Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Mondo greco, etrusco-italico e romano
Indagare la rete di scambi nel bacino Mediterraneo durante il periodo storico è estremamente difficoltoso; infatti non tutti i beni oggetto di commercio sono attestati archeologicamente, né si conoscono precisamente quali siano state le modalità di trasporto delle mercanzie, oppure la composizione degli equipaggi, il rapporto che legava il commerciante e la sua nave alla città di origine. Inoltre per il commercio della prima età arcaica vengono a mancare le fonti contemporanee e soprattutto gli archivi amministrativi, come avviene invece per il periodo miceneo. La ricerca si basa dunque sull'analisi della diffusione di poche tipologie di materiali rilevabili dall'indagine archeologica, tra cui alcuni beni di lusso non deperibili e la ceramica utilizzata come contenitore di profumi e unguenti, olio, vino, aridi. Tuttavia altre mercanzie dovevano viaggiare attraverso il Mediterraneo come derrate alimentari, legname, metalli, grano, schiavi, spezie, tessuti. Il commercio in area mediterranea si svolgeva essenzialmente sul mare, soprattutto per la mancanza di un adeguato sistema di vie di comunicazione terrestri.
Se strade si conoscono fin dalla protostoria, il commercio via terra nelle regioni che circondano il Mediterraneo fu possibile solo durante l'Impero romano; precedentemente, soprattutto nelle regioni montagnose come la Grecia, un sistema viario per carri non esisteva. Ad esempio la prima vera strada tra Megara e Atene risale al periodo adrianeo. Anche in presenza di un sistema viario, i trasporti via terra erano ridotti al minimo. Iscrizioni indicano che un rocchio di colonna per giungere dalle cave del Pentelico ad Eleusi, nel IV sec. a.C., su una distanza di circa 30 km impiegava tre giorni. D'altra parte anche la navigazione non era senza difficoltà. La marineria antica è stagionale e non conosce l'uso degli strumenti di navigazione. Per la notte si utilizzavano le stelle e per il giorno la posizione del Sole e i grandi promontori o i rilievi, come Athos, Ida, Samotracia, Sounion, Melea, Tenaro, ecc. In periodo invernale si percorrevano pochissime rotte, come quella tra Rodi e l'Egitto, e solo per gravi bisogni, come la mancanza di beni di necessità, o per motivi di ordine militare. Altra limitazione era la dipendenza dal vento soprattutto nel momento in cui le navi commerciali iniziavano ad aumentare la capacità di carico e a diminuire la presenza di rematori, affidandosi alle vele quadrate che comportavano una azione di manovra limitata. Inoltre nella stagione estiva il vento spesso poteva mancare, soprattutto nell'area centro-occidentale del Mediterraneo. Nel bacino orientale i venti predominanti nel periodo estivo sono gli etesii (meltemi) che soffiano da nord, mentre nel settore sud-orientale il vento prevalente è nord-occidentale. Questi venti, che soffiano con una velocità di circa 12-13 nodi, rendono il viaggio verso sud veloce e facile. Plinio il Vecchio (Nat. hist., XIX, 3-4) ci ricorda un viaggio da Messina ad Alessandria in sei giorni, per una distanza di 830 miglia nautiche ed una velocità di poco inferiore ai 6 nodi. Dal Bosforo Cimmerio a Rodi (880 miglia) la media era di 9-10 giorni; da Rodi o da Creta orientale ad Alessandria (325 e 310 miglia) circa tre giorni e mezzo. Al contrario, il viaggio nella direzione opposta era difficoltoso e i tempi di percorrenza erano all'incirca raddoppiati; la velocità di crociera si abbassava a 2 nodi e così il viaggio da Atene a Rodi era di tre giorni e da Rodi ad Alessandria di altri tre o quattro, ma al ritorno, per aggirare i venti contrari, si doveva risalire per la costa orientale di Cipro, costeggiare la parte meridionale dell'Asia Minore verso Rodi e solo allora navigare per Atene attraverso le Cicladi. Altrettanto difficoltosa era la rotta che da Atene attraverso l'Egeo, i Dardanelli, il Mar di Marmara, il Bosforo e attraverso la parte orientale del Mar Nero giungeva nel Bosforo Cimmerio per commerciare il grano prodotto in Ucraina. La prima parte del viaggio, analoga a quello di Agamennone per Troia, aveva contro i venti etesii, ma proseguendo si incontrava anche la corrente alimentata dai grandi fiumi che sfociano nel Mar Nero, che nei Dardanelli corre verso sud ad una velocità di 2,5-3 nodi, per toccare picchi di 5 nodi, mentre nel Bosforo è più violenta con un livello medio di 4-5 nodi e picchi di 7 nodi. Il viaggio di ritorno era in compenso velocissimo, ma comunque i mercanti non potevano contare su più di un viaggio per stagione e la velocità del ritorno non compensava la fatica dell'andata. Più semplice era il viaggio in Sicilia e in questo caso si poteva contare anche su due viaggi a stagione, ma invece era difficile lo Ionio verso la costa occidentale della Grecia o l'Adriatico, per i venti contrari che soffiavano nello Ionio una volta superato Capo Melea. Per navigare verso Occidente si incontrava un vento contrario da ovest e nord-ovest e si doveva passare lo stretto e risalire il Tirreno fino al Golfo di Genova (da Alessandria a Marsiglia si navigava in 30 giorni a 2 nodi), mentre il viaggio contrario passava più direttamente per Malta e lo Stretto di Messina. Le navi che commerciavano tra l'Italia e il Nord Africa trovavano buoni venti sia all'andata sia al ritorno. Fonti ci dicono di viaggi verso sud in due giorni e verso Ostia in due giorni e mezzo o tre. Più semplice sembra essere stata la navigazione nel bacino occidentale del Mediterraneo. Qui non esistevano le stesse difficoltà di movimento di quello orientale. La costa nordafricana presentava venti favorevoli in entrambe le direzioni; il traffico verso ovest si avvantaggiava dei venti da oriente: da Cartagine e da Ostia per Gilbilterra il viaggio durava sette giorni; la navigazione verso est era facilitata, d'altra parte, da una corrente di superficie che dallo stretto arrivava fino alla Tunisia. Dopo la caduta dei regni micenei, i primi indizi di una ripresa della navigazione nell'Egeo si trovano alla fine del II millennio a.C. Si lavora il ferro secondo nuove tecniche che forse provengono da Cipro, mentre la ceramica protogeometrica attica influenza l'artigianato dell'isola e ne è a sua volta influenzata. D'altronde Cipro è stata abitata continuativamente da elementi di lingua greca fin dal Tardo Miceneo e anche nella parte meridionale della costa anatolica il dialetto della Panfilia fa pensare alla continuità della vita di insediamenti greci durante la dark age in questa zona. Tra il X e il IX sec. a.C. si aprono contatti con zone non greche. In questo periodo i rapporti tra metallurgia fenicio-cipriota e oreficerie euboiche sono profondi. Anfore da trasporto euboiche per vino e olio si trovano nella costa siriana settentrionale e a Tiro, qui insieme a ceramica fine, e nel IX sec. a.C. riappaiono sporadici frammenti ceramici greci nella zona dell'Oronte, ad Ascalona e a Ninive. Gli oggetti più antichi sono coppe euboiche o cicladiche, come ad Hamath sull'Oronte, dove una certa quantità di ceramica euboico-cicladica, soprattutto coppe a semicerchi penduli, è stata trovata in una necropoli indigena a cremazione. In Grecia i primi oggetti stranieri importati si datano al X sec. a.C. e sono stati trovati nelle tombe di Lefkandì. Nel secolo successivo i rinvenimenti includono coppe di bronzo fenicie messe in luce nel Ceramico di