Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. I contenitori per il trasporto nel mondo classico: le anfore
Per sua intima natura, l'anfora, al pari degli altri reperti ceramici in generale, rappresenta un vero e proprio "fossile guida" che può assumere valore paradigmatico nell'indagine archeologica volta alla definizione degli strumenti materiali coinvolti nei sistemi di commercio dell'antichità. L'anfora può dunque ben essere assunta ad esempio per eccellenza del contenitore per il trasporto a lunga distanza. La sua funzione doppia, come oggetto ceramico messo in commercio in quanto tale e come contenitore destinato al trasporto, consente di valorizzarne il ruolo di testimonianza di alcuni aspetti della storia economica dell'antichità e di considerarla anche in relazione ai problemi più complessi collegati al commercio dei beni di largo consumo, rappresentando anche in tal senso una sorta di "tracciante archeologico" di primaria importanza. *
di Clementina Panella
Il termine anfora (gr. ἀμφιφοϱεύϚ, ἀμφοϱεύϚ; lat. amphora) indica un recipiente in ceramica caratterizzato da un collo ordinariamente stretto e da due anse verticali opposte. Sul piano funzionale il termine viene applicato a quei contenitori che, presentando le citate caratteristiche morfologiche, siano destinati alla conservazione di liquidi (anfore di uso domestico) o al trasporto di sostanze alimentari (anfore commerciali). Nello studio della ceramica antica il termine anfora connota una classe cui appartengono tutti i vasi in ceramica di forma chiusa e muniti di anse, che risultano utilizzati per il trasporto di derrate di largo consumo, quali l'olio (e le olive), il vino, le conserve di pesce (e il pesce salato o in salamoia), i legumi, la frutta, il miele, il latte, gli unguenti e forse la carne. Rispondono a tale destinazione d'uso le dimensioni medio-grandi, idonee all'"imbottigliamento" di una grande quantità di sostanze, la terminazione, generalmente a punta, che permette lo stivaggio razionale di tali recipienti nelle navi mercantili, la qualità e lo spessore dell'impasto, che garantiscono della resistenza del contenitore. Dal punto di vista metrologico l'amphora costituisce, forse già nel mondo greco, anche una misura di capacità, che nel mondo romano sarà pari al piede cubico (quadrantal ), corrispondente a 26,2 l. In amphorae viene calcolato il tonnellaggio delle navi romane, a conferma degli stretti rapporti tra questi manufatti e il commercio transmarino: in età repubblicana ai senatori non era consentito di possedere navi che trasportassero più di 300 anfore, mentre il termine muriophoroi può essere riferito a battelli di 10.000 anfore, riconoscibili in alcuni dei più grandi relitti finora rinvenuti (Albenga, Madrague de Giens). Una volta riempita, l'anfora veniva chiusa con argilla o fango (anfore cananee ed egizie), con gesso o con tappi di sughero, di legno o di altro materiale organico (pelli di animali, cera), ma anche con appositi tappi di ceramica, sigillati con calce o pozzolana. Per impermeabilizzare le pareti si trattava la superficie esterna mediante steccature (anfore africane di età romana) o rivestimenti di argilla diluita (ingubbiatura), calce o acqua di mare (anfore africane e tripolitane). Un sottile strato di bitume, pece o resina caratterizza frequentemente la parete interna delle anfore da vino e da salsa di pesce, con la duplice funzione di impedire l'assorbimento del liquido e, nel caso del vino, di aromatizzarlo. Pur trattandosi di un "vuoto a perdere", le anfore sono state assai spesso reimpiegate sia per nuovi trasporti che per conservare sostanze di qualsiasi genere (alimenti, calce, pece, orina). Frequente è anche il loro riuso in ambiente funerario (al posto di sarcofagi, urne, segnacoli) e soprattutto nell'edilizia per la preparazione di pavimentazioni, per l'alleggerimento delle volte, per la realizzazione di condotte d'acqua, per il drenaggio dei terreni. Un caso del tutto singolare è il destino delle anfore olearie che giungevano a Roma dalla Betica (Andalusia) e dall'Africa Proconsolare (Tunisia e Tripolitania). Ridotte in cocci dopo essere state svuotate, esse furono scaricate per tre secoli presso il porto fluviale, venendo a formare una collina alta 40 m, il Testaccio, che costituisce il più grande archivio della storia del commercio dell'età imperiale romana. L'edizione, da parte di H. Dressel, delle iscrizioni (bolli, tituli picti, graffiti) presenti sugli innumerevoli frammenti ceramici di cui esso è composto ha inaugurato alla fine dell'Ottocento gli studi sulle anfore romane. Enormi scarichi dovevano esistere anche in altri importanti siti di consumo del mondo antico, come Atene, Delo e Alessandria, che ha restituito finora oltre 100.000 bolli d'anfora.
La citata particolare duplicità funzionale delle anfore e il loro carattere utilitario hanno orientato le ricerche che le riguardano verso temi di storia economica, in relazione sia alla produzione artigianale della ceramica (tecnologie produttive, organizzazione del lavoro, proprietà dei mezzi di produzione) sia alla produzione e al commercio dei beni trasportati. A tal fine è stato necessario organizzare le anfore in serie omogenee secondo criteri prestabiliti (tipi) e individuare gli ambiti geografici (di origine e di smercio) e cronologici spettanti a ciascuno di essi: questi risultati sono stati conseguiti mediante l'elaborazione di tipologie, lo studio del corredo epigrafico, la ricerca bibliografica dei confronti, e, negli ultimi due decenni, mediante l'applicazione di più sofisticate metodologie (modelli matematici applicati alla tipologia, analisi scientifiche degli impasti e dei residui organici per la definizione delle tecnologie produttive, delle aree di origine e dei contenuti). Contemporaneamente anche gli scavi archeologici hanno contribuito ad un progressivo accrescimento dei dati, grazie al ritrovamento di un gran numero di officine di anfore in molte località del Mediterraneo. Tali scoperte hanno consentito di ancorare a centri di produzione precisi i principali tipi individuati. Gli scavi stratigrafici di numerosissimi contesti terrestri hanno fornito a ciascun tipo il sostegno della cronologia. Il recupero di molte navi naufragate nel Mediterraneo (più di un migliaio di relitti finora recensiti) con i loro carichi di anfore ha permesso di studiare sia le associazioni dei materiali imbarcati (altro vasellame, metallo, marmo, opere d'arte), sia la provenienza e la destinazione delle merci e quindi le rotte marittime del commercio antico. Infine, l'adozione di procedure di quantificazione nell'analisi dei reperti provenienti da contesti datati ha consentito di introdurre nello studio dell'economia antica il riferimento a "ordini di grandezza" assai raramente ricavabili dai testi scritti e di delineare tendenze evolutive e modelli economici e commerciali non ricostruibili sulla base del solo esame della distribuzione dei ritrovamenti. La ricaduta in termini di conoscenza di questo complesso di indagini è stata enorme, tanto che l'uso dei dati delle anfore è entrato con pieno diritto nel dibattito sulle relazioni economiche e sociali del mondo antico.
