Le spese nel processo di espropriazione forzata
Una recente pronuncia della Cassazione ha affrontato il tema delle spese dell’espropriazione forzata, ribadendo il consolidato orientamento che esclude la ripetibilità di tali spese al di fuori del processo esecutivo. Più che un vero e proprio credito nei confronti del debitore esecutato, le spese costituirebbero pertanto un diritto di prelievo a carico del ricavato, che potrebbe essere soddisfatto soltanto nei limiti della capienza di quest’ultimo. Il contributo esamina criticamente tale orientamento, evidenziando le ragioni (anche di ordine costituzionale) che inducono a preferire l’opposta soluzione. In particolare, in favore dell’opinione oggi ribadita dalla Suprema Corte non pare decisivo il timore di abusi da parte del creditore in mala fede, potendo detti abusi essere scongiurati mediante opportuni accorgimenti da adottare in concreto, senza negare in linea di principio il diritto al rimborso delle spese, costituente naturale complemento (costituzionalmente garantito) della tutela giurisdizionale.
Con la recente sentenza 5.10.2018, n. 24571, la S.C. è tornata ad affrontare il tema delle spese nell’espropriazione forzata, ribadendo il proprio consolidato orientamento secondo cui il diritto del creditore al rimborso delle spese dell’espropriazione potrebbe essere soddisfatto solo all’interno del processo esecutivo e nei limiti della capienza del ricavato, restando per contro esclusa la sua tutelabilità in un separato giudizio. Nella specie, un avvocato aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento dell’importo spettantegli, in qualità di difensore distrattario, per l’attività svolta in una procedura di espropriazione presso terzi, importo liquidato a suo favore con l’ordinanza di assegnazione ma non incassato per incapienza del ricavato.
Nell’accogliere il ricorso contro la sentenza d’appello confermativa di quella di primo grado che aveva rigettato l’opposizione, la S.C. ha enunciato il seguente principio di diritto: «Il giudice dell’esecuzione, quando provvede alla distribuzione o assegnazione del ricavato o del pignorato al creditore procedente e ai creditori intervenuti, determinando la parte a ciascuno spettante per capitale, interessi e spese, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell’esecuzione, in tal caso ammissibile, implica, come tale, un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato, sicché le suddette spese, quando e nella misura in cui restino insoddisfatte, sono irripetibili».
Il c.p.c. del 1940, a differenza di quello del 1865, detta un’apposita disciplina delle spese dell’esecuzione forzata1. L’art. 95 c.p.c., rubricato Spese del processo esecutivo, si occupa in realtà della sola espropriazione2, stabilendo che «Le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l’esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile».
Secondo l’opinione prevalente, questa disposizione andrebbe interpretata nel senso che il diritto del creditore procedente e dei creditori intervenuti al rimborso delle spese dell’espropriazione potrebbe essere riconosciuto soltanto nei limiti in cui esso riesca a trovare collocazione sulla somma ricavata. Ove ciò non si verifichi, vuoi perché il processo esecutivo si chiuda senza addivenire alla vendita del bene pignorato, vuoi perché il ricavato non sia sufficiente, le spese rimarrebbero a carico del creditore che le ha anticipate, il quale non potrebbe recuperale in un successivo processo3.
Oltre che sulla lettera dell’art. 95, e in particolare sul riferimento all’«utile partecipazione» alla distribuzione quale condizione affinché sia riconosciuto il diritto al rimborso delle spese sostenute dai creditori intervenuti4, questa interpretazione si fonda su alcuni argomenti di carattere sistematico.
1) Il primo argomento consiste nella considerazione secondo cui, nell’espropriazione forzata, a differenza di quanto si verifica nel processo di cognizione e nella stessa esecuzione in forma specifica, il diritto del creditore al rimborso delle spese non avrebbe «natura e carattere di un vero e proprio credito verso l’espropriato», configurandosi piuttosto come un diritto «a collocazione preferenziale sul ricavato»: un diritto nascente «dall’esercizio dell’azione esecutiva, cioè nel processo e dal processo», la cui realizzazione è «garantita in quest’ambito; ma non concessa e non ammessa fuori di lì»5.
2) Si istituisce, poi, una sorta di parallelismo tra accoglimento della domanda nel processo di cognizione e soddisfazione del credito nell’espropriazione forzata, identificandosi così nel creditore soddisfatto l’omologo “esecutivo” dell’attore vittorioso. Pur avvertendosi, in linea di principio, che al processo esecutivo risulta inapplicabile la nozione di soccombenza6, si osserva che «sotto altro aspetto non vi è sostanziale differenza tra la regola contenuta nell’art. 91 e quella espressa nella norma in esame. Entrambe infatti stabiliscono un obbligo a carico di colui, nei confronti del quale è accolta la domanda, tendente all’emanazione di un provvedimento giurisdizionale; questo è costituito nel processo di cognizione, di regola, dalla sentenza di accoglimento; nel processo esecutivo, dall’assegnazione o dalla distribuzione del ricavato»7.
3) Infine, con particolare riguardo all’ipotesi in cui la mancata soddisfazione del creditore sia la conseguenza della conclusione anticipata del processo esecutivo, la tesi che afferma l’impossibilità per il creditore procedente e per gli eventuali intervenuti di ottenere il rimborso delle spese sostenute trova ulteriore sostegno nell’assimilazione di tali ipotesi di chiusura «non satisfattiva» del processo esecutivo all’estinzione, con conseguente applicabilità della regola dettata dall’art. 310, ult. co., c.p.c. (richiamato, in materia esecutiva, dall’art. 632, ult. co.), secondo cui le spese restano a carico di chi le ha anticipate8.
