di Valeria Talbot
Il 2014 è per la Turchia un anno di importanti scadenze elettorali – amministrative a marzo e presidenziali ad agosto, seguite dalle parlamentari nel 2015 – che rappresentano un banco di prova per la tenuta del partito di governo Giustizia e sviluppo (AKP), ininterrottamente al potere da novembre 2002, e per le ambizioni del suo leader Recep Tayyip Erdoğan. Dopo oltre un decennio in cui ha dominato incontrastato la politica turca, il primo ministro non è intenzionato ad abbandonare la scena. Con tre mandati consecutivi alle spalle, non potrà però presentarsi – per regolamento interno del suo partito – alle prossime elezioni legislative, a meno che non intervenga una modifica dello statuto interno. Erdoğan mirerebbe a diventare il primo presidente della repubblica di Turchia eletto a suffragio universale. Ma rimane ancora da sciogliere il nodo dei poteri. In base all’attuale Costituzione la figura del presidente ha un ruolo prevalentemente cerimoniale. Da tempo il partito di governo preme per una riforma in senso presidenziale del sistema politico-istituzionale turco. Tuttavia non ha i numeri in seno all’assemblea nazionale per procedere da solo alla revisione della Costituzione e il dialogo con le opposizioni sulla riforma si è arenato proprio per mancanza di accordo sul presidenzialismo. Il tentativo di ottenere il supporto del partito curdo, l’unico che sembrava disposto a sostenere la riforma presidenziale in cambio di un più ampio riconoscimento dei diritti della minoranza curda e dell’abbassamento della soglia elettorale al di sotto del 10%, non ha prodotto risultati. Lo stallo attuale nella riforma costituzionale difficilmente riuscirà a essere superato prima della prossima estate. Sotto la guida dell’AKP la Turchia ha compiuto importanti cambiamenti – il ridimensionamento del ruolo dei militari nella vita politica del paese è stato una delle principali realizzazioni degli esecutivi di Erdoğan – e ha conosciuto una straordinaria crescita economica, cui si è aggiunta una maggiore assertività in politica estera tanto sul piano regionale che a livello internazionale. Tuttavia, un ciclo sembrerebbe volgere alla conclusione, ma sull’avvio di una nuova fase pesano diverse incognite in vista delle prossime scadenze elettorali. Le proteste di Gezi Park di giugno 2013 hanno fatto emergere il dissenso di una parte consistente, seppur non maggioritaria, dell’opinione pubblica turca nei confronti dei metodi di governo del primo ministro, poco incline ad accettare critiche ed espressioni di dissenso anche all’interno del suo partito. Nonostante un calo di consensi, Erdoğan è riuscito a mantenere salda la leadership e la sua popolarità e, secondo i sondaggi, il distacco con i suoi avversari politici rimane ancora notevole. Ma non è più il leader indiscusso e non sono poche le sfide, sia interne sia di politica estera, che si trova ad affrontare in vista delle prossime scadenze elettorali. Sul piano interno si è consumata la rottura con il movimento di Fethullah Gülen, confraternita religiosa con una diffusa presenza nel settore dell’educazione ma anche nell’apparato amministrativo e giudiziario, che aveva sostenuto il partito di Erdogˇan nella marginalizzazione dei militari e contribuito ai suoi successi elettorali nello scorso decennio. L’appartenenza di molti sostenitori dell’AKP anche alla comunità di Gülen potrebbe avere delle conseguenze a livello politico e produrre un calo di consensi alle amministrative di marzo 2014, dove la partita più importante si gioca a Istanbul. Malumori e dissenso verso la decisione del governo di chiudere le scuole preparatorie agli esami universitari gestite dalla confraternita si sono manifestati all’interno dell’AKP tra i deputati più vicini al movimento, mettendo anche in evidenza divisioni interne che potrebbero segnare l’inizio di un riassestamento tra le diverse correnti in seno al partito. Sulla coesione dell’AKP pesano inoltre i recenti casi di corruzione che hanno coinvolto anche figure legate ai vertici politici ed economici.
Un’altra incognita grava sull’esito del fragile processo di pace lanciato nella primavera del 2013 per la soluzione della delicata questione curda su cui influiscono dinamiche sia interne sia regionali e che potrebbe essere la contropartita per la riforma presidenziale.
Sul piano esterno, il conflitto in Siria rimane la principale criticità sia per i risvolti politici interni e regionali, sia per la gestione della crisi umanitaria legata alla presenza sul territorio turco, a fine 2013, di oltre mezzo milione di profughi siriani. Inoltre, la sfida per Ankara sarà di riguadagnare quel soft power e ruolo di mediatore che dopo lo scoppio della crisi siriana si sono progressivamente deteriorati. In questa direzione sembrerebbero andare i tentativi di riavvicinamento nei confronti dell’Iran, ma anche del governo di Baghdad. Resta tuttavia da vedere se si tratta di un ritorno alla politica di ‘zero problemi con i vicini’ o di una sua versione rivista in chiave pre-elettorale, in considerazione del fatto che buona parte dell’opinione pubblica turca non ha appoggiato la politica dell’esecutivo nei confronti della crisi siriana. Sul versante delle relazioni con l’Unione Europea rimane l’incognita sulle prospettive di adesione e sull’intenzione di mantenere l’ancoraggio europeo, sebbene la ripresa dei negoziati a settembre 2013 e l’accordo di dicembre, che apre la strada alla futura liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, sembrano avere rimesso in moto un processo bloccato per anni.