Ogni area produttiva del mondo antico costruisce e diffonde i suoi modelli di anfore, i quali sono resi riconoscibili dal modo in cui sono articolate le singole parti del vaso, dalle tecniche di fabbricazione, dalle caratteristiche volumetriche e diminsionali. Alla formazione di tali modelli hanno contribuito diversi fattori: 1) consuetudini artigiane proprie della cultura di ciascuna area di produzione: la tripartizione del vaso in collo, pancia e fondo è assente in ambiente siro-palestinese e fenicio- punico, mentre è una caratteristica della tradizione greca e romana; tale tradizione si fonda e deriva da una precisa tecnica di fabbricazione in cui le singole parti sono eseguite al tornio separatamente e poi saldate; 2) esigenze di carattere funzionale, per le quali sostanze liquide come il vino richiedono forme dal collo lungo e stretto, generi semiliquidi come l'olio colli bassi e relativamente stretti, derrate dense come le conserve di pesce forme dall'imboccatura larga; 3) fenomeni di imitazione innescati da rapporti commerciali o politici (madrepatria/ colonie) e in qualche caso dalla volontà di "copiare" recipienti adibiti al trasporto di merci famose. Nascono così anche vere e proprie contraffazioni che rendono ardua la distinzione sulla sola base morfologica degli "originali" dalle "copie". Ampia sotto questo aspetto è la casistica disponibile, dalle produzioni della Grecia della fine dell'VIII sec. a.C. a quelle tardoantiche del Mediterraneo bizantino. Una volta che dall'idea dell'oggetto si passa ad un tipo preciso di vaso, esso viene riprodotto da più officine per generazioni su infiniti esemplari, con variazioni sostanzialmente irrilevanti. La ripetitività del modello garantisce rapidità di esecuzione e contenimento dei costi. Tale standardizzazione ha come conseguenza la codifica di un messaggio che nel caso dell'anfora si carica di più significati: zona di provenienza, merce contenuta, qualità e capacità del contenitore. Per quanto riguarda la capacità, ogni anfora sembra fare riferimento a misure standard. Misurazioni condotte su esemplari interi indicano che i contenitori di Chio della metà del V sec. a.C. contenevano tra i 20 e i 23 l di liquido, poco più di 20 l quelli di Coo e di Taso, circa 25-26 l quelli di Rodi del III sec. a.C., mentre la capacità delle anfore vinarie tirreniche di età tardorepubblicana e augustea (Dressel 1, Dressel 2-4) si attesta intorno ai 26-28 l. Alcuni tipi prevedono l'esistenza anche di mezze misure e di eventuali sottomultipli. In generale un tipo di anfora cessa di essere fabbricato perché termina in un territorio l'eccedenza di una produzione agricola o conserviera da destinare all'esportazione. È il caso delle anfore attiche SOS, che scompaiono agli inizi del VI sec. a.C. in connessione con la crisi agraria dell'età di Solone o dei contenitori oleari di Brindisi, che cessano di circolare intorno alla fine del I sec. a.C. con il prevalere nel Salento delle colture estensive e della pastorizia a danno dell'olivicoltura. Ma non sempre la fine della produzione di un'anfora coincide con l'abbandono delle officine: può accadere, infatti, che si verifichi una sostituzione di un tipo di recipiente con un altro. A partire dal periodo compreso tra il 70 e il 50 a.C., ad esempio, alcune officine dell'area tirrenica cominciano ad affiancare alle anfore Dressel 1, adibite al trasporto dei più rinomati vini italici, tipi nuovi (Dressel 2-4), destinati ad assicurare per altri due secoli la diffusione degli stessi vini. In questo caso l'adozione di un nuovo modello, derivato da prototipi di Coo, sembra dipendere dal generale fenomeno di ellenizzazione dell'artigianato romano, ma anche da motivi economici: essendo la nuova anfora molto più leggera, a parità di carico il contenuto di merce trasportata risultava infatti assai maggiore. Esistono officine che realizzano durante tutto il periodo d'uso degli impianti un solo tipo di anfora; altre che fabbricano contemporaneamente più tipi. Di norma l'uso contemporaneo di più modelli sembra rispondere alla necessità di diversificare i prodotti invasati. Ne consegue che ad ogni forma di contenitore dovrebbe far riferimento, al momento del suo primo impiego, un contenuto prevalente. Tuttavia le evidenze disponibili spingono a credere che alcune produzioni non abbiano conosciuto una specializzazione dei modelli in funzione della merce trasportata e che abbiano risposto alla domanda del mercato con le partite di anfore in giacenza. La varietà tipologica sembra comunque caratterizzare la fase iniziale di alcuni impianti. In altri casi, come nelle fornaci della Narbonese di età imperiale, alla contemporanea realizzazione di più tipi corrisponde una diversa diffusione di essi sui mercati regionali e interregionali (Gallica 1, Gallica 5) o interprovinciali (Gallica 4).
La presenza di iscrizioni accomuna le anfore alle più diverse categorie di prodotti artigianali, ma rispetto alle altre classi dell'instrumentum il loro corredo epigrafico è molto più ampio sul piano tecnico e più complesso. Le iscrizioni si riferiscono infatti sia al momento della fabbricazione del recipiente (bolli, graffiti a crudo), sia al momento della commercializzazione dei generi trasportati (tituli picti, graffiti, iscrizioni sui tappi, etichette).
I bolli - Il sistema della bollatura consiste nell'impressione nell'argilla ancora molle di uno o più marchi mediante un punzone in legno, in ceramica o in metallo. Cambiano a seconda dei singoli ambienti la parte del vaso interessata dal bollo (prevalentemente le anse, il collo e l'orlo, più raramente il fondo), la forma (rotonda, quadrata, rettangolare, planta pedis, ecc.) e il numero delle impressioni, le caratteristiche dei testi (solitamente nomi personali, etnici, toponimi, ma anche simboli e segni) e, soprattutto, il loro possibile significato. Al di là delle esperienze piuttosto limitate, anche se molto antiche, del Vicino Oriente e dell'Egitto, ove il bollo fa riferimento ad una autorità costituita, è nel mondo greco che, a partire dall'ultimo quarto del V sec. a.C., la bollatura diventa un fenomeno quantitativamente rilevante per poi influenzare marginalmente il mondo punico, più intensamente quello magnogreco e siciliano e, infine, quello romano (dal II sec. a.C. in poi). L'ampio arco cronologico e la molteplicità delle aree che adottano la bollatura impedisce di applicare chiavi di lettura univoche ai documenti disponibili. D'altro canto la mancanza di sistematicità all'interno delle stesse officine rende ancora più complessa l'interpretazione del fenomeno: accade infatti che non tutte le anfore fabbricate in un determinato centro siano bollate, mentre esistono ambiti produttivi che ignorano totalmente o quasi la bollatura: è il caso, ad esempio, di quasi tutte le anfore tardoantiche, indipendentemente dal loro luogo di origine. Gli studiosi convengono sostanzialmente nel collegare la bollatura agli aspetti produttivi del vaso, ferma restando l'ambiguità che nei singoli sistemi deriva dalla molteplicità dei soggetti cointeressati alla fabbricazione di questo tipo di recipienti (proprietari o gestori delle officine, proprietari della merce trasportata, e, specie nel mondo greco, anche città e Stati).
I TITULI PICTI e i bolli sui tappi - Il mondo del commercio ha lasciato traccia di sé sugli altri tipi di iscrizioni apposte sulle anfore: tituli picti, graffiti e bolli sui tappi. Le iscrizioni dipinte compaiono prevalentemente sul collo e sulla pancia delle anfore di età romana. Esse presentano in genere indicazioni relative alla merce trasportata, a nomi di persone e località, a date consolari, ad unità di peso e misura. I personaggi menzionati (di solito al genitivo) dovrebbero coincidere con i possessori dell'anfora nella fase di commercializzazione (mercatores, negotiatores, navicularii). Un caso eccezionale per qualità e quantità di informazioni è rappresentato dal corredo epigrafico delle anfore olearie della Betica (Dressel 20), che presentano, dal I al III secolo, oltre al bollo, quattro o cinque iscrizioni dipinte contenenti numerali relativi al peso a vuoto dell'anfora e al peso netto della merce trasportata, nomi di persona identificabili con i negotiatores olearii ben noti dall'epigrafia lapidaria, e un controllo che include il nome del praedium da cui l'olio proviene, il nome della città in cui il controllo è stato effettuato e la data. Alla base di questo complesso sistema ci sono la destinazione annonaria dell'olio betico e l'esistenza d'una prassi burocratico-amministrativa che regola apparentemente i rapporti solo della Betica con i rifornimenti della capitale e degli eserciti. Per quanto riguarda i bolli sui tappi, noti quasi esclusivamente sulle anfore vinarie italiche di età repubblicana, essi presentano singole lettere o motivi geometrici o nomi personali, i quali possono essere riferiti ad individui prevalentemente di condizione libera, possessori di navi o commercianti che imbarcavano le loro mercanzie su navi altrui. Casi rari, ma importantissimi, di identità onomastica tra bolli sui tappi e sulle ancore consentono talora di proporre l'identità tra negotiator e navicularius (armatore).
Repertori bibliografici:
F. Laubenheimer, Des amphores et des hommes, in DialHistAnc (rassegna annuale dal 1984); Y. Garlan - J.-Y. Empereur, Bulletin archéologique: amphores et timbres amphoriques, in REG (rassegna quinquennale dal 1987); F. Laubenheimer, Les amphores, in Bibliographies thématiques en archéologie, 16 (1991), pp. 326-74.
Repertori di disegni e foto:
M. Sciallano - P. Sibella, Amphores. Comment les identifier?, Paris 1991; M. Py (ed.), Dictionnaire des céramiques antiques, Lattes 1993, pp. 15-84.
Generalità:
V. Grace, Amphoras and the Ancient Wine Trade, Princeton 1961; D.P.S. Peacock - D.F. Williams, Amphorae and the Roman Economy. An Introductory Guide, London - New York 1986, pp. 1-77.
Trasporto marittimo e carichi:
A.W. Johnston, The Development of Amphora Shapes, Symposion and Shipping, in H.A.G. Brijder et al. (edd.), Enthousiasmos: Essays on Ancient Greek and Related Pottery Presented to J.M. Hemelrijk, Amsterdam 1986, pp. 208-11; C.G. Koehler, Handling of Greek Container Amphoras, in J.-Y. Empereur - Y. Garlan (edd.), Recherches sur les amphores grecques. Actes du colloque international (Athènes, 10-12 Septembre 1984), Athènes 1986, pp. 49-67; A.J. Parker, Cargoes, Containers and Storage: the Ancient Mediterranean, in IntJNautA, 21 (1992), pp. 89-100.
Relitti:
A.J. Parker, Ancient Shipwrecks of the Mediterranean and the Roman Provinces, Oxford 1992.