Sulla base di questi argomenti, si ritiene dunque che, ogniqualvolta non riescano a trovare utile collocazione sul ricavato, le spese dell’espropriazione restino a carico del creditore, il quale ne sopporta definitivamente il peso, senza poterne esigere il rimborso in un separato processo (né, tanto meno, soddisfare il relativo credito in occasione di una successiva esecuzione intrapresa per soddisfare il credito principale). Sennonché è sufficiente porre mente al significato che assume, nel nostro ordinamento, il diritto al rimborso delle spese, per accorgersi che si tratta di conclusione del tutto insoddisfacente, sulla quale gravano pesanti sospetti di incostituzionalità. Invero, il diritto del vincitore al rimborso delle spese trova fondamento nell’esigenza che il valore economico del diritto non sia diminuito dalle spese necessarie alla sua attuazione giudiziaria, e dunque, in ultima analisi, nel principio secondo cui il processo deve assicurare al titolare del diritto quelle stesse utilità che egli avrebbe potuto conseguire per effetto dell’adempimento spontaneo9. Orbene, questo principio deve trovare applicazione non soltanto nell’ambito del processo di cognizione, ma anche nella successiva fase dell’esecuzione forzata, la quale, come più volte riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale10, costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale dei diritti garantita dall’art. 24 Cost. Da un certo punto di vista, potrebbe anzi dirsi che la necessità che al titolare del diritto vengano rimborsate le spese fatte per la sua attuazione emerge nel processo esecutivo ancor più nettamente di quanto non avvenga nel processo di cognizione, e ciò in quanto nell’esecuzione forzata il diritto, della cui attuazione si tratta, è, per definizione, un diritto «certo», onde l’imputazione delle spese al suo titolare non potrebbe qui neppure in astratto essere giustificata con la (pretesa) diminuzione di valore che il diritto subirebbe per effetto della sua controvertibilità11. Che le spese di cui il titolare del diritto deve essere indennizzato siano non soltanto quelle finalizzate all’accertamento del diritto, ma tutte quelle necessarie per la sua attuazione, appare del resto dimostrato dalla disposizione (art. 1196 c.c.), che pone a carico del debitore le spese dell’adempimento: disposizione che rinviene il suo fondamento proprio nell’esigenza di far sì che il credito venga soddisfatto nella sua integrità, e che non può evidentemente essere disattesa allorquando, non verificandosi l’adempimento spontaneo, il titolare del diritto sia costretto a ricorrere all’esecuzione forzata12. Ciò è invece proprio quanto si verifica seguendo l’opinione che pone definitivamente a carico del creditore le spese dell’esecuzione che non abbiano trovato utile collocazione sul ricavato. Per effetto dell’esecuzione (almeno parzialmente) infruttuosa, il diritto del creditore subisce infatti una diminuzione di valore, corrispondente all’importo delle spese non recuperate. Ciò che il creditore ottiene (o potrà ottenere in futuro mediante una nuova esecuzione) non è «tutto quello e proprio quello» che egli aveva diritto di conseguire, bensì l’importo originario decurtato delle spese.
Anche gli argomenti su cui l’opinione qui criticata si fonda non sembrano, d’altra parte, resistere ad una più attenta considerazione. Ciò vale, in primo luogo, per l’argomento secondo cui il diritto al rimborso delle spese non darebbe luogo ad un vero e proprio credito verso l’esecutato. In senso contrario può infatti rilevarsi, già sul piano dell’interpretazione letterale, che di credito parlano espressamente gli artt. 2755 e 2770 c.c., che disciplinano il privilegio speciale che assiste, per l’appunto, i «crediti per spese di giustizia» fatte, nell’interesse comune dei creditori, per l’espropriazione, rispettivamente, di beni mobili o immobili13. A parte ciò, nel senso dell’esistenza di un credito al rimborso delle spese sembrano deporre, da un lato, il già ricordato art. 1196 c.c., in tema di spese del pagamento, che non sembra poter essere letto se non nel senso che le spese costituiscono oggetto di un vero e proprio obbligo del debitore, accessorio a quello principale14; dall’altro, l’art. 494, co. 1, c.p.c., che consente al debitore di evitare il pignoramento versando nelle mani dell’ufficiale giudiziario, con l’incarico di consegnarli al creditore, non soltanto la somma per cui si procede, ma anche l’importo delle spese, ciò che evidentemente presuppone l’esistenza di un diritto del creditore a ricevere tale importo15. Sotto altro profilo, si è giustamente sottolineata16 la difficoltà di concepire un diritto verso la massa nell’espropriazione singolare, dove (a differenza di quanto si verifica nel fallimento) non si costituisce attraverso la curatela un’autonoma gestione del patrimonio colpito da esecuzione e nella quale le spese dei singoli atti di esecuzione sono sostenute direttamente dai creditori per finalità in molti casi estranee alla conservazione e alla liquidazione in denaro della massa attiva: si pensi, ad es., alle spese effettuate dai creditori intervenuti, il diritto al rimborso delle quali è non a caso collocato nello stesso grado del credito principale, al modo di un accessorio dello stesso. Da ultimo, in favore della tesi qui sostenuta non è privo di significato osservare che un credito al rimborso delle spese è sicuramente configurabile nell’esecuzione in forma specifica, dove gli artt. 611 e 614 c.p.c., con riguardo, rispettivamente, all’esecuzione per consegna o rilascio e a quella di obblighi di fare o non fare, prevedono l’emanazione, da parte del giudice dell’esecuzione, di un decreto di liquidazione delle spese17 costituente titolo esecutivo. Orbene, se si considera che la funzione del diritto al rimborso delle spese è sempre la stessa, tanto nell’esecuzione