Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Periodo tardoantico e medievale e mondo bizantino
di Francesca Romana Stasolla
Nel tracciare le dinamiche viarie e commerciali del periodo tardoantico e medievale, le fonti archeologiche vanno, forse più che in altri casi, lette in stretta connessione con altri tipi di fonti. Un tracciato stradale, infatti, può nascere per scopi commerciali, essere sfruttato per ragioni militari, tornare in auge perché via di pellegrinaggio, restare in vita come collegamento dei centri che nel frattempo sono sorti lungo il percorso, con variazioni di scelte e di percorrenze diverse per ogni suo tratto, tutto questo in una dinamica di casualità e programmazione che la sola ricerca archeologica ‒ come ogni altra indagine univoca ‒ non consente di recuperare. Ciò non toglie che i risultati di tali indagini siano in alcuni casi dirimenti nel rivalutare aree considerate commercialmente depresse o nel porre l'accento su rotte e tracciati stradali non altrimenti ipotizzabili. Questo genere di dati acquista particolare valore proprio per il periodo tardoantico e altomedievale. A lungo infatti la mancanza di ritrovamenti delle caratteristiche anfore romane ha indotto a ritenere che con la tarda età imperiale le condizioni di sicurezza del Mediterraneo, la conquista vandala dell'Africa, le incursioni delle popolazioni germaniche ‒ anche a fronte di documentazione letteraria che lamentava la devastazione apportata dai "Barbari" ‒ e le generali condizioni di instabilità politica avessero ridotto drasticamente le relazioni commerciali all'interno del bacino mediterraneo, fino alla cesura delle relazioni determinata dalla diffusione araba. I limiti cronologici di questo fenomeno sono stati collocati in modo variabile tra la Tarda Antichità e i primi secoli del Medioevo, a seconda delle motivazioni addotte per giustificarlo: dalle migrazioni germaniche, alle epidemie, alle variazioni climatiche, alla diffusione dell'Islam. In realtà, le indagini archeologiche nei livelli postclassici di molti siti ed il rinvenimento di una serie di relitti hanno confermato il mantenimento di un'efficiente rete commerciale transmarina e quindi l'esistenza di rotte ed itinerari tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale, sia pure con modalità differenti. Negli ultimi decenni, la mole dei ritrovamenti di manufatti, soprattutto ceramici, ha consentito di analizzare sotto altra visuale i fenomeni migratori ed i nuovi assetti che, sia pur destabilizzanti rispetto al precedente ordine sociale ed economico, hanno comunque prodotto nuove esigenze e nuove economie, quindi nuove vie di comunicazione. Pure la numismatica contribuisce a delineare il quadro delle vie commerciali, anche se per l'età tardoimperiale i dati archeologici appaiono apparentemente falsati dalla tesaurizzazione del circolante aureo ad opera delle popolazioni germaniche che lo ricevevano in tributo da parte dell'impero di Costantinopoli, così che in molti di questi casi la presenza di monete non è sintomo di scambi commerciali e la loro cronologia differisce in alcuni casi anche notevolmente da quella del contesto archeologico di appartenenza. Uno dei rischi dell'analisi esclusiva delle fonti archeologiche consiste nella tendenza a ridurre le ragioni degli incontri e quindi della definizione di tracciati viari ad esclusive motivazioni economiche che, se pur necessarie e in taluni casi dominanti, non costituiscono però l'unico motivo dell'incontrarsi. Altri vettori della comunicazione non hanno lasciato tracce materiali di analoga portata, ma anche nei periodi meno sicuri gli uomini stabilivano collegamenti per desiderio di avventura, conquiste di nuove terre, spinte missionarie e mille altre ragioni, così che la storia dei contatti tra i popoli non può ridursi alla loro storia economica. L'alto clero e i monaci, soprattutto, percorrevano distanze anche molto lunghe per visitare comunità isolate o impiantarne di nuove, i penitenti ed i pellegrini intraprendevano lunghi viaggi allo scopo di visitare i sepolcri dei martiri o le vestigia di Cristo e dei suoi apostoli, dove talvolta lasciavano traccia del loro passaggio nei graffiti rinvenuti presso le sepolture venerate. Tali viaggi erano intrapresi al seguito di carovane o su navi mercantili, oppure autonomamente o con altri pellegrini, in un fenomeno dalle dimensioni sempre più imponenti e che trovò nelle crociate uno degli aspetti più appariscenti. I pellegrinaggi, che inizialmente hanno seguito vie già tracciate, progressivamente ne hanno definito