Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Subcontinente indiano
di Liliana Camarda
Le vie di comunicazione all'interno e verso l'esterno del Subcontinente indiano sono state determinate nel corso dei secoli dalle sue barriere naturali. Nel Nord molte strade erano già morfologicamente definite, come le gole scavate dai fiumi nella roccia delle montagne; la gran parte degli insediamenti si trovava in posizione strategica rispetto a questi canali di comunicazione, presso crocevia o ai piedi di passi montani. In epoca protostorica la via più comune in direzione dell'odierno Afghanistan passava attraverso la catena del Safed Koh. Uno dei passi più importanti è quello del Gomal, che, data la sua relativa facilità, per molti secoli ha costituito la principale via del commercio tra India ed Asia Centrale. Attraverso di esso la pianura del Sind entrava in contatto col Baluchistan settentrionale, fornitore di minerali grezzi: i contatti sono testimoniati principalmente dal ritrovamento di conchiglie marine provenienti dal Makran lungo un asse che va ad est verso la costa del Sind e da questa a nord fino a Mehrgarh. A quest'asse si collegavano anche l'altopiano di Potwar e lo Swat, importante punto di passaggio di minerali grezzi (argento, rame, oro) provenienti dall'Afghanistan e dall'Asia Centrale. Dal Potwar e dal Salt Range le comunicazioni e il commercio del sale verso il Panjab sfruttavano il corso navigabile del fiume Jhelum, proseguendo poi via terra. Un'altra importante via di comunicazione verso il Baluchistan partiva dalla piana di Kachi, attraversava il passo del Bolan e giungeva a Quetta; da qui si poteva proseguire alla volta di Kandahar, in Afghanistan, e quindi fino in Iran. Dal Sind si raggiungevano anche Baluchistan centrale e meridionale attraverso una strada che seguiva il corso del fiume Mula e che poteva essere percorsa in tutte le stagioni da carovane di cammelli; altre strade collegavano il Baluchistan del Sud a quello del Nord, sempre lungo valli fluviali. Verso est il Sind era collegato al Rajasthan dalla depressione nota come Hakra, che segue il letto di un fiume attualmente essiccato, il Ghaggar-Hakra. Lungo questa direttrice sono stati rinvenuti manufatti in selce e conchiglia marina, nonché oggetti in rame, questi ultimi provenienti dal Rajasthan; questa via proseguiva poi in direzione di Panjab e Haryana. Il commercio con l'esterno è testimoniato, sia pure in maniera imprecisa, da alcuni ritrovamenti, quali conchiglie marine provenienti dalle coste indiane (probabilmente quella del Kathiawar), in tutta l'area che comprende Medio Oriente, Asia Centrale e valle dell'Indo sin dal V millennio a.C., con un picco nella distribuzione commerciale nel IV millennio a.C. Per quanto riguarda la civiltà dell'Indo (2600-1900 a.C. ca.), i siti investigati hanno restituito numerosi pesi altamente standardizzati e qualche bilancia, di certo utilizzati per le operazioni commerciali. Anche l'uso della scrittura doveva avere un ruolo essenziale nelle attività collegate al commercio; i numerosi sigilli iscritti qui ritrovati, non ancora decifrati ma sicuramente comprendenti dei numerali, potevano servire per sigillare balle di mercanzia, come suggeriscono le impressioni di corde o stuoie sul retro di cretule, alcune delle quali provengono da un grande edificio, utilizzato probabilmente anche come magazzino, rinvenuto a Lothal; benché non sia stato ancora chiarito come fosse regolato lo scambio, questa città doveva essere un centro commerciale periferico. Traffici su lunga distanza permettevano l'approvvigionamento di materie prime, soprattutto oro (proveniente probabilmente dal Karnataka settentrionale), argento, rame, piombo, lapislazuli, turchese, giada, agata e corniola, che venivano distribuite poi ai centri di lavorazione. Non è noto quale fosse l'autorità di controllo all'interno di questo sistema