in forma specifica quanto nell’espropriazione forzata (ossia quella di far sì che il diritto per cui si agisce in via esecutiva venga soddisfatto nella sua integrità), appare ragionevole ritenere che tale diritto assuma la medesima configurazione (di vero e proprio credito verso l’esecutato) in tutti i tipi di esecuzione18. In secondo luogo, non può essere accolta l’analogia istituita dall’opinione in esame tra accoglimento della domanda nel processo di cognizione e utile partecipazione alla distribuzione nell’espropriazione forzata. Non può sfuggire, infatti, la profonda differenza che sussiste tra il processo di cognizione, in cui l’esistenza del diritto dedotto in giudizio è accertata solo alla fine del processo, per effetto della sentenza che accoglie la domanda, e il processo esecutivo, in cui, stante l’esistenza del titolo esecutivo, il diritto del creditore deve ritenersi «certo» (sia pure nel senso relativo e convenzionale fatto proprio dall’art. 474 c.p.c.) sin dal principio (e finché non sia accertata in sede di opposizione all’esecuzione l’inesistenza del diritto di agire in executivis). Ne discende che, se proprio si vuole istituire un’analogia, questa deve essere non tra l’attore vittorioso e il creditore utilmente collocato in sede di riparto, ma semmai tra l’attore vittorioso e il creditore, che tale risulti in base al titolo esecutivo19. Orbene, mentre nel processo di cognizione l’attore che ha ragione vede per definizione accolta la propria domanda e ha dunque sempre la possibilità di ottenere la condanna del soccombente alla rifusione delle spese, nel processo esecutivo il creditore può non vedere soddisfatto il suo credito per ragioni (quali l’incapienza del ricavato) affatto indipendenti dalla sua volontà e che non implicano alcun accertamento dell’inesistenza del suo diritto (per la cui soddisfazione egli potrà infatti intraprendere una nuova esecuzione). Ritenere che in tali casi egli non possa recuperare in alcun modo le spese dell’esecuzione significa dunque privare il titolare del diritto di quel “naturale complemento” della tutela giurisdizionale costituito dal diritto al rimborso delle spese, determinando così un esito diametralmente opposto a quello che consegue, nel processo di cognizione, all’applicazione del principio della soccombenza. Da ultimo, e con particolare riguardo alle ipotesi di chiusura anticipata del processo esecutivo, non può essere accolta l’opinione che estende a tutte tali ipotesi di cd. estinzione atipica20 la disposizione dettata dall’art. 632, ult. co., c.p.c. in tema di estinzione per inattività delle parti. Invero, indipendentemente dal problema più generale (che non è ovviamente possibile affrontare in questa sede) del rapporto tra chiusura anticipata ed estinzione21, un’indiscriminata assimilazione della prima alla seconda non si giustifica proprio sul piano delle spese. Per convincersene, basta porre mente alla ratio della regola secondo cui le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate, e al significato che detta regola assume nell’ambito del processo esecutivo, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 632, ult. co., c.p.c. Invero, nel processo di cognizione la regola secondo cui le spese del processo estinto restano a carico di chi le ha anticipate risponde alla considerazione secondo cui in caso di estinzione il processo si chiude senza pervenire all’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza del diritto fatto valere in giudizio22. Questa ratio, tuttavia, non può valere nel processo di esecuzione, dove il diritto del creditore è accertato a monte nel titolo esecutivo; sicché in tale diverso contesto l’esclusione del diritto al rimborso rappresenta essenzialmente una sanzione per il creditore che con la propria inattività ha determinato l’estinzione23. Ciò dimostra, se non ci inganniamo, che non è possibile applicare il disposto dell’art. 632, ult. co., c.p.c. a tutti i casi di chiusura anticipata del processo esecutivo24, essendo invece necessario distinguere tra:
a) casi in cui la chiusura anticipata del processo esecutivo è riconducibile ad una inattività del creditore (es., mancata proposizione dell’istanza di vendita nel termine previsto dall’art. 497 c.p.c.; mancato deposito della documentazione ipocatastale a norma dell’art. 567 c.p.c.; mancato deposito della sentenza da parte del creditore sequestrante nell’ipotesi contemplata dall’art. 156 disp. att. c.p.c.): in tali casi (del resto agevolmente riconducibili nell’ambito dell’estinzione «tipica»)25 trova senz’altro applicazione la regola dettata dall’art. 632, ult. co., sicché le spese restano a carico di chi le ha anticipate26;
b) casi in cui la chiusura del processo esecutivo consegue all’accoglimento dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. o comunque all’accertamento, anche in sede stricto sensu esecutiva, dell’inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione: in questi casi il creditore procedente viene a trovarsi in una situazione analoga a quella del soccombente nel processo di cognizione, sicché le spese del processo andranno poste a suo carico in applicazione della regola generale dell’art. 91 c.p.c.27;
c) casi, infine, in cui il processo esecutivo si chiude per l’oggettiva impossibilità di una sua (utile) prosecuzione (perimento del bene pignorato, in fruttosità della vendita forzata, ecc.): in questi casi28, non essendo configurabile a carico del creditore alcuna soccombenza né sussistendo i presupposti per l’applicazione della regola dettata dall’art. 632, ult. co., le spese vanno poste a carico del debitore, poiché l’infruttuosità dell’esecuzione non può scalfire il diritto del creditore (che tale rimane fino a quando non venga accertata l’inesistenza del suo diritto di agire in executivis) a vedere soddisfatto il suo credito «nella maggiore possibile integrità».
