Le società partecipate dopo il correttivo al testo unico
Il decreto correttivo (d.lgs. 16.6.2017, n. 100) consolida il testo unico (t.u.) sulle società a partecipazione pubblica e dovrebbe assicurare univocità e certezza della disciplina, dopo le alterne vicende, normative e fattuali, che hanno caratterizzato queste figure soggettive. La natura privata delle società, nonostante la partecipazione pubblica, rende chiaro il loro regime giuridico ma contestualmente determina i limiti e le condizioni che una p.a incontra nell’utilizzo dello strumento o nell’assunzione dell’iniziativa economica mediante la partecipazione societaria, a seconda delle fattispecie in cui essa si declina.
Il d.lgs. 19.8.2016, n. 175, recante il t.u. sulle società a partecipazione pubblica, è stato integrato e corretto con il recente d.lgs. n. 100/2017, ma l’occasione assume una rilevanza che trascende la ridotta portate delle modifiche: si assiste ad un consolidamento o stabilizzazione della disciplina che era stata messa in discussione con la sentenza C. cost., 25.11.2016, n. 2511. Tale decisione, invero molto criticata2, ha ravvisato l’illegittimità costituzionale, per quello che qui interessa, di molte disposizioni di cui all’art. 18, l. 7.8.2015, n. 124, recante la delega al Governo per il riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche. L’incostituzionalità è stata dichiarata per ritenuta violazione del principio di leale cooperazione, in quanto la delega prevedeva l’adozione delle norme delegate previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata. Il giudice delle leggi ha infatti ritenuto che la disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche sia caratterizzata da un intreccio di competenze statali e regionali, sicché il Governo può dare attuazione ai principi e criteri direttivi per il riordino solo dopo aver svolto idonee trattative con Regioni ed enti locali in sede di conferenza unificata. La C. cost. pur ricordando che la disciplina delle società a partecipazione pubblica attiene alla materia dello “ordinamento civile” nonché a quella della “tutela della concorrenza” (entrambe di competenza esclusiva statale)3, ha enfatizzato l’esistenza di profili della disciplina che riguardano le modalità organizzative di svolgimento delle attività di produzione di beni o servizi strumentali alle finalità istituzionali delle Regioni e che attengono – ad avviso della Corte – in generale, alla competenza legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa regionale. Da ciò la ravvisata concorrenza di competenze statali e regionali. Peraltro, la C. cost. ha ritenuto di statuire che le pronunce di illegittimità costituzionale contenute nella decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della l. n. 124/2015, oggetto di ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative: «Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione». Tuttavia, anche se per il d.lgs. n. 175/2016 non era stata pronunciata una caducazione consequenziale, si era determinata un’innegabile e significativa instabilità delle disposizioni, per successive questioni che potessero essere sollevate. Pertanto, e secondo le linee indicate in un importante parere del Consiglio di Stato4, il testo del decreto legislativo integrativo e correttivo del t.u. è stato sottoposto all’intesa della Conferenza unificata di cui all’art. 8, d.lgs. 28.8.1997, n. 281 (raggiunta nella seduta del 16.3.2017). È peraltro importante sottolineare che l’intesa ha riguardato tutto il testo del t.u., sin dalla sua emanazione, come reso esplicito dagli artt. 1 e 21, co. 1, d.lgs. n. 100/2017: «Il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, è modificato e integrato secondo le disposizioni del presente decreto. Per quanto non disciplinato dal presente decreto, restano ferme le disposizioni del decreto legislativo n. 175 del 2016»; «sono fatti salvi gli effetti già prodotti dal decreto legislativo n. 175 del 2016». Da quanto esposto deriva che il t.u. in materia di società a partecipazione pubblica dovrebbe ora costituire una stabile base di riferimento, dovendosi assolutamente scongiurare nuovi interventi legislativi sull’argomento, se non quelli che si renderanno eventualmente necessari a fronte di eventuali riforme costituzionali od ordinamentali generali. Si vuole dire che eventuali modifiche alla ora vigente disciplina delle società a partecipazione pubblica potrebbero essere giustificate non da mutamenti di indirizzo del legislatore ordinario, dopo l’odierno consolidamento che ha fatto seguito ad almeno venti anni di discipline frammentarie e talora in contrasto5. Le analisi del t.u. sono state sviluppate con grande competenza nelle sedi istituzionali6 e si rinvengono contributi dottrinali di commento ai quali si può fare utile richiamo7. In questa sede, e negli spazi propri di questa pubblicazione, si deve prospettare un inquadramento sistematico delle scelte e della conseguente disciplina alle quali il t.u. ed il decreto correttivo hanno dato luogo8.
