Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Africa
di Andrea Manzo
I contatti che coinvolsero l'Africa subsahariana in epoca antica sono connessi con la sua ricchezza in materie prime particolarmente ricercate, quali avorio, oro, schiavi, pelli, animali, aromi. Si noti che l'importanza di molti di questi materiali era legata alla loro utilizzazione come marcatori di rango e oggetti di prestigio. Le relazioni tra l'Africa subsahariana e il mondo esterno furono d'altro canto influenzate dalla presenza di condizionamenti ambientali, quali l'andamento delle correnti e dei venti, la conformazione dei fondali per la navigazione e l'esistenza di vaste aree desertiche aride nell'entroterra. In particolare, i contatti fin dall'inizio si svolsero grazie alla presenza di corridoi che permettevano il superamento delle distese desertiche e furono condizionati dalla disponibilità di mezzi e animali da soma adeguati agli spostamenti in ambienti sovente ostili. La ricostruzione di questa rete di relazioni è in gran parte basata su fonti scritte, quali ad esempio quelle egiziane, grecoromane, bizantine e arabe, che danno quindi un quadro del tipo di rapporti e delle loro modalità da un punto di vista esterno rispetto alle popolazioni africane che vi erano coinvolte. Anche quando, come dagli inizi del I millennio a.C. nel Sudan napateo-meroitico e nell'Etiopia etio-sabea, sono disponibili fonti scritte locali, nei testi giunti fino a noi non vi è quasi alcuna traccia esplicita di contatti, né tanto meno di attività commerciali, forse perché queste ultime non erano considerate attività socialmente approvabili da parte dei committenti delle iscrizioni. Da quanto si è detto deriva la grande importanza che nella ricostruzione qui esposta riveste la documentazione archeologica, a sua volta condizionata dai limiti della preservazione dei materiali deperibili, quali sappiamo erano in gran parte i generi commerciati tra l'Africa subsahariana e il mondo esterno. Nel caso del commercio di schiavi, poi, è immediatamente evidente quanto ne siano difficili l'identificazione e lo studio in assenza di dati testuali specifici e sulla sola base di evidenze archeologiche sovente ambigue e assai labili. Quanto i fattori climatici e ambientali abbiano potuto condizionare la rete di scambi e contatti è ben evidente fin dagli inizi dell'Olocene, se si considerano il fenomeno della presenza nelle culture archeologiche della fascia saheliana di elementi stilistici e tecnologici comuni e quello opposto della progressiva differenziazione regionale. Ambedue queste tendenze si manifestarono fino al V millennio a.C. in relazione a fenomeni climatici che rendevano più o meno agevoli i rapporti tra gruppi umani. La progressiva desertificazione conferì maggiore importanza ai corridoi che permettevano il superamento delle aree desertiche e, in particolare, a partire almeno dal IV millennio a.C., del Nilo. Questo fenomeno avvenne parallelamente all'incremento della richiesta di materie prime africane in Egitto, dove si rileva per questo periodo una crescente complessità sociale, attestata anche dall'uso, da parte dei personaggi più eminenti, di oggetti realizzati in materiali esotici. Attraverso il tramite egiziano, questi materiali potevano raggiungere anche le regioni vicino-orientali, dove erano in atto analoghi fenomeni di incremento della complessità sociale. Le spedizioni faraoniche verso la Nubia e verso regioni sempre più lontane dall'Egitto e dalla valle del Nilo, documentate almeno a partire dal 3100 a.C., sono spiegabili proprio con il tentativo di controllo e di accesso diretto a materie prime le cui fonti si allontanavano sempre più, mano a mano che quelle più prossime alla valle del Nilo si esaurivano. Tutt'altro che trascurabile fin da tali fasi fu il ruolo delle società complesse sorte nelle regioni attraverso cui i prodotti giungevano in Egitto, quali la Bassa e l'Alta Nubia e il Sudan sud-orientale. In particolare, in Alta Nubia si sviluppò dal 2400 al 1500 a.C. uno Stato identificabile con la Kush dei testi egiziani, che fu egemone politicamente ed economicamente a sud dell'Egitto e almeno fino alla Quarta Cateratta; venne poi sconfitto dai primi faraoni della XVIII Dinastia. Il cuore dello Stato nubiano fu la regione di Dongola, dove la valle del Nilo è larga e offre aree coltivabili le cui risorse possono sostenere un livello demografico nettamente superiore a quello della Bassa Nubia e, se si esclude l'Egitto, delle altre regioni circostanti. Il controllo che l'entourage regale e sacerdotale doveva esercitare sull'economia e, presumibilmente, sui commerci è reso manifesto dall'estensione dei magazzini scoperti in prossimità dei templi e dei palazzi della capitale, l'attuale sito di Kerma. In questa città, e in particolare nell'area del tempio principale, sono stati rinvenuti anche laboratori artigianali di vario genere. Il fatto che in tali fasi la Nubia e le altre regioni africane non esportassero solo materie prime, ma anche oggetti finiti, è confermato dalla rappresentazione di tali beni in rilievi e pitture egiziani databili al Nuovo Regno. Va sottolineato che Kush non si limitò a sfruttare e a gestire il transito di materie prime verso l'Egitto, ma divenne essa stessa consumatrice su larga scala delle materie prime africane, oltre che di manufatti finiti provenienti dall'Egitto, rinvenuti in abbondanza nelle estese necropoli della sua capitale e finanche dei suoi centri provinciali. Indubbiamente l'affermazione di Kush come potenza regionale e commerciale fu favorita, oltre che dalla ricchezza agricola del suo entroterra e dalla centralità rispetto al sistema di comunicazione fluviale, dalle carovaniere che seguivano la valle del Nilo e che da essa si dipartvano verso il deserto orientale, quello libico e il Sudan centrale e orientale. Le carovaniere verso il deserto orientale erano particolarmente importanti poichè attraverso di esse era trasportato l'oro, abbondantemente prodotto in quell'area. Il controllo di queste risorse aurifere fu sempre considerato vitale dai faraoni del Nuovo Regno e su di esso si basò gran parte della politica di potenza che l'Egitto espresse nel Vicino Oriente fino alla fine del II millennio a . C . La disponibilità in Egitto di materiali preziosi e di oro, anche se in una fase d'incertezza politica quale la fine della XVIII Dinastia, è d'altro canto resa ben evidente dai ricchi ritrovamenti nella tomba di Tutankhamon. Fin dal III millennio a . C . anche alcune regioni più meridionali della Nubia sembrano essere state coinvolte nei contatti. In particolare , per l'ampiezza delle relazioni, estese dall'Arabia meridionale all'Egitto , e per l'intensità dei legami con la cultura di Kerma-Kush, va menzionata la cultura del Gruppo del Gash, nei bassopiani al confine tra Eritrea e Sudan. Attraverso questa regione, presumibilmente anche l'Etiopia settentrionale e l'Eritrea furono coinvolte nei contatti. Le ricerche archeologiche in tali aree non permettono ancora di delinearne con esattezza il ruolo, ma indubbiamente fornirono, insieme all'Arabia meridionale, gli aromi, l'incenso