Tale conclusione, del resto, non sembra rinvenire nella formulazione dell’art. 95 c.p.c. un ostacolo insormontabile. Invero, l’art. 95 è ispirato alla considerazione secondo cui «sarebbe incongruo che il creditore, pur potendo vedere realizzate in toto le sue ragioni nel momento in cui il processo si chiude (data a presenza del ricavato) dovesse invece attendere il pagamento da parte dell’attuale esecutato, per ricorrere in caso di inadempimento ad una ulteriore autonoma esecuzione»29. La norma, cioè, muove dal presupposto che un ricavato vi sia e che il credito al rimborso delle spese possa trovare utile collocazione su di esso, mentre lascia del tutto impregiudicato l’interrogativo se tale diritto possa essere tutelato al di fuori dell’esecuzione in corso in caso di mancanza o insufficienza del ricavato medesimo30. Orbene, che a quest’interrogativo debba darsi risposta affermativa discende, oltre che da tutte le considerazioni che precedono, anche dalla necessità di evitare un’irragionevole disparità di trattamento con l’esecuzione in forma specifica, dove gli artt. 611 e 614 c.p.c. consentono al creditore di ottenere la liquidazione delle spese dell’esecuzione con provvedimento del g.e. costituente titolo esecutivo. Tale disparità di trattamento non potrebbe giustificarsi osservando che nell’esecuzione in forma specifica, mancando un ricavato, l’emanazione di un provvedimento di condanna in grado di costituire titolo per un’autonoma esecuzione rappresenta una soluzione obbligata; mentre nell’espropriazione forzata il credito alle spese, potendo trovare collocazione sul ricavato dalla vendita, non potrebbe essere soddisfatto al di fuori dell’esecuzione in corso. Evidente è invero l’errore, da cui un simile ragionamento sarebbe affetto: l’astratta possibilità di soddisfare il diritto al rimborso delle spese all’interno del processo esecutivo, mediante collocazione sul ricavato, non implica affatto che tale diritto possa essere soddisfatto soltanto all’interno del processo esecutivo e nei limiti in cui riesca, in concreto, a trovare collocazione sul ricavato. Vero è invece che anche nell’espropriazione forzata, così come nell’esecuzione in forma specifica, il creditore ha diritto al rimborso delle spese che abbia anticipato, salvo che sia accertata l’inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata ovvero sopravvenga l’estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti; questo diritto, che ha natura e consistenza di un vero e proprio credito verso l’espropriato, deve poter essere tutelato mediante un provvedimento di condanna costituente titolo esecutivo, esattamente come avviene nell’esecuzione in forma specifica in virtù dei richiamati artt. 611 e 614 c.p.c.; l’art. 95, per evidenti ragioni di economia processuale, consente (e in ciò è dato cogliere il suo significato precettivo)31 di soddisfare, ove possibile, il credito alle spese all’interno del processo esecutivo mediante collocazione sul ricavato, evitando così al creditore l’instaurazione di un autonomo processo; tale possibilità, evidentemente estranea all’esecuzione in forma specifica, non può peraltro risolversi in una deminutio di tutela quante volte, a causa della mancanza o dell’insufficienza del ricavato, il creditore non riesca a conseguire all’interno del processo l’integrale rimborso delle spese anticipate32.
Tali argomenti, già formulati da chi scrive in una precedente occasione33, non hanno fatto breccia nell’orientamento della S.C., che, nella pronuncia da cui prendono spunto queste riflessioni, sembra attribuire un peso determinante al timore di possibili abusi da parte del creditore in mala fede (o, più spesso, del suo difensore), che intenda servirsi del processo esecutivo al solo scopo di lucrarne le spese, aggravando così ingiustificatamente la posizione del debitore34. È appunto un rischio siffatto, caratteristico dell’espropriazione forzata, che varrebbe, secondo la Corte, ad escludere l’applicabilità delle disposizioni dettate per l’esecuzione in forma specifica, giustificando al contempo il differente trattamento riservato al creditore nei due casi: se, infatti, anche l’esecuzione in forma specifica può risultare, in concreto, «negativa», tipico dell’espropriazione sarebbe invece «il rischio che l’attività processuale sia svolta inutilmente rispetto al fine suo proprio, introducendo esecuzioni che determinano solo spese ovvero che le determinano in misura maggiore di quanto è ragionevole che sia sostenuto». Sennonché a noi sembra che lo strumento per reprimere possibili abusi dello strumento esecutivo non possa consistere in una indiscriminata negazione del diritto del creditore al rimborso delle spese35, ma debba piuttosto essere ricercato nell’adozione di opportuni correttivi, quali potrebbero essere rappresentati, ad es., dall’applicazione della regola dettata dall’art. 92 c.p.c. sul potere del giudice di escludere la ripetizione delle spese eccessive o superflue sostenute dalla parte vincitrice. Ciò tuttavia, non nel senso, sostenuto dalla Corte, di considerare a priori eccessive le spese che non abbiano trovato collocazione sul ricavato, bensì al fine di escludere, sulla base di una valutazione in concreto da compiersi caso per caso, il diritto al rimborso a fronte di iniziative avventate se non addirittura pretestuose (e in tal senso dunque «eccessive»), che avrebbero potuto essere evitate mediante l’impiego dell’ordinaria diligenza: si pensi ad es. all’intervento del creditore chirografario nell’espropriazione di un immobile gravato da plurime ipoteche e il cui valore di mercato risulti a malapena sufficiente a soddisfare i creditori ipotecari; o al pignoramento presso terzi eseguito senza avvalersi degli strumenti di ricerca telematica oggi previsti dall’art. 492 bis c.p.c., che si concluda con la dichiarazione negativa del terzo istituto di credito o (preteso) datore di lavoro, il quale affermi di non intrattenere alcun rapporto con il debitore espropriato.