Il riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, per il quale la l. delega n. 124/2015 ha stabilito principi e criteri direttivi (artt. 16 e 18), rappresentava una necessità non dilazionabile. La situazione di fronte alla quale ci si trovava era negativamente connotata da tre fattori: a) il numero delle società a partecipazione pubblica era divenuto eccessivo e le singole scelte erano spesso non giustificabili sulla base dell’ordinamento e per l’interesse pubblico; b) vi era confusione tra categorie di società con ricadute sul regime giuridico loro proprio (o ritenuto tale) in relazione alle attività da esse svolte; c) spesso non erano rispettati i criteri di efficienza, efficacia ed economicità con conseguenti disavanzi ed oneri (immediati o potenziali) per la finanza pubblica.
Le elencate criticità avevano provocato giuste censure, che si presentavano costruttive quando preludevano ad una riorganizzazione/riordino ed erano invece eccessive quando si traducevano in una sorta di ostracismo per le partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche. Il t.u., quale risultante dalle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 100/2017, reca un insieme composito di disposizioni che sono ispirate agli obiettivi di riordino per rimediare alle sopraelencate criticità. Le misure sono schematizzabili come segue, distinguendo tra loro gli strumenti e le correlate linee di incidenza:
i) elencazione delle finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche, attraverso l’indicazione delle attività che (sole) possono costituire l’oggetto sociale di tali società (artt. 4 e 26);
ii) determinazione univoca del regime giuridico proprio delle società a partecipazione pubblica (artt. 1, co. 3, 12, 14);
iii) esatta delimitazione delle nozioni di “società a controllo pubblico” e di “società a partecipazione pubblica” (art. 2);
iv) prescrizione dell’obbligo di una motivazione non meramente enunciativa per la costituzione di società o l’acquisto di partecipazioni da parte di una p.a. (art. 5);
v) individuazione dei meccanismi di disclosure compliance per l’organizzazione e la gestione delle società partecipate, in particolare se a controllo pubblico (artt. 610, 13, 15, 21, 22);
vi) norme di spending review e trasparenza su profili che avevano dato luogo a problematicità e polemiche politiche; come, principalmente, requisiti, numero e compensi dei componenti degli organi amministravi e di controllo delle società a controllo pubblico (art. 11) ed altresì reclutamento e gestione del personale nelle medesime società (artt. 19 e 25);
vii) definizione dei caratteri delle “società in house” (art. 16) e delle “società a partecipazione mista pubblico privata” (art. 17);
viii) conferma della sottoposizione al T.U.F. (cd. Draghi) di cui al d.lgs. 24.2.1998, n. 58 e successive modifiche ed integrazioni, delle società quotate e loro partecipate (artt. 1, co. 5 e 18);
ix) previsione di una “revisione straordinaria” (art. 24) e di una futura “razionalizzazione periodica” (art. 20) delle partecipazioni pubbliche.