Capacità e standard:
M.B. Wallace, Progress in Measuring Amphora Capacities, in J.-Y. Empereur (ed.), Recherches sur les amphores grecques, Paris 1986, pp. 87-94; F. Durando, Indagini metrologiche sulle anfore commerciali arcaiche della necropoli di Pithekoussai, in AnnAStorAnt, 11 (1989), pp. 55-93; S.Y. Monachov - V.N. Slonov, Concerning the Ancient Methodology of Computation and Modelling of the Greek Amphoras (riass. ingl. del testo russo), in VesDrevIstor, 201 (1992), pp. 97-111.
Rivestimenti:
C. Heron - A.M. Pollard, The Analysis of Natural Resinous Materials from Roman Amphorae, in E.A. Slater - J.O. Tate (edd.), Science and Archaeology, Oxford 1988, pp. 429-47.
Archeometria, analisi delle argille:
I.K. Whitbread, The Application of Ceramic Petrology to the Study of Ancient Greek Amphorae, in J.-Y. Empereur - Y. Garlan (edd.), Recherches sur les amphores grecques.A ctes du colloque international (Athènes, 10-12 Septembre 1984), Athènes 1986, pp. 95-101; J.-Y. Empereur - M. Picon, Research in the Field and Research in the Laboratory on Aegean Amphora Production, Fitch Laboratory Occasional Paper, Athens 1988; G. Thierrin-Michael, Römischen Weinamphoren. Mineralogische und chemische Untersuchungen zur Klärung ihren Herkunft und Herstellungsweise, Freiburg 1992.
Analisi dei contenuti:
M.C. Rothschild-Boros, The Determination of Amphora Contents, in G. Barker - R. Hodges (edd.), Archaeology and Italian Society: Prehistoric, Roman and Medieval Studies, Oxford 1981, pp. 79-89; C. Heron- St. Rye, Analysis of Absorbed Lipids in Amphora Sherds, in J. Bouzek et al. (edd.), Pistiros: Excavations and Studies, Prague 1996, pp. 197-202.
Sul Testaccio:
E. Rodríguez Almeida, Il Monte Testaccio, Roma 1984.
di Alessandra Caravale
Verso la fine dell'VIII sec. a.C. si data l'inizio della produzione di anfore da trasporto greche destinate a contenere i due prodotti fondamentali per l'economia della regione, il vino e l'olio. L'avvio della produzione coincide con una fase di forte presenza del commercio greco sui mercati mediterranei (in particolare nel Mediterraneo orientale, dove dall'inizio dell'VIII sec. a.C. era in attività il porto di al-Mina) e con l'inizio della colonizzazione greca in Occidente. Questa rapida espansione del mondo greco portò ad un aumento della produzione dei contenitori da trasporto destinati a commercializzare e ad esportare in massa al di fuori della Grecia i prodotti alimentari più tipici del Paese. La produzione, in parte esemplata sui contenitori utilizzati dai Fenici, fu localizzata in più centri, diversi nelle varie fasi, che utilizzavano per diffondere i propri prodotti anfore la cui forma caratteristica consentiva di individuare immediatamente l'origine della merce. Nel periodo più antico, fino al V sec. a.C., i centri attivi nella fabbricazione sono numerosi e localizzati nella Grecia propria e nella Grecia orientale. La produzione era concentrata, in particolare, ad Atene, che esportava l'olio prodotto nel suo territorio con le anfore dette SOS e à la brosse, e a Corinto, che produsse anfore (chiamate convenzionalmente "tipo A" e "tipo B"), destinate a contenere il vino e l'olio. Dalla Grecia dell'Est provengono contenitori adibiti per lo più a trasportare vino; famoso, in particolare, era quello di Chio conservato in anfore prodotte per un lungo periodo (dalla fine del VII sec. a.C. all'età ellenistica), ma erano apprezzati e diffusi anche i vini contenuti nelle anfore fabbricate a Samo, Lesbo, Clazomene e Mileto. In età ellenistica furono invece molto attive le officine di Rodi, Coo, Cnido e Taso. Rodi, in particolare, ebbe un ruolo importante nei commerci tra Oriente e Occidente esportando il suo vino in anfore dal corpo piriforme e collo molto allungato. Dal VI sec. a.C. i coloni greci fondatori di Massalia diedero vita ad una produzione di anfore destinate principalmente a contenere il vino di ottima qualità localmente prodotto ed ampiamente esportato nel bacino mediterraneo; la produzione ebbe vita lunghissima, perdurando fino all'età imperiale. Attive nella produzione di anfore destinate a contenere il vino furono anche, tra il periodo tardoarcaico e l'età ellenistica, la Magna Grecia e la Sicilia. I contenitori fabbricati in queste aree, recentemente riesaminati, sembrano aver derivato elementi morfologici dalle produzioni greche, molto diffuse, ma non è da escludere anche un'influenza delle produzioni locali, ancora poco note. A partire dal V sec. a.C. molte anfore prodotte nel mondo greco recano bolli, generalmente brevi e non sempre di facile lettura (monogramma, lettera singola, nome abbreviato); in età ellenistica i bolli diventano più "espliciti", menzionando elementi che permettono un facile riconoscimento del centro e del periodo di produzione. Uno degli scopi del bollo era infatti quello di evidenziare la floridezza dell'industria produttrice e di garantire la qualità del prodotto fabbricato. Il bollo comprendeva generalmente il nome della città produttrice, espresso sia in lettere, sia tramite un simbolo figurato (le anfore rodie, ad es., presentano emblemi a forma di rosa ‒ simbolo dell'isola ‒, di testa di Helios, di stella, di grappolo d'uva, ecc.), nonché nomi personali, relativi ai fabbricanti dell'anfora o ai magistrati in carica nell'anno di produzione.
M. Py (ed.), Dictionnaire des céramiques antiques, Lattes 1993, pp. 15-84; I.K. Whitbread, Greek Transport Amphorae. A Petrological and Archaeological Study, Exeter 1996.
di Maria Antonietta Rizzo
Anfore SOS - Le anfore SOS presentano corpo ovoide, verniciato di nero con fasce risparmiate, collo risparmiato entro cui è dipinto il motivo SOS in molteplici varianti (OSO, SAS, ecc.); hanno labbro ad echino, grosse anse a bastone e piede per lo più cilindrico. Sono state classificate da A.W. Johnston (Johnston - Jones 1978) che ne ha distinto tre gruppi: Early (725-675 a.C.), Middle (675-625 a.C.) e Late (625-575 a.C.). Tali contenitori cominciano ad essere prodotti dai ceramisti ateniesi probabilmente al più tardi nel Tardo Geometrico, in connessione con la considerevole esportazione dell'olio di oliva che caratterizzò il commercio attico tra l'VIII e il VII sec. a.C. e che andò progressivamente esaurendosi nel corso del VI sec. a.C. a causa dell'introduzione della coltura dell'olivo e della vite nelle colonie greco-occidentali ed in Etruria. Si conoscono imitazioni da parte di altre fabbriche greche, ad esempio quelle calcidesi, più per esigenze interne che di esportazione, o quelle di ambito coloniale, ad esempio quella di Pithecusa. Mentre le anfore del gruppo Early sono testimoniate in un'area ancora piuttosto ristretta e soprattutto in un numero limitato di esemplari, quelle del gruppo Middle risultano diffuse in una vasta area comprendente, oltre l'Attica, l'Eubea, Cipro, Corfù, la Magna Grecia e la Sicilia. In Etruria gli esemplari Middle ‒ limitati ai centri di Cerveteri e Veio ‒ si trovano in tombe di prestigio, dove sono spesso associati con anfore di altre fabbriche, corinzia o greco-orientali. Tra il 625 e il 575 a.C. circa, esemplari del gruppo Late sono diffusi, oltre che ad Atene, a Corinto, a Porto Cheli, nella Grecia settentrionale, a Rodi, a Thera, a Cipro, sulle coste d'Asia Minore, in Egitto e, verso Occidente, nelle colonie della Magna Grecia e della Sicilia. In Etruria giungono soprattutto nei centri di Cerveteri e di Vulci.
Anfore À LA BROSSE - Le anfore à la brosse, di diretta derivazione delle più antiche anfore SOS, sono caratterizzate da corpo ovoide, verniciato di bruno, da collo cilindrico, risparmiato, da labbro rigonfio, piede troncoconico e anse a bastone schiacciato. Distinte in vari tipi, tutti testimoniati negli scavi dell'Agorà di Atene, sono databili tra il 560 a.C. circa (tipo Agorà 1501) e la fine del secolo (tipo Agorà 1502: 575-535 a.C. ca.; tipo Agorà 1503: 520-500 a.C. ca.) e diffuse, oltre che ad Atene e ad Eretria, anche nel Peloponneso, sulle coste del Mar Nero, e in Occidente, sia nelle colonie della Magna Grecia e della Sicilia, sia a Marsiglia. Scarsamente attestate sono invece in Etruria, e limitate ai centri di Vulci e Cerveteri.