commerciale, se di carattere statale o privato, mentre è certo che ad esso partecipavano diversi gruppi specializzati, impegnati non solo nella raccolta di materiale grezzo da aree lontane, ma anche nella produzione e distribuzione su larga scala di manufatti. In questo tipo di operazioni erano sicuramente coinvolte molte città, ognuna delle quali con un compito diverso in relazione a questo complesso sistema organizzativo. Ampiamente attestato è il commercio interno di articoli industriali e semindustriali, oltre che di prodotti agricoli. Tra i beni voluttuari compaiono in primo luogo oggetti quali grani di collana, realizzati in varie pietre, e braccialetti in conchiglia. Questi stessi prodotti erano spesso esportati ben oltre il territorio vallindo. I mezzi di comunicazione sulla terraferma consistevano principalmente in carri trainati da buoi, simili a quelli utilizzati ancora oggi, come dimostrano i modellini di terracotta ritrovati e le tracce delle ruote sulle strade delle città. Per viaggi lunghi e strade impervie si preferivano carovane di cavalli, asini o cammelli. Non mancano testimonianze dell'esistenza di imbarcazioni. Raffigurazioni di navi compaiono su sigilli o in forma di graffiti a Mohenjo Daro e Harappa; inoltre, da Lothal provengono due modelli di imbarcazioni di terracotta, uno dei quali con carena, prua appuntita, poppa smussata e cavità che indicano probabilmente la posizione dell'albero e dei remi. Sempre a Lothal, all'interno del complesso portuale, sono state ritrovate cinque ancore di pietra. Le vie di comunicazione interna non subiscono mutamenti rilevanti rispetto all'epoca precedente. Una delle vie più battute in questo periodo è quella che si dirige verso il Baluchistan meridionale, dal quale erano importati materiali grezzi come rame, piombo, ematite, pietre semipreziose; gli stessi minerali compaiono in siti della coeva cultura di Kulli, sviluppatasi nel Baluchistan meridionale, con la quale i centri vallindi intrattenevano notevoli scambi culturali e commerciali. Dal Rajasthan giungevano argento, oro, piombo, pietre semipreziose e smeraldi, ma soprattutto rame: tracce della lavorazione di questo metallo sono state rinvenute in molti dei siti lungo la via che collegava il Rajasthan con il Sind. A nord continuò ad essere utilizzata una via che dall'odierno distretto di Derajat porta in Baluchistan; siti coevi si ritrovano ancora più a nord, nella regione di Bannu, che dà accesso alle vie di comunicazione verso l'Afghanistan settentrionale e l'Asia Centrale. È evidente che tutta la rete di passi montani che attraversano il Baluchistan e la frontiera di nord-ovest era ben nota nel periodo in questione e che veniva sfruttata per il commercio di materie prime provenienti dalle zone montane, compreso probabilmente il Kashmir. I dati archeologici sembrano confermare che alcuni materiali grezzi erano importati nella valle dell'Indo via terra, lavorati e poi esportati via mare in forma di prodotti finiti. I ritrovamenti archeologici in Battriana provano contatti con la civiltà dell'Indo e indicano che la strada utilizzata era quella che da Kabul giunge a Mazar-i Sharif via Bamiyan. Sono documentate in questo periodo anche altre linee di comunicazione, soprattutto quelle che collegano le varie regioni del Sind tra di loro e il Sind con la piana centrale dell'Indo. Tracce di lavorazione di conchiglie marine provenienti dalla costa sono state ritrovate lungo una direttrice che, passando per Mohenjo Daro e Chanhu Daro, giunge a Harappa, o via fiume o via terra. In questo stesso periodo, si stabilirono per la prima volta degli insediamenti in Gujarat, fondati da genti immigrate dal Sind, che mantenevano i contatti con la madrepatria non solo via terra, ma, con ogni probabilità, anche via mare. Un'idea del volume dell'attività commerciale della valle dell'Indo si può ricavare da un sito