di nuove oppure hanno valorizzato percorrenze minori, che però conducevano ad un luogo santo. Conosciamo le direttrici viarie di tale fenomeno grazie alla comparazione tra fonti letterarie e fonti archeologiche, confrontando cioè i diari e gli itinerari tracciati dai pellegrini con le risultanze dei rinvenimenti di santuari venerati. Per la verità, gli itineraria, una sorta di mappe stradali descrittive (adnotata) o rappresentative (picta) che rappresentavano le principali località di un percorso con le distanze intercorrenti, erano molto in uso tra coloro che per ragioni diverse erano costretti a percorrere lunghe distanze. Tra i più noti si annovera sicuramente la Tabula Peutingeriana, un itinerarium pictum molto ampio, presumibilmente in uso ai funzionari del cursus publicus. A partire dall'età tardoantica, però, gli itinerari più noti sono quelli legati alle pratiche devozionali, che costituiscono la testimonianza della permanenza in uso di determinati tracciati stradali e contemporaneamente la rilevanza assunta dalla viabilità di collegamento tra i santuari più importanti. Ad esempio, l'Itinerarium Burdigalense sive Hierosolymitanum, della prima metà del IV secolo, nella differenziazione dei percorsi di andata e di ritorno attesta le due possibilità di collegamento tra Bordeaux e la Terra Santa: seguendo le vie consolari fino a Costantinopoli e poi proseguendo via terra, per mare doppiando il tratto tra la costa dalmata e la Puglia e poi raggiungendo Roma tramite l'Appia e quindi proseguendo per le vie Flaminia ed Emilia. Il più noto Itinerarium Egeriae, della seconda metà dello stesso secolo, attesta le percorrenze terrestri medio-orientali. L'instabilità determinata dall'estendersi delle incursioni persiane è attestata da altre fonti analoghe del VI secolo, che mostrano una spiccata preferenza per i viaggi per mare, sia tra Costantinopoli e le coste fenicie (Itinerarium Anonimi Piacentini) sia nei più avventurosi percorsi fino all'India (Topographia Christiana di Cosma Indicopleuste). Comunque, ancora all'inizio del X secolo i pellegrini occidentali potevano andare in Terra Santa via mare, attraverso Alessandria o un altro porto siriano, oppure a Costantinopoli e poi via terra. Per quanto riguarda l'Europa occidentale, dall'VIII secolo è attestato l'utilizzo della via Romea o Francigena (Itinerarium Sancti Willibaldi), un asse stradale di fondamentale importanza per tutto il Medioevo, di collegamento tra le regioni del Mare del Nord e Roma, da dove si poteva poi proseguire per il santuario di S. Michele al Gargano e quindi imbarcarsi per la Terra Santa. Una serie di tracciati viari varcava infine i Pirenei per raggiungere Santiago de Compostela. L'analisi di queste fonti eccezionali va integrata dalle notizie sulle strutture di accoglienza per i pellegrini che costellavano i percorsi viari più frequentati, attestate sia a livello documentario che sul piano archeologico. La loro dislocazione topografica ha inoltre consentito di cogliere il variare dei percorsi, che tendevano a farsi pedemontani a motivo della scarsa sicurezza di alcuni periodi o di disgregazione del tessuto stradale più antico (scarsa manutenzione, avanzamento delle aree paludose, ecc.). Le vie terrestri di commercio vennero inoltre facilitate proprio dai vettori apparentemente meno probabili: i movimenti delle popolazioni germaniche, se da un lato rendevano insicure alcune aree, per altri versi paradossalmente facilitarono alcune comunicazioni, così che le loro migrazioni finirono in qualche caso per costituire i vettori di alcune merci: è questo il caso ad esempio dell'ambra, che nella prima metà del VI secolo era di nuovo presente sui mercati italiani, evento per il quale Teodorico riconosceva il merito degli Esti (Cassiod., Var., 5,2). Infatti gli Unni nel V secolo e i Longobardi nella seconda metà del VI giunsero in Italia proprio lungo la via dell'ambra, che percorreva le città pannoniche unendo il Mar Baltico all'Adriatico e giungendo quindi ad Aquileia. Appare ormai accertato come in età tardoantica non sia cessato il commercio transmarino, ma che questo sia proseguito con modalità differenti. In assenza di un consistente numero di relitti di età postclassica, il tracciante archeologico di questa analisi è costituito ovviamente dai ritrovamenti anforici, per i quali sono ormai abbastanza noti gli aspetti formali e produttivi anche per tale epoca. Le produzioni anforiche tardoantiche, almeno fino al VII secolo, segnalano come il commercio di beni prodotti in Oriente avesse un andamento preferenziale