e la mirra, utilizzati ampiamente nel cerimoniale egiziano e mediterraneo. Nelle stesse aree sono localizzati anche giacimenti di ossidiana, che pare sia stata scambiata assai precocemente non per il tramite della valle del Nilo, ma piuttosto lungo il Mar Rosso. Proprio sulla base dello studio del commercio di ossidiana è stato suggerito che i rapporti con le altre regioni rivierasche del Mar Rosso meridionale si sarebbero instaurati almeno fin dal V millennio a . C . L'ossidiana etiopica era allora utilizzata nell'Arabia meridionale e giungeva probabilmente anche in Egitto. Un grande impulso allo sviluppo dei contatti con le regioni africane che si affacciavano sul Mar Rosso venne in particolare dai faraoni egiziani che, almeno dalla fine dell'Antico Regno, intorno al 2200 a . C ., intrapesero spedizioni marittime verso la mitica Terra di Punt. L'intento di tali iniziative era di evitare l'intermediazione dei potentati nubiani che controllavano parte delle carovaniere lungo il Nilo. La più famosa di queste spedizioni è quella rappresentata nei rilievi del tempio fatto costruire dalla regina Hatshepsut (1478-1458 a . C .) a Deir el-Bahari. Gli approdi di destinazione di queste spedizioni non sono ancora stati individuati con certezza, ma è verosimile che fossero localizzati sulla costa sudanese del Mar Rosso, forse presso Aqiq, e, almeno a partire dalla met. del II millennio a . C ., sulla costa eritrea settentrionale, forse in prossimità di quello che nel I millennio d . C . fu il principale porto del regno di Aksum, Adulis. Proprio ad Adulis, in strati databili alla seconda metà del II millennio a.C., sono state scoperte evidenze di contatti assai intensi con la sponda arabica del Mar Rosso. Questi contatti coinvolsero presumibilmente anche l'altopiano etiopico-eritreo, come evidenziato da materiali rinvenuti in siti le cui fasi più arcaiche sono purtroppo ancora assai poco note. Su questa dinamica di contatti già affermata si impose a partire dagli inizi del I millennio a . C ., dopo il crollo del Nuovo Regno egiziano, l'egemonia culturale e politica degli stati sudarabici e, in particolare, almeno dall'VIII sec. a.C., del regno di Saba. Tali potentati esercitarono un'indubbia influenza anche nelle regioni prospicienti della costa africana del Mar Rosso , corrispondenti all'attuale Eritrea e all'Etiopia settentrionale, seppure la già supposta dipendenza politica diretta di tali regioni da Saba sembri oggi poco probabile. I legami culturali con l'Arabia appaiono giustificabili proprio in relazione all'importanza commerciale di quest'ultima. È verosimile che in tale fase la gran parte delle esportazioni verso il Mediterraneo dei prodotti dell'Etiopia settentrionale e dell'Eritrea sia avvenuta per il tramite sud-arabico. Al contempo, lungo il Nilo il flusso di prodotti africani verso l'Egitto e il Mediterraneo continuava per il tramite del regno sudanese di Napata, che controllava l'Alta Nubia e vaste aree del Sudan centrale e che, tra il 750 e il 650 a.C., ebbe la supremazia sullo stesso Egitto. È verosimile, benchè le evidenze archeologiche e testuali siano ancora scarse, che i sovrani napatei abbiano ereditato dai faraoni il controllo delle piste del deserto orientale e del commercio dell'oro che vi avveniva. La precocità del loro coinvolgimento in contatti con il mondo vicino-orientale è ben rappresentata dalle anfore da trasporto provenienti da questa regione, scoperte nelle più antiche sepolture della necropoli reale di el-Kurru. La continuità e l'intensità dei contatti con l'Egitto (e attraverso di esso con il Mediterraneo, anche dopo lo spostamento del baricentro del regno sudanese da Napata a Meroe) è ben evidente grazie all'abbondanza di objets d'art, monili, vasi di pietra, di metallo e contenitori per vino e olio scoperti nelle sepolture e nei siti napateo-meroitici. Non vanno inoltre dimenticati i continui prestiti e le rielaborazioni di elementi iconografici e stilistici mediterranei ed egiziani nella scultura e nell'architettura napatea prima e meroitica poi. Con l'instaurarsi del regno tolemaico in Egitto, l'interesse dei nuovi sovrani per la rivitalizzazione dei contatti con l'entroterra africano si manifestò sia con tentativi di espansione e di egemonia commerciale lungo il Nilo, sia con l'impulso dato all'esplorazione e all'attività commerciale lungo il Mar Rosso , ormai affrancato dall'egemonia sud-arabica . In particolare, oltre a oro, aromi e avorio, tra i generi cui i Lagidi erano interessati spiccano gli elefanti, utilizzati quali macchine da guerra e contrapposti a quelli indiani, di cui disponevano i Seleucidi. Tra gli esiti più importanti delle esplorazioni condotte in questo periodo va annoverata la scoperta del regim e dei monsoni, vera chiave di accesso all'Oceano Indiano, avvenuta alla fine del II sec. a . C . ad opera di un marinaio greco-egiziano di nome Ippalo. Dopo la conquista dell'Egitto nel 30 a . C ., i primi imperatori romani dimostrarono un'attitudine simile a quella dei primi Lagidi riguardo al commercio con l'entroterra africano. A più riprese, sotto Augusto e Nerone, i Romani manifestarono il proprio interesse diplomatico verso Meroe. Nel caso di Augusto, alla diplomazia si affiancarono anche operazioni militari contro il regno nubiano, che alcuni studiosi hanno ritenuto collegate a coeve e analoghe iniziative verso il Mar Rosso meridionale. Un nuovo interlocutore si affacciava quasi contemporaneamente a Roma sul Mar Rosso meridionale. Il regno aksumita, originato a partire almeno dal III sec. a.C. dall'unione di potentati locali delle regioni dell'Etiopia settentrionale e dell'Eritrea, ebbe come principale sbocco sul Mar Rosso il porto di Adulis. Il Periplo del Mare Eritreo, opera scritta da un commerciante greco-egiziano intorno alla metà del I sec. d.C., illustra dettagliatamente gli itinerari dalle coste orientali egiziane fino all'Azania e all'India, passando per il Mar Rosso, l'Oceano Indiano e il Golfo Persico, e sottolinea, specie per il commercio dell'avorio, l'importanza di Adulis. Anche la lavorazione dell'avorio dovette fin da tale epoca essere diffusa ad Aksum, come suggerito da recenti rinvenimenti di oggetti probabilmente prodotti localmente e databili al III sec. d.C. Da questo momento in poi e fino al IV sec. d.C. le due direttrici del Mar Rosso e del Nilo furono controllate nella loro parte meridionale da Aksum e da Meroe. Il regno etiopico conobbe anche momenti di espansione verso l'Arabia meridionale nel III sec. d.C., quando assunse una posizione preminente nel Mar Rosso approfittando anche della debolezza dell'azione diplomatica e militare romana, connessa con l'instabilità e i disordini nell'Impero. Il regno meroitico conobbe in tale periodo un progressivo declino, verosimilmente connesso anche con l'efficace concorrenza aksumita nell'esportazione delle materie prime africane. Tale concorrenza sfociò, forse già alla fine del III sec. d.C. e certamente agli inizi del IV sec. d.C., in iniziative militari aksumite verso la valle del Nilo. Un re aksumita il cui nome resta purtroppo ignoto, in un'iscrizione