 80, in coerenza con il piano dell’offerta formativa e attraverso la valorizzazione del curriculum, delle esperienze e delle competenze professionali, oltre al possibile svolgimento di colloqui. Il perfezionamento della proposta di incarico avviene con l’accettazione del docente, con sua facoltà di optare tra quelle ricevute. Il conferimento di incarichi ai docenti che non abbiano ricevuto o accettato una proposta è demandata, ai sensi dell’art. 1, co. 82, all’ufficio scolastico regionale.
Tale rafforzamento è strettamente connesso alla finalità di attuare e di potenziare l’autonomia delle istituzioni scolastiche: non è casuale che lo stesso art. 21, l. n. 59/1997, nel dar vita al processo normativo sfociato nell’introduzione della cd. autonomia scolastica prevedesse già, al co. 16, l’attribuzione al governo di una delega legislativa finalizzata al conferimento della qualifica dirigenziale ai capi d’istituto. Il nesso fra le due riforme amministrative era evidente sia per la loro compresenza nella stessa norma di delega (art. 21, l. n. 59/97) sia per la loro entrata in vigore in pari data (precisamente il 1.9.2000).
Su questo versante i profili più problematici riguardano, principalmente, la discrezionalità dei dirigenti nell’applicazione dei criteri per l’attribuzione degli incarichi e gli effetti della loro assegnazione sui singoli docenti e la valutazione dei dirigenti riguardo alle scelte da questi operate.
Si tratta, peraltro, di aspetti strettamente connessi. Benché la nuova disciplina, infatti, preveda, all’art. 1, co. 80, la pubblicità dei criteri adottati da ciascun dirigente scolastico per selezionare i destinatari degli incarichi e la pubblicità di quelli effettivamente conferiti con relativa motivazione, unitamente alla pubblicazione del curriculum del docente sul sito istituzionale della scuola, la discrezionalità nella loro attribuzione resta comunque assai elevata.
Tale discrezionalità è stata uno degli aspetti su cui si è maggiormente appuntata la critica dei sindacati e del corpo docente delle scuole che hanno paventato il rischio di una violazione della libertà d’insegnamento di cui all’art. 33 Cost., per un versante, e dell’imparzialità nella gestione delle pubbliche amministrazioni tutelata dall’art. 97 Cost., per l’altro.
L’eccessiva discrezionalità, infatti, esporrebbe per un verso i docenti, sia nell’attribuzione degli incarichi sia nella distribuzione degli incentivi, al pericolo di una loro gestione clientelare ed arbitraria della loro selezione, con una conseguente compressione della libertà di insegnamento. Per l’altro l’assegnazione diretta degli incarichi da parte del dirigente depotenzierebbe il potere di mediazione dei sindacati e toglierebbe alla contrattazione i criteri e le modalità di impiego dello stesso personale docente.
Sul primo versante, tuttavia, la giurisprudenza prevalente ha ritenuto, di regola, che il potere direttivo dei dirigenti, quale si esplica anche nell’assegnazione degli incarichi, investa unicamente i limiti «esterni» della libertà di insegnamento12 e quindi non concretizzi una sua violazione, per l’altro versante, lo stesso conflitto con il principio di imparzialità andrebbe comprovato di volta in volta e dovrebbe scaturirne un’azione civile per condotta antisindacale anziché un’eccezione di incostituzionalità13.
L’ampiezza di tale discrezionalità, tuttavia, sarà da valutarsi in modo positivo, quale risvolto necessario del riconoscimento dell’autonomia, se associata ad una rigorosa valutazione dei dirigenti sulla qualità delle scelte di reclutamento da questi effettuate affidata, dalla nuova disciplina, al nucleo di valutazione dei dirigenti scolastici, composto secondo le disposizioni dell’art. 25, co. 1, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, e articolato in modo differente in relazione al procedimento e agli oggetti della valutazione. Dai risultati ottenuti dal nucleo di valutazione discende l’assegnazione o meno al dirigente della retribuzione di risultato. Al fine di garantire il necessario supporto alle scuole, riguardo all’esigenza indifferibile di assicurare la valutazione dei dirigenti scolastici, l’art. 1, co. 94, prevede inoltre la possibilità di attribuire incarichi temporanei di livello dirigenziale non generale, di durata non superiore a tre anni, per le funzioni ispettive.
Su questo versante, tuttavia, la nuova disciplina introduce in effetti, all’art. 1, co. 93, una serie di criteri per provvedere alla valutazione dei dirigenti, relativi a «a) competenze gestionali e organizzative, b) la valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto, c) l’apprezzamento del proprio operato nella comunità scolastica, professionale e sociale, d) il contributo al miglioramento e al successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici ed, infine, e) la direzione unitaria della scuola, alla promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica».