lungo l'asse sud-nord, con perno a Costantinopoli e con importanti punti di transito, primo fra tutti Cipro. La Grecia meridionale e Creta, pur mantenendo con le regioni siro-palestinesi e con l'Egitto rapporti autonomi, fungevano da intermediari nei commerci tra Mediterraneo orientale ed occidentale. Sotto Anastasio (491-518), al comes commerciorum per Orientem et Aegyptum succedettero due preposti al commercio, rispettivamente in Mesopotamia e nel porto di Clysma sul Mar Rosso. Ciò che appare modificato afferisce piuttosto alle dinamiche del commercio, che sembrano prevedere il ricorso intenso ad una navigazione di cabotaggio e alla commistione di merci eterogenee. Proprio la morfologia delle anfore di produzione orientale sembra far riferimento ad una pluralità di mezzi di trasporto, visto che le loro modeste dimensioni e la loro forma particolare ben si adattano all'alternanza tra piccole imbarcazioni e percorsi terrestri a dorso di animali, senza gli alti puntali per lo stivaggio nelle grandi navi di età romana. Comunque, l'analisi delle imbarcazioni di questo periodo si avvale del ritrovamento di alcuni relitti (tra i più noti quelli di Marzamemi in Sicilia, del VI sec., e di Yassi Ada in Turchia, del VII sec.) e sembra prevedere il ricorso a navi di più modesto tonnellaggio rispetto ai carichi di età imperiale. Successivamente al VII secolo, la netta diminuzione dell'uso delle anfore da trasporto sembra sancire in Occidente un calo dei commerci, anticipando uno scenario che in Oriente si manifesterà circa un secolo dopo, ma la certezza del diffondersi di contenitori alternativi alle anfore ‒ le botti lignee in primo luogo ‒ rende difficile formulare precise ipotesi quantitative in merito alle direttrici commerciali. L'arrivo degli Arabi spezzò comunque l'asse mediterraneo Cartagine-Costantinopoli, che aveva retto fino al VII secolo. Dal 636, infatti, nel giro di un secolo l'Islam aveva conquistato il Vicino Oriente, le aree del Mediterraneo meridionale, parte della Penisola Iberica ed alcune grandi isole del Mediterraneo. Le rotte tra l'Africa Settentrionale e la Sicilia da una parte e le coste meridionali dall'altra sono confermate nel VI secolo dai ritrovamenti di relitti (Cefalù in Sicilia e Anse Saint-Gervais a Fos-sur-Mer, presso Marsiglia) e dai rinvenimenti di manufatti ceramici nelle stratigrafie dei centri importatori. In realtà ritrovamenti di materiale africano sono presenti anche nelle stratigrafie di Roma (Schola Preconum, prima metà del VII sec.), ma le fonti attestano che tali merci vi pervennero non direttamente, ma con la mediazione dei porti siciliani e sardi. La navigazione fluviale nel corso dell'Alto Medioevo ebbe notevole importanza, tanto da essere gravata da una serie di imposte ‒ non sempre di agevole comprensione per la storiografia successiva ‒ in quanto di proprietà sovrana. Proprio dalla documentazione in merito a privilegi ed elargizioni fiscali siamo a conoscenza della rete delle acque interne, che interessava sia i grandi corsi d'acqua che quelli di più modesta portata, con l'eventuale cambio di imbarcazione e la presenza di veri e propri porti o di semplici approdi. I principali corsi d'acqua utilizzati nell'Europa mediterranea erano l'Ebro, il Danubio, il Rodano e il Po, oltre ai grandi fiumi francesi (Loira, Senna, Mosa, Mosella, Reno). La documentazione archeologica è piuttosto scarsa, anche in considerazione dell'uso, nella realizzazione di attracchi fluviali, di strutture minimali, di materiali deperibili, soprattutto il legno che, come nel caso delle navi non più in uso, poteva essere riutilizzato. Il quadro degli intensi traffici mediterranei non deve distogliere l'attenzione dall'Europa centrale e settentrionale, aree nelle quali proprio con l'età altomedievale si svilupparono centri e relazioni commerciali, oltre a dinamismi migratori che furono propulsori anche di traversate transoceaniche. L'intenso traffico costiero del Mar Baltico e del Mare del Nord determinò, a cominciare dal VII secolo, la nascita di wike, empori commerciali costieri o lungo i canali navigabili, utilizzati come stazioni di sosta e luoghi di scambi, in genere sviluppatisi attorno ad una via rettilinea o alle banchine di scali, con semplici e funzionali costruzioni in materiali per lo più deperibili, che costituiscono indicatori archeologici della navigazione minore e costiera. La mancata aderenza alle realtà economiche e sociali delle terre in cui sorsero ne determinò la decadenza in concomitanza con il mutare delle rotte: sono questi i casi di Quentovich