Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La lotta per l’indipendenza della Grecia e le rivoluzioni liberali in Spagna, a Napoli e a Torino segnano il primo incrinarsi del sistema politico e ideologico nato con il Congresso di Vienna. Ne sono protagoniste un po’ ovunque e con diversa fortuna le associazioni segrete, all’interno delle quali la tradizione massonica e le recenti esperienze della milizia napoleonica cominciano a cedere il passo ai fautori della libertà costituzionale e dell’indipendenza nazionale.
La rivoluzione spagnola
È significativo che la prima rivoluzione apertamente costituzionale nell’età della Restaurazione avvenga in un Paese come la Spagna, nel quale è particolarmente diffuso l’associazionismo segreto tra militari.
Sono infatti i militari, secondo uno schema che si ritroverà anche altrove in Europa, ad avvertire più intensamente una perdita di prestigio sociale ed economico che imputano alla politica conservatrice dei monarchi restaurati. Nel caso della Spagna, poi, questo sentimento pare aggravato dal ruolo patriottico svolto dai militari nella guerra antinapoleonica, disconosciuto dal sovrano Ferdinando VII di Borbone con la revoca della Costituzione inizialmente concessa nel 1812. L’insurrezione di Cadice (1° gennaio 1820), perciò, punta in primo luogo al ripristino delle garanzie costituzionali, trovando così il consenso delle pur minoritarie forze riformatrici, in un Paese tradizionalmente dominato dalla grande proprietà terriera e da un clero cattolico particolarmente retrivo.
Nel successivo confronto tra le forze riformatrici questo consenso assume due diversi orientamenti: da un lato, i democratici si battono per radicali misure di trasformazione sociale che siano capaci di soddisfare antiche rivendicazioni della popolazione contadina, sottraendola all’influenza del clero e legandola alla causa del governo costituzionale; dall’altro, invece, i liberali temono un allargamento della rivoluzione in senso sociale e preferiscono attestarsi sulla difesa delle istituzioni parlamentari senza affrontare la questione della proprietà terriera. Del resto, questa divisione delle forze costituzionali tra liberali e democratici si riproporrà anche in altri contesti europei, provocando un inevitabile indebolimento di entrambe le forze e favorendo il successo del legittimismo monarchico. Aiutato dall’intervento francese (deciso per sollecitazione austriaca nel Congresso di Verona dell’ottobre del 1822) e dall’appoggio di un clero che non esita a impegnare le “bande della fede” in un’autentica guerra civile antiliberale, già nel 1823 Ferdinando riafferma la propria sovranità assoluta, revocando nuovamente la Costituzione e sciogliendo il parlamento.
Napoli e Torino
La rivoluzione scoppiata a Napoli nel luglio del 1820 ha anch’essa all’origine il sollevamento di elementi militari affiliati alla Carboneria e anch’essa, nel suo breve arco di vita, conosce la distinzione tra forze riformatrici liberali e democratiche. Il quadro napoletano, tuttavia, come sarà poi per quello torinese, è ulteriormente complicato dalla forza dell’egemonia austriaca imposta all’intera penisola italiana dal Congresso di Vienna.
Già preoccupata per gli sviluppi della situazione spagnola, nel congresso di Troppau dell’ottobre del 1820 l’Austria non esita a far valere la legittimità di un intervento militare in quei Paesi che vedono minacciati i principi politici e ideali posti a base della Restaurazione del 1815.
Per fronteggiare questa nuova formulazione del diritto, che implica un controllo della situazione italiana anche laddove sono presenti sovranità formalmente riconosciute – come nel caso di Napoli –, si cerca di guadagnare il monarca alla causa costituzionale, e a questo si adoperano i liberali napoletani.
Ma, nonostante la condotta moderata di governo, Ferdinando I di Borbone tradisce la loro causa.