Sono caratterizzate da grande corpo ovoidale, collo cilindrico, con labbro a tesa, anse a grosso bastone, piede a costa, sagomato; la forma si evolve nel tempo presentando anse a spigolo continuo, col corpo sinuoso terminante in un piede sempre più affusolato. Prodotte a Corinto, risultano diffuse in una vasta area del Mediterraneo tra la fine dell'VIII e il V sec. a.C. ed oltre. Il tipo A comprende gli esemplari più antichi, testimoniati, oltre che a Corinto, nelle più antiche colonie greche di Occidente e, nel corso del VII e fino al primo quarto del VI sec. a.C., in Sicilia e sulle coste dell'antica Siritide. Assai più rare sembrerebbero sulle coste tirreniche, mentre in Etruria sono presenti solo nelle tombe principesche di Cerveteri. Il tipo B risulta invece più problematico, sia riguardo alla diffusione sia soprattutto riguardo alla cronologia, fissata da C.G. Koehler a partire dall'ultimo quarto del VI sec. a.C. In fase di ampio dibattito è il rapporto tra le anfore corinzie B (e di tipo corinzio B prodotto in varie località) e le produzioni marsigliesi e ionico-marsigliesi.
Prodotte in Laconia e adibite al trasporto oltremare forse di olio presentano corpo ovoide, spalla pronunciata, collo cilindrico con orlo ingrossato, largo piede ad anello. Sono state distinte da P. Pelagatti in due tipi: uno interamente verniciato in nero, databile ai primi decenni del VI sec. a.C.; l'altro con collo e spalla risparmiati, con almeno due varianti, riconoscibili dalla diversa forma dell'imboccatura, databili rispettivamente nella prima metà avanzata del secolo e nella seconda metà fino a poco oltre la fine del secolo. La produzione sembra comunque continuare anche nel V sec. a.C. con altri tipi. Il tipo 1 è poco documentato, con esemplari isolati a Sparta, in Italia meridionale e in Sicilia. Il tipo 2 è ampiamente documentato in Sicilia, a Sibari e in Etruria.
Anfore chiote - Usate per il trasporto del vino di Chio, famoso durante tutta l'antichità, sono caratterizzate, in età arcaica, da corpo ovoide, collo cilindrico con labbro rigonfio, anse a bastone, piede cilindrico, decorate con motivo ad otto coricato sulla spalla e con fasce sotto l'orlo, alla base del collo, ai lati delle anse e nella parte inferiore del corpo. Presentano negli esemplari più antichi una forma alquanto panciuta, con ingubbiatura incolore, e sono diffuse in un'area piuttosto vasta, dal Mar Nero a Tocra (Libia), da Cipro a Milazzo. Una seconda serie è costituita da anfore con corpo molto affusolato, alto collo cilindrico, con decorazione simile a quella della serie più antica ma posta su una spessa ingubbiatura biancastra. Tale serie sembra comparire già nell'ultimo quarto del VII sec. a.C., ma si diffonde in un'area vasta, soprattutto nel Mediterraneo orientale, nel Mar Nero, ma anche nelle colonie della Magna Grecia ed in Etruria, e nel corso del VI sec. a. C. L'ultima serie di età arcaica è data da anfore con corpo ovoide, appena ingubbiato, collo leggermente rigonfio, decorazione più sommaria (spariscono i motivi ad otto coricato) ma anche più fine (filetti al posto delle bande). Essa è diffusa in abbondanza nel Mar Nero, nel Bosforo settentrionale, a Chio, nella Grecia continentale; poco diffusa risulta in Occidente e in Etruria. Si colloca nel corso del VI sec. a.C. fino a sconfinare nel V, a partire dal quale la forma va sempre più affinandosi nel corpo, il collo si allunga, spesso con un rigonfiamento nella parte superiore; dalla fine del V secolo in poi il corpo diventa sempre più stretto e lungo, la spalla tende sempre più ad essere distinta dal corpo, il collo, cilindrico, è molto allungato, le anse quasi verticali, il piede da piccolo e sagomato si trasforma in arrotondato e poi in un vero e proprio puntale, già a partire dagli esemplari di IV secolo, fino poi a tutta l'età tardoellenistica; spesso già negli esemplari di V secolo sono presenti bolli che riprendono i simboli monetali della città (sfinge con anfora).
Anfore samie - Destinate al trasporto del vino prodotto a Samo ed in località limitrofe, si distinguono in numerose varianti, diffuse a partire almeno dall'ultimo quarto del VII sec. a.C. Accanto alle due varianti distinte da V. Grace nella produzione samia più antica (fine VII - inizi VI sec. a.C.), una con corpo rigonfio e spalla alquanto espansa (diffusa a Samo, Pythagorion, ma anche ad Atene ed in Occidente) ed una con corpo più assottigliato verso il fondo, spalla espansa e breve collo (testimoniata a Cipro, Calimno, ma anche ad Atene e, in Occidente, in Campania e in Etruria), si possono identificare almeno altre due varianti: una con corpo piriforme, spalla spiovente, comune nei recenti scavi di Samo e rintracciata anche a Melia, nonché in Sicilia e in Etruria; l'altra, più tarda, piuttosto rara, con corpo affusolato, sembrerebbe testimoniata più in Occidente (Campania ed Etruria).
Anfore lesbie - Mentre i tipi di V sec. a.C., con forma molto slanciata, sono ben conosciuti, per l'epoca arcaica ‒ a parte i pochi esemplari del VII sec. a.C. di Bayrakli e di Atene, tutti gli altri si scaglionano nella prima metà del VI ‒ il corpo è invece ovoide, il collo troncoconico, con orlo poco rigonfio, le anse a bastone, il piede a profilo continuo, come evidenziato da esemplari rinvenuti in una vasta area, dal Mar Nero all'Egitto, da Tocra alla Sicilia. In seguito si assiste ad un allungamento del corpo, con allungamento e restringimento del collo, che si mantiene nelle forme più tarde, distinte in diverse varianti, sia per impasto, sia per proporzioni, che hanno fatto ipotizzare l'attività di diverse officine, peraltro non tutte riportabili a Lesbo.
Anfore clazomenie - È stato localizzato a Clazomene il luogo di produzione della classe, anche se non mancano altre imitazioni da localizzare in aree vicine (ad es., a Teos). Caratterizzate da corpo ovoide sfinato, collo cilindrico, labbro a cordone, anse a nastro ingrossato, sono decorate con gruppi di linee dipinte sulla spalla e sul corpo. Sono diffuse a partire dalla fine del VII e soprattutto nel VI sec. a.C. Nel VII sec. a.C. si trovano soprattutto nell'area del Mar Nero, mentre sono meno frequenti nel mondo egeo, a Cipro ed in Occidente (Sicilia). In Etruria sono testimoniati circa una decina di esemplari, di cui la maggior parte dell'emporio di Gravisca.
Anfore milesie - Presentano corpo ovoide, collo cilindrico con ampio labbro ad echino, spalla ben evidenziata, anse a bastoncello schiacciato, piede anulare. Rinvenute in gran quantità a Melia, a Mileto, a Dydima, Samo, Rodi, Cipro, Thera e sulle coste del Mar Nero, in Occidente sembrano ben attestate a Camarina e nel porto di Gravisca. Pur risalendo la forma al VII sec. a.C. (Melia e forse Istros), la maggior parte degli esemplari si data comunque nella seconda metà del VI sec. a.C.
Classificate in base ai numerosissimi rinvenimenti effettuati a Marsiglia e nel Sud della Francia, la tipologia si segue ininterrottamente dal VI a.C. fino addirittura al II sec. d.C. I primi cinque tipi sono quelli riferibili ad epoca greca (VI-II sec. a.C.). Il tipo 1 (seconda metà del VI sec. a.C.) riprende i tipi della Grecia orientale, a corpo ovoide, ampio collo cilindrico con labbro piuttosto rigonfio; il tipo 2 (fine VI - inizi del IV sec. a.C.) ha un corpo molto arrotondato, breve collo con labbro sempre rigonfio e piede ben distinto; il tipo 3 (IV sec. a.C.) presenta corpo ovoide, breve collo con labbro a sezione triangolare, basso piede; il tipo 4 (V-III sec. a.C.) ha invece un corpo ovoide affusolato, alto collo cilindrico, sempre con labbro a sezione triangolare; infine il tipo 5 (metà III-II sec. a.C.) ha corpo affusolato, alto collo, con labbro di varie sezioni, piede ormai atrofizzato. Queste anfore sono diffusissime nella Francia meridionale, in Corsica, sulle coste della Penisola Iberica, nelle Baleari e nell'Etruria tirrenica. La più alta concentrazione di anfore marsigliesi al di fuori della Francia si riscontra in Sicilia, oltre che negli approdi del Salento, in Campania e Calabria, soprattutto tra la metà del VI e la metà del V sec. a.C. Tali anfore sono quasi tutte classificabili nel tipo 1; molto più rare sono quelle del tipo 2, mentre del tutto assenti risultano quelle dei tipi 3-5. Con l'età classica e soprattutto con quella ellenistica le anfore dei diversi siti del mondo greco sono classificabili non più solo in base all'argilla, alla forma e alla decorazione, ma innanzitutto in base ai bolli, con raffigurazioni tratte il più delle volte dai simboli monetari della città, e con iscrizioni che forniscono utili indicazioni sui luoghi in cui esse venivano prodotte e riempite dei loro contenuti, sulle cronologie, oltre naturalmente sull'onomastica.