1 Nel vigore dei codici abrogati, il diritto del creditore al rimborso delle spese di esecuzione trovava peraltro implicito riconoscimento in una serie di disposizioni così del codice civile come di quello di procedura: ad es., negli artt. 1956 e 1961 c.c., che riconoscevano a tale credito privilegio, rispettivamente, sui mobili e sugli immobili; nell’art. 580 c.p.c., che consentiva al debitore di ottenere la sospensione dell’esecuzione depositando nelle mani dell’ufficiale giudiziario «la somma intiera per cui si procede e l’importare delle spese»; nell’art. 714 c.p.c., che escludeva il rimborso delle spese sostenute dai creditori intervenuti tardivamente: al riguardo, cfr. Carnelutti, F., Sistema di diritto processuale civile, I, Padova, 1936, 446.
2 La disciplina delle spese dell’esecuzione in forma specifica è invece contenuta negli artt. 611 e 614 c.p.c. Il primo, dettato in tema di esecuzione per consegna o rilascio, prevede che nel processo verbale l’ufficiale giudiziario specifica tutte le spese anticipate dalla parte istante e che la liquidazione di dette spese è fatta dal giudice dell’esecuzione a norma degli articoli 91 ss. con decreto che costituisce titolo esecutivo. Analogamente, l’art. 614, in tema di esecuzione di obblighi di fare o non fare, prevede che al termine dell’esecuzione o nel corso di essa la parte istante presenta al giudice dell’esecuzione la nota delle spese vistata dall’ufficiale giudiziario con domanda di decreto d’ingiunzione e che il giudice dell’esecuzione, ove riconosca giustificate dette spese, provvede con decreto a norma dell’art. 642. Su queste disposizioni v. anche infra, nota 17.
3 Oltre agli aa. e alle decisioni citati infra, nelle note 5 e 8, cfr. Cass., 29.5.2003, n. 8634, secondo cui «in virtù della espressa previsione di cui all’art. 95 c.p.c. … il recupero delle spese sostenute dai creditori può trovare realizzazione solo in caso di utile partecipazione di costoro alla distribuzione, all’esito di una risultata fruttuosa esecuzione, che abbia cioè consentito la realizzazione di una massa attiva da distribuire», sicché deve ritenersi precluso al giudice dell’esecuzione «emettere una pronuncia di condanna costituente titolo esecutivo nei confronti del soggetto che ha subito l’esecuzione, potendo egli in tale ipotesi, ai sensi dell’art. 510 c.p.c., solamente determinare l’importo spettante ai creditori per capitale, interessi e spese, in vista dell’emissione di una successiva pronunzia (non già di condanna bensì) di distribuzione e assegnazione – interamente o parzialmente satisfattiva – secondo la consistenza della massa attiva ricavata dall’espropriazione».
4 Non pare dubbio che l’inciso «che partecipano utilmente alla distribuzione» contenuto nell’art. 95 c.p.c. vada riferito ai soli creditori intervenuti e non anche al creditore procedente. Invero, ai sensi degli artt. 2756 e 2770 c.c., i crediti per le spese fatte da quest’ultimo nell’interesse comune dei creditori hanno privilegio speciale, rispettivamente, sui beni mobili o immobili oggetto dell’espropriazione. In virtù di tale privilegio (destinato a prevalere su ogni altra causa di prelazione, ivi compresi il pegno e l’ipoteca: art. 2777, co. 1, c.c.), il creditore procedente (cui va equiparato l’intervenuto munito di titolo esecutivo, che abbia dato impulso alla procedura) può conseguire il rimborso delle spese anche nell’ipotesi in cui il credito principale rimanga (in tutto o in parte) insoddisfatto. Non così invece per le spese sostenute, nel proprio esclusivo interesse, dai creditori intervenuti, le quali sono collocate nello stesso grado del credito principale (art. 2749 c.c.) e potranno così essere rimborsate solo in caso di utile collocazione per quest’ultimo credito. Quanto alle spese sostenute nell’interesse comune, proprio la previsione del privilegio speciale sui beni oggetto dell’espropriazione (artt. 2755 e 2770 c.c.) può aver ingenerato l’idea (su cui v. subito infra, nel testo) che il rimborso di tali spese costituisca oggetto (non di un credito vero e proprio, bensì) di una sorta di diritto di prelevamento dalla somma ricavata, destinato a estinguersi con la chiusura del processo esecutivo.
5 In questi termini, Redenti, E., Struttura del procedimento esecutivo per espropriazione e problemi di spese (1944), in Id., Scritti e discorsi giuridici di un mezzo secolo, Milano, 1962, I, spec. 257 ss., 273 s., cui si deve la più compiuta formulazione dell’idea secondo la quale le spese dell’espropriazione costituirebbero «una ‘tara’ del ricavato, da detrarsi per determinare l’ammontare ‘netto’ disponibile per i creditori». In modo analogo, Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1954, 266; Satta, S., Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, 318 s.; Bonsignori, A., L’esecuzione forzata, Torino, 1996, 377 ss.; Iannicelli, L., Note sull’estinzione del processo esecutivo, Salerno, 2004, 369 s. Contra, e così per il riconoscimento di un vero e proprio credito verso l’espropriato avente ad oggetto il rimborso delle spese, Grasso, E., Della responsabilità delle parti, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Allorio, E., I, 2, Torino, 1973, 1024 ss., che peraltro esclude, in conformità all’opinione prevalente, la possibilità di recuperare extra processum le spese che non abbiano trovato collocazione sul ricavato.
6 La quale, «come che sia intesa, evoca una situazione che si avvera a carico di una parte in un giudizio ad esito non prevedibile, mentre il processo di esecuzione ha un esito obbligato»: così Grasso, E., Della responsabilità delle parti, cit., 1024; nello stesso senso v. già Redenti, E., Struttura del procedimento esecutivo, cit., 254 s.; Andrioli, V., Commento, I, cit., 265; Satta, S., Commentario, I, cit., 318; contra, e così per la riferibilità del concetto di soccombenza anche all’esecuzione forzata, Liebman, E.T., Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1984, 113; Scarselli, G., Le spese giudiziali civili, Milano, 1998, 129 ss.; ma v. già Chiovenda, G., La condanna nelle spese giudiziali (1901), rist., Napoli, 2001, 248 s.; Carnelutti, F., Sistema, I, cit., 446.