dell'Afghanistan nordorientale, Shortughai, posto nelle vicinanze di miniere di lapislazuli. La quantità di lapislazuli qui ritrovata prova che si trattava di un importante centro commerciale, che da un lato forniva materiale per il consumo interno, dall'altro rappresentava un nodo fondamentale nel controllo del commercio e dell'esportazione verso altre zone dell'Asia. Lo sfruttamento e la distribuzione di alcune risorse naturali dovevano essere monopolio di gruppi selezionati, appoggiati dallo Stato o da privati. Tali gruppi erano probabilmente organizzati su scala regionale; meno credibile risulta invece l'idea di un controllo centralizzato su queste operazioni. Il materiale grezzo ritrovato in differenti siti indica che la civiltà vallinda non era dipendente, per gli oggetti d'uso più frequente, dal commercio a lunga distanza. Non mancavano tuttavia i contatti con l'Occidente. Una via settentrionale partiva dalla valle dell'Indo verso la Battriana, proseguiva attraverso l'Iran del Nord e il Turkmenistan e giungeva in Mesopotamia; un'altra, meridionale, percorreva il Makran e l'Iran meridionale, toccando poi Jalalabad, Susa e Ur. Lungo entrambe queste direttrici, e persino nella stessa Mesopotamia, sono stati ritrovati grani di collana dalla tipica forma "a barile" o incisi, riconducibili ad una produzione vallinda. Le esportazioni dovevano comprendere inoltre corniola, conchiglie e forse anche prodotti deperibili, quali spezie, cotone, legno. Le prove di un commercio diretto sono indubbie: fra i ritrovamenti che lo confermano sono due diversi tipi di sigilli di origine vallinda, probabilmente utilizzati l'uno per i commerci via terra e l'altro per quelli via mare. A quelle terrestri si affiancava infatti una via marittima che collegava il Gujarat (Lothal) con i porti del Sind e quindi col Makran e il Golfo Persico. Da Lothal proviene un sigillo del tipo cosiddetto "del Golfo Persico", noto anche dagli scavi condotti a Bahrain e ritrovati occasionalmente in Mesopotamia. Nel Golfo Persico diversi siti, come ad esempio Bahrain o Failaka, vicini al Kuwait, erano sicuramente centri commerciali di connessione tra Mesopotamia e Asia Orientale. Il ritrovamento di sigilli fa supporre inoltre la presenza, sebbene limitata, di mercanti indiani in Mesopotamia e nel Golfo Persico. Ai dati archeologici si possono affiancare le testimonianze scritte: alcuni documenti sumeri cuneiformi menzionano tre Paesi (Dilmun, Magan, Melukhkha) con i quali la Mesopotamia intratteneva rapporti commerciali, identificati rispettivamente con il Bahrain, l'Oman e (attribuzione però meno sicura) l'India. L'esistenza del commercio marittimo, con elementi che ne documentano la presenza fino a Harappa, è dunque assodata, anche se non è chiaro quale fosse la sua reale portata e importanza all'interno dell'economia vallinda. Sutkaga Dor, sul fiume Dasht, rappresentava per Mohenjo Daro un emporio per il commercio marittimo fino al Golfo Persico. Un altro porto commerciale era Dabor Kot, sul fiume Zhob, che univa Harappa con il Baluchistan settentrionale. Sicuramente la navigazione, di cabotaggio e non in mare aperto, non avveniva lungo tutto il corso dell'anno, ma solamente in determinati periodi. Nel tardo periodo della civiltà dell'Indo gli insediamenti si spostarono più a est, in Panjab, Haryana e Uttar Pradesh, e più a sud; crebbe inoltre l'importanza della via costiera del Gujarat. Durante il Neolitico e il Calcolitico alcune vie commerciali caddero nell'oblio, altre, che consentivano gli approvvigionamenti di minerali grezzi dall'Asia Centrale, dall'Afghanistan e dal Rajasthan, continuarono ad essere utilizzate, altre ancora si aggiunsero alle precedenti, tra cui quelle che collegavano Rajasthan, Malwa, Gujarat, Maharashtra. Due zone, una settentrionale e una meridionale, furono fondamentali nel sistema dei contatti ed ebbero uno sviluppo culturale