Di esse manca ancora una precisa tipologia per l'età arcaica; presentano corpo piriforme, terminante a puntale, spalla distinta, collo molto allungato, cilindrico, con orlo rigonfio, anse ad angolo acuto. Spesso arricchite da bollo recante il simbolo della città (rosetta "rodia" o testa di Helios), sono ben note dal IV sec. a.C. fino all'età romana.
Sono caratterizzate da un corpo piriforme, che va poi assumendo una forma affusolata negli esemplari più recenti, spalla distinta, collo cilindrico con orlo ingrossato, collarino rilevato, anse a doppio bastoncello, fondo a punta. I bolli spesso includono le lettere KO, abbreviazione per "Koion", o presentano i simboli monetali della città (granchio e clava).
Presentano corpo ovoidale, terminante a puntale, che va sempre più assottigliandosi e allungandosi, spalla distinta, ampio collo, all'incirca cilindrico con labbro rigonfio. Testimoniate almeno dalla fine del IV sec. a.C. e fino ad età romana, hanno bolli con la dicitura "Knidion" e il simbolo monetale della città (testa di toro).
La loro evoluzione può essere agevolmente seguita anche grazie alla ricchezza della documentazione epigrafica a partire dal V sec a.C.; presentano i simboli monetali della città (Eracle come arciere) e la dicitura "Thasion".
In tale ambito rientra un vasto raggruppamento di anfore del mondo ellenistico, databili a partire dalla fine del IV sec. a.C. Sono caratterizzate da un collo alto e ben sviluppato e anse impostate sul collo e non sul corpo del vaso. Un tentativo di analisi tipologica è stato compiuto da E.L.Will (1982), anche se per giungere ad una vera e propria tipologia è necessaria un'analisi sistematica degli oggetti: ricerche di costanti e varianti nelle forme, analisi più approfondite dei dati epigrafici relativi ai diversi tipi. Un successivo tentativo di sistemazione delle produzioni anforacee della Magna Grecia e della Sicilia è stato compiuto da Ch. Vandermersch (1994), che le ha distinte in sei gruppi, collocabili tra la fine del V e la fine del III - inizi del II sec. a.C. Il primo gruppo (MGS I) ha il suo punto di partenza in alcune rappresentazioni di anfore da trasporto su vasi a figure rosse italioti e da attestazioni anforacee a Thurii e nelle sue vicinanze. Caratterizzato da corpo globulare, piede conico, collo cilindrico con labbro ad echino e anse verticali, è stato assimilato alle anfore ionico-marsigliesi e alle corinzie. Di questo primo gruppo sono stati rinvenuti esemplari in contesti di seconda metà del V - primi decenni del IV sec. a.C. a Thurii e a Caulonia. Il luogo di produzione dovrebbe trovarsi nell'area compresa tra Thurii e Metaponto, anche se non sono da escludere altri luoghi di produzione. In un solo caso è testimoniata la presenza di un bollo (a forma di anfora da trasporto). Il secondo gruppo (MGS II), caratterizzato da corpo allungato, piede a bottone, collo rigonfio separato dalla spalla da un incavo, alte anse, è stato rinvenuto in numerosi centri della Magna Grecia e della Sicilia (Posidonia, numerosi centri del Cilento e della Calabria, Locri, Palermo, Agrigento e, in gran quantità, a Lipari). La produzione si scagliona nel periodo compreso tra la seconda metà del V e il tardo IV sec. a.C.; non sono conosciuti bolli. Il terzo gruppo (MGS III), con profilo carenato, corpo globulare, collo cilindrico, brevi anse, è attestato in Campania (Posidonia), Calabria (Laos, Locri, Hipponion, Medma, Thurii, Eraclea) e Sicilia (Tindari). La proposta attuale è quella di considerarla una produzione occidentale, una classe intermedia tra le anfore greche di età classica e i primi tipi più propriamente greco-italici. Ci sono comunque più officine situate nelle aree greche e greco-italiche (Thurii, Locri, Medma, Hipponion) operanti fino alla fine del IV sec. a.C. Pochi sono i bolli conosciuti, con simboli (anfora da trasporto, grappolo d'uva, toro) o con abbreviazioni in lettere greche. Il quarto gruppo (MGS IV), con corpo allungato, piede conico, lungo collo cilindrico, profilo del labbro triangolare, alte anse, è ben attestato soprattutto nel relitto F di Filicudi, che presenta un carico omogeneo di anfore di questo tipo, associato a ceramica a vernice nera. Attestato inoltre a Thurii, Gela, Agrigento e Lipari, tra il IV e i primi decenni del III sec. a.C., è considerato precursore delle anfore greco-italiche di III secolo (Will parla di anfore greco-italiche di forma A2, di origine siceliota). Sono presenti bolli con nomi in greco sia interi che in forma abbreviata. Il quinto gruppo (MGS V), con corpo panciuto, piede troncoconico, collo cilindrico, spalla spesso sottolineata, anse sottili, è ben attestato dal relitto di Secca di Capistello a Lipari ed in vaste aree della Magna Grecia (Posidonia, Medma, Laos, Reggio Calabria, Taranto e Metaponto) dalla metà del IV sec. a.C. fino all'età della prima guerra punica. È considerato il prototipo diretto delle anfore greco-italiche di III secolo, comunemente chiamate "greco-italiche antiche" (Will le annovera nel suo gruppo A1). Diversi sono i luoghi di produzione: Campania, e più precisamente Golfo di Napoli, Golfo di Taranto e Sicilia. Sono attestati bolli con nomi sia nella forma intera che abbreviata, in un solo caso accanto al nome è presente un simbolo (caduceo). Il sesto gruppo (MGS VI), diretta derivazione dal gruppo precedente, con la parte inferiore del corpo molto allungata, collo leggermente concavo, spalla evidenziata, orlo inclinato maggiormente verso il basso, ansa sinuosa, è attestato in Magna Grecia (Thurii, Caulonia, Taranto, Metaponto) e a Camarina (dove sono stati ritrovati più di 300 esemplari accatastati). Le anfore di questo gruppo (classificate da Will come greco-italiche di forma C e D) sono datate dalla fine del IV alla fine del III sec. a.C. Anche in questo caso sono presenti bolli con nomi interi o abbreviati.
In generale:
V. Grace, Standard Pottery Containers of the Ancient Greek World, Cambridge (Mass.) 1949, pp. 175-89; Ead., Amphoras and the Ancient Wine Trade. Excavations of the Athenian Agora, Princeton 1961 (Athens 1979²); Y. Garlan, Greek Amphorae and Trade, in P. Garnsey - K. Kopkins - C.R. Whittaker (edd.), Trade in the Ancient Economy, London 1983, pp. 27-35; I.K. Whitbread, Greek Transport Amphorae. A Petrological and Archaeological Study, Athens 1985; J.Y. Empereur - Y. Garlan (edd.), Recherches sur les amphores grecques. Actes du colloque international (Athènes, 10-12 Septembre 1984), Athènes 1986.
Anfore SOS:
A.W. Johnston - R.E. Jones, The SOS Amphora, in BSA, 73 (1978), pp. 103-41. Anfore à la brosse: B.A. Sparkes - L. Talcott, The Athenian Agora, XII, Black and Plain Pottery of the 6th, 5th and 4th Centuries B.C., Princeton 1970.
Anfore corinzie:
C.G. Koehler, Corinthian A and B Transport Amphoras, Ann Arbor 1981; Ead., Corinthian Developments in the Study of Trade in the Fifth Century, in Hesperia, 50 (1981), pp. 449-58.
Anfore laconiche:
P. Pelagatti, Ceramica laconica in Sicilia e a Lipari. Materiali per una carta di distribuzione, in P. Pelagatti (ed.), Lakonikà. Ricerche e nuovi materiali di ceramica laconica, II, Roma 1992, pp. 123-92.
Anfore greco-orientali:
P. Hommel - M. Müller-Wiener, Panionion und Melie, Berlin 1967, pp. 144-70; V. Grace, Samian Amphoras, in Hesperia, 40 (1971), pp. 52-95; B.G. Clinkenbeard, Lesbian Wine and Storage Amphoras, ibid., 51 (1982), pp. 248-68; P. Dupont, Amphores commerciales archaïques de la Grèce de l'Est, in PP, 37 (1982), pp. 193-209.