7 Cfr. ancora Grasso, E., op. loc. ultt. citt.
8 Cfr. ad es. Cass., 17.7.2009, n. 16711; Cass., 9.11.2007, n. 23408, in Riv. es. forz., 2007, 762; Cass., 15.12.2003, n. 19184, in Foro it., 2004, I, 1122, con nota di G. Tombari Fabbrini; Cass., 4.4.2003, n. 5325, in Riv. es. forz., 2005, 351, con nota di F. De Santis di Nicola; Cass., 24.1.2003, n. 1109; Cass., 12.5.1999, n. 4695 (tutte in tema di dichiarazione negativa del terzo non seguita dall’istanza di accertamento del credito pignorato); Cass., 12.4.2011, n. 8298 e Cass., 26.11.2006, n. 20836 (con riguardo all’ipotesi di mancato rinvenimento ad opera dell’ufficiale giudiziario di beni assoggettabili a pignoramento); Cass., 14.4.2005, n. 7764 (con riguardo all’ipotesi di sopravvenuta inesistenza del compendio pignorato).
9 Il riferimento è ovviamente a Chiovenda, G., La condanna nelle spese giudiziali, cit., spec. 177 ss.: «il giudizio, come mezzo per l’attuazione del diritto, non può condurre che alla dichiarazione del diritto nella maggior possibile integrità. Il diritto … deve essere riconosciuto come se fosse riconosciuto al momento della domanda o dell’attacco: tutto ciò che fu necessario al suo riconoscimento è concorso a diminuirlo e deve essere reintegrato al subbietto del diritto stesso, in modo che questo non soffra detrimento dal giudizio … Con ciò la condanna nelle spese, come complemento necessario della dichiarazione del diritto, resta penetrata nella natura di questo». Sulla liquidazione delle spese come «normale complemento» della tutela giurisdizionale dei diritti garantita dall’art. 24 Cost. cfr. altresì C. cost., 31.12.1986, n. 303, in Foro it., 1987, I, 671, con nota di A. Proto Pisani; in Riv. dir. proc., 1987, 173, con nota di G. Tarzia; in Nuove leggi civ., 1987, 137, con nota di C. Consolo.
10 Cfr. ad es. le sentenze 24.7.1998, n. 321, in Foro it., 1998, I, 3048, e 6.12.2002, n. 522, in Foro it., 2003, I, 1650.
11 Su quest’opinione cfr., in senso critico, Chiovenda, G., La condanna nelle spese, cit., 161 ss., 177 ss.
12 L’analogia tra le due situazioni è sottolineata con grande efficacia da Chiovenda, G., La condanna nelle spese, cit., 178: «Non tanto un vantaggio, quanto il rimedio d’un male è l’attuazione giudiziale dei diritti: rimedio costoso, che non deve diminuire i diritti, come le spese del pagamento sono sostenute da chi paga e non dal creditore (Cod. Nap., art. 1248; Cod. civ. it., art. 1250; Cod. civ. germ., § 369)».
13 Per analogo rilievo cfr. Grasso, E., Della responsabilità delle parti, cit., 1025; Gualandi, A., Spese e danni nel processo civile, Milano, 1962, 201. L’elemento letterale è invece ovviamente svalutato da Redenti, E., Struttura del procedimento esecutivo, cit., 273. Meno significativa, ai fini del presente discorso, appare invece la lettera dell’art. 95 c.p.c. («Le spese sostenute … sono a carico di chi ha subito l’espropriazione»), non a caso invocata dai fautori di entrambe le contrapposte ricostruzioni (cfr., rispettivamente, Redenti, E., op. cit., 274, e Gualandi, A., op. loc. ultt. citt.).
14 Non essendo all’evidenza neppure concepibile, con riguardo all’adempimento spontaneo, un «diritto di prelevamento» sul ricavato.
15 Non vi è dubbio infatti che nell’ipotesi contemplata dall’art. 494, co. 1, le somme sono versate all’ufficiale giudiziario a titolo di pagamento e non (come invece nel caso del secondo comma e in quello dell’art. 495) come oggetto di pignoramento. Anche in tale ipotesi, dunque, come in quella disciplinata dall’art. 1196 c.c., non di «diritto a prelevare» si tratta, ma di vero e proprio credito verso il debitore. L’importanza sistematica dell’art. 494 c.p.c. è colta da Cass., 18.3.2003, n. 3985 e Cass., 25.6.2003, n. 10129, secondo cui tale disposizione costituisce «sicura dimostrazione» del fatto che «dal titolo esecutivo discende anche il diritto al rimborso delle spese sopportate per richiedere al debitore l’adempimento».
16 Da Gualandi, A., Spese e danni nel processo civile, cit., 201 s.
17 Di cui l’art. 614, diversamente dall’art. 611, sancisce indirettamente, mediante il rinvio all’art. 642, la natura ingiunzionale. In giurisprudenza prevale peraltro la tendenza ad accomunare i due provvedimenti, ritenuti entrambi impugnabili con opposizione ex art. 645 c.p.c.: cfr., tra le altre, Cass., 12.7.2011, n. 15341; Cass., 4.8.2005, n. 16377; Cass., 28.7.1993, n. 8407, in Giur. it., 1994, I, 1, 1038. Contra, per l’impugnabilità del decreto ex art. 611 con l’opposizione agli atti esecutivi, Oriani, R., L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 221 ss.