in lingua greca eretta ad Adulis e verosimilmente databile alla seconda metà del III sec. d.C., vanta la propria supremazia sulle due sponde del Mar Rosso meridionale e sulle carovaniere verso l'Egitto. Certamente intorno al 320 d.C., quando il re aksumita Ezana condusse campagne militari verso la valle del Nilo, il regno meroitico doveva essere pressoché scomparso, lasciando ad Aksum il ruolo di potenza egemone nei contatti tra il Mediterraneo e l'Africa orientale. Aksum, grazie alla sua posizione sul Mar Rosso meridionale, assunse allora il ruolo di principale interlocutore di Bisanzio che tentava di evitare, attraverso l'utilizzazione delle rotte marittime dell'Oceano Indiano, il controllo sasanide sui traffici delle carovaniere centro- asiatiche e, in particolare, del commercio della seta. Il ruolo di Aksum restò centrale fino al VII sec. d.C., quando, dopo una breve fase di egemonia sasanide, ebbe luogo l'espansione del commercio arabo-islamico. Quest'ultimo si spinse alla fine del I millennio d.C. anche verso le coste dell'Azania, ovvero dell'Africa orientale, già frequentate, stando all'autore del Periplo del Mare Eritreo, da mercanti greco-egiziani e sud-arabici preislamici e, anzi, ancora alla metà del I sec. d.C., addirittura in parte sottomesse politicamente al regno sud-arabico di Himyar. Un ruolo fondamentale pare aver avuto nel I sec. d.C. il porto, non ancora identificato, di Raphta. Fin da queste epoche più antiche sussistono tracce archeologiche del coinvolgimento delle coste dell'Africa orientale nella rete di scambi dell'Oceano Indiano, ma solo a partire dall'XI sec. d.C., con la fioritura di centri costieri Swahili, quali Qanbalu, Mogadiscio e Kilwa, e con la presenza nella regione dei mercanti arabi la documentazione testuale e archeologica diviene più soddisfacente. Per quanto riguarda i mezzi di trasporto, benché fosse probabilmente conosciuto nella valle del Nilo fin dal VII sec. a.C., fu in epoca tolemaica e ancor più romana e bizantina che il dromedario si diffuse in Egitto e da lì in Africa settentrionale. La sua adozione non soltanto provocò mutamenti sostanziali nel tipo di pastoralismo di molti gruppi umani di tutta la fascia saheliana ma, per le sue particolari doti di resistenza, quest'animale da soma rivoluzionò anche i contatti e gli scambi nei territori tra il Nilo e l'Oceano Atlantico, rendendoli più agevoli e veloci. Tali contatti infatti si svolgevano attraverso vaste distese desertiche e, prima dell'introduzione del dromedario, gli scambi che avevano avuto luogo lungo tali direttrici erano stati necessariamente limitati. Anche la possibilità di aggirare la barriera ecologica del Sahara via mare varcando lo Stretto di Gibilterra e navigando verso sud, benché forse vagheggiata da marinai punici, come il famoso Annone, non rappresentò nell'antichità una valida alternativa al difficile sviluppo di carovaniere transahariane, a causa dei regimi di venti e correnti che rendevano proibitiva una navigazione di ritorno lungo le coste dell'Africa occidentale. Solo con i progressi nelle tecniche di navigazione e, a partire dalla fine del XV secolo, su impulso del re Giovanni II i marinai portoghesi furono in grado di spingersi lungo le coste africane fino al Golfo di Guinea e oltre, doppiando nel 1487 sotto la guida di Bartolomeo Diaz il Capo di Buona Speranza. Per queste difficoltà oggettive, i contatti tra Mediterraneo antico ed entroterra africano attraverso le piste del Sahara e lungo le coste dell'Africa occidentale restarono quindi episodici e limitati. I viaggi commerciali compiuti con carovane di asini lungo alcune piste del deserto libico alla fine dell'Antico Regno (2250 a.C. ca.) dal nobile egiziano Herkhuf non dovettero discostarsi molto dalla valle del Nilo e raggiungere al massimo le oasi egiziane, con il solo scopo di evitare turbolenze o intermediari esosi in Bassa e, forse, in Alta Nubia. Ciò non esclude naturalmente che vi fosse una frequentazione di queste direttrici da parte delle popolazioni locali (come forse nel caso la cui eco è conservata nel racconto erodoteo della spedizione dei giovani Nasamoni, o in quello del viaggio del cartaginese Magone) e sporadicamente anche da parte di gruppi non africani (come avvenne con la campagna militare di Cornelio Balbo contro i Garamanti nel 20 o 21 d.C. e con il viaggio di Giulio Materno). Benché appaia verosimile che di tali, pur limitati, traffici con l'entroterra africano abbiano beneficiato centri come Cirene e Cartagine e, in seguito, le città delle province romane del Nord Africa, le evidenze dirette di contatti per queste prime fasi restano ancora piuttosto oscure. È probabile che i contatti transahariani si siano inizialmente svolti avvalendosi, oltre che di asini, anche di cavalli e forse di carri, abbondantemente rappresentati nell'arte rupestre di queste aree e citati anche nei testi egiziani della fine del Nuovo Regno (1200 a.C. ca.), che narrano dei tentativi di invasione dell'Egitto da parte di alcune popolazioni libiche. Solo a partire dagli ultimi secoli prima dell'era cristiana l'archeologia inizia a possedere qualche scarno indizio dei contatti e degli scambi che avvenivano lungo le piste del Sahara: pare che fin da allora vi fosse coinvolta la popolazione di Djenné-Djeno, destinato a divenire uno dei più importanti centri carovanieri dopo che, a partire dall'800 d.C., il commercio transahariano conobbe amplissimo sviluppo grazie ai mercanti musulmani del Nord Africa e all'utilizzazione del dromedario. Iniziò allora il tempo del commercio dell'"oro dei Mori", epoca dell'apogeo di città carovaniere come Djenné e Timbuctù, descritte dagli autori arabi come ricchi empori dove affluivano dal Sud noci di cola, avorio, schiavi, sale e oro.
J. Desanges, Recherches sur l'activité des méditerranéens aux confins de l'Afrique, Rome 1978; L. Casson, The Periplus Maris Erythraei. Text with Introduction, Translation, and Commentary, Princeton 1989; L. Török, Kush and the External World, in Meroitica, 10 (1989), pp. 49-215; R. Texeira Duarte, Northern Mozambique and the Swahili World, Uppsala 1993; R.J. McIntosh - S.K. McIntosh, From Siècles Obscurs to Revolutionary Centuries on the Middle Niger, in WorldA, 20 (1994), pp. 141-65; F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana. Uomini e merci tra Oceano Indiano e Mediterraneo, Roma 1996; R. Fattovich, The Near East and Eastern Africa: their Interaction, in J. Vogel (ed.), Encyclopaedia of Precolonial Africa, Walnut Creek - London - New Delhi 1997, pp. 479-84; Id., Northeastern African States, ibid., pp. 484-89; K.G. Kelly, Western African and Western Saharan Trade, ibid., pp. 529-31; Id., Slave Trade in Africa, ibid., pp. 532-35; G. Pwiti, Indian Ocean Trade, ibid., pp. 540-43; L. Swan, Southeastern African Gold Mining and Trade, ibid., pp. 539-40; L. Török, The Kingdom of Kush. A Handbook of the Napatan-Meroitic Civilization, Leiden - New York - Köln 1997; A. Manzo, Échanges et contacts le long du Nil et de la Mer Rouge dans l'époque protohistorique (IIIe et IIe millénaires avant J.-C.). Une synthèse préliminaire, Oxford 1999.