Anfore marsigliesi:
M. Bath (ed.), Les amphores de Marseille grecque, Aixen- Provence 1990.
Anfore greco-italiche:
E.L. Will, Greco-italic Amphoras, in Hesperia, 51 (1982), pp. 338-56; D. Manacorda, A proposito delle anfore cosiddette "greco-italiche": una breve nota, in J.-Y. Empereur - Y. Garlan (edd.), Recherches sur les amphores grecques. Actes du colloque international (Athènes, 10-12 Septembre 1984), Athènes 1986, pp. 581-86; Ch. Vandermersch, Vins et amphores de Grande-Grèce et de Sicile. IVe-IIIe s. avant J.-C., Naples 1994.
Sui bolli anforici:
P.E. Nilsson, Timbres amphoriques de Lindos (Exploration archéologique de Rhodes, V), Copenhagen 1909; E.M. Pridik, Catalogue d'inventaire des timbres sur anses et cols d'amphores, ainsi que sur tuiles, de la collection de l'Ermitage, Paris 1917; B.N. Grakov, Les timbres céramiques à noms d'astynomes en Grèce ancienne, Paris 1928; V. Grace, Stamped Amphoras Handles found in 1931-1932, in Hesperia, 3 (1934), pp. 197-310; Ead., Timbres amphoriques trouvés à Délos, in BCH, 76 (1952), pp. 514-40; Ead., The Eponyms named on Rhodian Amphora Stamps, in Hesperia, 22 (1953), pp. 116-28; Ead., Stamped Wine Jar Fragments, in Small Objects from the Pnyx, Princeton 1956, pp. 117-89; A.M. Bon - A. Bon, Les timbres amphoriques de Thasos, Paris 1957; V. Canarache, Importul amforetor stampilate de Istria [Anfore stampigliate d'importazione dell'Istria], Bucureşti 1957; V. Grace, Notes on the Amphoras from the Koroni Peninsula, in Hesperia, 32 (1963), pp. 319-34; Y. Garlan, Contribution à une étude stratigraphique de l'enceinte thasienne, in BCH, 90 (1966), pp. 586-652; V. Grace - M. Savvatianou Petropoulakou, Les timbres amphoriques grecs, Paris 1970; Y. Calvet, Salamine de Chypre. III, Les timbres amphoriques (1965-1970), Paris 1972; Z. Sztetyllo, Timbres amphoriques grecs des fouilles polonaises à Alexandrie (1962-1972), Paris 1975; Id., Les timbres céramiques (1965-1975), Paris 1976; M. Debidour, Réflexions sur les timbres amphoriques thasiens, in BCH, suppl. 5 (1979), pp. 269-314; J.-Y. Empereur, Timbres amphoriques à Chypre, in REG, 92 (1979), pp. 220-24; J. Garlan, Koukos. Données nouvelles pour une nouvelle interprétation des timbres amphoriques thasiens, in BCH, suppl. 5 (1979), pp. 213-68; Y. Calvet, Kition-Bamboula, I. Les timbres amphoriques, Paris 1982; J.-Y. Empereur, Les anses d'amphores timbrées et les amphores: aspects quantitatifs, in BCH, 106 (1982), pp. 219- 33; Y. Garlan, Les timbres amphoriques thasiens. Bilan et perspectives de recherche, in AnnEconSocCiv, 37 (1982), pp. 837-46.
di Alessandra Caravale
Legata all'ampia diffusione conosciuta dalla coltura della vite nei territori dell'Etruria meridionale intorno all'ultimo trentennio del VII sec. a.C. è la nascita della produzione di anfore da trasporto destinate a contenere e ad esportare il vino prodotto nella regione. La loro produzione, attribuita ad officine attive principalmente a Vulci e nel suo territorio, fu di portata massiccia. La sua importanza è testimoniata archeologicamente dai numerosi rinvenimenti di anfore, localizzati, oltre che nei territori di origine, in centri, costieri e non, di Lazio, Toscana e isole del suo arcipelago, Campania, Calabria, Sicilia, Corsica e in alcuni insediamenti delle coste della Francia meridionale (come Saint-Blase in Provenza, Lattes in Linguadoca). Segno evidente del commercio marittimo di questi contenitori sono i relitti delle navi onerarie rinvenuti soprattutto lungo le coste della Provenza, che hanno restituito, come quelli di Bon Porté, Cap d'Antibes, Pointe du Dattier, insieme a vasellame da mensa, interi carichi di anfore vinarie di produzione etrusca. GLI STUDI Gli studi sui contenitori etruschi si sono sviluppati in anni recenti e hanno incontrato momenti importanti nella mostra sulle anfore da trasporto organizzata nel 1983 nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma e nel convegno sul commercio etrusco arcaico promosso dal Centro di studio per l'archeologia etrusco-italica nello stesso anno. Sulla base dei numerosi ritrovamenti francesi è stata elaborata la tipologia ad oggi più seguita, che prevede una divisione in diverse forme, note con il nome degli studiosi che hanno operato la classificazione (M. e F. Py). Le serie sono databili tra l'ultimo trentennio del VII e la metà del III sec. a.C. Le anfore presentano fondo piatto o terminazione a punta, corpo ovoide, collo corto o assente e anse a sezione circolare. Su alcuni esemplari sono state rilevate iscrizioni incise e altre in vernice rossa relative al nome dei proprietari o di chi ha donato l'anfora. La merce trasportata era certamente soprattutto il vino, ma vi dovevano essere contenuti anche olive, pinoli e pesce.
M. Py - F. Py, Les amphores étrusques de Vaunage et de Villevielle (Gard), in MEFRA, 86 (1974), pp. 141-205; Il commercio etrusco arcaico. Atti dell'incontro di studio (Roma, 5-7 dicembre 1983), Roma 1985; M.A. Rizzo, Le anfore da trasporto e il commercio etrusco arcaico. I, Complessi tombali dall'Etruria meridionale, Roma 1990; M. Py (ed.), Dictionnaire des céramiques antiques, Lattes 1993, pp. 28-29; M. Cristofani, s.v. Agricoltura, in M. Cristofani (ed.), Dizionario della civiltà etrusca, Firenze 1999, pp. 6-7; Id., s.v. Commercio, ibid., pp. 74-76.
di Maria Antonietta Rizzo
Le anfore risultano diffuse nell'area tirrenica e prodotte nei territori dell'Etruria meridionale; sono state studiate tipologicamente in anni recenti. Rinvenute inizialmente in gran numero negli approdi e nei relitti della Gallia meridionale, dove dunque venivano esportate in gran quantità, insieme al vino prodotto in area vulcente, si è constatato che esse compaiono con una certa frequenza anche nei contesti tombali dell'Etruria meridionale e che hanno una diffusione molto più ampia, almeno geograficamente, di quanto non si pensasse fino a qualche anno fa. Le anfore di forma Py 1-2 presentano corpo rigonfio, labbro ingrossato su breve collo, anse a profilo angolare, fondo piatto; sono testimoniate, oltre che in numerosi contesti tombali vulcenti, negli insediamenti della Gallia meridionale, nella Linguadoca orientale e occidentale, mentre raramente sono segnalate in Provenza e non sono presenti nei relitti finora noti. La cronologia va dall'ultimo quarto del VII fino al primo quarto del VI sec. a.C.; la forma scompare in ogni caso dopo la metà del VI sec. a.C. Le anfore di forma Py 3a e 3b si trovano associate nel noto relitto di Antibes. La 3a presenta corpo ovoide, breve collo con orlo rigonfio, anse a profilo arrotondato, fondo raramente a punta: è attestata essenzialmente in Provenza e in Linguadoca orientale. Sembra apparire in concomitanza con il tipo 1-2 nell'ultimo quarto del VII secolo, è frequente nella prima metà del VI secolo e perdura forse fino al 525 a.C. circa. Il tipo 3b è forse quello più diffuso, con corpo allungato, breve collo con orlo rigonfio, anse a profilo arrotondato, fondo a punta. Attestato nel relitto di Antibes, a Saint Blaise, a Marsiglia, nella Linguadoca orientale e occidentale tra il 625 circa ed il 525 a.C. La forma 3c non è attestata da alcun esemplare intero nella Gallia meridionale, ma sembra diffusa nelle stesse aree tra il 525 e il 375 a.C. circa. La forma 4 sembra l'evoluzione recente di una variante dell'anfora 3a, conosciuta da ritrovamenti della fine del VI e del V secolo in Gallia. La forma 4a, che presenta un allungamento sensibile del collo, si conferma come la variante più tarda delle anfore etrusche, tra la metà del V e la metà del III sec. a.C.; è attestata anche in Corsica. La forma 5 è stata isolata tra gli esemplari del relitto di Bon Porté: ha corpo panciuto, con collo più alto rispetto ai tipi Py 1-2, 3a, 3b, con anse a volte sormontanti, a volte orizzontali, impostate a livello del collo, con fondo piano. Attestata in quattro relitti (Bon Porté e La Dattier, in Gallia, Lavezzi, in Corsica, e al largo delle coste di Alicante, in Spagna) collocabili nella seconda metà del VI sec. a.C., sembra invece fare la sua apparizione già nella prima metà del VI sec. a.C., come attestano contesti tombali vulcenti. Le anfore etrusche si trovano testimoniate anche nell'agro falisco, nel Lazio, nella Campania sia etruschizzata che greca, in Sicilia, in Sardegna.