Il principale merito del t.u. è quello di aver affermato con chiarezza la natura privatistica delle società, che non è modificata dalla partecipazione pubblica ancorché totalitaria o di controllo; ciò – del resto – in piena conformità con la giurisprudenza della Corte di Cassazione e secondo la linea già anticipata dal legislatore nel corso della precedente XVI legisl.9. Questa connotazione privatistica convince per la sua coerenza ordinamentale. L’affermazione dell’art. 1, co. 3 del t.u., a mente del quale – per «tutto quanto non derogato» dal d.lgs. – alle società a partecipazione pubblica «si applicano … le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato» corrisponde anche all’art. 1, co. 1-bis, l. 7.8.1990, n. 241 e successive modifiche e integrazioni, a mente del quale: «La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente». Al riguardo, non vi era difatti nessuna ragione per ritenere non valido siffatto principio nei casi in cui una p.a. partecipa ad un contratto associativo, che – sotto il profilo ordinamentale – non può essere distinto dai contratti di scambio e altri negozi civilistici. La richiamata norma dell’art. 1, co. 3 del t.u., riferendosi alle eventuali specifiche disposizioni sulle società a partecipazione pubblica introdotte dal d.lgs. n. 175/2016, parla di “deroghe” al c.c. e alle norme privatistiche. Questo significa che il diritto privato costituisce la regola valida in genere, mentre le previsioni derogatorie del d.lgs. n. 175/2016 rappresentano eccezioni specifiche e limitate, di stretta interpretazione. Viene pertanto ribadita una ricostruzione che era già propria della giurisprudenza, la quale non aveva mancato di sottolineare come la partecipazione pubblica, anche integrale, non muti la natura della società partecipata e che da un atto di autonomia privata (e cioè dalla costituzione o partecipazione a società secondo le modalità del codice civile) non può sorgere un ente pubblico, se non interviene la legge ad operare tale qualificazione. Difatti, secondo la consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, le società a partecipazione pubblica: «non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato in tutto o in parte da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico»10. La ricostruzione ora riportata si basa su un rilievo sistematico rappresentato dalla circostanza che: «le disposizioni del codice civile sulle società per azioni a partecipazione pubblica non valgono a configurare uno statuto speciale per dette società e che (alla luce anche di quanto indicato nella relazione al codice) la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta»11. Ed ancora: «Si è pure aggiunto (sulla scorta di S.U. nn. 4989/95, 5085/97, 8454/98) che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti pubblici (Comune, Provincia, etc.) ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dell’azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico: il rapporto tra la società e l’ente locale è di assoluta autonomia, sicché non è consentito» alla p.a. «incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali»12.
Né i principi ora riportati possono dirsi smentiti dalla circostanza che la disciplina degli appalti pubblici stabilisce l’obbligo di seguire determinate procedure in alcune fattispecie relative a società a partecipazione pubblica e che l’art. 133, co. 1, lett. e), n. 1), d.lgs. 2.7.2010, n. 104 devolve al giudice amministrativo le controversie: «relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative». Ed infatti, la stessa giurisprudenza delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione ritiene che si tratti di istituti che operano su piani differenti e rispondano a diversi principi normativi e a diverse finalità; sicché dalla disciplina di derivazione europea in materia di procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica di appalti non derivano conseguenze circa la configurazione giuridica della società e circa la natura della responsabilità dei relativi amministratori e dipendenti13. Peraltro, non era affatto scontata l’affermazione normativa che, «per tutto quanto non derogato» dal t.u., alle società a partecipazione pubblica si applicano le norme civilistiche. Si era infatti talora determinata, nel corso del tempo, la convinzione che le società a partecipazione pubblica non fossero, almeno in molti casi, delle normali società. La teoria dell’organo indiretto della p.a. che identifica un modulo organizzativo anche nella società partecipata (oltre che negli enti pubblici, agenzie o aziende speciali previsti dalla normativa) può essere accolta se esistono specifiche disposizioni, contenute in leggi o regolamenti governativi o ministeriali, che disciplinano “società di diritto singolare”, alle quali – del resto – il t.u. non si applica per puntuale previsione in argomento (cfr. art. 1, co. 4, lett. a) ovvero, ma limitatamente ad alcuni profili, qualora ci si trovi di fronte all’ipotesi, della “società in house”. A proposito delle altre fattispecie di società, differenti dalle due speciali appena menzionate, sembra invece preferibile parlare dell’utilizzo da parte di una p.a. di uno strumento previsto dall’ordinamento, se si vuole “modalità organizzativa” (ma non “modulo organizzativo pubblicistico”), che – in linea di principio – non vede modificato il proprio regime per il fatto della partecipazione pubblica ancorché maggioritaria o totalitaria. Né questa connotazione privatistica delle società partecipate dalla p.a. può far ritenere che si assista e si sostenga una impostazione non garantistica per l’interesse generale. Le norme speciali per le società a partecipazione pubblica possono infatti produrre l’emersione di un regime peculiare e privilegiato per le società (solo perché) partecipate da una p.a. Di converso, il codice civile già offre sufficienti garanzie per l’interesse generale, attraverso tutte le norme alle quali sono sottoposte le società di capitali, ivi comprese le norme penali contenute negli artt. 2621-2641 c.c. Lo spostamento di collocazione ordinamentale, conseguente ad una configurazione pubblicistica o semipubblicistica potrebbe negativamente provocare la disapplicazione di tali norme garantistiche. Inoltre, la sottoposizione al medesimo regime giuridico di tutte le altre società, assicura una parità di trattamento tra gli operatori economici in conformità – del resto – alle regole europee.