Non è chiaro, tuttavia, il target di riferimento della valutazione, alla luce dei criteri individuati dal legislatore; se si tratta infatti, come sembra, degli obiettivi assegnatisi ai dirigenti sulla base dei rapporti di autovalutazione compilati ai sensi del d.P.R. 28.3.2013, n. 80, si resta nel cono d’ombra di un’area di autoreferenzialità poco compatibile con la manifestata intenzione di valorizzare il ruolo dirigenziale. Tale responsabilità dovrà essere ancorata, viceversa, al raggiungimento di obiettivi chiari, oggettivi e misurabili perché non si manifesti come arbitrio14. Una rigorosa valutazione dei dirigenti improntata a parametri il più possibile oggettivi non è necessaria solo per evitare il prevalere di interessi privati su quelli dell’istituzione ma anche per aiutare i dirigenti a sottrarsi alle pressioni di cui potranno essere destinatari nell’assegnazione degli incarichi.
La discrezionalità assegnata ai dirigenti nella loro attribuzione, inoltre, risulta ancora più delicata e rilevante poiché la qualità dell’istituzione scolastica discende più dalle capacità degli insegnanti che in esse operano che dalla perfezione dell’architettura istituzionale.
Certamente un sistema più decentrato di reclutamento può permettere di conciliare meglio la trasparenza nella scelta degli insegnanti, necessaria per selezionare personale retribuito con risorse pubbliche, e l’esigenza di reclutare docenti il più possibile confacenti alle specifiche necessità formative di ciascuna istituzione scolastica e al suo contesto di riferimento in modo da valorizzarne maggiormente l’autonomia.
3.3 La valorizzazione delle competenze dei docenti
Al fine di valorizzare la funzione docente la nuova disciplina contempla, com’è noto, all’art. 1, co. 126, l’istituzione di un apposito Fondo di 200 milioni annui, ripartito a livello territoriale e tra le istituzioni scolastiche in proporzione alla dotazione organica dei docenti, considerando, altresì, i fattori di complessità delle istituzioni scolastiche e delle aree soggette a maggior rischio educativo. Una percentuale di tale fondo viene assegnata dal dirigente scolastico al personale docente sulla base di criteri individuati dal comitato di valutazione dei docenti. Tale comitato, istituito ai sensi dell’art. 11 del TU di cui al d.lgs. 16 aprile e presieduto dal dirigente scolastico, è composto da tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio docenti e uno dal consiglio d’istituto, due rappresentanti dei genitori per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo, un rappresentante degli studenti e dei genitori, per il secondo ciclo, scelti dal consiglio d’istituto e un componente esterno individuato dall’ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici.
La valutazione dei docenti è improntata dalla nuova disciplina, all’art. 1, co. 129, ai criteri «a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti; b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli studenti e dell’innovazione didattica e metodologica, c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale».
La qualità dell’insegnamento del docente e il suo contributo al successo formativo e scolastico degli allievi tuttavia, risulta difficilmente misurabile dal dirigente in modo oggettivo. Per un versante, infatti, il successo formativo e scolastico degli studenti è sempre dovuto ad una pluralità di fattori, fra cui determinante risulta, sulla base della letteratura scientifica sul tema, la provenienza familiare e il contesto sociale di provenienza; per l’altro annoverare, fra i criteri di valutazione dei docenti, i risultati conseguiti dagli studenti potrebbe indurli ad accrescerli irragionevolmente per partecipare alla distribuzione del Fondo di premialità.
Le difficoltà a misurare oggettivamente la qualità della prestazione didattica dei docenti comporta il rischio, infine, che i dirigenti premino principalmente l’assunzione, da parte degli insegnanti, di attività di coordinamento didattico e organizzativo aggiuntive che spesso poco hanno a che fare con l’effettiva qualità dell’attività didattica.
Le innovazioni introdotte dalla Riforma pongono le premesse per un miglioramento qualitativo della scuola italiana soprattutto sul versante dell’accrescimento della sua autonomia e responsabilità verso la società e il suo avviarsi verso un orizzonte di crescita, pur in presenza delle criticità appena evidenziate. Il nuovo modello organizzativo, improntato ad una valorizzazione dell’autonomia scolastica e delle prerogative dei dirigenti scolastici, prevede una scansione programmata di orizzonti temporali e di verifiche in itinere della sua effettiva attuazione. Ad esse è affidata la scommessa sull’effettiva capacità delle scuole di aprirsi all’innovazione di percorsi e di stili di gestione o assestarsi su una più rassicurante prassi conservatrice, principale causa dei risultati non soddisfacenti ottenuti in passato dai nostri studenti nelle classifiche internazionali.
La valutazione sulla Riforma, tuttavia, dovrebbe investire, oltre alle novità, anche i “vuoti” della nuova disciplina ossia quello che dovrebbe essere funzionale all’attuazione dell’autonomia e resta, viceversa, incompiuto, perché non ricompreso nel lungo elenco delle deleghe al Governo. Si pensi ad un’ulteriore riorganizzazione del Ministero dell’istruzione e della ricerca scientifica che, se resta inalterato nel ruolo, nelle funzioni e negli strumenti d’azione, rischia di non far decollare il processo di accrescimento dell’autonomia scolastica.