autonomo. Le vie per raggiungerle erano entrambe determinate dalla posizione del Gran Deserto Indiano. La via settentrionale seguiva il corso dei fiumi del Panjab fino a raggiungere il tratto submontano, quindi piegava a sud-est lungo il tratto divisorio indogangetico verso il Doab di Yamuna e Gange; quella meridionale, lasciato il basso Sind, correva nella zona tra il deserto e le paludi del Kutch, immettendosi poi nel Rajasthan meridionale e nel fertile altopiano del Malwa. Le due zone rappresentavano la porta d'ingresso per due corridoi naturali, lungo i quali avvennero nel corso del tempo contatti, commerci, scambi: quello settentrionale coincide con la via che nella letteratura posteriore sarà nota come uttarapatha ("via settentrionale") e che prosegue lungo la valle del Gange fino al Bengala e al delta gangetico, mentre quello meridionale può essere correlato, anche se meno precisamente, con il dakṣiṇanapatha ("via meridionale"), che si dirige verso l'India del Sud. Nell'India settentrionale le principali arterie si svilupparono nella valle del Gange, lungo la Yamuna, verso le zone himalayane dell'Uttar Pradesh, che fornivano minerali grezzi quali rame e pietre, e in direzione dei monti Vindhya, anch'essi fornitori di materie prime. Nel II-I millennio a.C. entrò in funzione un'ulteriore via che seguiva il Gange attraverso l'Uttar Pradesh in direzione di Bihar e Bengala. Verso l'esterno le vie di comunicazione erano sempre quelle che giungevano in Afghanistan e Asia Centrale. Seguendo i canali di nord-ovest si raggiungevano da un lato il Badakhshan in Afghanistan e l'Asia Centrale occidentale, dall'altro l'altopiano del Pamir e quindi il Xinjiang, regione quest'ultima da cui proveniva la giada. I contatti con l'Asia Occidentale, testimoniati dalla presenza di ceramica d'origine indiana a Bahrain, potrebbero essere stati mantenuti via mare, attraverso una rotta che partiva dalle coste del Gujarat e del Maharashtra. Fonti scritte del I millennio a.C. contengono preziosi riferimenti all'India, che si affiancano alle evidenze archeologiche. Nel Libro dei Re si narra che il re Salomone e il re Hiram di Tiro inviarono una flotta di navi che si diresse verso Ophir, identificato da alcuni con Sauvira, a nord di Bombay, portandone indietro oro, argento, avorio, legno di sandalo, pavoni. Dall'India si esportavano anche cani, la cui presenza a Babilonia è nota da testimonianze iconografiche già nel IX sec. a.C. Il teak di provenienza indiana era utilizzato anche per l'edilizia di lusso almeno dal VI sec. a.C.; l'impiego di avorio indiano e teak è attestato, ad esempio, nella costruzione del palazzo del re achemenide Dario il Grande. Tra i prodotti esportati dall'India figuravano oro, gemme, minerali e cotone, ma anche beni di consumo immediato, come il vino di palma. I contatti con l'Iran si intensificarono con la conquista achemenide del Nord-Ovest del Subcontinente, alla fine del VI sec. a.C. Allo scopo di facilitare i commerci, Dario ne utilizzò le vie marittime, ma anche quella fluviale dell'Indo, di cui fece esplorare il corso, incaricando, pare, un mercenario greco di studiare un tragitto che, dopo aver percorso il fiume dalla sorgente alla foce, giungesse fino al Mar Rosso. Nello stesso periodo continuarono i contatti con la Mesopotamia, la Siria e il Mediterraneo. Le fonti classiche parlano della navigazione lungo l'Indo fino al mare e anche verso regioni quali l'Egitto, sin dal periodo precedente l'arrivo di Alessandro. La spedizione di Alessandro Magno in India nel IV sec. a.C. e la successiva fondazione dei regni indogreci ebbero importanti ripercussioni sull'ambito generale degli scambi tra Occidente ed Oriente, non solo quelli commerciali, ma anche e soprattutto quelli culturali. All'inizio del periodo storico (che convenzionalmente si fa coincidere, in India, con l'arrivo di Alessandro), da fonti indiane