di Federico De Romanis
L'eredità delle antichissime esperienze faraoniche nel Mar Rosso divenne patrimonio comune della marineria del Mediterraneo orientale alla fine del VII sec. a.C., quando la presenza in Egitto di Ioni, Cari e Fenici dette luogo a un più intenso sfruttamento delle potenzialità commerciali delle regioni intorno allo stretto di Bab el-Mandeb, sollecitando, tra l'altro, la realizzazione di un canale di collegamento tra Nilo e Mar Rosso, che sotto il faraone Neco fu in effetti concepito e intrapreso, ma non portato a termine. Dalle coste del Mar Rosso meridionale si importavano gli aromi che contraddistinguevano i momenti più importanti della vita sociale delle aristocrazie mediterranee di età arcaica, dai matrimoni ai funerali, dai simposi ai sacrifici. Incenso, mirra e kasia (che non è affatto da identificare col nostro cinnamomo) compaiono già, individuati con un lessico specifico, nella poesia di Saffo e nelle profezie di Geremia ed Ezechiele, mentre il termine stesso con cui era indicato l'incenso nella lingua latina (tus), mutuato dal greco nell'VIII-VII sec. a.C., dimostra il precoce arrivo e la vasta diffusione mediterranea di quelle merci. Malgrado la conquista persiana dell'Egitto avesse visto la realizzazione del vecchio progetto di Neco e malgrado le navi della marina imperiale achemenide abitualmente viaggiassero, nel V sec. a.C., tra Oceano Indiano, Golfo Persico e Mediterraneo, le importazioni dalle coste del Mar Rosso meridionale al Mediterraneo erano fortemente penalizzate dalla crisi economica e sociale che alla fine dell'età arcaica colpì le società aristocratiche, costrette ormai dalle nuove ristrettezze a uno stile di vita lontano dalla fastosa eleganza del passato. In questo contesto, il commercio a lunga distanza praticato con le penteconteri, le grandi navi a remi tipiche dell'età arcaica equipaggiate con ciurme di 50 rematori, cessò di essere remunerativo. Le lunghe navigazioni commerciali, nel Mar Rosso come nel Mediterraneo, decaddero. In quantità complessivamente ridotte rispetto al passato, gli aromi giungevano ora al Mediterraneo per le vie terrestri, le carovaniere d'Africa e soprattutto d'Arabia: le tribù arabe cominciarono a vivere il periodo di loro maggior splendore. Dei rapporti commerciali che più a Oriente si svilupparono rigogliosi tra India e Persia scarsi furono i riflessi per l'economia del Mediterraneo prima dell'età ellenistica. Va tuttavia ricordato che già nella prima metà del IV sec. a.C. la scienza greca giunse ad avere una qualche conoscenza del pepe lungo indiano, comunemente impiegato dai medici persiani. Gli interscambi commerciali tra Mediterraneo e Oceano Indiano tornano a farsi significativi nel II sec. a.C.: lo storico e geografo Agatarchide di Cnido riporta infatti che alle "Isole Felici" al largo delle coste dell'Arabia meridionale, probabilmente da identificarsi con Socotra e le altre isole di fronte a Capo Guardafui, convenivano navi, oltre che dall'Egitto, dalla foce dell'Indo, dalla Persia, dalla Carmania, dal Corno d'Africa e dall'Arabia meridionale. Le transazioni commerciali di quegli empori spiegano la peculiarità di alcuni rinvenimenti nella città greca di Ai Khanum, in Afghanistan, dove nello heroon di Kineas si rinvengono vasetti d'alabastro contenenti kinamomon del Corno d'Africa (da non confondere col moderno cinnamomo) e dove la tesoreria del palazzo reale, oltre a vasi di incenso sud-arabico, ha restituito perle di corallo mediterraneo. L'uso del corallo, tuttavia, non era un'esclusiva della corte greco-battriana di Ai Khanum o della Taxila Maurya o di altri siti ancora dell'Asia Centrale, dove pure è stato ritrovato: per le stesse carovaniere che portavano la seta cinese in Occidente esso riuscì a raggiungere la Cina già nel II sec. a.C., quando nella letteratura cinese troviamo la prima menzione del corallo mediterraneo. Da allora in poi, sino all'età medievale e moderna, le esportazioni di corallo in Asia furono una costante dei rapporti commerciali tra Oriente e Occidente e il corallo mediterraneo rappresentò per molte culture dell'Asia quello che la perla orientale fu per le culture mediterranee. Un portolano del I sec. d.C., scritto da un mercante egiziano probabilmente a uso di investitori italici, il cosiddetto Periplo del Mare Eritreo, offre una descrizione estremamente ricca e dettagliata dei porti dell'Oceano Indiano e delle merci da questi importate. L'esposizione segue le linee di costa, prima quella africana dal Sudan alla Tanzania, poi quella asiatica dall'Arabia all'India meridionale (assai meno puntuale è la descrizione delle regioni ulteriori fino alla Malesia). Ai porti dell'Africa orientale, da cui erano esportati aromi africani, avorio e tartaruga, succedevano i porti sud-arabici della mirra e dell'incenso, quindi i porti persiani delle perle, quelli dell'India nord-occidentale con le spezie locali e la seta di provenienza cinese, quelli dell'India meridionale ricchi di pepe nero, malabatro, perle, diamanti, berilli. Le rotte marittime che collegavano le varie regioni dell'Oceano Indiano erano tutte agevolate dalla regolare alternanza dei venti monsonici, con il monsone di nord-est che dominava nei mesi invernali e il monsone di sud-ovest che soffiava nei mesi estivi, permettendo di coprire in meno di un anno distanze marittime anche notevoli, come ad esempio quella della rotta che dall'Egitto raggiungeva gli empori del pepe nero nell'India meridionale: partendo nella seconda decade di luglio dai porti sulla costa del Mar Rosso le grandi navi piperarie potevano avvistare le coste del Kerala già alla fine di settembre, mentre il viaggio di ritorno ‒ da iniziarsi tra il mese di dicembre e le idi di gennaio ‒ si concludeva a febbraio-marzo. Oltre che per questa relativa rapidità di trasporto, i commerci nell'Oceano Indiano risultavano particolarmente appetibili per l'innalzamento di valore che le merci subivano nel passaggio da una regione all'altra e per la conseguente altissima redditività del capitale investito. Anche se si può dubitare che ciò avvenisse per tutte le merci, non è improbabile che almeno per i prezzi di taluni generi si verificasse la progressione denunciata da Plinio e cioè che il prezzo d'arrivo superasse di cento volte quello di origine. Almeno per il primo secolo dell'Impero, i commerci nell'Oceano Indiano ebbero effetti profondi nell'economia dello Stato romano, provocando da un lato considerevoli entrate nelle casse statali (come ha confermato una recente scoperta papirologica, su queste merci gravava, oltre ad altre imposizioni minori, una tassa del 25% del valore) e dall'altro un'enorme emorragia di metallo monetato, confermata, da un punto di vista linguistico, dalla penetrazione del termine denarius nelle lingue d'Arabia, di Persia e d'India, dove però la parola di origine latina designava, conformemente a un uso popolare nell'Oriente romano, la moneta d'oro piuttosto che quella d'argento. Plinio approssimativamente stima in 100 milioni di sesterzi complessivi il passivo della bilancia commerciale romana nei traffici con l'Arabia, l'India e la Cina. Sempre secondo Plinio, la metà di questo deficit dipendeva dai commerci con gli empori dell'India meridionale, dove l'autore del Periplo del Mare Eritreo attesta che si esportava "soprattutto moltissimo denaro" e dove le transazioni commerciali potevano ridursi a scambi di oro (monetato) occidentale contro pepe indiano, come in effetti sono rappresentate dai poeti dell'antica poesia Tamil. I rinvenimenti di monete romane in India meridionale confermano, per l'età giulio-claudia, le indicazioni delle fonti letterarie sull'importanza del volume dei traffici, delineando però, per le epoche successive, un vistoso ridimensionamento del volume dei traffici. In effetti, tali commerci erano in buona parte funzionali ai lussi sfrenati che hanno caratterizzato (e portato al dissesto patrimoniale) le grandi aristocrazie di età giulio-claudia. L'avvento di Vespasiano e l'assai meno sfarzoso stile di vita di cui il nuovo imperatore si fece esempio e promotore presso le rinnovate élites provocarono un forte calo nella domanda di perle e diamanti, berilli e seta, avorio e spezie e quindi una drastica riduzione dei profitti dei ceti mercantili. Tutto ciò si ripercosse nel modo di navigare e commerciare tra Mediterraneo e Oceano Indiano, che naturalmente sopravvisse alla fine dell'età giulio-claudia, ma con profondi mutamenti strutturali. Dall'Egitto, più o meno abbandonati i porti del Mar Rosso di Myos Hormos e Berenice, si tornò a salpare dal fondo del Golfo di Suez, ora collegato al Nilo da un nuovo canale, fatto scavare da Traiano e destinato a durare, grazie all'assidua manutenzione riservatagli dall'amministrazione romana, sino alla conquista araba. Questo spostamento della base portuale egiziana sottintende una drastica riduzione dei tonnellaggi delle navi (nel I sec. d.C. erano state invece grandissime le navi che facevano rotta per l'India meridionale) e una nuova articolazione delle rotte dei commerci per l'India, che ormai dovevano appoggiarsi sul porto aksumita di Adulis. Tale porto divenne relais obbligato nelle navigazioni tra Mediterraneo e India nel momento in cui il regno di Aksum apparve a Mani uno dei quattro grandi regni del mondo e tale restò fino al VI sec. d.C., quando i mercanti alessandrini compagni di Cosma Indicopleuste fecero scalo ad Adulis nelle loro navigazioni verso l'India e Taprobane. Con la conquista araba, l'Egitto non cessò di svolgere l'importante funzione di tramite tra Mediterraneo e Oceano Indiano che aveva caratterizzato la sua storia precedente: fu attraverso il Golfo di Suez che i Radhaniti raggiunsero l'India.