Atene, ma anche gli avori e le perle di vetro e d'oro di una tomba dell'Agorà di Atene e alcune importazioni in Eubea. Tra il X e il IX sec. a.C. le popolazioni orientali sono particolarmente dinamiche nelle attività marittime in Mediterraneo, come testimoniano la diffusione di oggetti orientali in Grecia, la presenza dei Fenici a Cipro nel IX sec. a.C., i rapporti greco-ciprioti, la presenza dei Fenici nella costa sud di Creta (Kommos) nel X sec. a.C. e a Coo nel IX. Lo stesso Omero conferma che i Fenici commerciavano in acque greche, egiziane e libiche. Da parte greca, gli Euboici navigavano nell'Egeo tra Creta, la Grecia e le coste traciche e forse nel X sec. a.C. sono presenti a Mende nella penisola cicladica e a Torone sulla costa dell'Epiro; erano interessati al commercio di legname, vino e olio. In un primo momento si possono distinguere due bacini di scambio, il primo euboico-cicladico e nord-egeo, il secondo nella zona tra Cipro e il Levante. Punti di intersezione e ridistribuzione di questi circuiti si dovevano trovare a Creta e nel Dodecaneso. Nell'ultimo quarto del IX sec. a.C. la costa siriana diventa una zona privilegiata di scambio con la Grecia; in diversi siti, soprattutto nel centro di al-Mina, ma anche in altri empori minori, come Tell Sukas, è stata trovata ceramica greca. Nello stesso periodo i centri fenici aumentano il loro peso nel commercio internazionale e i Fenici sono presenti in modo più massiccio a Cipro, a Rodi e nell'Egeo. Probabilmente i due fattori sono in relazione ed è stato ipotizzato che all'inizio della sua fondazione il centro di al-Mina fosse funzionale più al commercio fenicio che a quello greco. Comunque nel contesto di questo commercio orientale, la bassa valle dell'Oronte ha una importanza particolare trovandosi alla fine della strada terrestre che dalla Mesopotamia giungeva alle città siriane del nord. Gli Stati siriani settentrionali, ancora indipendenti e ricchi, provvedevano al commercio prima con il ricco Stato di Urartu, che nella prima metà dell'VIII sec. a.C. estese il suo dominio a ovest del Taurus, poi con il regno assiro, dopo che nel 753 a.C. Tiglatpileser III sconfisse l'alleanza contro l'Assiria promossa dall'Urartu. Fin dalla sua fondazione intorno all'825 a.C., al-Mina presenta caratteristiche del tutto peculiari. Anche se non si è sicuri di presenze stanziali greche fin dalla fondazione, si può riconoscere un processo di integrazione tra Euboici e Fenici per quanto riguarda le rotte orientali. Comunque probabilmente l'insediamento di al-Mina è fin dall'inizio un abitato di enoikismoi, cioè con popolazione mista di Greci ed indigeni. I frammenti ceramici dimostrano che i primi Greci provenivano all'inizio soprattutto dalle isole dell'Egeo e la frequenza di coppe a semicerchi penduli, molto più rara in Occidente fino alla metà dell'VIII sec. a.C., testimonia come inizialmente l'interesse euboico si sia concentrato in Oriente, e soprattutto nella stazione commerciale di al-Mina. Solo nella seconda metà del secolo gli orizzonti dei commerci euboici si allargano e le coppe si trovano abbondantemente anche in Occidente, a Pithecusa e nei primi strati di Cartagine. In Occidente la presenza di Euboici è testimoniata dai ritrovamenti dell'Isola d'Ischia, ma anche in questa zona i Fenici avevano anticipato di qualche tempo il commercio greco, creando delle stazioni a Sulcis, in Sardegna, in Spagna e a Cartagine e forse nella stessa Ischia, dove sembra fosse presente una comunità orientale. In Occidente le rotte e i luoghi di scambio erano condivisi da orientali e Greci, questi ultimi probabilmente trascinati dall'intraprendenza dei primi; in Spagna e in Sardegna si cercava ferro, stagno e argento e soprattutto la Sardegna e la Toscana erano da tempo al centro di una fitta rete commerciale nella quale Fenici e Greci erano gli ultimi inseriti. I legami tra Pithecusa e la madrepatria dovettero esistere, ma l'insediamento godeva di una propria autonomia. Le infrastrutture che si trovano nell'insediamento, la gerarchizzazione della popolazione, l'uso della scrittura sono elementi troppo complessi per un insediamento con fini esclusivamente commerciali, che invece dimostra di sostenere attività di scambio e di artigianato anticipando da vicino l'attività coloniale del periodo successivo. Sull'isola sono state trovate scorie di ferro provenienti dall'Elba e probabilmente dalle colline metallifere della Toscana ed è stato scoperto un vero e proprio quartiere industriale. Oltre il ferro era lavorato l'oro e veniva prodotta ceramica di tipo euboico e di imitazione corinzia. Inoltre la grande quantità di oggetti di importazione orientale (scarabei egizi o di imitazione fenicia, sigilli incisi e aryballoi di fattura siriana o cilicia, ceramica e anfore fenicie) mette in diretta relazione gli Euboici di al-Mina con quelli di Pithecusa, confermando l'importanza della rete commerciale euboica nella seconda metà dell'VIII sec. a.C. La nascita di Cuma e la stessa fondazione di Zancle sono segnali di una preferenza greca per il Tirreno e il Mediterraneo occidentale, mentre scema la presenza greca in Adriatico, soprattutto quella corinzia e poi euboica che cercava di sfruttare l'area per commerciare i metalli balcanici. In questo periodo si viaggiava ancora con imbarcazioni spinte a remi. Come indicano le rappresentazioni vascolari del periodo geometrico, ancora non esistevano differenze tra nave da guerra e nave da carico, come d'altronde non esisteva una distinzione netta tra commercio e pirateria. In sostanza la forma delle imbarcazioni rimane quella già attestata nell'ultimo periodo miceneo e non si vedono innovazioni tecniche nelle raffigurazioni di navi geometriche. Comunque l'esistenza del rostro, già presente in periodo miceneo nelle rappresentazioni navali a partire dalla metà del IX sec. a.C., caratterizza chiaramente la galera come nave da combattimento. Le navi in questo periodo erano la pentekontoros (con 50 remi), che poteva raggiungere i 38 m in lunghezza, e la triakontoros (con 30 remi), lunga circa 23 m. Navi così lunghe erano di scarsa manovrabilità e soprattutto facilmente attaccabili; il problema dunque era quello di creare una nave che potesse portare molti marinai per assicurare una spinta notevole, ma che fosse anche più compatta e manovrabile. Molto probabilmente durante l'VIII sec. a.C. si assiste ad una fase di sperimentazione nella progettazione delle navi e si iniziano a disporre i rematori su livelli diversi per poter utilizzare corti remi individuali. Nel caso degli esempi più antichi, per tutto l'VIII sec. a.C. i rematori della fila inferiore erano in coperta e quelli superiori sul ponte: con questo accorgimento lo scafo poteva essere più corto rispetto alla pentekontoros di circa un terzo. I porti erano costruiti in zone naturalmente dotate, tuttavia i Greci, ma già forse in Oriente, avevano imparato a costruire moli di protezione e gli esempi più antichi risalgono proprio all'VIII sec. a.C., come a Delo, dove una poderosa struttura in blocchi di granito locale si estende per circa 100 m. Nel VII sec. a.C., in pieno periodo orientalizzante, i Greci dell'Asia Minore e delle grandi isole antistanti si inseriscono nei circuiti che prima erano degli Eubei; Rodi e Samo acquistano il ruolo di punti cardine del commercio mediterraneo e i grandi santuari di Lindo e Camiro a Rodi e dell'Heraion di Samo ne