Nel congresso convocato a Lubiana nel gennaio del 1821, chiamato a spiegare le ragioni che lo hanno portato a concedere la Costituzione, Ferdinando non difende (come era nelle loro attese) l’operato dei liberali, ma dichiara di esservi stato costretto con la forza e chiede l’intervento militare delle potenze europee per essere reintegrato nelle sue prerogative di sovrano assoluto. Seppure con modalità diverse, la rivoluzione piemontese del marzo del 1821 ricalca lo stesso schema. Anche qui le forze liberali, temendo contraccolpi internazionali, cercano di ottenere la copertura della monarchia sabauda; l’interlocutore viene individuato nell’irrequieto principe Carlo Alberto di Carignano, destinato alla successione del vecchio Vittorio Emanuele I. Al momento dell’insurrezione militare (avvenuta l’8 marzo 1821 ad Alessandria) Carlo Alberto rifiuta però di assumere con chiarezza la guida della rivoluzione costituzionale, subordinando la propria azione al consenso di Carlo Felice, il reazionario fratello di Vittorio Emanuele I, divenuto re dopo la sua abdicazione, seguita alla rivolta di Alessandria. Il comportamento ambiguo e incerto di Carlo Alberto disorienta il nuovo governo liberale, presieduto dal conte patriota Santorre di Santarosa, favorendo la ripresa delle forze anticostituzionali e l’intervento militare austriaco.
I fallimenti di Napoli e di Torino rivelano la totale assenza di una vocazione riformatrice da parte dei sovrani italiani e il loro pieno inserimento in un sistema internazionale della Restaurazione che ha nell’Austria il suo principale punto di riferimento.
I decabristi
Le associazioni segrete a base militare sono particolarmente attive nella Russia della Restaurazione. Qui, forse più che in Europa, pesano le rigide distinzioni che impediscono a ufficiali della piccola e della media borghesia di raggiungere i gradi più elevati dell’esercito, riservati alle famiglie della grande nobiltà. In Russia, dove nelle campagne è ancora presente la servitù della gleba, domina poi il tema della modernizzazione economica e con esso quello della modernizzazione culturale, dal momento che il controllo esercitato sulle manifestazioni del pensiero è qui (specie a partire dalla riforma universitaria voluta dal ministro Arakceev) ancor più rigido che negli altri Stati europei.
La rivolta militare del dicembre del 1825 a San Pietroburgo, che pure immagina di poter approfittare dell’incerta situazione succeduta alla morte dello zar Alessandro I, viene in realtà facilmente repressa. Essa testimonia così il carattere elitario del movimento riformatore in Russia, ma più in generale conferma un dato comune a tutto l’insurrezionalismo europeo degli anni Venti, legato alle società segrete. Questo associazionismo rivela ovunque una scarsa capacità di mobilitare strati ampi e diversi delle società in cui intende intervenire, anche a causa delle sue gelose forme di ritualità iniziatica e di una forte struttura gerarchica che, se può essere utile a evitare persecuzioni poliziesche, riesce difficilmente a comunicare all’esterno idealità e progetti.
L’indipendenza greca
Il successo della lotta per l’indipendenza della Grecia mostra come nel corso degli anni Venti, nonostante i fallimenti, il sistema della Restaurazione stia indebolendosi e particolarmente sul piano delle relazioni internazionali. Nel Congresso di Verona l’Inghilterra si dissocia dalla decisione di intervenire in Spagna, mentre l’accresciuta influenza dell’Austria sulla penisola italiana – dopo le repressioni di Napoli e di Torino – è vista con preoccupazione sia dalla Francia sia dalla Russia, allarmate per gli equilibri nel Mediterraneo. La coalizione di potenze che si era espressa a Vienna tende, insomma, a disfarsi sotto la sollecitazione di specifici interessi nazionali. Di ciò, indubbiamente, si avvantaggia il moto rivoluzionario ellenico che vede convergere Russia, Gran Bretagna e Francia nel progetto di uno Stato greco sottratto all’Impero ottomano con implicito intento antiaustriaco.
Non è tuttavia estraneo alla vittoria greca, e anche al formarsi di questa inedita alleanza, l’orientamento dell’opinione pubblica europea. Alimentato dalle grandi memorie della classicità, negli anni Venti il filoellenismo diventa una grande bandiera dell’intellettualità europea. Per la causa dell’indipendenza greca si raccolgono fondi, si creano associazioni e si diffondono giornali; in molti casi – celebri quelli di Byron e di Santorre di Santarosa – si parte anche per andare a combattere e a morire, esprimendo così un’ansia di libertà che attraversa tutta la generazione romantica e che prepara le vittoriose rivoluzioni degli anni Trenta.