L. Casson, The Periplus Maris Erythraei. Text with Introduction, Translation, and Commentary, Princeton 1989; F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana. Uomini e merci tra Oceano Indiano e Mediterraneo, Roma 1996; F. De Romanis - A. Tchernia (edd.), Crossings. Early Mediterranean Contacts with India, New Delhi 1997.
di Samou Camara
Dal VII al XVII sec. d.C. nelle regioni di savana dell'Africa occidentale si svilupparono circuiti locali intorno a crocevia naturali, chiefdoms e capitali reali quali Niani, Bobo-Dioulasso, Salagha, Kumasi, Begho e Oyo. Al di sopra di questi centri regionali si collocavano alcune città commerciali, come Walata, Timbuctù, Gao, Djenné, Bida e Kano, la cui funzione principale era quella di collegare le differenti regioni (in particolare la savana e la foresta) tra loro e l'Africa occidentale con i mercati sahariani, mediterranei e orientali. Le vie di comunicazione ebbero un ruolo determinante nello sviluppo di queste città, favorendo, oltre alle relazioni economiche, contatti e scambi culturali. Nel II sec. d.C. la città di Djenné era in rapporto con i grandi villaggi ubicati lungo il Niger e il suo affluente Bani; qui sono stati rinvenuti oggetti in rame datati al IV sec. d.C. e probabilmente provenienti dalle miniere sahariane di Tadmekka. Intorno al IX sec. d.C., allo stesso modo del centro di Igbo-Ukwu (ubicato alla foce del Niger), Djenné importava rame dalle miniere delle regioni più settentrionali, scambiandolo con l'oro, la cola e l'avorio provenienti dai Paesi meridionali. Nel XIV sec. d.C., sotto l'impero del Mali, i commercianti Mandingo, convertiti all'Islam, percorrevano le regioni forestali e il Paese Hausa alla ricerca di noci di cola e oro. La via dell'oro e della cola, che collegava il delta interno del Niger alle regioni di savana e di foresta, fu all'origine dello sviluppo di numerose città commerciali, come Begho in area Akan. L'oro estratto dai pozzi del Bourré e del Bambouk era oggetto di un intenso commercio, diretto verso il mondo musulmano mediterraneo e il mondo cristiano d'Occidente. L'ansa del Niger divenne lo snodo delle rotte commerciali del Sudan occidentale, con due grandi direttrici: quella locale, controllata dalle popolazioni Dioula, e quella transahariana, gestita dagli Arabo-Berberi. Il commercio interno regolava lo scambio di cereali, ferro e noci di cola, provenienti dalle regioni meridionali, con pesce del delta interno del Niger, sale, datteri e cavalli delle regioni settentrionali. Sull'asse transahariano, a partire da Djenné, l'oro, l'avorio e gli schiavi erano avviati verso Timbuctù o Gao, dove erano caricati su carovane per la traversata del deserto. Le stesse città ricevevano sale, datteri, grano, cavalli e oggetti suntuari del mondo arabo-berbero, che erano successivamente smistati verso Djenné e quindi verso le regioni meridionali. Tra le principali piste che collegavano l'ansa del Niger alle regioni settentrionali e orientali si possono citare la pista Timbuctù-Taghaza d'Awlil-Touat verso il Tafilalet e l'Ovest algerino, la pista Timbuctù-Walata-Tichitt-Wadame verso il Draared e il Tafilalet, la pista Gao-Tadmekka-Ghat verso la Libia e l'Egitto, la pista Gao-Tademessa-Ghadamez verso la costa libica e la Tunisia e infine la pista Gao-Hausa-Kano- Bornu verso la valle del Nilo. Due di queste antiche rotte sembrano avere contribuito in modo essenziale allo sviluppo economico e culturale del Sudan occidentale. Dall'VIII al XII sec. d.C. un asse occidentale, passando per Timbuctù e Taghaza d'Awlil, collegava le città commerciali dell'impero del Ghana (Kumbi Saleh, Walata, Awdaghost) a Sigilmasa, nel Marocco meridionale; Kumbi Saleh era il centro di distribuzione verso i Paesi della savana. Questa rotta, che assicurò prosperità alle città del Ghana, convogliava il salgemma di Taghaza d'Awlil verso il Sudan, ma nell'XI sec. d.C. gli Almoravidi occuparono Sigilmasa e successivamente Awdaghost, assicurandosi il controllo del traffico commerciale tra l'Africa occidentale e il mondo mediterraneo. Verso la fine dell'XI sec. d.C. con la caduta dell'impero del Ghana e la distruzione della sua capitale Kumbi Saleh, questa rotta venne abbandonata. Nello stesso periodo una seconda rotta, più orientale, partiva da Gao e traversava il Sahara passando per Tadmekka (Es-Souk) nell'Adrar des Ifoghas e per Taghaza d'Awlil, prima di raggiungere i Paesi mediterranei. Essa assunse importanza con l'impero del Mali, particolarmente in seguito al pellegrinaggio alla Mecca del sovrano Kankan Musa nel 1325; seguita dalle carovane marocchine e dai pellegrini per la Mecca, passando per Touat, fu anch'essa sottoposta alle predazioni delle tribù Almoravidi a partire dal XIV secolo. Dal XV al XVI sec. d.C. l'impero del Mali fu costretto ad abbandonare progressivamente i mercati di Djenné e di Timbuctù, ormai sotto il controllo dei Songhay, a vantaggio dei centri di Sutuco e di Djamma Sura, sul fiume Gambia. Furono sfruttate nuove rotte più orientali: la città di Ourgla avrebbe progressivamente soppiantato Sigilmasa. Nel Sudan centrale le più antiche vie commerciali conosciute sono la "via dei Garamanti" tra il Fezzan e Gao, quella di Ghadamez verso l'Air e l'ansa del Niger, la rotta da Ghadamez al Fezzan attraverso Ghat e soprattutto attraverso l'Air, avente Agadez come centro principale, e infine la via romana che collegava il Fezzan al Ciad, passando per Bilma e il Kawar, tra i pendii dell'Hoggar e del Tibesti. Bilma, al centro delle miniere di sale del Kawar, rimase il punto di partenza delle carovane di cammelli dell'Azalai, che ogni anno trasportavano barre di sale dall'Air verso Gao. Nel XIII sec. d.C., nella regione intorno al lago Ciad, tra i sovrani di Tunisi e del Kanem fu firmato un trattato che garantiva la sicurezza della pista transahariana tra Tripoli e il Kanem; ciò permise l'estendersi dell'autorità del Kanem fino al Fezzan a nord, al Bornu a ovest e al Wadai a est. Nel XV sec. d.C. le carovane di cammelli, passando per l'Hoggar, trovavano nel Bornu il rame proveniente dal Wadai e da Darfur e riportavano numerosi schiavi. La rotta transahariana più orientale era quella del Darb el-Arbain, che collegava l'Egitto a Kobé, nel Darfur. Alle estremità di queste "piste meridiane", alcune "piste trasversali" molto attive collegavano i porti carovanieri: la pista di Walata verso Timbuctù, Gao, il Darfur e, attraverso