sono testimonianza. In Oriente centro privilegiato rimane al-Mina, che è occupato da un quartiere commerciale da cui continuano le importazioni di bronzi lavorati in Urartu, a Tabal, in Assiria, in Siria, della porpora fenicia, di gioielli, sigilli e vasellame prezioso. Con la seconda metà del secolo torna in auge Cipro. Il porto cretese di Kommos diventa una stazione verso occidente per le navi provenienti dall'Asia Minore e partecipa ad un circuito locale che commercia prodotti laconici. Nella seconda metà del VII sec. a.C. il commercio tra Grecia e Occidente diventa di grande portata mentre in Oriente si trovano sempre più mercenari greci; commercianti e mercenari invadono anche l'Egitto. In realtà oggetti egiziani si conoscevano già da tempo sul suolo greco: una coppa in bronzo egizia proveniente da Lefkandì si data probabilmente al IX sec. a.C., mentre gioielli egiziani sono attestati in Grecia a partire dall'VIII sec. a.C. Un cartiglio di Bocchoris (Bakenrenef) fu rinvenuto a Pithecusa e, sempre in ambito occidentale, una fiasca di faïence (rappresentante lo stesso Bocchoris fiancheggiato da divinità sopra prigionieri nubici) proviene da una tomba di Tarquinia, datata da ceramica greca di inizio VII sec. a.C. Contatti tra Greci ed Egiziani sono testimoniati in Omero e dall'Odissea sappiamo che l'Egitto si raggiungeva navigando da Creta. Tuttavia presenze greche in Egitto non si trovano prima del regno di Psammetico I (664-610 a.C.) e nessun frammento ceramico antecedente a questo faraone è stato trovato in Egitto. Molto probabilmente si trattava inizialmente di mercenari greci assoldati dal faraone, che si stanziarono a Naukratis, convivendo con le popolazioni locali, sul braccio canopico del Delta; il sito divenne subito punto cruciale degli scambi in Mediterraneo, soprattutto per l'attività di Egineti e dei Greci d'Asia. La prima ceramica corinzia si data intorno al 630-620 a.C., mentre la ceramica greco-orientale è di difficile datazione e potrebbe essere più tarda. La notizia di Erodoto, secondo cui Amasis diede Naukratis ai Greci, potrebbe riguardare piuttosto un cambio nei rapporti tra indigeni e Greci: il faraone separò le comunità; a partire da questo momento Naukratis fu un luogo di commercio privilegiato e dato in gestione ai Greci. Le navi greche e non greche che volevano commerciare con il faraone attraccavano a Naukratis, che serviva come porto alla capitale Sais, lontana dal Nilo. Il sito consisteva in un quartiere greco che si appoggiava ad una comunità egizia, abitato da mercanti greci di varie regioni. Sono stati trovati diversi templi che testimoniano la partecipazione di varie città: di Apollo per i Milesi, di Era per i Samii, di Zeus per gli Egineti. La presenza greca in Egitto non si limita a Naukratis, ma lo stesso Psammetico offrì ai Greci altri tre siti, Elefantina, al confine con la Nubia, Marea, a ovest di Alessandria, Daphne a est. Il mercato egiziano esportava principalmente grano, ma anche lino e il papiro, unguenti e profumi, direttamente dall'Egitto dopo la fondazione di Naukratis, prima forse attraverso la Fenicia. Nel VII sec. a.C. doveva essere importata anche gioielleria e durante il VI sec. a.C. a Naukratis era attiva una officina di gioielli; bronzi e avori egiziani si trovano a Creta e nell'Heraion di Samo. Di contro i Greci esportavano in Egitto vino (il fratello di Saffo, Charaxus, era un mercante di vino tra Lemno e l'Egitto), olio d'oliva e argento. Lo sviluppo commerciale di Naukratis è parallelo alle fondazioni più importanti di Mileto nel Mar Nero e allo sviluppo del commercio foceo. Alla fine del secolo gli Egineti e i Greci orientali danno un nuovo impulso all'espansione greca sui mari; commerciano in Egitto e nel Mar Nero, forse anche sulla costa libica e in Numidia. Al 630 a.C. si data l'insediamento di Cirene. Si è oramai avviato un processo verso la specializzazione e la professionalizzazione del commercio greco-orientale nel Mediterraneo. Dopo la fondazione megarese di Bisanzio (667 a.C.), Mileto spinge soprattutto la colonizzazione del Mar Nero e sviluppa in Crimea la viticoltura e la manifattura. Al 620 a.C. si data la più antica ceramica greca di Olbia, fondazione che apre i vasti campi dell'Ucraina al mercato greco; nel VI sec. a.C. questi nuovi insediamenti svilupperanno con Mileto un rapporto di commercio particolare che interessa grano, pesce essiccato, pellami, ocra, metallo e legname. Nel lontano Occidente primeggia l'attività di Focea che si inserisce nelle correnti fenicio-puniche ed etrusche. La fondazione di Marsiglia intorno al 600 a.C. è un fatto nuovo. La città si disloca lungo la via dei metalli iberici, sulla quale nel 590- 580 a.C. è fondata anche Emporion (Ampurias), e lungo le grandi strade commerciali che dalla Bretagna, ricca di stagno, attraversavano la Gallia. La presenza di Focei in Occidente è forte e testimoniata dal numero degli insediamenti foceo-massalioti tra Elea e Gilbilterra, in particolare nella zona di Huelva e Malaga, ricca di metalli. Ma i Focei non sono i primi Greci in Occidente: Erodoto (IV, 152) ci dice che il samio Kolaios arrivò fino a Tartesso attraverso lo Stretto di Gilbilterra per aprire un mercato di metalli nel 628 a.C. Nella costa nord-orientale della Spagna e nel distretto del Rodano si è registrata attività rodia; ma i Focei strinsero relazioni con Arganthonius re di Tartessos e per molti anni ebbero il monopolio del commercio dei metalli. Nello stesso lasso di tempo stabiliscono contatti con la Roma dei re etruschi, partecipano alla fondazione dell'emporio di Gravisca, frequentano la foce dell'Arno (Pisa), Genova, la Sardegna e la Corsica. I movimenti focei, come quelli greco-insulari obbedivano a spinte di carattere diverso, come quelle dei mercenari, quelle commerciali, ma anche quelle a sfondo militare come l'avventura cnido-rodiota nella Sicilia nord-occidentale che ha portato all'insediamento di Lipari. Il momento di massimo sviluppo del commercio nel Tirreno si trova tra il secondo e il terzo quarto del secolo. Gravisca e l'Etruria sono frequentate da Samii e Milesi, ma anche dagli altri Greci d'Asia oltre che dai Focei, presenti anche ad Alalia in Corsica (565-560 a.C.). Dopo la conquista persiana della Ionia nel 545, i Focei abbandonarono la città e emigrarono appoggiandosi ad Alalia stessa, in una zona nevralgica per il commercio tirreno come dimostrano gli scontri con i Cartaginesi e gli Etruschi di Cerveteri nel 540 a.C. Spinta principale alla frequentazione greca in Oriente e Occidente è l'emporìa, sul modello di quella praticata a Naukratis e di Gravisca, dove esistevano spazi istituzionalizzati per il commercio. Le strutture emporiche presuppongono un carattere composito del commercio che differenzia produttori e commercianti, come appunto faceva il commercio ionico. Nelle navi naufragate, infatti, i reperti rinvenuti ‒ sia di beni destinati al commercio sia di quelli pertinenti alle nave stessa ‒ non sempre appartengono a una medesima area culturale. Nell'emporìa i Focei si pongono come intermediari tra popolazioni anelleniche, per cui le loro iniziative sono all'acme dell'attività commerciale mediterranea greca arcaica. La navigazione continua generalmente ad essere praticata con i vecchi tipi di navi, ma già dal 700 a.C., probabilmente in Oriente, gli architetti costruirono navi con due file di uomini sotto il ponte, preparando prototipi