Il commercio etrusco arcaico. Atti dell'incontro di studio (Roma, 5-7 dicembre 1983), Roma 1985; M. Gras, Trafics tyrrhéniennes archaïques, Rome 1985.
Per gli esemplari iscritti:
M. Martelli, Volci, in StEtr, 50 (1982), pp. 287-91; M.A. Rizzo, Le anfore da trasporto e il commercio etrusco arcaico. I, Complessi tombali dall'Etruria meridionale, Roma 1990.
di Clementina Panella
La prima anfora che possiamo definire "romana", in quanto proveniente da regioni sottoposte al controllo politico, militare e economico di Roma (la cd. "greco-italica" tarda), fa la sua comparsa nell'Italia centrale tirrenica nell'ultimo quarto del III sec. a.C. e deriva da modelli magno-greci e siciliani, spettanti cioè ad aree ancora estranee all'Italia romanizzata. Lo sviluppo delle produzioni anforarie tirreniche (dell'Etruria, del Lazio, della Campania) è stato messo in relazione con l'affermazione in questa parte della penisola del modo di produzione schiavistico e del sistema della villa. A questo primo ambito produttivo si affiancano dal II sec. a.C. le anfore del versante adriatico (della Calabria romana e della Cisalpina). Benché la diffusione dei contenitori e dei vini in essi trasportati (solo il Salento sembra coinvolto nella produzione e nello smercio di olio) sia di portata mediterranea, ogni area presenta i suoi mercati privilegiati: le regioni tirreniche si rivolgono alle province occidentali e alla Gallia in particolare, quelle adriatiche all'Oriente (Alessandria, Delo, Atene). La quantità di merci esportate è impressionante. Nell'età imperiale la fine o il declino di quasi tutti gli impianti ceramici più antichi avviene parallelamente ad uno sviluppo importante delle officine dell'Italia centro-settentrionale adriatica e di alcune zone interne dell'Italia centrale tirrenica (valli del Tevere e dell'Arno). Officine compaiono anche nella Campania interna (Cales), nel Bruttium e in Sicilia (Naxos, Lipari). La diffusione dei contenitori italici rimanda ancora per il I e per il II secolo ad un commercio interprovinciale (verso l'Europa nord-orientale) per le produzioni adriatiche (vino del Piceno, dell'Emilia, della Venetia, olio dell'Istria) e ad una distribuzione più circoscritta al Mediterraneo occidentale e a Roma in particolare per quelle tirreniche (vino). Nel III secolo si assiste ad un ristagno complessivo della produzione e della circolazione delle anfore italiche. Una ripresa avviene in età tardoantica, con la nascita di nuovi impianti e di nuovi modelli di contenitori vinari nei territori che si affacciano sullo stretto di Messina (Reggio, Naxos). Essi presentano una diffusione (fino al VI sec. e oltre) che interessa soprattutto Roma e l'Occidente.
La produzione di un'importante famiglia di anfore (le anfore marsigliesi) aveva consentito alla colonia focese di Marsiglia di esportare dal VI al II sec. a.C. il surplus di vino del suo territorio sia verso gli oppida celtici, sia, dopo il declino della potenza etrusca, verso i siti costieri dalla Catalogna all'Etruria. È tuttavia dalla fine del II sec. a.C. che la viticoltura comincia a caratterizzare il paesaggio della Francia meridionale. L'interdizione ai popoli transalpini di piantare l'olivo e la vite ricordata da Cicerone (Rep., III, 9, 16) è un indizio chiaro che la conquista romana ha rappresentato uno stimolo allo sviluppo della produzione locale. Questo provvedimento, rinnovato in età domizianea (Suet., Dom., VII, 2), sembra essere rimasto senza larga applicazione, dal momento che dall'età augustea cominciano a comparire impianti ceramici ed anfore utilizzate per il trasporto di vino. Le fornaci sono prevalentemente concentrate nella Narbonese, ove si moltiplicano nei primi tre secoli dell'Impero. Non mancano già nel I secolo officine anforarie nel bacino della Loira, nella regione di Lione e in Borgogna, mentre quelle della Mosella e della Senna compaiono solo nel II-III secolo in seguito all'avanzata dell'arboricoltura anche in zone fredde, ma fondamentali per i rifornimenti delle truppe e degli insediamenti civili del limes. I tipi imitano nella fase iniziale quelli italici e tarraconesi; a queste anfore si affiancano modelli originali destinati ad avere successo dalla metà del I secolo in poi. La regione utilizza la sua vasta rete fluviale sia per lo smercio dei propri prodotti (vino, ma anche conserve di pesce) verso il Nord, l'Est e l'Ovest, sia per ridistribuire nel I e nel II secolo i generi di consumo che giungevano per via di mare ai porti della Narbonese. La diffusione dei contenitori gallici interessa fino a tutto il III secolo, oltre ai siti dell'Europa centrale e della Britannia, le coste tirreniche dell'Italia e soprattutto Roma.
Con la colonizzazione fenicia la Penisola Iberica aveva conosciuto un'ampia produzione di contenitori per il trasporto del vino e dei derivati della pesca (le cd. "anfore feniciopuniche"). Tra il II e il I sec. a.C. si verifica tuttavia un totale rinnovamento delle attività conserviere e dello sfruttamento agricolo che si modella su quello italico, con progressivo incremento della diffusione delle eccedenze. Grano, vino, olio, salse di pesce, assumono a partire dall'età augustea un peso rilevante nel commercio antico sia in relazione al fabbisogno di Roma e degli eserciti (primi tra tutti il grano e l'olio della Betica), sia in relazione alle richieste di un mercato divenuto mediterraneo. Di fatto, dal secondo quarto del I sec. a.C. ha inizio una produzione di anfore che, come in Gallia, nate ad imitazione dei contenitori italici, assumono progressivamente caratteri tipologici distinti.
Tarraconese - I più antichi (I sec. a.C. - I sec. d.C.) e i più numerosi centri di produzione di anfore si collocano sul litorale compreso tra i Pirenei e l'Ebro, con una particolare concentrazione intorno a Barcellona (Leetania). Molto più limitata è finora la mappa delle fornaci nel Paese valenciano (I-III sec.), mentre una continuità produttiva dall'età punica a quella tardoantica è documentata nelle officine di Ibiza (Baleari). Quasi tutti i contenitori sono adibiti al trasporto di vini rinomati (di Tarragona, di Lauro, delle Baleari), ma anche di vini di modesta qualità (quelli leetani) e di basso costo (quelli di Sagunto). La diffusione, il cui apice è da collocare tra la tarda età augustea e il I sec. d.C., interessa con indici di presenza alti Roma, l'Italia tirrenica e la Gallia, ove le anfore della Tarraconese sostituiscono i recipienti italici immediatamente prima della nascita dell'importante produzione di vino (e di anfore) della Narbonese. Dalle coste di quest'ultima regione e per via fluviale esse raggiungono in quantità rilevanti anche il limes renanodanubiano e la Britannia.
Betica - Due sono le principali aree di produzione di anfore della provincia: le coste spagnole del Mediterraneo e dell'Atlantico tra Malaga e Cadice, ove sorgono numerosi impianti per la fabbricazione delle conserve di pesce, e la regione dell'odierna Andalusia attraversata dal Baetis/Guadalquivir, su cui gravitano i principali fundi olearii della regione. Nella prima zona le fornaci compaiono già nel I sec. a.C. Produzione e esportazione (nel Mediterraneo occidentale e nell'Europa interna) risultano in crescita almeno fino a tutto il II secolo, quando cominciano ad assumere un peso consistente nel commercio mediterraneo le salse e il pesce salato della Lusitania e dell'Africa. Nei pressi di Siviglia e di Cordova si sviluppano invece a partire dall'età augustea le officine delle anfore adibite al trasporto di olio. La loro diffusione è di dimensioni eccezionali ed interessa in maniera capillare fino al II secolo il bacino occidentale del Mediterraneo, le regioni del limes renano-danubiano e la Britannia. Del tutto particolare è il rapporto di questi contenitori con l'annona urbana e militare. A Roma, che conserva nel Testaccio la testimonianza materiale del loro arrivo, l'olio è infatti già dall'età augustea oggetto di distribuzioni straordinarie alla plebe urbana. Esse divengono regolari con Adriano e gratuite e giornaliere, come il grano, con Settimio Severo che le estende a tutta l'Italia (SHA, Sev., 18, 3). L'accresciuto fabbisogno della capitale fa sì che dagli inizi del III secolo quasi tutta la produzione olearia della Betica venga dirottata verso Roma, abbandonando progressivamente gli altri mercati. Intorno al 260 le officine sospendono la fabbricazione del tipo tradizionale e realizzano nuovi modelli, più piccoli e maneggevoli, destinati fino al primo quarto del V secolo ai rifornimenti di olio di Roma e delle truppe impegnate nella difesa dei confini dell'Europa centro-settentrionale.