Sennar e il Nilo Azzurro, verso i porti del Mar Rosso (Souakim, Zeila) e quindi verso la Mecca o l'Oceano Indiano. Nel XIV sec. d.C. la via delle spezie, fiorente sul Mar Rosso e lungo il Nilo, collegava i mercati egiziani e quelli del Levante. I mercanti Karimi ne trassero grande fortuna ed estesero la loro attività fino all'Africa occidentale, particolarmente a Timbuctù, dove uno di loro avrebbe trovato la morte nel 1334. Nel Golfo di Guinea, a partire dal VII sec. d.C., gli Hausa si installarono tra il Bornu, il Niger e il Bénoué; intorno al XII secolo crearono alcune città fortificate (Katsina, Kano, Kebi) e successivamente piccoli regni intorno alle vie commerciali che collegavano Tripoli e l'Egitto da una parte, il Niger all'alta valle del Nilo attraverso il Darfur dall'altra. Questo periodo corrisponde anche all'emergere delle città Yoruba (Ife, Illorin e Oyo) e di quelle del regno del Benin; grazie a strutture economiche, sociali e religiose particolarmente efficienti, tali centri promossero la nascita di corporazioni artigiane, che nel Medioevo avrebbero fatto del regno del Benin uno dei principali centri di produzione d'arte africana. L'evoluzione politico-economica dell'Africa centrale e orientale fu segnata tra il XII e il XV sec. d.C. dall'affermarsi di due grandi regni, quello dei Bantu del Congo e quello del Monomotapa, ricchi produttori d'oro, rame e stagno. Durante l'antichità e agli inizi del Medioevo un intenso traffico terrestre consentiva la circolazione dell'oro dallo Zimbabwe, attraverso la rotta dei Grandi Laghi, verso i Paesi del Nilo; a partire dal X sec. d.C. un traffico regolare si organizzò fino a Sofala e nell'XI secolo i Fatimidi avevano rappresentanti in tutti i porti commerciali importanti. Sofala era il più grande centro di raccolta dell'oro, ma era soprattutto a Kilwa, situata più a nord, che si effettuavano le esportazioni; le due città acquistarono importanza rispetto a quelle dell'interno. L'oro era fuso a Great Zimbabwe e il momento di auge della città coincise con l'impero del Monomotapa. Oltre al traffico continentale, l'Africa orientale esportava ferro lavorato, avorio, pelli di animali, carapaci di tartaruga e giraffe verso i mercati del Golfo Persico e quindi verso la Cina e l'India. Dal V al XV sec. d.C. flotte indonesiane, arabe, indiane e cinesi solcavano l'Oceano Indiano e collegavano l'Africa all'Asia. Da questi contatti nelle città commerciali della costa orientale nacque la civiltà Swahili; profondamente africana, essa si venne costituendo attraverso scambi di uomini, beni, tecnologie e concetti religiosi tra il mondo africano e le culture orientali, soprattutto grazie all'intermediazione araba. Gli Arabi e i Malesi, insieme ai prodotti commerciali, esportarono in Africa nuove tecniche nel campo dell'agricoltura (risaie inondate), della pesca (utilizzazione dell'arpone), della manifattura di oggetti di prestigio (armi decorate, tessitura) e della navigazione (piroghe indonesiane nel bacino del Congo), mentre i popoli africani insegnarono loro l'allevamento dei bovini, la coltura del miglio e la scultura su legno. Successivamente tra l'Africa, l'Oriente e l'Occidente si instaurò un commercio di "tipo coloniale": dall'Africa si esportavano (oltre agli schiavi) ferro, rame, oro, pelli animali, avorio e olio di palma, mentre gli Arabi importavano cotoni indiani, ceramiche d'uso comune, zucchero e vetri dall'Iraq, conchiglie dall'Indonesia (i cauri erano usati come monete), sete e porcellane cinesi, pietre preziose e oggetti in rame dall'India, spezie e profumi da Ceylon o da Sumatra, canfora da Giava, ecc. Il traffico commerciale fu facilitato dall'introduzione della moneta araba, il dinaro, in tutto l'Oceano Indiano, ma alcune grandi città, come Mogadiscio e Kilwa, avevano un proprio sistema monetale. Nell'area comprendente Uganda, Kenya, Tanzania e Malawi l'abbondanza di evidenze archeologiche ha portato all'identificazione della civiltà azanica; tra le scoperte figurano tracce ‒ su circa 1000 km ‒ di antiche rotte di comunicazione tra la regione del Lago Nyassa e quella di Nairobi, larghe da 3 a 5 m e rese pianeggianti con gallerie scavate attraverso le colline, terrazzamenti e interventi di riempimento dei fondovalle, che hanno i margini talvolta ancora segnati da allineamenti di ciottoli. La loro realizzazione, collegata allo sviluppo commerciale sulla costa africana del Mar Rosso e l'Oceano Indiano, si collocherebbe tra il XIII e il XV secolo. Tra il VI e il XV sec. d.C. un'importante rete commerciale attraverso cui circolavano oro, cola, sale, rame e cotonate si sviluppò tra le savane sudanesi e le regioni saheliane e sahariane e successivamente tra queste e le più meridionali regioni di foresta, dalla Casamance fino al Golfo del Benin. Una moneta araba in oro del diametro di 18 cm, che recava a rilievo su una faccia una data (1200 a.E.) corrispondente al 1785 d.C., oltre 40.000 crogioli per la fusione del rame e tre barre dello stesso materiale sono stati rinvenuti nel sito di Marandet, ai piedi della falesia di Tigidid (Niger). L'utilizzazione di tali crogioli, datati alla seconda metà del I millennio d.C., viene correlata con l'esistenza di un traffico anteriore a quello che gli Arabi avrebbero controllato, verso la fine dell'VIII sec. d.C., nel Sahara occidentale a partire da Sous, in Marocco. Marandet appare dunque come un centro di transito del rame, che altre carovane dovevano trasportare verso sud, dove esso aveva un valore comparabile con quello dell'oro. Durante il XIV sec. d.C. nell'area Hausa il mercato era luogo privilegiato di scambi e di contatti con gruppi stranieri. Come nella maggior parte dei mercati dell'Africa occidentale, il baratto regolava quasi tutte le transazioni. I principali mezzi di scambio erano costituiti da nastri di cotone, sale, schiavi e dai cauri introdotti nel XVI sec. d.C. Questo commercio era gestito essenzialmente dai Wangara, ma anche i Tuareg e i Canuri vi partecipavano. L'asse principale del commercio Hausa si sviluppava essenzialmente da nord a sud; solo successivamente sarebbero state esplorate altre rotte verso est. I prodotti commerciati comprendevano beni di produzione locale (cotonate, oggetti di cuoio, cereali, piume di struzzo, caucciù, ecc.), oltre ad articoli importati dal Sahara e dal Nord Africa, come armi, cavalli, perle, indumenti suntuari, barre di stagno, sale