che anticipavano le più tarde triremi, anche se la navigazione focea in Occidente avveniva ancora con galere da guerra a cinquanta remi, testimoniando la difficoltà dei commerci in questa zona. Aumentano invece le installazioni portuali artificiali tra il VII e il VI sec. a.C. di cui la più rappresentativa è la costruzione del grande porto di Policrate di Samo, con due moli di 370 e 180 m, inserito nelle mura cittadine. In periodo tardoarcaico il commercio si riorganizza secondo criteri più funzionali e i centri produttori iniziano a lavorare in funzione dei mercati occidentali che vengono consolidati; ceramiche, bronzi, oreficerie greche provengono dall'interno della Francia, dalla Svizzera e dalla Germania meridionale. Erano diffusi l'uso del vino ed il rituale del simposio e circolavano anche tecniche artigianali nella ceramica e nell'edilizia. Gli oggetti erano di alto pregio, come il cratere di Vix; siamo probabilmente di fronte ad uno scambio di doni che servivano ad avviare contatti con l'aristocrazia halstattiana, che assumeva un ruolo intermediario con l'Europa del Nord. Questi contatti dovevano servire ad avviare un processo commerciale basato sullo scambio di derrate alimentari e di materie prime, ma un posto preminente doveva avere il commercio di stagno e di schiavi. Tuttavia nel V sec. a.C. la civiltà di Halstatt è coinvolta nella crisi che invade tutto il mondo celtico e che favorisce gli Etruschi e anche l'area adriatica, dove i Greci aumentarono la loro presenza negli empori, soprattutto ad Adria. Nello stesso tempo crescono i rapporti tra le città greche del Ponto e gli Sciti. Questa situazione si riflette in parte anche in Grecia. Emblematico è il caso di Atene che non è mai stata una città commerciale, ma che nel VII sec. a.C. esportava olio di oliva nelle anfore di tipo SOS. Alla fine del secolo questo mercato scomparve, probabilmente per la diffusione delle tecniche di produzione dell'olio, provocando ad Atene la crisi che portò alla legislazione di Solone. Solone e Pisistrato hanno cercato di sostenere con una serie di provvedimenti l'industria ateniese che, soprattutto per quanto riguarda la ceramica, si era altamente riqualificata. Il più antico frammento attico trovato fuori dall'Attica e da Egina è quello del Pittore di Nesso, rinvenuto a Cerveteri. All'inizio del VI sec. a.C. vasi attici sono stati trovati in maggioranza in Attica, ma anche in Etruria, a Corfù, a Focea e nella sua colonia Massalia, in Grecia orientale, nel Vicino Oriente, in Africa settentrionale, a Naukratis. I gruppi più numerosi tra i più antichi sono quelli dei Comasti e l'officina del Pittore di Polos. Entrambi mostrano una forte concentrazione in Attica, ma sono presenti in Grecia, nel Nord Africa e nel Vicino Oriente, in Italia e nel Mediterraneo occidentale, e per il Gruppo dei Comasti anche nel Mar Nero. Dopo il 570 a.C. nelle botteghe del Ceramico si producevano vasi destinati esclusivamente al mercato occidentale, che inizivano a soppiantare quelli corinzi; in particolare il Gruppo Tirrenico (570-550 a.C.) e più tardi i vasi che uscivano dalla bottega di Nikosthenes principalmente per il commercio etrusco. I prodotti che uscivano dalle botteghe attiche erano trasportati da mercanti non attici, in primo luogo egineti, ma anche corinzi e greco-orientali. Nel V sec. a.C. cresce l'importanza di Atene come centro commerciale e si costruisce un grande porto. Ancora nelle prime decadi del secolo i vascelli si ancoravano nella baia del Falero, ma su spinta di Temistocle si iniziarono i lavori al Pireo, che divenne un'area a forte vocazione commerciale. Le strutture portuali si specializzano e accanto al porto commerciale ne venne costruito uno militare con scali per le navi da combattimento. Nel IV sec. a.C. si contano 372 di questi scali. Il porto viene considerato parte integrante della città e protetto dalle Lunghe Mura, secondo una nuova tecnica difensiva che permetteva alla città di affrontare un assedio basandosi esclusivamente sul commercio marino. La creazione della Lega delio- attica dà nuovo impulso ai commerci ateniesi e gli interessi della città si spingono fino al Mediterraneo occidentale. Probabilmente proprio ad Atene si perfeziona la tecnica di costruzione delle triremi. Secondo Tucidide (I, 13, 1-2) le triremi più antiche furono costruite dai Corinzi, forse alla metà del VII sec. a.C., ma questo tipo di nave si impone e governa il Mediterraneo dal 500 al 300 a.C., continuando a servire come importante unità della flotta fino all'Impero romano. Il nome (trieres) non si riferiva al numero dei rematori, ma ai livelli su cui questi erano disposti. Le scoperte al Pireo alla fine del XIX secolo hanno permesso di ricostruire le dimensioni di queste navi che erano lunghe circa 37 m e larghe poco meno di 6; grazie agli inventari iscritti del Pireo sappiamo che il livello superiore doveva avere 31 rematori e gli altri due 27, per un totale di 170 uomini, oltre ad una trentina tra ufficiali, soldati e addetti alla velatura, per raggiungere i 200 imbarcati. Oltre ai remi la trireme portava due vele quadrate e due vele di trinchetto e i rematori erano usati solo nel combattimento. Accanto alle triremi si conoscono navi per il trasporto dei soldati e navi per il trasporto dei cavalli. La forma dello scafo era analoga, ma venivano rimossi i due livelli inferiori dei rematori per poter far posto alle merci. A partire dall'inizio del V sec. a.C. grandi navi mercantili, con un carico di circa 400 tonnellate, solcavano il Mediterraneo. Alla fine del V sec. a.C. il Mediterraneo era un mare noto in tutta la sua ampiezza e aprire nuovi mercati significava allargare i limiti dell'ecumene. Tuttavia l'esplorazione geografica, compiuta prevalentemente per mare, aveva bisogno di finanziamenti a fondo perduto e per questo era proposta essenzialmente dal sovrano e soprattutto per fini militari. Così Dario I mandò Scilace di Carianda in India e lo stesso fece Alessandro con Nearco e probabilmente l'opera geografica dello Pseudo-Scilace è stata commissionata da Filippo II mentre per alcuni l'impresa di Pitea di Marsiglia nel Mar del Nord è dovuta a Alessandro. In questi casi la conoscenza geografica era funzionale alla conquista dei territori non soggetti a re che aspiravano all'impero universale. Nei resoconti dei partecipanti, la spedizione di Alessandro, soprattutto dalla Battriana verso oriente, ha tutte le caratteristiche della esplorazione geografica. Sono state promosse le spedizioni di Nearco e di Onesicrito, ma anche il tentativo di periplo dell'Arabia affrontato da Ierone di Soli e le navigazioni di Archia e di Androstene nel Mar Rosso. I risultati migliori furono quelli dei bematistai, cioè di coloro che misuravano la Terra percorrendola a piedi. Per quanto riguarda il viaggio di Pitea, sia Polibio sia Strabone sono scettici riguardo all'impresa, tuttavia Marsiglia nella seconda metà del IV sec. a.C. era governata da un'oligarchia che probabilmente tentava di riaprire le vie marine dello stagno e dell'ambra, controllate sul mare fino a poco tempo prima dai Cartaginesi, dalla seconda metà del VI sec. a.C. alla metà del IV. In questo periodo le strade percorse dai Greci per raggiungere le Isole Britanniche e il Mare del Nord erano essenzialmente terrestri, lungo le valli del Rodano e del Danubio. Con le conquiste di Alessandro le conoscenze geografiche si ampliano