apprendiamo l'esistenza dell'uttarapatha, la via che, come già visto, originatasi nelle regioni a nord-ovest, dalle montagne dell'Hindukush, taglia il Subcontinente indiano lungo la valle del Gange e prosegue fino alla sua foce e al Bengala. Il grammatico Panini (IV sec. a.C. al più tardi) ne parla come della strada Oxus-Gange (l'Oxus corrisponde all'attuale Amu Darya), che si connetteva con la rete viaria dell'impero achemenide; alcuni tratti della via sono inoltre menzionati nei racconti epici del Mahābhārata e del Rāmāyaṇa. I dati archeologici che confermano l'esistenza di questa via sono di vario tipo: la diffusione di NBPW (Northern Black Polished Ware, ovvero Ceramica Nera Polita Settentrionale) lungo tutto il suo asse, ma molto meno verso occidente; la presenza di manufatti non locali nelle varie subregioni (il lapislazuli o l'argento, di provenienza afghana o centroasiatica, le pietre semipreziose dalle colline del Bihar, le conchiglie marine dalla costa orientale); la distribuzione topografica degli editti di Ashoka (da Patna e dal tarāī nepalese a Taxila e ancora oltre fino in Afghanistan). Accanto al tratto principale, numerosi sono i tratti secondari di questa strada menzionati nei testi letterari e poi confermati dai ritrovamenti archeologici. Un segmento molto importante legava le regioni a settentrione, tramite il Panjab, col Rajasthan, dove sono stati rinvenuti monete indo-greche e minerali afghani; un altro conduceva in Orissa e nel Bengala occidentale; un altro ancora raggiungeva il Nepal. Le vie che partivano dal Kashmir non si dirigevano più, in questo periodo, verso Dir e lo Swat, ma verso Taxila, divenuta la città più importante del Nord-Ovest: qui giungevano scisto dallo Swat, lapislazuli, oro e argento dall'Asia Centrale, ambra dalla Birmania attraverso la mediazione della Cina e delle regioni nordoccidentali, conchiglie e corallo dal Sind; lo stesso tipo d'importazioni è documentato anche a Charsada e in altri siti dell'attuale NWFP (North Western Frontier Province), in cui avveniva la mediazione di influenze commerciali, culturali e politiche da e in numerose direzioni. Le comunicazioni via terra avvenivano tramite carri trainati da buoi o cavalli, dei quali ci sono giunti modelli di terracotta, bronzo e rame. Tracce di ruote di carri sono state inoltre rinvenute sulle strade di varie città, quali Kaushambi, Ujjain, Taxila. Anche i fiumi erano, ovviamente, importanti arterie di comunicazione e la distribuzione di ceramica lungo il loro corso dimostra che si trattava di canali commerciali ampiamente utilizzati. Verso sud si sviluppava il dakṣiṇanapatha, via di comunicazione meridionale che univa Pataliputra (Patna), via Prayaga (Allahabad), ai monti Vindhya, proseguendo poi verso sud fino alla costa occidentale, all'altezza di Sopara; attraverso Maharashtra e Karnataka essa si connetteva alla parte più meridionale del Subcontinente. La letteratura ne parla in modo meno chiaro e dettagliato rispetto alla via settentrionale, ma nonostante questo se ne può ugualmente tracciare lo sviluppo. Attraverso di essa venivano commerciati, già dai periodi precedenti, pietre preziose, conchiglie, perle, rame e oro, provenienti dai Vindhya, come riporta l'Arthaśāstra (manuale di governo, lett. "Scienza dell'utile") di Kautilya (vissuto, secondo la tradizione, nel IV sec. a.C.). Dal loro canto, gli scavi archeologici hanno portato alla luce NBPW dal Magadha fino alla costa del Gujarat. L'importanza della via è testimoniata inoltre dalla presenza, lungo il suo percorso, di siti buddhistici, che compaiono a partire dal II sec. a.C., e dalle iscrizioni, più tarde, che ricordano donazioni di commercianti, artigiani, monaci, viaggiatori di vario tipo e provenienti dalle più diverse regioni. I commerci, ora organizzati, si dirigevano verso la parte centrale del Subcontinente per raccogliere materie prime necessarie