e natron di Bilma e di altri giacimenti del Sahara, schiavi e noci di cola provenienti da sud. I principali centri di questo commercio erano Kano, Katsina, Agadez, Gobir. In Africa orientale fin dal III-IV sec. d.C. il sale estratto a Dankali (Aksum) figurava tra i beni esportati verso regioni più o meno lontane. Ricerche condotte nelle saline di Uvinza e Ivuna (Tanzania sud-orientale) hanno rivelato che questi giacimenti conobbero tra il V e il XV sec. d.C. una grande attività di estrazione e di commercializzazione su lunga distanza. Lo sfruttamento del rame iniziò nello Shaba, nell'altopiano centrale dello Zimbabwe e nell'alto Limpopo. Nel IX sec. d.C. il rame lavorato era impiegato per la realizzazione di ornamenti personali femminili (bracciali, orecchini, decorazioni per i capelli), oltre che nei riti funerari. Barre e piccole croci di rame, o di leghe di rame, erano commercializzate su lunga distanza e venivano utilizzate come moneta. Lo sfruttamento dell'oro iniziò intorno al VII sec. d.C. immediatamente a sud dello Zambesi, nella valle della Mazoe, e si diffuse nell'intero altopiano tra il IX e l'XI sec. d.C., per raggiungere la zona del Limpopo nel XV sec. d.C. Le esportazioni verso la costa, in particolare in direzione di Sofala, avvenivano essenzialmente attraverso la valle di Sabi, oltre che lungo lo Zambesi; esse furono alla base della ricchezza della città di Great Zimbabwe, un quartiere fortificato della quale ospitava officine per la fusione del metallo, che prima di essere esportato doveva essere affinato. Oltre alle piste, i fiumi rappresentarono nelle regioni di foresta vie di circolazione, spesso controllate dai gruppi etnici dominanti. Il cabotaggio musulmano, che faceva capo ad Aden, generava flussi di esportazione di prodotti dalle regioni interne dell'Africa verso il mondo musulmano, indiano e cinese. Le relazioni commerciali tra l'Africa, l'Asia e l'Oceano Indiano portarono alla formazione di grandi assi commerciali che raggiungevano l'Asia occidentale. A partire dal VII sec. d.C. dovette esistere concorrenza tra la rotta che portava al Golfo Arabo- Persico, alimentando il commercio della Mesopotamia e della Siria, e quella che giungeva nel Mar Rosso e che, attraverso il Nilo, aveva consentito lo sviluppo dei porti del Delta. Tra il XII e il XV sec. d.C. il crollo dei domini musulmani della Mesopotamia permise all'Egitto di assumere il pieno controllo del commercio orientale. Specialisti di questo importante flusso commerciale, i Karimi, assicuravano tra le due rive del Mar Rosso il traffico di spezie, di pietre preziose, d'oro e di rame tra Aden e l'Egitto da una parte e tra l'Asia e l'Africa dall'altra. Sotto gli Ayyubidi, Aydhab divenne uno dei porti più frequentati del mondo; con i Mamelucchi l'egemonia economica egiziana si estese ai porti di Sawakin, Massaua, Assab, sulla costa occidentale del Mar Rosso. Nei rapporti con l'Asia, Aden divenne progressivamente il punto di passaggio obbligato del commercio della costa orientale dell'Africa. A partire dal XII sec. d.C. la costa orientale africana conobbe un'intensa attività commerciale; in Arabia e in India l'oro, l'avorio, il legno e il ferro africani erano particolarmente ricercati. Verso il 1240 l'area intorno a Sofala venne descritta come un immenso territorio con catene montuose ricche di giacimenti di ferro. L'oro di Sofala, commercializzato a Kilwa, occupò un posto importante nelle esportazioni in direzione del mondo musulmano e dell'Oceano Indiano. Ogni anno, sfruttando i monsoni estivi, navi musulmane partivano da Mombasa o da Malindi verso l'Asia. Al ritorno esse recavano sulla costa orientale diversi prodotti, tra cui i cauri delle Isole Maldive, piante, ceramica, indumenti e ornamenti di vetro. Kilwa rappresentava probabilmente il capolinea di queste transazioni; le zone più meridionali, fino al canale del Mozambico, sarebbero state frequentate da navigatori musulmani solo a partire dal XV sec. d.C. Questo commercio favorì la creazione di colonie africane in Arabia meridionale e sulla costa occidentale dell'India. Numerose città della costa africana, da Capo Guardafui a Sofala, accolsero a partire dal XII sec. d.C. emigranti provenienti dal mondo musulmano: Malesi e Indonesiani tra il V e il XIII sec. d.C.; indiani Wadebuli giunti a Zanzibar su navi "di foglie di palma" nel X sec. d.C.; Zeiditi dell'Oman, che avrebbero fondato Mogadiscio intorno al 740; Sciti persiani in fuga da Shiraz verso Kilwa nel 975. Le fonti arabe del X sec. d.C. riportano che le popolazioni Zeng o Zandj della costa africana erano tributarie dei navigatori arabi e indonesiani per il loro commercio; non possedendo imbarcazioni, esse salpavano su quelle, dell'Oman e di altri Paesi, dirette alle Isole Zaladj (Sumatra) che dipendevano dalle Indie; qui vendevano le loro mercanzie e acquistavano prodotti locali. Nel XIV sec. d.C. si sviluppò su tutta la costa orientale l'architettura in pietra. La ceramica cinese (ciotole decorate sulle pareti esterne da rappresentazioni di petali di loto, di stile Céladon; grandi giare in grès, ecc.) conobbe una grande diffusione, così come le perle indiane, che a Kilwa coesistono con perle ricavate da Tridacna. Il traffico fu facilitato dall'adozione della moneta araba, il dinaro, in tutto l'Oceano Indiano. Ma anche le grandi città quali Mogadiscio e Kilwa possedevano una moneta propria con un'iscrizione in caratteri arabi. Mercanti arabi e Swahili si recavano nell'isola di Madagascar per approvvigionarsi a Komr o a Bukini di beni non reperibili in Africa orientale (riso, copale, cloritoscisto), in Arabia o nel Golfo Persico (schiave destinate agli harem, legno di mangrovia e riso). Essi introdussero nell'isola perle indiane di Cambaye, ceramiche islamiche del Medio Oriente e, a partire dal XIV sec. d.C., ceramiche cinesi, che transitavano per Mataban o Malaga, oltre che tessuti. Culture ceramiche del bacino del fiume Monambovo e della regione di Androy, a sud del Paese, attestano l'esistenza intorno al X sec. d.C. di relazioni commerciali tra l'isola e altre regioni del mondo. Nei siti di Andranosoa, Ramananga e Andrao, datati tra il XII e il XV sec. d.C., e in alcuni insediamenti cinti da mura, definiti Manda e generalmente ubicati lungo i corsi d'acqua, sono state rinvenute ceramiche del tipo sgraffiato (diffuso sulla costa da gruppi islamizzati durante l'XI-XII sec. d.C.), ceramiche