Fermo restando il regime giuridico con il quale operano le società ed i soci pubblici esercitano il loro diritti, la fase di formazione della volontà amministrativa di addivenire o partecipare al contratto di società è retta dalle regole della discrezionalità amministrativa. Per tale ragione, sarebbe stata da sempre necessaria una approfondita ponderazione delle varie ipotesi di costituzione o partecipazione ad una società. Ciò, assai spesso, non si è verificato perché le deliberazioni delle p.a. erano, nella pratica, impostate su motivazioni meramente enunciative, come se si fosse trattato di assumere scelte di solo indirizzo politico orientativo. Il t.u., in conformità ai principi, stabilisce che l’atto deliberativo «deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all’articolo 4, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa» (art. 5, co.1). Si tratta di una precisazione che è in linea con le elaborazioni da tempo valide ma troppo spesso disattese, in modo da provocare un uso distorto dello strumento societario, al quale la nuova normativa intende porre rimedio. Si può ricordare che le p.a. in genere sono legittimate a costituire società di capitali e/o ad assumere partecipazioni sulla base della generale capacità di diritto privato, nel rispetto dei seguenti limiti: a) corrispondenza allo scopo istituzionale perseguito dall’ente e conseguente permanenza dell’operato delle società nell’ambito funzionale di quello; b) esclusione di ogni elusione di divieti normativi concernenti le attribuzioni dell’ente ovvero norme precettive di carattere procedurale poste a garanzia di un corretto uso delle risorse pubbliche ad esso affidate; c) impossibilità per l’ente di spogliarsi, in tutto o in parte, di compiti istituzionali implicanti l’esercizio di pubbliche funzioni14.
Non appare invece condivisibile la forte limitazione alle scelte della p.a. che il t.u. ha codificato attraverso l’indicazione degli oggetti sociali (i soli) ammissibili per le partecipate pubbliche. Del resto, la delimitazione (elencazione) delle attività che possono essere svolte da queste società ha provocato l’inserimento nel t.u. di una serie di eccezioni o deroghe molto estese e non sempre coordinate (artt. 4 e 26, tab. A allegata al d.lgs). Considerando la presenza degli oneri di motivazione analitica di cui si è appena detto, i prescritti adempimenti di disclosure compliance e il sistema di monitoraggio introdotto (v. supra § 2.1), sarebbe stato preferibile non delimitare a priori il tipo di attività assumibile. Infatti, ferma restando la congruità di quanto prescritto nell’art. 4, co. 115, si potrebbero verificare casi in cui la partecipazione a società aventi oggetti sociali differenti da quelli elencati nell’art. 4, co. 2 risulta in effetti necessaria, in relazione alle circostanze di fatto ed alla valutazione discrezionale che venga compiuta (soprattutto dagli enti cui la Cost. riconosce autonomia). Invero, non si può sottacere che questa forte delimitazione delle attività ammissibili è stata anticipata da una autorevole interpretazione giurisprudenziale circa l’art. 3, co. 27 ss., l. 24.12.2007, n. 244, che recava il precedente normativo dell’attuale art. 4 del t.u.16, un’interpretazione che non ravvisa la capacità generale di diritto privato degli enti pubblici, almeno per quanto attiene alla partecipazione a società.
Il t.u. stabilisce (art. 4, co. 2, lett. a) che le p.a. possono partecipare a società che producono “servizi di interesse generale”17.