e verranno raccolte nella carta dell'ecumene approntata da Eratostene. In questa carta i due assi portanti si intersecano a Rodi: il Mediterraneo, nonostante le nuove conoscenze, era ancora nel III sec. a.C. in posizione assolutamente centrale rispetto alla terra abitata. Con l'avvento dei Diadochi, la monarchia universale non ha più modo di esistere. Il problema era per questi re accumulare ricchezza per poter mantenere gli eserciti in armi. Le conoscenze geografiche e le esplorazioni sono utilizzate ora per la ricerca di nuovi mercati o per la scoperta di vie marittime verso oriente. La cartografia diventa funzionale alla navigazione e in periodo ellenistico la geografia del Mediterraneo si precisa con dovizia di particolari sul settore costiero, secondo un sistema che dopo la fine del mondo antico ritorna nei portolani del XIII secolo. Le esplorazioni del settore orientale e meridionale dell'ecumene furono proseguite dai successori di Alessandro per i loro scopi commerciali, soprattutto dai Seleucidi e dai Tolemei, che si servirono sia di bematistai sia di navigatori. Famosi tra questi erano Patrocle, che aveva navigato nel Mar Caspio per conto di Seleuco I, cercando una via fluviale verso l'India, e Demodama di Mileto, che percorse lo Iassarte (Sir Darya), il fiume che attraversava Sodgiana e Scizia. Tra il 118 e il 116 a.C. Eudosso di Cizico compì per due volte il viaggio in India ed una circumnavigazione dell'Africa. In genere le conoscenze geografiche alla corte dei Tolemei erano particolarmente ricche e possedevano informazioni che successivamente furono dimenticate, come le sorgenti del Nilo, la navigabilità del Golfo Persico, la chiusura del Mar Caspio, la circumnavigabilità dell'Africa. I rapporti con l'India interessavano tutti i sovrani ellenistici che cercavano di trattenere relazioni con la dinastia Maurya, che nel III sec. a.C. regnava su quasi tutta l'India e sulle popolazioni greche stanziatesi in Arachosia (Afghanistan). Il primo di questi re, Chandragupta, o suo figlio Bindusara, sembra avesse sposato una figlia di Seleuco e alla corte di questi due re erano frequenti le ambascerie greche, come quella di Daimaco di Platea, da parte di Antioco I, quella di un certo Dionisio, da parte di Tolemeo II, e quella più importante di Megastene, da parte dei Seleucidi. Il periodo delle monarchie ellenistiche si caratterizza per la sperimentazione nell'ambito dell'ingegneria navale. Il primo passo si ha con Dionisio I di Siracusa che lasciò alla sua morte una flotta di oltre 300 navi, non solo di triremi, ma anche di tetreres e di penteres. Dopo la sua morte Dionisio II introdusse navi a 6 file di remi. Nel 315 Antigono e Demetrio introdussero navi a 7 file di remi nella loro flotta e intorno alla fine del IV sec. a.C. si conoscono navi fino a 13 file di remi e all'inizio del III navi con 15 e 16 file di remi. Alla fine del secolo Tolemeo IV costruì una nave con 40 file, probabilmente mai entrata in azione e costruita solo a scopo dimostrativo, ma la flotta aveva navi fino a 30 file. Non sappiamo che cosa effettivamente si celasse dietro questa nomenclatura. Si trattava di navi da combattimento efficaci, come attesta Plutarco riguardo le navi a 15 e 16 file; in realtà non vi era una moltiplicazione di livelli, ma un aumento di file per ciascun livello, secondo un modo che tuttavia non è facile capire. Catapulte e armi da lancio sulle navi furono usate per la prima volta nella battaglia navale a largo di Cipro tra Tolemeo I e Demetrio nel 307 a.C. Insieme alle grandi navi da guerra vennero costruite immense navi da carico, come quella di Ierone di Siracusa (270-215 a.C.), con l'aiuto di Archimede. Si trattava non solo di una nave da carico, ma di una nave anche adibita al trasporto del re ed aveva cabine, una biblioteca e anche una cappella dedicata ad Afrodite. La capacità di carico, seguendo le informazioni di Ateneo, è stimata sulle 2000 tonnellate. L'Egitto possedeva, per il trasporto del grano, la più grande flotta da carico della storia antica. Dopo la conquista di Augusto questa flotta forniva un terzo del grano necessario per sfamare la popolazione di Roma, cioè circa 135.000 t annuali. Tuttavia il commercio marino doveva essere effettuato su navi di cabotaggio medio di 1000-1200 t per le grandi tratte e di cabotaggio più piccolo per commerci locali. In particolare i rapporti commerciali tra Oriente e Occidente erano tenuti soprattutto dal regno seleucide, che da una parte tentava di favorire il passaggio di merci provenienti dall'India, dall'Asia e dall'Arabia, a discapito dell'Egitto, e dall'altro cercava nuovi mercati in Occidente. Le grandi strade carovaniere che attraversavano il regno arrivavano fino alla nuova città commerciale di Seleuco I, Seleucia sul Tigri, capitale orientale. I rapporti tra l'impero seleucide e l'India si svolgevano soprattutto per via terrestre, una delle quali, quella settentrionale, attraversava la Battriana, mentre una seconda più meridionale passava per la Gedrosia, la Carmania, la Perside, la Susiana. Sempre tra l'India e il Mediterraneo erano le strade che attraversavano l'altopiano iranico, che erano utilizzate soprattutto per scopi militari e che i Seleucidi riempirono di fortificazioni; non si può tuttavia escludere un uso commerciale delle stesse vie. La pace con Chandragupta favorì d'altronde il commercio tra Seleuco e l'impero di Magadha. Le merci che giungevano a Seleucia sul Tigri venivano poi rispedite verso settentrione e occidente sulle stesse strade che erano utilizzate in periodo achemenide e che erano rese sicure dalle guarnigioni seleucidi. Uno di questi forti era Dura- Europos, sul corso dell'Eufrate. Centro di smistamento era Antiochia sull'Oronte e soprattutto i suoi porti Laodicea sul mare e Seleucia in Pieria. Importante era anche la via marittima che seguiva la costa occidentale del Golfo Persico e che era affiancata da una via terrestre. La zona del Golfo Persico e del Mar Rosso si trovava in mano a tribù arabe (Nabatei, Sabei, Lihyaniti, Gerrei) che controllavano sia i commerci marittimi sia quelli terrestri. Sia i Tolemei che i Seleucidi dovettero faticare con azioni militari e interventi diplomatici per poter sfruttare questa area per i loro scopi commerciali. Nel Mediterraneo orientale il centro commerciale più importante era Rodi. Se la sua flotta militare cercava di rendere sicuri i mari dai pirati, la flotta commerciale lavorava in tutto il Mediterraneo. I rapporti principali furono con i Tolemei, che dopo la vittoria di Raphia del 217 a.C. trascurarono i loro interessi nell'Egeo per problemi di politica interna e affidarono il commercio del loro grano a Rodi, ma non è escluso che mantenessero contatti anche con i Seleucidi e che si interessassero in parte di smistare le merci orientali.