in Francia, in vita tra il 670 circa e l'864; di Haithabu/Hedeby che, posto alla base dello Jütland, costituiva un nodo viario tra la Germania settentrionale e la Danimarca. Altri centri riuscirono invece a sviluppare fenomeni di vita urbana, come nel caso di Haarlem, in Olanda, sorta di periodo carolingio lungo la rotta delle dune che percorreva il delta del Reno. In altri casi, mercanti e viaggiatori occuparono alcune zone di città già esistenti (Colonia, Magonza, ecc.). Il fenomeno del mercato propulsore di vita urbana o protourbana è un fenomeno che si riscontra anche nell'Europa orientale, come nei casi di Stare Mesto e Mikulcice, entrambi nel IX secolo. La stessa Praga, posta lungo la via commerciale Ratisbona-Cracovia-Kiev, nel X secolo era un centro commerciale sviluppato. Il dinamismo delle popolazioni scandinave comportò la colonizzazione di altre terre. Così, a coloni norvegesi, che avevano già percorso le isole settentrionali della Scozia, sembrano doversi i primi insediamenti stabili in Islanda, nel corso del IX secolo, come evidenziato dalle pratiche funerarie e dai manufatti recati dalle prime generazioni. Alla fine del X secolo (nel 985) anche la Groenlandia venne raggiunta nell'ampliamento delle rotte settentrionali, più precisamente da popolazioni norrene provenienti dall'Islanda che vi fondarono due colonie, Vesterbygd e Österbygd. Tali popolazioni sono attestate fino al XV secolo soprattutto grazie ai risultati delle indagini archeologiche, che hanno consentito di ricostruirne le modalità di stanziamento e la consistenza demografica. Esse si spinsero, a partire dalla fine del X secolo, fino alle coste nordamericane, tanto che le tracce del loro passaggio sono state rinvenute ad Anse-au-Meadows (Canada), che presumibilmente doveva costituire un punto di passaggio per spedizioni che si estendevano più a sud. Certamente le spedizioni transcontinentali verso Occidente erano impresa non facile, ma non sporadica, visto che gli scavi groenlandesi hanno evidenziato la presenza di manufatti e capi di abbigliamento prodotti in Europa nel periodo che va dal X al XV secolo, senza significative soluzioni di continuità. A partire dall'XI secolo, l'Occidente si espande nel Mediterraneo, dopo i secoli precedenti di "chiusura", fino all'Asia interna. Una nuova spinta propulsiva si deve alle attività delle città costiere, alcune delle quali si consorziarono con accordi di non belligeranza e patti commerciali, il più noto dei quali è quello dell'Hansa (detto Lega Anseatica), che riunì i centri del Mare del Nord, mentre altre riuscirono ad assurgere a forme di governo autonomo e di autentico predominio del mare, come nel caso italiano delle cosiddette Repubbliche Marinare. La loro attività cominciò nell'Alto Medioevo, facilitata dalla situazione di instabilità politica che nelle relazioni tra impero bizantino e l'avanzante mondo musulmano necessitava di intermediari per le attività commerciali. In questo periodo, infatti, a causa dei rischi e dell'alto costo, in Occidente appare limitata l'importazione di alcune merci di lusso (spezie orientali, piante aromatiche, tessuti preziosi, tinture, gemme, avorio). Fino alla metà del X secolo i commerci a lunga distanza in Occidente sono fondamentalmente in mano a mercanti stranieri: Siriani, Greci dell'Italia meridionale bizantina, Arabi maghrebini ed Ebrei che, protetti dai sovrani, si muovevano soprattutto via terra, recando le merci direttamente ai clienti o ai mercati. Gli Ebrei erano facilitati dalla rete dei rapporti intercomunitari, dalla lingua comune e dal buon livello di alfabetizzazione; data la marginalità religiosa, inoltre, fungevano da intermediari tra cristiani e musulmani. Ruolo analogo, grazie ai legami di sudditanza formale all'imperatore di Costantinopoli e al libero scambio nelle aree islamizzate, svolgono a partire dall'VIII secolo i mercanti amalfitani e veneziani, tanto che questi ultimi nell'828 riuscirono addirittura a trafugare le spoglie di s. Marco ad Alessandria d'Egitto. Per quanto riguarda le imbarcazioni, i Veneziani svilupparono la marina da guerra, con la diffusione della galera e della nave rotonda, e una certa attenzione al trasporto di viaggiatori che, anche se raramente autonomo rispetto all'aspetto commerciale dei viaggi per mare, è attestato da cronache del XV secolo redatte da pellegrini che si recavano in Terra Santa (ad es., i diari di Santo Brassa e di Gabriele Capodilista). Per quanto riguarda il pieno Medioevo, le fonti diventano molteplici e di varia natura, così che il dato archeologico