Nel diritto dell’Unione Europea, la nozione di servizio di interesse generale (nella sua declinazione più specifica di “servizio di interesse economico generale” SIEG ed in quella più estesa di “servizio di interesse generale” SIG, che comprende anche i servizi privi di rilevanza economica) è definita sotto il profilo finalistico: le norme parlano, infatti, di una «specifica missione … affidata» alla prestazione dei SIEG (così l’art. 106, par. 2, TFUE), di un «ruolo [dei SIEG] nella promozione della coesione sociale e territoriale» (così l’art. 14 TFUE) e dell’esigenza di perseguire, attraverso la prestazione dei SIEG, «un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente» (così l’art. 1, Protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale all. al TUE e al TFUE). I SIEG (e, per estensione, la generalità dei SIG) si connotano, dunque, per la rispondenza ad interessi non meramente individuali e per la capacità, in quanto tali, di concorrere al perseguimento di obiettivi di coesione sociale e territoriale, sicché la loro esplicazione si deve conformare ad alti livelli di qualità, sicurezza ed accessibilità. Peraltro, fatti salvi i settori economici oggetto di specifiche direttive di armonizzazione, il diritto dell’UE riconosce agli Stati membri «ampio potere discrezionale» (così sempre l’art. 1 del citato Protocollo n. 26) riguardo alla definizione di ciò che essi considerano SIEG (o SIG privi di rilevanza economica). Secondo il diritto europeo, spetta cioè alle autorità pubbliche interne – non solo a livello nazionale, ma anche regionale e locale (secondo il riparto delle rispettive competenze) – decidere in merito alla qualificazione di una data attività come SIEG (o come SIG privo di rilevanza economica). Il limite a tale discrezionalità è dato unicamente da errori manifesti di valutazione. In coerenza con il quadro normativo del diritto dell’UE, il legislatore nazionale definisce oggi come “servizi di interesse generale” le «attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale» (art. 2, co. 1, lett. h del t.u.). L’illustrata ampia discrezionalità riconosciuta alle autorità pubbliche ai fini della qualificazione di una data attività come servizio di interesse generale (abbia o meno esso rilevanza economica) non può non riflettersi anche sull’applicazione dell’art. 4, co. 2, lett. a) del t.u.: è del tutto evidente, infatti, che se un’autorità pubblica – facendo un corretto uso della suddetta discrezionalità (ossia senza incorrere in errori manifesti di valutazione e senza violare specifiche norme settoriali di diritto positivo che vietino di trattare una data attività come SIEG) – ha stabilito che una società, dal medesimo partecipata, fornisca un servizio di cui ha ravvisato l’interesse generale, perché rispondente a bisogni della collettività di riferimento, detta società si deve ritenere riconducibile alla fattispecie societaria di cui all’art. 4, co. 2, lett. a) del t.u. rispetto alla quale le pubbliche amministrazioni possono acquisire e mantenere le partecipazioni azionarie. La partecipazione della p.a. a società che producono un servizio di interesse generale era ammessa anche nel testo originario del t.u. Tuttavia, incontrava comunque il limite di riferimento al territorio se vi fosse stato un ente pubblico territoriale partecipante; ciò in quanto le attività devono essere «strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali» (dell’ente pubblico) (art. 4, co. 1). Considerando gli esistenti casi della partecipazione di enti pubblici a società che producono servizi di interesse generale e che operano sul mercato, il decreto correttivo ha ora disposto che: «Nel rispetto della disciplina europea, è fatta salva la possibilità per le amministrazioni pubbliche di acquisire o mantenere partecipazioni in società che producono servizi economici di interesse generale a rete, di cui all’articolo 3bis del decretolegge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, anche fuori dall’ambito territoriale della collettività di riferimento, in deroga alle previsioni di cui al comma 2, lettera a), purché l’affidamento dei servizi, in corso e nuovi, sia avvenuto e avvenga tramite procedure ad evidenza pubblica. Per tali partecipazioni, trova piena applicazione l’articolo 20, comma 2, lettera e). Resta fermo quanto previsto dall’articolo 16» (art. 4, co. 9-bis). Dunque, limitatamente ai servizi economici di interesse generale a rete (distribuzione del gas, distribuzione di energia elettrica, servizio idrico integrato, servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani e assimilati, trasporti pubblici locali di linea), le società partecipate potranno operare «anche al di fuori dell’ambito territoriale della collettività di riferimento». Il richiamo a quanto previsto dall’art. 16 dovrebbe significare che per le società in house si applica solamente quanto ivi contemplato.