Molte luci e qualche ombra, dunque, sulla nuova disciplina di riforma del sistema scolastico e sulla sua effettiva capacità di attivare il tanto auspicato processo di attuazione e di valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Se l’obiettivo principale della scuola, come diceva Jean Piaget, è quello di formare persone «in grado di fare cose nuove anziché semplicemente ripetere quello che altre generazioni hanno fatto» l’auspicio è che le nuove strategie messe in atto dalla riforma favoriscano con maggiore efficacia questo risultato.
1 Sul significato di tale autonomia, Cassese, S., «Playdoier» per un’autentica autonomia delle scuole, in Foro it., 1990, V, c. 147 ss.; Poggi, A., Le autonomie funzionali «tra» sussidiarietà verticale e orizzontale, Giuffrè, Milano, 2001; Pajno, A., L’autonomia delle istituzioni scolastiche: un cantiere abbandonato, in Osservatorio sulla scuola dell’autonomia. Rapporto sulla scuola dell’autonomia 2003, Roma, 2003, p. 240; Sandulli, A., Sussidiarietà e autonomia scolastica nella lettura della Corte costituzionale, in Le istituzioni del federalismo, 2004, p. 543 ss.; Bombardelli, M. Cosulich, M., a cura di, L’autonomia scolastica nel sistema delle autonomie, Padova, 2005; Renna, M., L’autonomia incompiuta delle istituzioni scolastiche, in Le istituzioni del federalismo, 2005, p. 353 ss.; Morzenti Pellegrini, R., L’autonomia scolastica tra sussidiarietà, differenziazione e pluralismi, Torino, 2011.
2 Per un’efficace ricostruzione del concetto di autonomia funzionale si v. Renna, M., L’autonomia incompiuta, cit., 353.
3 Poggi, A., Il d.d.l. sulla Buona scuola: discussione sulle politiche scolastiche o scontro sull’idea «concertazione» sindacale?, in Federalismi, Editoriale, 6.5.2015.
4 Si v. C. giust., sentenza nelle cause riunite C22/13, C61/13, C62/13, C63/13, C418/13, Raffaella Mascolo e a./Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica.
5 In tal senso si v. Ichino, A., La nuova scuola targata Renzi, in Lavoce.info, 5.9.2014.
6 Sul punto si v. Cecchi, D., Da dove inizia la Buona scuola, in Lavoce.info, 10.7.2015.
7 In tal senso si v. Schizzerotto, A., La nuova scuola: come sarà l’istruzione secondaria?, in Lavoce.info, 14.11.2014.
8 Si v. Gramsci, A., Lettere dal carcere, Torino, 1975.
9 Si v. P. Ferratini, Che cosa non dovremmo chiedere alla scuola, in il Mulino, 2015, n. 1.
10 Si v. le tabelle riportate in OECD, Education at a glace, 2012 e il commento di Ichino, A., La nuova scuola targata Renzi, in Lavoce.info, 5.9.2014.
11 La prima fase, infatti, entro agosto 2015, riguarderà le immissioni in ruolo ordinariamente previste per il 20152016, secondo le regole attuali, attingendo per il 50% alle graduatorie dei concorsi e al 50% alle graduatorie ad esaurimento. Si tratterà di 36.600 immissioni in ruolo per coprire il turnover creato dai pensionamenti (21900 insegnanti) e per la stabilizzazione di insegnanti di sostegno (14700 già previsti nella seconda e terza tranche di un piano approvato dalla ministra Carrozza). La seconda fase (entro metà settembre 2015) riguarderà la copertura di tutti i posti che rimangono disponibili in organico per i posti comuni e i posti di sostegno non coperti dalle assunzioni ordinarie. Si tratta di 10900 posti liberi da anni.
12 L’assegnazione degli incarichi ai docenti, da parte del dirigente scolastico, attiene, infatti, alle condizioni organizzative di esplicazione della libertà d’insegnamento e non si traduce in un condizionamento dei metodi o contenuti trasmessi dal docente. Per la distinzione fra il concetto di libertà nell’insegnamento riguardo al profilo metodologico e contenutistico (cd. autonomia didattica) e libertà dell’insegnamento riguardo all’ambito organizzativo e strutturale, si v. C. cost., n. 16/1980. Oltre ai limiti rinvenuti dalla dottrina riguardo alla libera esplicazione della libertà d’insegnamento garantita dall’art. 33, co. 1, della Cost., più estesi rispetto alla libera manifestazione del pensiero, ossia il rispetto del buon costume, dell’ordine pubblico e della pubblica incolumità, il legislatore ha provveduto a identificare, quali limiti ulteriori di questa libertà, il rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola, nonché il rispetto della coscienza morale e civile degli alunni (art. 12, d.lgs. n. 297/1994).
13 Si v. in tal senso Poggi, A., Il d.d.l. sulla Buona scuola: discussione sulle politiche scolastiche o scontro sull’idea «concertazione» sindacale?, cit., 4, nota 5.
14 In tal senso si v. Cecchi, D., Buoni dirigenti per la buona scuola, in Lavoce.info, 20.3.2015.