mira, piuttosto che a fornire elementi di novità quanto alle direttrici dei commerci e delle comunicazioni, ad integrare le conoscenze offerte dalla documentazione scritta, soprattutto in merito ai luoghi dello scambio. Ad esempio, tra XIII e XV secolo i manuali di mercatura consentono di ricostruire le dinamiche economiche all'interno del Mediterraneo, con estensioni fino all'Inghilterra, alla Penisola Scandinava, al Mar Nero, al Catai. Nel XV secolo la maggior parte del traffico che percorreva le quattro rotte occidentali (tirrenica, adriatica, catalana ed oceanica) era svolto dai mercanti biscaglini, a scapito dell'attività siciliana, che dal periodo normanno aveva ripreso, dopo la parentesi araba, a gravitare verso Occidente, penalizzata dalla carenza di legname per l'industria navale, tanto che a partire dal XII secolo si assiste nelle acque siciliane al dominio delle navi genovesi, che detenevano anche la gestione delle più importanti tonnare. Proprio Genova, infatti, a partire dal secolo successivo costituì il fulcro dei rapporti tra l'Europa interna da un lato e l'Oriente bizantino ed islamico, l'Occidente iberico e nordafricano dall'altro, fino alle Fiandre e all'Inghilterra, detenendo anche la gestione dei centri produttivi di allume a Focea e di mastice a Chio, riuscendo a sconfiggere i Pisani che cercavano di inserirsi lungo le rotte del Mar Nero, bruciandone le navi nel 1277 lungo le coste della Crimea, fondando centri fin sul Don (ad es., Porto Pisano). Così che non stupisce l'attribuzione della Carta Pisana, carta nautica della fine del XIII secolo, nella quale il Mediterraneo è tracciato con intenso realismo. La potenza genovese cede a partire dalla fine del XIII secolo, e soprattutto nel corso del seguente, per molteplici cause, non ultime il declassamento del suo porto, inadatto alle navi di grande tonnellaggio, e la perdita delle postazioni sarde ad opera della Corona d'Aragona, che cominciò il suo dominio non solo nel Mediterraneo occidentale, ma anche nel Levante, nell'Egeo e nel Mar Nero. Per quanto riguarda le tecniche e le modalità di navigazione, un punto nodale è costituito dall'arco cronologico che va dalla metà del XIII alla metà del XIV secolo, quando il diffondersi dell'uso della bussola e dei nuovi tipi di imbarcazioni comportò una vera e propria rivoluzione nautica. Prese l'avvio un fenomeno di "omogeneizzazione" di tecniche che trova riscontro anche a livello lessicale nella creazione di una vera e propria "lingua franca" marinara, le cui espressioni sono evidenti nel Compasso de navigare, carta nautica del Mediterraneo di origine presumibilmente pisana, redatta alla metà del XIII secolo. I risultati della ricerca archeologica e dell'analisi strutturale delle emergenze sono in questo periodo sostanzialmente utili alla ricostruzione dei punti di mercato creati lungo le coste più frequentate, che in alcuni casi diventarono vere e proprie colonie franche. Un esempio ben noto è costituito da San Giovanni d'Acri, dove le fonti documentarie ed archeologiche hanno concorso alla ricostruzione del quartiere veneziano, che ebbe origine da concessioni dell'inizio del XII secolo, che già definivano l'intenzione di impiantare una struttura stabile, con edifici civili e religiosi, fino alla risistemazione difensiva del quartiere alla metà del secolo e agli ultimi lavori, pochi anni prima della conquista mamelucca del centro, nel 1291. Appare evidente come accanto alle strutture funzionali alle attività portuali e agli impianti religiosi fossero previste varie unità commerciali ed abitative, queste ultime sia per la popolazione residente che per l'alloggio temporaneo dei mercanti venuti dalla madrepatria. Le aree destinate agli scambi sono ben definite anche all'interno dei centri urbani: nel Medioevo infatti il luogo deputato allo scambio per eccellenza era il mercato, la cui permanenza determinò in alcune città romane il prosieguo d'uso dell'area forense. Nelle aree che non hanno risentito della tradizione urbanistica romana, la posizione del mercato rimase comunque centrale e ben visibile, al centro del più importante crocevia, sovente protetto da una croce, soprattutto nel caso in cui le rendite mercantili erano di pertinenza vescovile. Questo fenomeno diede vita allo sviluppo urbanistico di numerose città, con impianti quadrangolari o triangolari (ad es., s'Hertogenbosch, in Olanda, della fine del XII sec.). La centralità della piazza del mercato diventa determinante anche per le nuove fondazioni bassomedievali, quali le bastides e le "città nuove".