ai fabbisogni della piana del Gange; questa era anche una zona intermedia di transito verso il litorale occidentale, dal quale le navi salpavano in direzione di Mesopotamia e Grecia. Uno dei tragitti più importanti partiva da Benares e proseguiva lungo il Gange, per giungere infine a Broach; da questo porto la navigazione si dirigeva verso il Golfo Persico, probabilmente con navi indiane. Lungo questo percorso i mercanti indiani trasportavano da Benares e da altri porti mercanzie indiane e non e, occasionalmente, anche animali, come corvi addestrati e pavoni. Vie secondarie collegavano la parte centrale del Subcontinente con il Sud. Una parte del commercio verso occidente fu mediato dalla Battriana, nel Nord dell'Afghanistan, che connetteva la Via della Seta all'India. Strabone narra di un fiorente commercio tra India e Siria nei secoli a ridosso dell'era cristiana. I beni indiani erano trasportati attraverso l'Oxus e poi via Mar Caspio e Mar Nero, dopo aver viaggiato da Pataliputra a Taxila e da qui fino a Balkh, vie queste che beneficiavano dell'unificazione statale creata, nel IV sec. a.C., dall'impero Maurya (i cui confini si estesero, sotto Ashoka, fino ad ovest di Kabul), che garantiva la manutenzione delle strade e dei luoghi di sosta e una certa sicurezza nel tragitto. Lo Stato esigeva però dazi e tasse di transito nei posti di frontiera, situati non solo lungo i passi montani, ma anche presso i guadi dei fiumi. Non sorprende che i mercanti tentassero di aggirarli passando per vie secondarie e a volte più pericolose e che queste infrazioni fossero punite con multe salate. I contatti con il mondo romano, già esistenti dalla seconda metà del II sec. a.C., si rafforzarono a partire dal I sec. a.C., col regno di Augusto. Il commercio tra India e Roma avveniva all'inizio tramite intermediari: popoli alleati o soggetti a Roma (Greci, Siriani, Ebrei, tribù armene e caucasiche) e popoli non alleati (Arabi, Somali), che mediavano forti della loro posizione geografica. I Romani, alla ricerca di mercati per i loro prodotti finiti, ne avevano trovato uno molto ricettivo in India. In questa direzione esportavano corallo, vino, profumi, lingotti di rame, stagno e piombo, gemme e gioielli. Allo stesso tempo la richiesta a Roma di merci quali seta cinese, spezie indiane, mussola, cotone, animali esotici, avorio, legnami pregiati, ferro, pietre preziose ed altri oggetti di lusso era molto forte, tanto che la loro importazione influì notevolmente sulle uscite dell'Impero. La quantità di merci che Roma importava superava di molto quella dei prodotti esportati; monete romane d'oro (che dovettero essere emesse in abbondanza proprio per gli acquisti nei Paesi stranieri) sono state ritrovate in tutto il Subcontinente, a testimonianza del drenaggio di ricchezze verso oriente. In particolare, Plinio stimò il flusso di denaro verso le casse indiane in cinquantacinque milioni di sesterzi l'anno. Le fondazioni buddhiste, collocate fuori dalle città o nelle aree non urbanizzate, lungo importanti vie di comunicazione, ebbero un ruolo determinante nell'ambito dell'economia mercantile. In certe regioni, come il Deccan occidentale, esse intercettarono e diressero verso l'interno e verso la piana gangetica i traffici del commercio proveniente da oltremare. A nord, Sanchi, situata nei pressi di Vidisha, incanalava il traffico commerciale lungo la valle della Betwa verso Mathura, mentre Bharhut ne dirigeva il flusso verso Pataliputra e la piana gangetica sud-orientale. In generale, il buddhismo godette sempre del sostegno della classe mercantile: testimoni ne sono le iscrizioni provenienti dai monasteri della costa occidentale nei dintorni di Bombay, sui Ghat, ma anche del Deccan orientale. La comunità monastica buddhista trasse profitto dal prestigio guadagnato grazie all'appoggio di Ashoka e alla crisi del potere brahmanico, riuscendo ad