In Etruria, a partire dal IX sec. a.C. vengono privilegiati gli insediamenti lungo le vie di comunicazione marittime e fluviali per favorire lo sfruttamento commerciale delle risorse minerarie dell'Elba e delle isole metallifere. Tra la fine del IX e l'VIII sec. a.C. sono attestati contatti con le coste campane e, attraverso la rotta dell'Elba, con la Sardegna e la Corsica; più sporadici i contatti con elementi fenici e ciprioti. Prima della nascita dello stanziamento euboico di Pithecusa gli Etruschi erano i soli a navigare liberamente nelle acque tirreniche, su navi larghe, costruite per trasportare merci. Gli Euboici in Italia stabiliscono contatti soprattutto con la bassa e media valle del Tevere, interessando Roma, ma soprattutto Caere, Tarquinia, Vulci durante la seconda metà dell'VIII sec. a.C. Le grandi tombe principesche dell'inizio del VII secolo sono il segno di una nuova ricchezza che si esprime attraverso la presenza di oggetti di origine orientale, probabilmente trasportati dagli stessi Euboici che frequentavano le coste della Siria. Nella prima metà del VII sec. a.C. emerge sugli altri il centro di Caere, che attraverso i suoi rapporti con Vetulonia, sembra controllare la costa etrusca. Le imbarcazioni utilizzate dagli Etruschi non sembrano tuttavia poter competere con quelle coeve greche, soprattutto con il tipo della grande pentekontoros. Nei pochi casi in cui è possibile stabilire il numero di rematori, questo si attesta su 10 unità per lato, come si vede in un piatto di produzione ceretana con scena di pesca o nella scena di battaglia del cratere di Aristonothos. In periodo arcaico il litorale etrusco meridionale è costellato di insediamenti, come Alsium, Pyrgi, Gravisca, che testimoniano la forte vocazione marittima della regione, mentre a nord unico insediamento sul mare è Populonia. In particolare Gravisca diventa un importante emporio internazionale, frequentato da stranieri, soprattutto Ionici ed Egineti (significativa la dedica di Sostratos di Egina). Le navi utilizzate nei commerci nel VI sec. a.C. sono essenzialmente onerarie, spinte da vele quadrate e con pochi uomini che le manovrano. Una scena di battaglia su un vaso ceretano al Louvre ci mostra una nave da guerra e una nave mercantile in assetto da guerra; la scena offre alcuni problemi di interpretazione, ma forse possiamo immaginare che si tratti di un attacco etrusco ad una nave greca che viaggiava nel Tirreno equipaggiata per la battaglia, come sappiamo dovevano fare i Focei. In genere la tecnica navale etrusca sembra essere ancora arretrata: il relitto di Bon-Portè, che trasportava un carico misto di anfore etrusche e greche, presenta un sistema di assemblaggio del fasciame che utilizza funi passanti attraverso una serie di fori praticati nelle assi e successivamente chiusi. Le esportazioni etrusche sono presenti in tutto il Tirreno, con una maggiore frequenza nella parte centrale e soprattutto in Campania. Meno forte è invece l'impatto del commercio etrusco nell'Egeo e probabilmente la diffusione di bucchero in Grecia si deve imputare ai commercianti greci piuttosto che a quelli etruschi. Al contrario, in Occidente, la presenza della marina cartaginese tra la Spagna, la Sardegna e la Sicilia era una realtà consolidata quando i Focei fondarono Alalia in Corsica. Questo episodio segna probabilmente l'inizio di una collaborazione tra Cartaginesi ed Etruschi che andava oltre gli scopi puramente commerciali e che cercava di escludere i mercanti greci dalle rotte occidentali. In questa ottica vanno visti anche i trattati tra Roma e Cartagine stipulati a partire dalla fine del VI sec. a.C. Dopo la battaglia di Alalia, gli Etruschi si impadroniscono del sito e lo occupano a partire dal 525-520 a.C.; in questo periodo essi hanno il monopolio sulle rotte del medio e alto Tirreno e gli insediamenti in Versilia e la fondazione di Pisa alla foce dell'Arno assicuravano loro i commerci con la Liguria e la Provenza; i rinvenimenti di Genova testimoniano il carattere di emporium che dovette assumere il sito. Una penetrazione analoga si ha anche verso sud, dove cresce l'importanza degli insediamenti del Golfo di Salerno e nuclei etruschi si installano nel Golfo di Napoli, ma la sconfitta etrusca a Cuma nel 474 a.C. ferma definitivamente l'espansione verso sud. In Adriatico l'emporio di Adria ha restituito frammenti ceramici a partire dal 570 a.C., ma è solo nella seconda metà del secolo che esistono tracce di scambi sistematici con i Greci, favoriti dalla crescita economica e culturale dell'Etruria padana. Alla fine del secolo viene fondata sull'Adriatico settentrionale la città emporica di Spina. Gli Etruschi di Spina sono in contatto con i commercianti egineti e poi, dopo la perdita di indipendenza dell'isola, con quelli ateniesi. A Spina si potevano trovare grano, schiavi, ma anche beni durevoli come l'ambra e i metalli. Di contro è rilevante la massiccia presenza di vasi attici nei corredi di Spina. A partire dal IV sec. a.C. il Mediterraneo inizia ad essere solcato da mercanti italici. Probabilmente già dalla fine del IV sec. a.C. a Roma si era potenziato un programma di espansione commerciale e già molto prima dei Gracchi l'attività dei commercianti, banchieri e pubblicani aveva raggiunto uno sviluppo notevole. In questa prima fase i commercianti romani erano per lo più pirati e per tutto il IV sec. a.C. la pirateria romana restò molto diffusa nel Mediterraneo, probabilmente sotto il controllo dello stesso Senato di Roma. Sullo scorcio del secolo e all'inizio del successivo, tuttavia, possiamo ravvisare gli inizi di un processo di trasformazione dei pirati in mercanti. Nella prima metà del III sec. a.C. si data una dedica bilingue di un Italico nel santuario di Athena Lindia a Rodi. Il dedicante è stato riconosciuto con Lucius Marci filius Oli, membro della gens Olia, che aveva rapporti con la Grecia e con l'Asia Minore, o, secondo un'altra lettura, con un certo Folio, appartenente ad una gens di probabile origine volsca. A parte i problemi di interpretazione, il rinvenimento di questa epigrafe testimonia che all'inizio del III sec. a.C. la presenza di Italici nel Mediterraneo orientale era forte. Non si tratta della presenza di individui isolati, ma di un commercio relativamente intenso che porta un elemento in più a favore dell'esistenza di un trattato commerciale tra Roma e Rodi già alla fine del IV sec. a.C., più volte negata, ma che sembra rientrare nella politica di Roma che proprio in quegli anni stipulava altri importanti accordi commerciali, come quello con Cartagine del 306. Nella prima metà del III sec. a.C. si datano altre testimonianze di Italici in Etolia e in Siria. I trafficanti italici iniziano ad avere una attività più intensa intorno al 240 a.C. e accrescono il loro movimento tra la prima e la seconda guerra punica, con un forte incremento del volume degli affari durante il II sec. a.C. Attori di questa rinascita commerciale diventano, dopo la guerra annibalica, a discapito delle città greche dell'Italia sud-orientale, gli abitanti dell'area sorrentina fino al Volturno, soprattutto Greci ed Osci, ora decisamente romanizzati e frammisti a coloni romani e latini, oltre che a cittadini provenienti dal Lazio, in particolare da Preneste e da Tivoli, nonché dal territorio e dalla città di Roma. Già alla fine del IV e all'inizio del III sec. a.C. furono insediate colonie latine e romane nelle zone al confine tra Lazio e Campania (Minturno, Sinuessa, Cales, Suessa Aurunca) e dopo la seconda guerra punica il processo continuò a sud della regione (Volturno, Liternum, Dicearchia). Dicearchia, poi Puteoli, entrerà in un'era di grande prosperità, come porto di Roma, importante centro di importazione e di esportazione e luogo di produzione. La città è in parte romanizzata e in parte cosmopolita, una Delus Minor, come ci informa Lucilio (III, fr. 123, ed. Marx). Rispetto a Puteoli, Napoli perse importanza commerciale e rimase sostanzialmente una città greca, meta di