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di Chiara Lambert
Già a partire dall'età augustea, in seguito all'intensificarsi dei rapporti con le province transalpine, la via Postumia sembra essersi rivelata inadeguata a contenere il traffico di buona parte dell'Italia del Nord, mentre la costruzione di nuove infrastrutture territoriali spostò il baricentro degli interessi economici verso nodi stradali come Mediolanum, Brixia, Verona, Aquileia, determinando per Placentia e Ariminum il passaggio ad un ruolo secondario. Verso la metà del I sec. d.C., in relazione al perfezionamento della rete stradale settentrionale, venne verosimilmente aperta una via pedemontana che, collegandosi alla preesistente via Postumia, unì Milano ad Aquileia. Questa nuova arteria, di cui non è noto il nome antico, venne denominata Gallica a partire dalla tradizione ottocentesca. Nel III-IV secolo le strutture stradali create in età repubblicana erano ancora efficienti per le comunicazioni dall'Italia centrale verso i territori transpadani: i grandi assi stradali consolari Flaminia-Emilia, in particolare, agevolando i collegamenti con il Nord, permisero a Mediolanum di emergere come centro di importanza strategica, in grado di collegare sia la viabilità transalpina sia i traffici fluvio-lacuali. Anche le fonti epigrafiche e i cippi miliari confermano l'efficienza e la funzionalità della viabilità settentrionale, a cui l'autorità imperiale dedicò una costante manutenzione, particolarmente intensa nel periodo di Gallieno (260-268). Nel Tardo Impero i miliari attestano un gran numero di opere di restauro a tratti viari e alle relative infrastrutture, nonché la costruzione di tronchi stradali stagionali alternativi, paralleli a vie in deperimento; venne inoltre sviluppata una rete secondaria per raggiungere i centri minori. In tale attività risulta imponente l'opera di Costantino (306-337), mentre nei periodi successivi l'enfasi propagandistica delle iscrizioni sui miliari, riutilizzati per successivi imperatori, è sintomo della generale crisi economica; gli assi strategici che conducono a Mediolanum e ai principali centri cisalpini vengono comunque mantenuti sempre in efficienza. Sin dall'antichità, i naturali punti di partenza per valicare le Alpi erano stati Aosta verso il Piccolo e il Gran S. Bernardo; Como e Chiavenna verso lo Spluga, il Settimo e lo Julier; Emona verso la Carnia. Quando Milano divenne capitale, crebbe l'importanza dei valichi delle Alpi centrali, unitamente a quello delle due vie, ad esse trasversali, che si dipartivano dai laghi lombardi: il Verbano e il Lario. Le due maggiori località era possibile raggiungere i percorsi per il S. Bernardino e Lucomagno ‒ e Chiavenna, che indirizzava verso lo Spluga, il Settimo, il Maloja e lo Julier. A nord la chiave dei passi era Curia Raetorum (Coira), donde la via scendeva lungo il Reno verso Brigantium (Bregenz). La via preferita pare essere stata quella dello Spluga, per la facile percorribilità delle valli di accesso e in quanto consentiva di oltrepassare le Alpi tramite un unico valico; essa congiungeva Comum con Chiavenna mediante un percorso lungo la sponda destra del Lago di Como, oggi chiamato "strada Regina"; in alternativa era possibile compiere questo tratto navigando sul Lario. L'asse Mediolanum- Comum-Cuneus Aureus-Curia-Brigantium, che si impose per il notevole valore strategico, è citato dall'Itinerarium Antonini Augusti e dalla Tabula Peutingeriana. Nel vasto territorio in cui Milano funse da perno della viabilità, la rete delle comunicazioni terrestri era integrata dalle vie fluviali, costituite da corsi d'acqua di portata pressoché costante, tali da consentire la navigazione in qualunque stagione dell'anno. Nel tempo, la fisionomia del paesaggio ha subito numerose alterazioni, rendendo difficile la ricostruzione dei percorsi di navigazione interna, ma nell'antichità il Po risulta navigabile fino ad Augusta Taurinorum (Torino). Dalle fonti itinerarie e letterarie si desumono i percorsi più frequentati: una linea di navigazione del Lario; un servizio sul Po; la navigazione endolagunare nell'area deltizia padana; un percorso per Padum da Ravenna per Hostilia (lungo la fossa Augusta e il Padum). Lungo il fiume Po il collegamento idroviario era mantenuto dal cursus publicus, almeno per il tratto Ticinum- Ravenna, sbocco naturale della navigazione padana. Il servizio si svolgeva in più tappe, toccando importanti porti fluviali, come Cremona, Brixellum, Hostilia. Anche molti affluenti del Po erano navigabili (Plin., Nat. hist., III, 119): da Ticinum si risaliva il Verbanus (Lago Maggiore); la confluenza dell'Adda permetteva la penetrazione verso Laus Pompeia (Lodivecchio), i laghi di Olginate, Lecco fino al Lacus Larius e, attraverso la Mera, fino a Clavenna e ai valichi per la Retia, la Vindelicia, le Germanie, mentre la confluenza dell'Oglio permetteva di raggiungere i mercati di Bergomum e Brixia. Tramite il Mincio erano raggiungibili la via Postumia e la via Gallica, immettendosi poi nel Lacus Benacus. All'interno della linea di costa da Ravenna ad Aquileia, canali navigabili, rami fluviali e spazi lagunari garantivano la continuità di una rotta, consentendo ai traffici regionali di inserirsi nei commerci transalpini. In Gallia e nella Penisola Iberica la viabilità romana aveva ricalcato piste preesistenti, seguendo le valli dei fiumi principali. Fondamentale durante tutta l'antichità ed il Medioevo fu l'asse Arles-Lyon, parallelo al corso del Rodano, sul quale si innestavano, ad est, i tratti di collegamento con l'Italia, l'Helvetia e la Germania; ad ovest, le direttrici verso la Gallia Lugdunense e l'Aquitania, integrate rispettivamente dal corso della Saona e della Garonna. Sviluppatisi sin dalla fine del I sec. a.C., i traffici facenti capo ad Arelate si mantennero vitali fino alla fine dell'antichità. Nell'Italia centrale la via Flaminia risulta una delle più frequentate, anche per raggiungere le province occidentali. Nell'Alto Medioevo tale arteria consentì il trasporto nella capitale dei prodotti delle domuscultae di San Leucio e Quartodecimo, promosse dal papato e, come attestano i rinvenimenti ceramici, essa fu in uso fino al XII secolo.