ottenere anche il supporto di dinastie straniere come i Kushana (I-III sec. d.C.), cui l'universalismo buddhista poteva offrire una sorta di riconoscimento sociale. Sotto i Kushana, che riuscirono a creare un vasto impero con un'economia a controllo centralizzato, un proprio conio di monete e una rete di strade che lo connetteva principalmente con l'Iran da un lato e la Cina dall'altro, il commercio conobbe una forte crescita. Sembra che attraverso queste strade i Romani e i Kushana cercassero di allacciare rapporti diretti, aggirando il blocco dei Parti; l'emissione di monete d'oro dello stesso peso facilitava le transazioni commerciali tra i due imperi. Le fonti scritte ci aiutano a individuare vie commerciali e beni d'esportazione. L'esistenza di una via di comunicazione marittima verso occidente, che utilizzava la navigazione di cabotaggio, è testimoniata dall'Arthaśāstra. Nel Silappadikāram, opera in lingua Tamil, sono contenute informazioni riguardanti il commercio esterno via mare tra India del Sud e Paesi lontani, comprese descrizioni di navi e porti utilizzati. La via marittima e i porti principali del Subcontinente sono descritti anche nel testo di un autore anonimo, il Periplus Maris Erythraei, datato alla metà del I sec. d.C. Questa via faceva capo ad Alessandria d'Egitto, dove sembra che si fossero insediati commercianti indiani, probabilmente Jaina o buddhisti; da Alessandria si scendeva lungo il Nilo, quindi, attraverso vie situate a diverse altezze, non lastricate e adatte a carovane di cammelli, si raggiungeva il Mar Rosso, evitando per quanto possibile di navigarlo, data la presenza di pirati e il pericolo di tempeste. I Romani preferivano proseguire poi via mare, attraverso il Golfo Persico, viaggio meno lungo e costoso, che inoltre permetteva di evitare sia il confronto con Parti e Sciti, che controllavano Iran ed Asia Centrale (anche se spesso lo stesso Golfo Persico era sotto il controllo partico o arabo), sia l'attraversamento del deserto. I porti indiani più importanti menzionati nel Periplus erano situati presso le foci dei principali fiumi (Indo e Gange), in Gujarat e nel Sud dell'India. Dai porti sulla costa, quali Bharukaccha/Barygaza (odierna Broach) e Sopara, partivano vie di collegamento con l'interno del Subcontinente e i beni importati raggiungevano empori e città commerciali quali Tagara (Ter), Pratishthana (Paithan), Nasik e Junnar. La via marittima divenne più rapida e sicura nel I sec. d.C., quando si capì che si poteva trarre vantaggio dai venti monsonici che regolarmente soffiavano in questi mari. Le imbarcazioni partivano in direzione dell'India col monsone di sud-est tra aprile e luglio e tornavano tra ottobre e marzo col monsone di nordest. Il primo dei due era particolarmente pericoloso e di solito le imbarcazioni preferivano salpare dall'Egitto a luglio, quando il vento era al massimo della sua forza, per raggiungere l'India a settembre, quando la pericolosità del monsone era diminuita e i porti indiani riaprivano all'attività marittima. Molti dei prodotti trasportati verso l'una o l'altra direzione erano deperibili, per cui non ne resta traccia, ma, a parte la presenza di monete romane nel Subcontinente e il ritrovamento a Pompei (dove il 79 d.C. rappresenta il sicuro terminus post quem non datur) di una statuetta d'avorio identificata come Lakshmi, sono molti gli elementi che attestano il commercio tra India e mondo romano. Dai siti costieri dell'India occidentale provengono ceramica ed altri oggetti che possono essere considerati come importazioni dal Mediterraneo o adattamenti o imitazioni di tali importazioni. Le monete romane, ad esempio, venivano imitate sotto forma di bullae in metallo; oggetti d'importazione romana, come stampi per monete, bracciali e bottiglie di vetro, grani di collana veneziani e "a foglia d'oro" (la cui tecnica fu inventata dai Romani ed