18 I sostenitori dell’opinione tradizionale sono invece costretti ad ammettere che il diritto alla rifusione delle spese assuma, del tutto irragionevolmente, una diversa natura a seconda del tipo di esecuzione di cui trattasi: così ad es. Denti, V., L’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953, 100 ss.; Bonsignori, A., L’esecuzione forzata, cit., 380.
19 In questa prospettiva, e al netto dell’equivoco richiamo al concetto di soccombenza (che non pare de plano estensibile al processo esecutivo), si mostra condivisibile il rilievo di Scarselli, G., Le spese giudiziali, cit., 131: «Non è che il debitore nel processo esecutivo non possa ritenersi soccombente, perché anzi in esso la sua soccombenza è ancora maggiore, ed è già tutta indiscutibilmente contenuta nel titolo esecutivo». Appena più articolato deve essere il discorso con riguardo ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo. La conclusione, peraltro, non sembra destinate a mutare, posto che tali creditori o, per effetto del riconoscimento compiuto dal debitore all’udienza di cui all’art. 499 c.p.c., acquistano una posizione in tutto analoga a quella dei creditori cum titulo o, in caso di disconoscimento, saranno tenuti a proporre l’azione necessaria per procurarsi il titolo esecutivo e potranno partecipare alla distribuzione solo una volta che si siano muniti di tale titolo.
20 Dottrina e giurisprudenza discorrono talvolta di estinzione atipica con riguardo ad una variegata serie di ipotesi di chiusura anticipata e non satisfattiva del processo esecutivo, che vanno dall’accertamento in sede di opposizione ex art. 615 c.p.c. dell’inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, al pagamento intervenuto nel corso del processo esecutivo, al sopravvenuto venir meno del bene oggetto dell’espropriazione, all’infruttuosità della vendita forzata ecc. La possibilità di una chiusura anticipata del processo esecutivo per cause diverse dall’estinzione è stata riconosciuta a livello legislativo, proprio con riguardo all’ipotesi di infruttuosità della vendita, dall’art. 164 bis disp. att. c.p.c. (introdotto dal d.l. 12.9.2014, n. 132, conv. con l. 10.11.2014, n. 162), a norma del quale «quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo». V. anche l’art. 532, co. 2, c.p.c., nel testo introdotto dal d.l. 27.6.2015, n. 83, conv. con l. 6.8.2015, n. 132, nonché l’art. 540 bis c.p.c. (che discorre peraltro di estinzione del procedimento). Sulle diverse possibili ipotesi di chiusura anticipata del processo esecutivo e sul problema del loro rapporto con la figura tipica dell’estinzione v. l’ampia indagine di Iannicelli, L., Note sull’estinzione del processo esecutivo, cit., spec. 78 ss.; v. altresì De Santis di Nicola, F., Le spese nell’estinzione del processo esecutivo e la novella dell’art. 632 c.p.c. ex lege 302/1998, in Riv. es. forz., 2005, 363 ss., nonché da ult. Damiani, F.S., Estinzione atipica e chiusura anticipata del processo esecutivo, in Giusto proc. civ., 2017, 425 ss., ove anche ulteriori richiami.
21 In giurisprudenza, il problema è stato affrontato essenzialmente nella prospettiva dell’individuazione del rimedio esperibile avverso il provvedimento del g.e., rimedio che un orientamento ormai consolidato identifica nell’opposizione agli atti esecutivi (anziché nel reclamo ex art. 630 c.p.c.): cfr. Cass., 22.6.2017, n. 15605, in Giur. it., 2017, 2385, con nota di G. Felloni; Cass., 13.5.2015, n. 9837; Cass., 28.9.2011, n. 19858; Cass., 21.10.2009, n. 22361; Cass., 1.4.2004, n. 6391; per l’esperibilità del reclamo ex art. 630 cfr. invece Cass., 19.5.2003, n. 7762. Un’esplicita assimilazione tra chiusura anticipata ed estinzione è oggi operata, sotto il diverso profilo degli effetti, dall’art. 187 bis disp. att. c.p.c. (introdotto dal d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. con l. 14.5.2005, n. 80), ai sensi del quale «in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o l’assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, a norma dell’art 632, secondo comma del codice, gli effetti di tali atti».
22 Non si realizza, cioè, il presupposto per l’operatività del criterio che presiede alla distribuzione definitiva del carico delle spese: conf. Scarselli, G., Le spese giudiziali, cit., 133.
23 È pacifico che, ai fini dell’estinzione per inattività, non rileva il comportamento del debitore, al quale non è riconosciuto alcun potere di impulso del procedimento: cfr., con particolare riguardo all’ipotesi di mancata comparizione all’udienza disciplinata dall’art. 631 c.p.c., Saletti, A., voce Estinzione del processo: I. Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma, 1994, 17; Bonsignori, A., L’esecuzione forzata, cit., 374 s.; Capponi, B., Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2012, 484.
24 Così invece, pur negando in linea di principio l’assimilazione di (tutte) tali ipotesi all’estinzione, Iannicelli, L., Note sull’estinzione del processo esecutivo, cit., 373 s.
25 Conf. Iannicelli, L., op. cit., 118; in giurisprudenza, tra le altre, Cass., 12.9.2014, n. 19283 (con riguardo all’inosservanza del termine di cui all’art. 497 c.p.c.); Cass., 15.7.2016 n. 14449, in Riv. es. forz. 2017, 245 (con riguardo al mancato deposito della documentazione ipocatastale); Cass., 29.4.2006, n. 10029 (con riguardo al mancato deposito della sentenza ai sensi dell’art. 156 disp. att.).