scrittori e studenti, ma la stessa Cuma nel 215 a.C. ricevette 300 Capuani che erano divenuti cittadini romani e nel 180 a.C. il latino divenne la lingua ufficiale della città. Gli stessi Capuani erano cives sine suffragio dal 338 a.C., anche se la stessa Capua e le città circondariali furono punite nel 211 a.C. per la defezione a favore di Annibale e fu tolta loro la cittadinanza. Comunque la romanizzazione della regione fu incoraggiata durante il II sec. a.C. attraverso il movimento privato di cittadini e di Latini. È possibile affermare che, nonostante alcune città italiche continuassero a sentirsi osche, come avrebbero dimostato durante la guerra italica, la Campania era una regione fortemente romanizzata. Fattori di questa crescita sono i successi militari romani nel Mediterraneo e la grande ricchezza che, giunta in Italia tramite la guerra e la conquista dei nuovi territori, passa per lo più in mano privata. Le conseguenze sono una maggiore richiesta di beni stranieri e la nascita di capitali per il commercio straniero. Questi nuovi commercianti vengono chiamati in Oriente Rhomaioi, ma è probabile che il nome non indicasse solo i Romani ma anche gli Italici. Il commercio è comunque in mano ai Romani attraverso lo scalo portuale di Puteoli, anche se gli Oschi sono i primi negotiatores presenti a Delo e nomi oscocampani sono frequenti nelle comunità di commercio; ma furono i Romani e i Latini che nel 187 a.C. ottennero l'immunità per le tasse portuali per un trattato garantito dal Senato ad Ambracia e, nel 180 a.C., i mercanti catturati dal re Gentius d'Illiria nell'Adriatico sono descritti da Livio (XC, 42) come Romani e Latini. Rimane comunque difficile in questo contesto fare delle distinzioni precise tra le componenti che partecipavano ai commerci e che formavano in Oriente comunità di commercianti, prima che la cittadinanza fosse estesa agli Italici nell'89/8 a.C. Nel Mediterraneo i Rhomaioi ebbero come base privilegiata l'isola di Delo. La sua importanza commerciale si sviluppa nel 166 a.C. quando l'isola è assegnata da Roma ad Atene e resa porto libero. La crescita della debolezza di Rodi produce una crescita della pirateria nel Mediterraneo orientale, forse alimentata dalla stessa Roma, e di conseguenza la crescita del numero di schiavi offerti nel mercato di Delo. Lo sviluppo degli affari incrementa il numero di Rhomaioi che si recano sull'isola per il commercio degli schiavi e nel 146 a.C. la distruzione di Corinto provoca l'immigrazione sull'isola dei Rhomaioi dell'Istmo. Il mercato di Delo ha una flessione a partire dall'88 a.C. dopo il sacco dell'isola da parte del generale di Mitridate, Archelao. Più di 20.000 Italici sono uccisi a Delo e nelle isole vicine. Nell'86 a.C. si hanno la riconquista di Delo e la successiva riconquista di Atene da parte dei Romani e nel periodo immediatamente successivo si può notare un nuovo movimento di negotiatores a Delo e si restaurano il porto e la città. Ancora nel 69 a.C. Delo subisce un secondo sacco da parte di una flotta di pirati sotto il comando di Athenodoro per conto di Mitridate, cui seguono un nuovo restauro e la fortificazione della città da parte di C. Triarius, legato di Lucullo. Nel 67 a.C. la distruzione della flotta di pirati da parte di Pompeo provoca un indebolimento del mercato degli schiavi e nel 55 a.C. si può datare il collasso dei commerci e della comunità straniera di Delo. A Delo si stabilirono affaristi stranieri fin dalla metà del III sec. a.C., ma pochi di questi erano originari dell'Italia. Tra la fine del secolo e l'inizio di quello successivo, quando Delo ricadrà nell'orbita politica romana, si trovavano residenti italioti e greco-italioti. Tra le dediche più antiche nel 220 a.C. si data quella di un certo Minatus (ID, 351, 6), forse lo stesso personaggio che dedicherà successivamente una corona d'oro al tesoro di Apollo nel 181 a.C., i cui discendenti saranno presenti sull'isola ancora alla fine del II sec. a.C. Più antica una seconda epigrafe che si data tra il 250 e il 240 a.C. (IG XI, II, 287, A 58), di lettura incerta. La presenza di Italici a Delo è comunque importante già alla fine del III sec. a.C. se un certo Marcus Sestius di Fregellae aveva ricevuto un decreto di prossenia dai Delii. Quale sia stata la funzione di Delo in questo primo periodo rimane incerto, ma la sua attività principale dall'inizio del III fino al terzo decennio del II sec. a.C. era quella del commercio del grano, non si sa se con attività di largo respiro o più probabilmente con una funzione di succursale del mercato rodio. Durante il corso del II sec. a.C. i Rhomaioi divennero numericamente predominanti sugli altri stranieri, sebbene anche questi aumentarono, attratti dal porto franco di Delo. La posizione preminente dei Romani è testimoniata dal fatto che nell'88 a.C. l'isola, staccatasi da Atene, rimase fedele a Roma e il romano che difese l'isola contro la forza dell'ateniese Apellicon fu L. Orbius, un negotiator. Non è facile stabilire quale sia stato l'impatto della stazione commerciale di Delo sul commercio mediterraneo. In Polibio (XXX, 31) il rodio Astymedes sostiene, forse in modo esagerato, che la ateleia di Delo significava per Rodi una diminuzione di affari da 1.000.000 di dracme a 150.000 dracme l'anno. Il declino della flotta rodia e la conseguente crescita della pirateria, erano dovuti alla diminuzione delle tasse portuali e delle imposte dei territori soggetti, che Roma nel periodo successivo alla pace di Apamea (188 a.C.) aveva liberato. Probabilmente però rimane fiorente il commercio del grano, soprattutto quello egiziano, che Delo non poteva accogliere in grande quantità per la mancanza di strutture adeguate. Oltre a Delo i mercatores sono presenti anche in altre città. In Grecia, città e campagne furono spopolate tra il primo intervento romano e l'età augustea, ma alcune città furono ancora prospere commercialmente (Calcide, Atene, Corinto fino alla sua distruzione), mentre la Tessaglia, la Beozia, l'Elide, la Messenia possedevano una ricchezza agricola considerabile e i Romani erano attratti non solo dal commercio e dagli scambi bancari ma anche dalle terre. Il vecchio commercio tra la Sicilia e l'Italia del Sud e la Grecia include certamente l'Istmo e le regioni limitrofe. A causa della distruzione di Corinto del 146 a.C. non si hanno tracce di Romani e Italici nel II sec. a.C., mentre più tardi Strabone testimonia una frequentazione della città. Atene non conobbe un periodo di grande prosperità nel tardo III sec. a.C., ma la città probabilmente ebbe una rinascita dopo la sconfitta di Perseo, quando nel 167/6 a.C. di fatto accettò la protezione di Roma. Nel 174 a.C. circa un cittadino romano, Cossutius, completò l'Olympieion per ordine di Antioco IV Epifane. Si tratta di un membro della famiglia dei Cossutii, attivi tra l'Italia e il Mediterraneo orientale nel II e I sec. a.C. con attività architettoniche ed edili. Nel 124/3 a.C. alcuni Rhomaioi sono citati in un'iscrizione come efebi. Le fonti epigrafiche provano che diversi Rhomaioi stabilitisi ad Atene erano legati in affari con Delo. Probabilmente i membri della comunità di Delo mandavano ad Atene i loro figli per il periodo dell'educazione o vi si ritiravano alla fine della loro vita; così si spiegherebbero le iscrizioni funerarie ateniesi di famiglie attestate a Delo. In sostanza non siamo a conoscenza di nessuna attività