Lusitania - Numerose fornaci di anfore compaiono lungo le valli del Tago, del Sado e nell'Algarve in connessione con l'industria della pesca e con le saline. Lo sviluppo delle officine ceramiche ha inizio nella prima età imperiale, ma la produzione dei contenitori, che utilizzano come modello i tipi realizzati nella vicina Betica, si protrae in alcuni casi fino al V secolo. La diffusione delle anfore e delle conserve di pesce interessa le province occidentali e soprattutto Roma.
Le sole officine note, in relazione allo smercio di una produzione probabilmente vinaria, sono quelle di Tubusuctu nella Caesariensis (odierna Tiklat in Algeria), in funzione tra la fine del II e il III secolo e forse poco oltre. La diffusione delle anfore mauretane, nate ad imitazione dei contenitori gallici, riguarda il Nord Africa e Roma.
In età punica le anfore di Cartagine avevano costituito i prototipi dei contenitori da trasporto fabbricati in tutte le regioni gravitanti nella sua orbita. La produzione di anfore sopravvive nell'attuale Tunisia e in Tripolitania alla distruzione della città del 146 a.C. e alla creazione della provincia d'Africa. Alle risorse agricole della regione Roma comincia a dedicare una particolare attenzione alla fine del II sec. a.C. e poi, più concretamente, in età cesariana e augustea. La fondazione della Colonia Iulia Carthago costituisce uno dei momenti essenziali per lo sviluppo delle potenzialità di un'area, che già in età augustea sopperiva ai due terzi del fabbisogno di grano della capitale (Fl. Ios., Bell. Iud., II, 283-286). Ma al Nord Africa la capitale si rivolgerà per il secondo problema annonario, quello dell'olio, divenuto, come il grano, oggetto di distribuzioni gratuite alla plebs urbana. Se la valle della Mejerda, nell'entroterra di Cartagine, diventa il punto di riferimento per i cereali, la regione di Hadrumetum nella Tunisia centrale (Bizacena) costituisce invece la zona destinata all'olivicoltura. Oliveti vengono impiantati a partire dal II secolo anche all'interno del Paese, nei territori aridi dell'alta steppa. Un'altra voce delle esportazioni africane in anfore è costituita dalle conserve di pesce, di cui sono testimonianza le numerose installazioni per la lavorazione del pesce da Biserta al Golfo di Gabès. Ad un periodo di costante crescita (I e II sec.) segue così il predominio generalizzato (dal III al VII sec.) nel Mediterraneo dei prodotti agricoli e conservieri dell'Africa Proconsolare. L'egemonia africana si consolida ulteriormente con la fondazione nel 330 d.C. di Costantinopoli. Il grano egiziano, fino a quel momento destinato a Roma, viene dirottato verso la nuova capitale, determinando una maggiore dipendenza dell'Italia e dell'Occidente dall'Africa. Parallelamente si aprono ai prodotti di questa provincia i mercati dell'Oriente, in genere poco interessati dalle importazioni occidentali. La conquista vandala del Nord Africa del 439 d.C. non sembra inoltre aver avuto conseguenze immediate sull'economia della regione, benché si ritenga che ad essa vadano attribuite una riorganizzazione agricola e manifatturiera e una modificazione dei circuiti commerciali. Sintomi di crisi si avvertono invece dalla fine del V - inizi del VI secolo, ma anfore e merci africane raggiungeranno regolarmente fino all'arrivo degli Arabi nel VII secolo i principali centri del Mediterraneo controllati dai Bizantini. Le officine di anfore si situano lungo il litorale della Bizacena (Leptiminus, Hadrumetum, Thaenae, Sullecthum) e nella regione di Mactaris/Sufetula. Nella Tunisia settentrionale fornaci sono note a Cartagine e a Neapolis/Nabeul. In generale sembra che la produzione dei siti costieri, iniziata talvolta in età punica, sia proseguita a lungo, in alcuni casi fino ai primi decenni del V secolo. Gli impianti più tardi appartengono quasi tutti all'entroterra, come se un sistema basato su centri di raccolta disposti lungo il litorale fosse stato sostituito tra V e VI secolo da un'organizzazione che prevedeva che le operazioni di fabbricazione dei contenitori e di imbottigliamento delle derrate avvenissero direttamente negli insediamenti rurali. Le esportazioni africane (di olio, di olive, di salse di pesce) interessano fino al III secolo le regioni costiere del Mediterraneo occidentale e in quantità impressionanti l'Italia tirrenica e Roma in particolare; dal IV secolo in poi esse riguardano anche l'Oriente (Argo, Atene, Costantinopoli); nel V e nel VI secolo appaiono indirizzate, oltre che verso l'Italia (Roma, Napoli, Ravenna, Aquileia), verso la Catalogna, la Sardegna e la Corsica.
Tripolitania - Le sole fornaci finora individuate sorgono in prossimità dei principali centri oleicoli del Gebel tripolitano nei pressi di Leptis Magna, tra Tarhuna e il mare e tra la Gefara e l'area del predeserto. Un'attività produttiva di anfore a diffusione prevalentemente regionale è attestata fin dall'età tardopunica e prosegue ininterrotta dopo la conquista romana. Il commercio a lungo raggio (di olio, ma anche di vino) riguarda nel I e nel II secolo essenzialmente le coste dell'Italia tirrenica (Luni, Ostia, Roma, Pompei). Le esportazioni aumentano nel III secolo in concomitanza con l'accresciuto fabbisogno della capitale. Le officine di anfore continuano ad essere in funzione per tutto il IV secolo, ma la circolazione dei contenitori ritorna ad essere in età tardoantica di carattere regionale.
Nel Fayyum e nel territorio di Alessandria sono localizzate le principali officine di anfore, attive talvolta dal I secolo fino alla conquista araba (metà del VII sec.) ed oltre. La diffusione dei contenitori e del vino che essi trasportano è tuttavia in questo ampio arco di tempo prevalentemente regionale. Un commercio interprovinciale, che interessa soprattutto l'Italia tirrenica (Ostia, Roma, Pompei), si registra nel I e nel II secolo. In età tardoantica le anfore egizie sono costantemente presenti nei principali centri di consumo del Mediterraneo, ma ovunque in quantità assai ridotte.
Dall'età del Bronzo questa regione aveva prodotto diversificati contenitori da trasporto caratterizzati dall'assenza del collo e da anse impostate sul corpo del vaso (le cd. "anfore cananee", a loro volta modello delle anfore fenicio-puniche ed egizie). Tuttavia, è solo con la creazione di Costantinopoli che la fabbricazione di contenitori e le esportazioni di generi alimentari assumono un peso rilevante nel commercio mediterraneo interessando sia l'Occidente che l'Oriente. In Palestina il territorio di Gaza (Negev occidentale) e la fascia costiera tra Caesarea e Acco rappresentano finora le principali zone di produzione di anfore, collegate allo smercio del vino. In Siria invece è l'arco di costa tra Elaiussa e Seleucia Pieria quello interessato da eccedenze agricole (soprattutto di vino, ma anche di olio e aridi) da avviare verso i mercati orientali e occidentali: le officine anforarie della Cilicia (territori di Aigeai e di Tarso) risultano attive dalla prima età imperiale fino al VI secolo ed oltre, mentre l'entroterra di Seleucia conosce solo a partire dal IV secolo la nascita di impianti ceramici collegati all'esportazione dei prodotti di una policoltura arbustiva e cerearicola nata per soddisfare i fabbisogni alimentari di Antiochia e probabilmente di Costantinopoli.
Ininterrotte dall'età classica all'età romana sono la fabbricazione di anfore e l'esportazione dei vini dell'Asia Minore e delle isole dell'Egeo famosi nell'antichità. Ai centri tradizionali di Rodi e del suo territorio, di Cnido, di Coo, di Cipro si affiancano tra età augustea e I secolo le produzioni di Creta e della valle del Meandro nella Turchia centrale. Si tratta in tutti questi casi di anfore che hanno una diffusione rilevante in Occidente, ove nel I secolo raggiungono in massa l'Italia tirrenica (Roma, Ostia, Pompei), la Gallia, le regioni interne dell'Europa e la Britannia. Crisi degli impianti e fine della diffusione di quasi tutti i contenitori tradizionali caratterizzano il II secolo, che vede tuttavia la nascita di alcune nuove anfore, anch'esse con ampia diffusione mediterranea ed europea, i cui centri di fabbricazione non sempre risultano localizzabili (Cnido, Rodi?). In età tardoantica si assiste alla nascita e allo sviluppo di nuove officine anforarie a Chio, a Samo, a Taso, mentre attive continuano ad essere quelle della valle del Meandro e di Cipro. La circolazione interessa i principali siti del Mediterraneo orientale ed occidentale (Cartagine, Roma, Napoli, Ravenna) fino al VII secolo, quando le invasioni persiane, slave e arabe, colpendo l'impero bizantino, mettono in crisi il sistema di relazioni interprovinciali che aveva caratterizzato l'età imperiale.
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