26 Con riguardo alle ipotesi considerate nel testo, tale conclusione deve essere ribadita anche di fronte al nuovo art. 632, co. 1, c.p.c. (introdotto dalla l. 3.8.1998, n. 302), in base al quale con l’ordinanza che pronuncia l’estinzione il giudice dell’esecuzione provvede, se richiesto, alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti. Secondo l’opinione preferibile, infatti, la nuova disposizione non ha innovato la disciplina della regolamentazione delle spese in caso di estinzione del processo esecutivo e non vale, in particolare, a legittimare una pronuncia del g.e. che ponga tali spese a carico del debitore: sul punto, diffusamente ed anche per ulteriori riferimenti, De Santis di Nicola, F., Le spese nell’estinzione del processo esecutivo, cit., 368 ss. Dall’ipotesi di inattività delle parti va poi distinta quella di rinuncia agli atti, nella quale, stante il richiamo all’art. 306 contenuto nell’art. 629, ult. co., le spese, salvo diverso accordo tra le parti, sono a carico del rinunciante: per riferimenti, v. ancora De Santis di Nicola, F., op. cit., 358.
27 Con particolare riguardo all’ipotesi di accoglimento dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., si pone il problema se la sentenza che definisce il giudizio di opposizione possa liquidare anche le spese del processo esecutivo: in senso affermativo, condivisibilmente, Cass., 26.5.2003, n. 8339, in Riv. es. forz., 2004, 644, con nota di M. Farina. Conclusioni analoghe a quelle esposte nel testo sono probabilmente destinate a valere nel caso in cui la chiusura anticipata del processo esecutivo consegua all’accoglimento di un’opposizione ex art. 617 c.p.c. (proposta ad es. contro il pignoramento) o di un’opposizione di terzo all’esecuzione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. Il punto, peraltro, meriterebbe un maggiore approfondimento, impossibile in questa sede.
28 Tra i quali, a mio avviso, deve ricomprendersi anche quello di dichiarazione negativa del terzo non seguita dall’istanza di accertamento del credito pignorato, ipotesi che invece la giurisprudenza tende a ricondurre all’estinzione per inattività (Cass. n. 16711/2009, cit.; Cass. n. 23408/2007, cit.; Cass. n. 19184/2003, cit.; Cass. n. 5325/2003, cit.; Cass. n. 1109/2003, cit.) o addirittura (assimilandola a quella di mancato pignoramento) all’inefficacia del precetto ex art. 481 c.p.c. (Cass. n. 20836/2006, cit.). La tesi non persuade, poiché l’istanza di accertamento dell’obbligo del terzo non costituisce (neppure dopo che la l. 24.12.2012, n. 228 ha trasformato tale accertamento in un incidente di esecuzione, deciso dal g.e. con ordinanza suscettibile di opposizione ex art. 617 c.p.c.) un atto di impulso processuale, la cui omissione possa dar luogo ad estinzione per inattività. Invero, la chiusura del processo esecutivo trova sempre la sua ragione nell’inesistenza del credito pignorato, indipendentemente dal fatto che tale circostanza emerga per effetto della dichiarazione negativa del terzo, non contestata dal creditore, o dell’accertamento compiuto dal g.e. Né, d’altra parte, sembra configurabile, in capo al creditore, un onere di contestare «a prescindere» (e con ulteriore aggravio di spese) la dichiarazione del terzo, anche laddove non vi siano elementi che inducano a dubitare della sua veridicità.
29 Così, con grande chiarezza, Grasso, E., Della responsabilità delle parti, cit., 1025.
30 In modo analogo, Gualandi, A., Spese e danni, cit., 199.
31 Non si tratta, dunque, di una norma inutile (così invece Satta, S., Commentario, I, cit., 318 s.) né di un doppione dell’art. 510, che presuppone il diritto del creditore a soddisfarsi sul ricavato anche in relazione alle spese della procedura.
32 Direi anzi che proprio gli artt. 611 e 614 c.p.c., nel prevedere la pronuncia di un provvedimento di condanna esecutivo a tutela del credito alle spese in un contesto nel quale, per definizione, non può darsi collocazione sul ricavato, dimostrano che analoga tutela deve essere offerta al creditore nell’espropriazione forzata qualora, in concreto, il ricavato manchi o sia insufficiente.
33 V. Boccagna, S.Sassani, B., Il diritto incompreso: le spese del creditore nell’espropriazione forzata, in Riv. es. forz., 2018, 465 ss.
34 Questa preoccupazione è già chiaramente avvertita da Redenti, E., Struttura del procedimento esecutivo, cit., 257: «Ma sarebbe stato, secondo me, contro il sistema, che il creditore potesse procedere a costosi atti di esecuzione per colpire, supponiamo, una festuca, col risultato non solo di non alleviare col ricavato la preesistente posizione debitoria dell’esecutato, ma di aggravarla, facendo sorgere per le spese nuovi debiti in pura perdita». V. anche, in giurisprudenza, Cass. n. 1109/2003, cit.; Cass. n. 5325/2003, cit. («il creditore non ha il diritto di aggravare, senza suo vantaggio, la posizione del debitore»); Cass. n. 3985/2003, cit.; Cass. n. 10129/2003, cit. (che sottolineano il rischio che «il processo [esecutivo] possa finire con l’essere utilizzato per un fine diverso da quello suo proprio»).
35 In tal senso, appare del resto significativa la vicenda della l. 10.5.1976, n. 358, che, muovendo da analogo timore di un possibile uso distorto dello strumento processuale, aveva inteso escludere il diritto del creditore a ottenere la liquidazione delle spese nel decreto ingiuntivo «emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni» (così l’art. 641, ult. co., c.p.c. nel testo introdotto dalla l. n. 358/76). Com’è noto, la disposizione fu tuttavia dichiarata costituzionalmente illegittima, per contrasto con l’art. 24 Cost., da C. cost. n. 303/1986, cit., proprio perché finiva per privare il creditore di quel «naturale complemento» della tutela giurisdizionale costituito dalla condanna alle spese.