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di Sara Magister
L'economia bizantina era basata principalmente sull'agricoltura, soprattutto lungo il litorale balcanico e quello dell'Asia Minore. Nelle regioni montane era invece prevalente l'economia pastorale. Il ruolo del commercio in area bizantina cambiò nei secoli con il mutare delle circostanze politiche ed economiche, anche se la sua portata economica, specie nel primo periodo, resta di difficile quantificazione. Nel periodo paleobizantino (da Costantino a Giustino II, IV-VI sec. d.C.) la persistenza delle città tardoantiche come centri amministrativi del territorio e luoghi di scambio, oltre che la facile navigabilità del Mediterraneo, svolsero un ruolo fondamentale per lo sviluppo degli scambi commerciali, anche se bisogna tenere conto dei freni a tale sviluppo posti dalla pesante limitazione fiscale imposta dallo Stato e da una certa difficoltà nei trasporti, specie via terra. Le principali merci commerciate all'interno dell'impero erano i beni primari: vino, olio, grano, ma anche lana, metalli, marmi, legname e manufatti (specialmente vestiti e oggetti di lusso). Grandi fiere periodiche, più frequenti nella zona orientale dell'impero, spesso in concomitanza con alcune feste religiose e sottoposte a speciali leggi imperiali, come quella di Edessa, fungevano da centri di distribuzione dei prodotti. A livello locale i piccoli mercati, come quello di Antiochia, servivano alle esigenze della popolazione locale e dei villaggi circostanti. Sul mercato internazionale il ruolo di protagonista era svolto dal commercio delle spezie, delle sete, dei gioielli e di altri prodotti di lusso provenienti dalla Cina, dalla Persia e dall'India. Queste merci giungevano, specie nel V-VI secolo, alle città poste sulla frontiera persiana, soprattutto quelle siriane, e da qui venivano distribuite sia alla parte occidentale che orientale dell'impero. La crisi demografica e urbana del VII secolo, le conquiste arabe e la conseguente difficile navigabilità del Mediterraneo resero però sempre più complessi gli scambi commerciali. Questi si concentrarono soprattutto nelle città ancora in vita, come Costantinopoli, o in occasione delle grandi fiere, come quella di Efeso. Il commercio internazionale venne orientato soprattutto verso il Mar Nero e l'area nord dell'impero, piuttosto che verso est od ovest. Sempre più frequenti furono le relazioni culturali e commerciali con la Bulgaria, dall'VIII secolo, e con la Russia. Con quest'ultima i commerci e gli scambi vennero favoriti dalla formazione del principato di Kiev, alla metà del IX secolo, con cui Bisanzio stipulò prontamente una serie di trattati militari e commerciali, come attestano diverse fonti, soprattutto arabe, e la presenza di monete bizantine in quelle terre. I rapporti con la Russia attraverso le rotte del Mar Nero divennero così comuni e frequenti da fare denominare spesso questo mare, nel X secolo, "mare di Russia". I Russi importavano pellicce di vari animali, miele, cera e schiavi; al ritorno portavano con sé sete, spezie, vino, frutta, manufatti d'oro. Anche i rapporti con gli Arabi divennero frequenti a partire dal X secolo. Le spezie arrivavano da Trebisonda, il lino dalla Bulgaria e dal Ponto, mentre dall'Egitto provenivano tessuti di lusso, broccati e mobilio. A Costantinopoli, divenuto insieme a Tessalonica, a partire dal IX secolo, il centro principale degli scambi commerciali dell'impero, i mercanti stranieri soggiornavano alla periferia della città e costituivano in molti casi potenti colonie mercantili, come quelle degli Amalfitani, dei Veneziani, dei Pisani, dei Genovesi, degli Anconitani e dei Tedeschi. In questo stesso periodo si assiste allo sviluppo di nuove attività artigianali, nella capitale come in altre importanti città della "rinascita urbana", capaci anche di consistenti esportazioni, come ad esempio quella della lavorazione del bronzo, in particolare delle porte (sono noti in Italia numerosi manufatti costantinopolitani). Le attività di scambio aumentarono nel corso dell'XI e del XII secolo. Lo Stato controllava l'attività delle varie gilde (associazioni professionali), favorendo soprattutto le importazioni rispetto alle esportazioni, e regolava severamente i rapporti dei mercanti stranieri con quelli locali. Mentre le classi aristocratiche difficilmente venivano coinvolte in prima persona in questi affari, è attestata nelle fonti una attiva partecipazione dei monaci, sia nella vendita dei loro prodotti che nell'attività di intermediazione. La lenta e inesorabile conquista da parte di Venezia, Genova e Pisa di importanti privilegi imperiali in materia di commercio