Per lo svolgimento di funzioni amministrative in senso lato, di natura finale o strumentale, esistono figure soggettive probabilmente più appropriate delle normali società partecipate da una pubblica amministrazione. Ci si riferisce, ad esempio, alle «aziende speciali» o «istituzioni» di cui alla l. 27.12.2013, n. 147 (art. 1, co. 550 ss.), che di esse ha fornito un’aggiornata configurazione in coerenza con l’art. 114, co. 4 e 5 bis, d.lgs. 18.8.2000, n. 267; ed ancora alle figure soggettive menzionale nello stesso t.u. e cioè agli «enti associativi diversi dalle società», alle «fondazioni» partecipate da amministrazioni pubbliche (entrambi nell’art. 1, co. 4, lett. b) nonché alle «società a partecipazione pubblica di diritto singolare» previste da specifiche disposizioni contenute in leggi o regolamenti governativi o ministeriali (art. e co. citati, lett. a). In altre parole, la modifica approvata con il d.lgs. correttivo all’art. 4, co. 2, lett. d) del t.u., con l’aggiunta dello «svolgimento delle loro funzioni» (delle amministrazioni pubbliche partecipanti direttamente o indirettamente), quale tipologia ulteriore di attività ammesse, per le società partecipate dalla p.a., non è di certo indicativo di un modello privilegiato ma di una possibilità, quando si verte in ipotesi in cui si vuole disporre di uno strumento specializzato a fianco dei normali apparati della p.a.
Conformemente al loro carattere di società operanti in regime di mercato e rispondenti al principio di libera circolazione dei capitali, il t.u. che reca le deroghe alle norme generali di diritto privato non si applica, salvo che per profili marginali espressamente indicati e circoscritti (art. 8, co. 3; art. 9, co. 9), alle «società quotate» e alle società, ancorché partecipate da p.a., che hanno emesso alla data del 31 dicembre 2015 o abbiano adottato entro il 30 giugno 2016 atti rivolti alla emissione di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati (art. 2, lett. p e 26, co. 5). Il decreto correttivo ora precisa che il t.u. non si applica neppure alle società partecipate dalle quotate (come sopra definite) salvo che tali società così partecipate siano «non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche» (art. 1, co. 5 novellato). Per essere sottoposte al t.u., quando partecipate da una quotata, si deve trattare di società controllate direttamente da una p.a. o controllate indirettamente da essa ma non tramite una quotata o infine direttamente partecipate dalla p.a. (con la precisazione che rimane comunque ferma, per la sottoposizione ai regimi del t.u., la distinzione tra società controllata e società semplicemente partecipata). Il peculiare riconoscimento per lo status di società quotata si ritrova anche negli artt. 4, co. 9 (agevolazione della quotazione); 18 (quotazioni e dismissioni del controllo pubblico); 26, co. 4 e 5 (differimento dell’applicazione del t.u. nelle more della quotazione); 27 (esclusione delle quotate e loro partecipate dall’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 14.3.2013, n. 33). La ratio di quanto previsto per le quotate dal t.u. risiede nella penetrante disciplina sui mercati finanziari stabilita dal d.lgs. n. 58/1998, che prevede forme di vigilanza ed operatività non differenziabili e sulle quali non possono interferire altre discipline pubblicistiche18.