Céladon di colore verde oliva del XV sec. d.C., recipienti in cloritoscisto la cui produzione ha reso celebre la cultura Rasikajv del Nord-Ovest dell'isola intorno al XV sec. d.C., oltre a ornamenti di conchiglia o ferro. Intorno al 1450 esisteva una consolidata rete di scambi commerciali tra la costa orientale dell'Africa e il Madagascar nord-occidentale, in quel periodo collegato a Kilwa da un traffico regolare. Se nell'ambito dello studio dei rapporti tra l'Africa e il mondo musulmano e l'Oceano Indiano i risultati degli scavi archeologici confermano spesso i dati riportati alle fonti arabe e cinesi, essi permettono anche di affermare che l'Africa orientale rientrò in contatto con il mondo arabo molto prima. Ceramica iraniana, datata tra il V e il VII sec. d.C., è stata rinvenuta non soltanto in siti costieri dal Corno d'Africa fino a Chibuene (Mozambico), ma anche a Bagamoyo (Tanzania), circa 50 km all'interno. Ciò permette di supporre che il commercio costiero fosse associato a un commercio nelle regioni interne che avrebbe agevolato la diffusione dell'Islam. Perle e frammenti di vetro importati sono stati rinvenuti in un sito del VII sec. d.C. nei pressi delle Cascate Vittoria, oltre che a est del Transvaal. Scavi condotti a Shanga (Arcipelago di Lamu, al largo della costa settentrionale del Kenya) hanno consentito l'identificazione delle fondazioni di una moschea di legno, oltre che di ceramica iraniana dell'VIII sec. d.C. e di vasi di pietra cinesi. Tali rapporti commerciali tra Cina e Africa, che dovettero iniziare prima di quanto precedentemente postulato, sono stati confermati anche dalla scoperta, effettuata a Shanga nel 1986 in depositi datati intorno al 1100 d.C., di una statuetta di bronzo del peso approssimativo di 200 g, raffigurante un leone. La tecnica di fabbricazione ricorda quella a cera perduta, utilizzata nel Deccan tra l'XI e il XIII sec. d.C., e il manufatto potrebbe essere opera di un artista indiano. Le fonti arabe dell'XI sec. d.C. segnalano in effetti che monete di bronzo cinesi erano massivamente importate in India e nelle regioni occidentali dell'Oceano Indiano e quelle cinesi del XII sec. d.C. riportano che ogni anno Zanzibar (Africa orientale) era raggiunta per ragioni commerciali da imbarcazioni cariche di tessuti di cotone bianco e cotone rosso, porcellana e rame, provenienti dalle città costiere dell'India e dell'Arabia, e che la domanda cinese di prodotti africani sarebbe iniziata all'epoca della dinastia Tang. Questi prodotti avrebbero viaggiato dall'Africa e dalla Penisola Arabica verso l'India; poi dall'India verso il reame malese di Sri Vijava, che dall'VIII al XII sec. d.C. controllava le due rive dello Stretto di Malacca; infine dalla Malesia verso la Cina. Più tardi, tra il 1410 e il 1433, flotte cinesi raggiunsero Malindi, Bravo e Mogadiscio. I CONTENITORI PER IL TRASPORTO Nell'Africa subsahariana le merci erano generalmente trasportate in sacchi di pelle, stoffa o fibre, in panieri intrecciati di bambù o in foglie di palma, entro vasi (che però, a causa del loro peso, erano meno comodi negli spostamenti a lunga distanza) o zucche, oppure semplicemente poggiate sul fondo delle imbarcazioni. In questa zona tropicale, a causa dell'acidità del suolo, i materiali organici si conservano difficilmente ed è dunque raro il rinvenimento di evidenze dirette (fatta eccezione per i materiali fittili) di questi tipi di contenitori da trasporto; lo stesso accade anche in quelle regioni, come ad esempio sulle rive del fiume Niger, in cui il commercio rivestì tra l'VIII e il IX sec. d.C. un ruolo determinante nella vita delle popolazioni. Vasi contenenti oggetti di uso quotidiano oppure impiegati, come le grandi giare, per fini rituali (inumazioni) sono stati frequentemente rinvenuti in numerosi siti, come a Bura (Niger); ma l'associazione tra ceramica, o altri contenitori, e prodotti destinati al commercio o all'esportazione è rarissima. Per il trasporto delle merci i commercianti musulmani utilizzarono cavalli e in seguito cammelli, grazie ai quali fu possibile attraversare il Sahara e trasportare beni fino alle rive del fiume Niger. Un piccolo vaso contenente barrette di rame lunghe da 3 a 5 cm è stato rinvenuto nel 1967 in un campo agricolo localizzato una decina di chilometri a sud del sito di Kumbi Saleh, datato agli inizi del II millennio d.C. A Maden Ijafen, nel deserto di Hodh, da un monticolo del diametro di 6-7 m e dell'altezza di 70 cm sono state riportate alla luce barrette di rame legate tra loro mediante corde e avvolte in un tessuto, oltre che conchiglie (essenzialmente cauri). Le datazioni del materiale organico impiegato per l'imballaggio delle barrette si collocano tra il 1160 e il 1280 d.C. Questo deposito è stato interpretato come il carico trasportato da tre o sei cammelli di una carovana proveniente verosimilmente dal Sud del Marocco e in viaggio verso le città di Walata o Tegdaoust. Sulle rotte commerciali dirette verso le regioni di savana e di foresta, i carichi erano imballati entro sacchi di pelle o fibre vegetali, quindi collocati su asini o trasportati lungo corsi d'acqua. I commercianti Wangara guidavano carovane di asini carichi di sale, cotonate od oggetti di rame verso i centri meridionali, come Niani; essi praticavano anche il trasporto a spalla, per il quale alcuni Wangara di Djenné possedevano fino a 200 schiavi. Il trasporto animale permetteva scambi a più vasto raggio; la leggenda attribuisce ad esempio la prosperità della città di Kano agli spostamenti di granaglie a dorso d'asino. Sulla costa orientale, in assenza di animali da soma, erano gli stessi commercianti a trasportare i carichi sulla testa o sulla schiena fino ai centri commerciali di Mombasa e Malindi.
Sulle reti commerciali:
J.O. Vogel, Kamangoza: an Introduction to the Iron Age Culture of Victoria Falls Region, London - New York 1971; W.G.L. Randles, L'empire du Monomotapa du Xe au XIXe siècle, Paris 1975; N. Chittick, Manda Excavations at an Island Port on the Kenya Coast, Nairobi 1984; M. Adamu, Les Hawssa et leurs voisins du Soudan Central, in Histoire générale de l'Afrique, IV, Paris 1985, pp. 293-329; D. Grébénart, Marandet, in Vallées du Niger (Catalogo della mostra), Paris 1993, pp. 375-77.
Sui contenitori per il trasporto:
T. Monod, Le Ma'den Ijâfen; une étape caravanière ancienne dans le Majabat al-Koubrâ, Fort Lamy 1969, pp. 286-320.