svolse un ruolo determinante, minando alla base il controllo dell'Impero. Questo concesse alle città mercantili italiane la possibilità di accedere a numerosi mercati, sia nella capitale che in altre città, consentendo loro di esercitare progressivamente un controllo quasi totale sulle comunicazioni, le informazioni e gli accessi al mercato con l'Occidente, aggiudicandosi anche molti privilegi negli scambi con l'Oriente. La centralità di Costantinopoli nel campo degli scambi subì un forte calo con l'incendio del 1203 e soprattutto con l'occupazione latina (1204-1261). In un'epoca in cui il costo del viaggio via acqua (fluviale ma soprattutto marina) era inferiore a quello via terra, il primo era sicuramente quello più utilizzato. Nell'Italia dell'esarcato di Ravenna i principali centri urbani erano allineati lungo i corsi d'acqua per sfruttare le vie fluviali, mentre nell'impero l'unico fiume navigabile era il Danubio, che però si trovava ai confini settentrionali dello Stato. Con velieri, che andavano progressivamente diminuendo di lunghezza, ma aumentando in larghezza, si percorrevano invece le principali rotte del Mediterraneo. Dall'epoca romana fino al VI secolo la più importante rotta era quella che univa il Mediterraneo orientale con l'Italia, passava per l'Asia Minore, la Grecia e, attraverso il Peloponneso, giungeva alla Sicilia e quindi all'Italia. Un altro percorso via mare era quello che dalla costa sud dell'Asia Minore sfiorava la Siria, la Palestina, Creta e giungeva in Sicilia. Un terzo univa Alessandria e la costa africana alla Sicilia e all'Italia. Queste rotte subirono un'interruzione quasi totale in seguito alla conquista araba. L'unica via percorribile, non senza difficoltà, era quella greca, che utilizzava le diverse isole dell'Egeo come stazioni di posta. La situazione migliorò dopo l'XI secolo, quando vennero riaperte le principali rotte del Mediterraneo. Dalle fonti di viaggio del tempo si deduce che occorrevano, nel migliore dei casi, circa 20 giorni per giungere via mare a Bari dalla costa sud dell'Asia Minore, 18 giorni da Alessandria a Costantinopoli e 10 giorni da Costantinopoli a Cipro. Importanti erano anche le rotte costa a costa del Mar Nero, in particolare quelle che da Trebisonda giungevano a Costantinopoli. Le fonti attestano che erano necessari 8 giorni per andare da Tessalonica alle rive del Danubio e 8 da Paflagonia a Costantinopoli. Anche i rapporti con la Russia seguivano percorsi ben precisi. Come attesta Costantino Porfirogenito (De administrando imperio), da Novgorod ci si spostava fino a Kiev, e da qui, attraverso la via fluviale del Dnepr, verso il Mar Nero. Giunti al Mar Nero si percorreva la costa verso la foce del Danubio e da qui verso Costantinopoli. A metà dell'XI secolo, resa insicura la strada attraverso il Dnepr, si trovò un percorso alternativo attraverso la Crimea, che divenne uno dei principali satelliti commerciali di Costantinopoli e quindi il principale intermediario tra la Russia e l'impero. Sia l'Asia Minore che i Balcani erano fin dall'antichità attraversati da una rete di percorsi via terra utilizzati a scopo militare e commerciale. Nei Balcani due erano i percorsi principali: uno da Belgrado passando per Naissos, Sofia e Filippopoli giungeva a Costantinopoli. L'altra via era la Egnazia, da Dyrrachion a Ohrid (percorribile in circa 6 giorni), a Tessalonica (altri 7 giorni) e da qui a Costantinopoli. Le vie di terra o di mare erano alternativamente utilizzate nei percorsi attraverso cui le spezie e la seta (la cui produzione era monopolio cinese, fino all'epoca di Giustiniano) giungevano alle città portuali del Mediterraneo. Fino al VI secolo due erano i principali percorsi. Uno via mare, dalla Cina a Sri Lanka e, attraverso il Mar Rosso, verso l'Etiopia o l'Egitto e la Siria. L'altra via attraversava le steppe dell'Asia Centrale diretta alla frontiera tra la Persia e l'impero. Ma la volontà di affrancarsi dall'intermediazione persiana indusse lo Stato bizantino, a partire dal VI secolo, da una parte a incrementare la produzione locale della seta, dall'altra a cercare percorsi alternativi. Venne quindi creato un terzo percorso che attraverso il Mar Nero e il Mar Caspio si riconnetteva alla via di terra verso la Cina. Tuttavia le difficoltà di questo percorso alternativo lo resero poco utilizzato. Solo la pax Mongolica (metà del XIII e XIV sec.) riuscì a rendere più semplici i rapporti con l'Oriente attraverso la via del Nord, da questo momento e fino al XIV secolo la più utilizzata. Questo percorso richiedeva tra i 259 e i 284 giorni circa per andare dalla Crimea a Pechino.
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