affaristica ad Atene anche se per quest'ultima la presenza di Rhomaioi fu fonte di arricchimento. I Saufeii di Palestrina offrono un esempio di come doveva lavorare una famiglia di mercanti italici. Famiglia importantissima a Preneste, ha tentato, anche se con un successo relativo, di avere delle cariche ufficiali nelle magistrature romane ed è stata particolarmente attiva tra i negotiatores. Oltre che a Palestrina, la gens è attestata in un primo momento anche a Minturno, testimoniando i rapporti precoci che la famiglia aveva con la Campania e la variante Saufius è stata rinvenuta su un'anfora trovata vicino a Sorrento. Più tardi la gens è presente anche a Puteoli, Pompei, Aquinum, Atina, Brundisium. Particolarmente attivo sembra essere stato Aulus Saufeius, il cui nome è riportato su alcune anfore Dressel 1 trasportate, insieme ad altre anfore brindisine e Lamboglia 2, da una una nave naufragata tra le isole di Ponza e Palmarola; la tipologia delle anfore è quella già nota in altri relitti rinvenuti lungo la Penisola Iberica, sulla costa francese del Mediterraneo e lungo la costa italiana tirrenica, nell'ambito di una rotta commerciale del vino molto frequentata tra II e I sec. a.C. Ma proprio nello stesso lasso di tempo in cui è avvenuto il naufragio, intorno al 100 a.C., ritroviamo un Aulus Saufeius a Delo e tra il 90 e il 50 a.C. è attestato un personaggio con lo stesso nome a Minturno. Gli interessi commerciali di questo personaggio sono diversi; il relitto infatti testimonia che Aulus Saufeius commerciasse in vino, ma possiamo ipotizzare, con la sua presenza a Delo, una più importante attività nel mercato degli schiavi. Ancora le ipotesi sulla rotta seguita dalla nave danno come meta finale la Gallia Narbonese o la Spagna, mentre la presenza di anfore brindisine e Lamboglia 2 indicherebbe interessi commerciali legati all'Adriatico. In periodo altoimperiale le direttrici di comunicazione rimangono essenzialmente invariate, tuttavia si assiste ad un aumento di produzione e di commercio. Le strutture portuali vengono migliorate e le navi aumentate di capienza; la nave che trasportava s. Paolo aveva 276 persone a bordo, mentre quella di Giuseppe Flavio circa 600. Probabilmente esisteva una specializzazione dei commercianti per quanto riguarda le merci trasportate e i luoghi di scambio, mentre un mercante itinerante come Trimalcione, che inizia un fortunato viaggio commerciale in prima persona, doveva risultare piuttosto anacronistico. Rispetto al periodo repubblicano aumentano gli orientali in Occidente, mentre diminuiscono i commercianti occidentali in Oriente. I mercanti orientali vendono ora direttamente i propri prodotti in Gallia, in Spagna, in Italia. Si accresce il raggio d'azione dei commercianti e diminuiscono gli intermediari; in questo modo si abbassano i prezzi e aumenta la base del mercato. I viaggi per mare rimangono sempre i più economici rispetto a quelli via terra e si inizia a sfruttare la spinta dei monsoni, la cui scoperta è dovuta forse a Ippalo nel I sec. a.C., per giungere in India via mare. Durante il regno di Nerone si seguiva una rotta transmarina da Okelis a Muziris, nel Sud dell'India, compiendo l'intero viaggio senza fare scalo in quattro giorni. In India altri porti che commerciavano con l'Occidente erano Barbarikon e Barygaza, sulla costa nord-orientale. I porti di arrivo di questo commercio nel Mar d'Arabia erano situati sulla costa meridionale dell'Arabia e all'imboccatura del Mar Rosso. Su questo commercio che investiva la periferia del mondo romano siamo informati dal Periplus maris Erythraei, probabilmente un manuale ad uso di mercanti e navigatori, scritto durante il I sec. d.C. Per via terrestre le direttrici principali erano rappresentate da una via più meridionale che passava per il Turkestan orientale, la Battriana, Taxila e giungeva alle foci dell'Indo, per poi arrivare in Occidente attraverso il Mar Rosso oppure attraverso l'Arabia per la strada di Gerra e Petra, e da una strada settentrionale che da Samarcanda attraverso l'Oxus, il Mar Caspio, il Caucaso, scendeva nel Mar Nero. Meno frequentata era la vecchia strada che risaliva l'Eufrate fino a Palmira e a Damasco, che ora attraversava l'impero partico. Per i Romani il commercio con l'India era talmente fiorente che questa costituiva il secondo Paese produttore per l'Impero dopo l'Italia stessa. Tuttavia si era creato il problema che questa grande messe di mercanzie veniva pagata con metallo e soprattutto con monete. Plinio il Vecchio calcola in cento milioni di sesterzi la cifra annuale pagata per le importazioni con l'India. La maggior parte di monete coniate trovate in India si data all'età di Tiberio. Dall'Oriente arrivavano oro e argento non monetato, pietre preziose e semipreziose, legni pregiati, avorio, penne di struzzo, tartarughe, perle, spezie, tessuti. Tuttavia la conoscenza diretta dei Romani non sembra estendersi più ad ovest dell'India e le poche notizie sulla Cina dimostrano una conoscenza indiretta della regione e indicano che le merci cinesi dovevano arrivare in Occidente attraverso un itinerario piuttosto complicato. Il commercio con il Nord Europa rimaneva comunque fiorente; dalla Russia meridionale arrivavano grano, pesce salato, pelli, schiavi, mentre dalla Germania, dalla Scandinavia e dai Paesi baltici schiavi, pellame e soprattutto ambra. Specialmente per la regione baltica il tragitto era esclusivamente marittimo, mentre per le altre zone si sfruttavano i corsi dei grandi fiumi europei. In genere risulta che l'Impero aveva bisogno di una quantità di prodotti che venivano da oltre il confine, ma anche all'interno dell'Impero poche erano le regioni autosufficienti. Si assiste ad una specializzazione delle produzioni regionali per quanto riguarda i Paesi tecnicamente più evoluti, mentre gli altri avevano un'economia che si basava sulle risorse di materie prime del Paese. La frequenza di bolli sugli oggetti rinvenuti dà l'idea della diffusione delle merci, ma ci offre anche il quadro di un commercio basato essenzialmente sulla concorrenza privata, non regolato dallo Stato. Tuttavia con il II sec. d.C. si conosce un cambiamento di tendenza nei centri di produzione nel Mediterraneo e l'Italia non riesce più a soddisfare la richiesta di merci da parte dell'Occidente. I centri di produzione e di scambio si diversificano e si decentrano. Diminuisce l'effetto di coesione del commercio interregionale e aumenta lo scambio locale. In genere il volume degli affari è comunque ancora in aumento e portato avanti sempre più dai commercianti orientali, mentre in Occidente Aquileia, Narbona, Lione, Treviri, Colonia diventano importanti città commerciali: il commercio si sposta sempre di più verso le zone di confine dell'Impero. In generale possiamo notare che a partire dalla fine del II sec. d.C. il Nord Africa assume un ruolo primario nell'economia dell'Impero romano. Sotto i Severi l'Italia sembra non ricoprire più un ruolo di primo piano nel commercio mediterraneo, mentre la capitale economica dell'Impero è ora Cartagine, città di lingua latina, contrapposta alla greca Alessandria. Il mercato africano rimase fiorente anche sotto la dominazione vandalica di V secolo, anche se lo spostamento della capitale dell'Impero a Costantinopoli aveva in parte cambiato gli equilibri mercantili nel Mediterraneo.
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