L’art. 41 Cost. implica la pariordinazione tra iniziative economica privata e iniziativa economica pubblica. L’ordinamento europeo ha rafforzato il valore di questa scelta, perché le p.a. devono trattare gli operatori economici su un piano di parità e in modo non discriminatorio ed agire con trasparenza e proporzionalità; nel contempo, il diritto europeo fa salvi i regimi di proprietà esistenti negli Stati membri e, in particolare, non richiede la privatizzazione delle imprese pubbliche che forniscono servizi al pubblico. L’odierno t.u. risulta del tutto in linea con tale impostazione perché la sottoposizione al diritto privato delle società partecipate da una p.a. implica anche che esse non possono essere destinatarie di privilegi o regimi speciali differenziati. Nel contempo, la puntuale identificazione delle figure delle società in house (art. 16) e delle società a partecipazione mista pubblico-privata (art. 17) delimita a tali figure le possibilità di regimi speciali di affidamento di lavori, forniture e servizi o attività strumentali in genere da parte di p.a. Si è pervenuti dunque ad un assetto equilibrato ed in linea con i principi. L’eventuale venire meno o la destabilizzazione di questo dato ordinamentale, che eliminassero o attenuassero univocità e coerenza della disciplina recata dal t.u., potrebbero riaprire le insoddisfacenti stagioni in cui le partecipazioni pubbliche avevano smarrito i criteri di efficienza, efficacia ed economicità ed erano un modello cui si ricorreva in maniera enfatica, anche quando non si voleva dare luogo a dismissioni o privatizzazioni, e nonostante l’esistenza di altri omologhi modelli di diritto pubblico (enti pubblici economici e aziende speciali).
1 Pres. Grossi, P., Red. Sciarra, S.
2 Cfr. per tutti Mattarella, B.G., Delega legislativa e principio di leale collaborazione, in Giorn. dir. amm., 2017, 179 ss.
3 Cfr. i precedenti che erano tutti nel senso della inerenza del tema all’ordinamento civile e/o alla tutela della concorrenza: C. cost., 1.8.2008, n. 326 (Red. Cassese, S.); C. cost., 23.12.2008, n. 439 (Red. Quaranta, A.); C. cost., 8.5.2009, n. 148 (Red. Tesauro, G.); C. cost., 7.6.2012, n. 148 (Red. Silvestri, G.). Le occasioni nelle quali il giudice delle leggi ha ravvisato l’incostituzionalità di norme statali sulle società partecipate da p.a., per violazione della competenza in materia di organizzazione e funzionamento della Regione, hanno invero riguardato profili particolari, come l’obbligo di scioglimento o dismissione delle partecipazioni in società strumentali delle pubbliche amministrazioni con un fatturato superiore al 90 per cento in favore di esse (C. cost., 23.7.2013, n. 229, Red. Tesauro, G.) o come l’obbligo per le Regioni di adeguarsi alle norme statali per quanto attiene alla disciplina dei compensi degli amministratori di società da esse partecipate (C. cost., 20.5.2008, n. 159, Red. De Siervo, U.).
4 Cons. St., comm. spec., 17.1.2017, n. 83, Pres. Carbone, L., Est. Neri V., Lopilato V.
5 Sia consentito rinviare a Caia, G., Società partecipate, in Libro dell’Anno del Diritto 2017, Roma, 2017, spec. 221 ss.
6 Cfr. il parere Cons. St. sullo schema del d.lgs. correttivo, Comm. spec., 14.3.2017, n. 638, Pres. Carbone, L., Est. Neri, V., Lopilato, V., Tarantino, L.M.; le Schede di lettura. Testo unico sulle società a partecipazione pubblica, Dossier-XVII legisl. dei Servizi Studi di Senato e Camera, settembre 2017; nonché C. conti, sez. autonomie, deliberazione 19.7.2017, n. 19, Linee di indirizzo per la revisione straordinaria delle partecipazioni di cui all’art. 24, D.LGS. n. 175/2016, Pres. De Girolamo, A.T., Rel. Grasselli, A., Corsetti, A.
7 Bonura, H.Fonderico, G., Il testo unico sulle società a partecipazione pubblica, in Giorn. dir. amm., 2016, 722 ss.; Cerioni, F., a cura di, Le società pubbliche nel testo unico. D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Milano, 2017; D’Aries, C.Gliniansky, S.Tessaro, T., Testo unico in materia di Società a partecipazione pubblica. Commento articolo per articolo del D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Rimini, 2016; Meo, G.Nuzzo, A., a cura di, Il testo unico sulle società pubbliche. Commento al d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Bari, 2016.
8 Cfr. anche Barbieri, C., Le società a partecipazione pubblica e le deroghe normative al Codice civile (nelle valutazioni della giurisprudenza), in www.giustamm.it; Calcagnile, M., La razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica, in Giorn. dir. amm., 2017, 441 ss.; Cirillo, G.P., Modelli societari e organizzazione dei servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 1067 ss.; Dugato, M., Le società a partecipazione pubblica tra efficienza e responsabilità, in Munus, 2016, 521 ss.; Mattarella, B.G., Le società a partecipazione pubblica. Tipologie, efficienza e questioni interpretative, relazione al 63° Convegno di Studi Amministrativi, Varenna, 2123 settembre 2017. Sia consentito aggiungere Caia, G., La disciplina sulle società a partecipazione pubblica, in Giorn. dir. amm., 2017, 601 ss.
9 Cfr. art. 4, co. 13, ultimo periodo, d.l. 6.7.2012, n. 95, conv. in l. 7.8.2012, n. 135, secondo il quale: «Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali».
10 Così, per tutte, Cass. civ., S.U., 5.4.2013, n. 8352.
11 Così Cass. civ., S.U., 9.3.2012, n. 3692.
12 Così Cass. civ., S.U., 1.12.2016, n. 24591.
13 Cfr., su questi profili, Cass. civ., S.U., 5.7.2011, n. 14655 e Cass. civ., S.U., n. 3692/2012; Cass. civ., S.U., 22.1.2015, n. 1159; Cass. civ., S.U., 21.7.2015, n. 15199; Cass. civ., S.U., 13.11.2015, n. 23306; Cass. civ., S.U. 13.4.2016, n. 7293; Cass. civ., Sez. I, 7.2.2017, n. 3196.
14 Cfr. la sempre attuale pronuncia di C. conti, sez. contr. enti, 22.7.1986, n. 1883 (Pres. Di Stefano, Rel. Zambrano, V.).
15 «Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società».
16 Cons. St., A.P., 3.6.2011, n. 10 (Pres. De Lise, P., Est. De Nictolis, R.): «l’attività di impresa è consentita agli enti pubblici solo in virtù di espressa previsione»; «l’ente pubblico che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse deroghe normative»; la «società commerciale facente capo ad un ente pubblico, operante sul mercato in concorrenza con operatori privati, necessita di previsione legislativa espressa e non può ritenersi consentita in termini generali».
17 Calcagnile, M., Monopoli e privative nei servizi di interesse economico generale, in Giorn. dir. amm., 2017, 634 ss.
18 Già da molti anni sono presenti norme che esonerano le società quotate e le loro controllate dalle disposizioni normative che fanno riferimento alle società partecipate da p.a. Si ricordano: in tema di limiti ai compensi degli amministratori delle società a partecipazione pubblica, art. 1, co. 733, l. 27.12.2006, n. 296; in tema di limiti alla costituzione ed al mantenimento di società a partecipazione pubblica, art. 3, co. 32 ter, l. n. 244/2007; in tema di giurisdizione sulle controversie riguardanti la responsabilità degli amministratori delle società a partecipazione pubblica, art. 16 bis, d.l. 31.12.2007, n. 248, conv. in l. 28.2.2008, n. 31 («Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»); in tema di reclutamento del personale delle società pubbliche, art. 18, co. 3, d.l. 25.6.2008, n. 112, conv. in l. 6.8.2008, n. 133; in tema di limiti all’assunzione di personale nelle società pubbliche, art. 76, co. 7, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008; in tema di norme riguardanti il contenimento della spesa pubblica, art. 34, co. 32, d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. in l. 17.12.2012, n. 221; in tema di limiti nella composizione dei consigli di amministrazione di società pubbliche, art. 4, co. 13, d.l. n. 95/2012, conv. in l. n. 135/2012; in tema di norme riguardanti la parità di accesso agli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche, art. 1, d.P.R. 30.11.2012, n. 251; in tema di norme sulle incompatibilità presso enti di diritto privato in controllo pubblico, art. 22, co. 3, d.lgs. 8.4.2013, n. 39; in tema di obblighi di pubblicazione riguardanti dati relativi alle società pubbliche, art. 22, co. 6, d.lgs. n. 33/2013 (cfr. ora la corrispondente disposizione di cui all’art. 2, lett. b del testo novellato del d.lgs. n. 33/2013).