introdotta successivamente in India) sono stati ritrovati in città quali Ter, Ujjain, Nevasa e Brahmapuri; specchi ed oggetti di bronzo provengono da Ter, Kolhapur e Baroda. Dal Mediterraneo era importato anche corallo (apprezzato per il colore più intenso di quello indiano), rinvenuto in abbondanza in contesti relativi ai primi secoli dell'era cristiana. Corniola ed altre pietre semipreziose, il cui commercio è menzionato nel Periplus, si esportavano invece dall'India in grandi quantità attraverso il porto di Barygaza (Broach). Gli scavi condotti ad Arikamedu, presso Pondicherry (Tamilnadu), hanno riportato alla luce una moneta databile al I sec. a.C. - I sec. d.C., che suggerisce un'implicazione dei primi Chola nel processo commerciale. I primi re e governanti Tamil dovevano avere probabilmente anche un qualche controllo sulla costituzione e lo sviluppo dei porti. La percentuale di ceramica mediterranea o di ceramica evolutasi da prototipi occidentali qui rinvenuta è minima; le anfore ritrovate erano del tipo utilizzato per il trasporto di vino e olio, ma anche di garum. Ritrovamenti simili in altri siti a sud di Madras hanno dimostrato che Arikamedu non era che uno dei tanti centri d'importazione di prodotti dal Mediterraneo. I dati forniti dalla ceramica provano che la costa del Coromandel commerciava col Mediterraneo già dal II sec. a.C. e che la comunicazione con i porti della costa nord-occidentale avveniva via terra e non via mare. Gli stessi dati si confermano per il periodo compreso tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. Dal porto di Tamralipti si commerciava con Indocina e Sud- Est asiatico. Nei Jātaka (Vite anteriori) e nel Milindapañho (Le domande di Menandro) si racconta del commercio con la Terra d'Oro o Suvarnabhumi, che suggerisce relazioni con Paesi del Sud-Est asiatico, quali Birmania, Indonesia e Cambogia. Il commercio era probabilmente diretto e poteva avvenire anche via terra attraverso Bangladesh, Manipur o Assam. Ceramica cinese dallo Yunnan e dal Sichuan arrivava attraverso questa via in India settentrionale fin dal II sec. a.C. A partire dal I sec. a.C. altri porti in Orissa e nei pressi di Madras rappresentarono il punto di partenza per l'Estremo Oriente e lo Sri Lanka. Gli Indiani importavano da queste terre tutte quelle merci la cui forte richiesta non poteva essere soddisfatta dalle sole fonti locali. Testimonianze di regni indiani nelle regioni del Sud-Est asiatico sono note almeno a partire dal II sec. d.C.; la colonizzazione, che seguì le relazioni commerciali, avvenne probabilmente nel I sec. d.C. Il commercio con Asia Centrale e Cina fu condotto, almeno nel I secolo, attraverso la Via della Seta, ovvero la via carovaniera che collegava Cina, India ed Asia Centrale al Mediterraneo, passando attraverso i territori Kushana. La capitale della Battriana, l'attuale Balkh, in Afghanistan, era un importante centro commerciale, nel quale giungevano prodotti cinesi (tra cui innanzitutto la seta) e prodotti indiani, questi ultimi a loro volta provenienti dalla via che passava per Taxila. Dalla Battriana la strada carovaniera proseguiva verso Merv e si dirigeva poi in Iran, attraverso due possibili vie, una settentrionale e una meridionale. Un percorso alternativo toccava Arachosia e Gandhara e raggiungeva, nell'area dell'Indo, i porti di Barbarikon e Barygaza, dai quali si proseguiva verso occidente via mare. Nel corso del tempo non mancarono le lotte per il controllo di questa via, e quindi del commercio internazionale. L'impero Kushana cercò di conquistare il ruolo di maggiore intermediario di questo traffico, ostacolato però dai Parti, che tentavano di impedire che si stabilisse un legame diretto tra l'Impero romano e la Cina. Potrebbe essere stata questa una delle cause che spinse la Cina, nel II sec. d.C., a cercare collegamenti alternativi con l'Occidente, questa volta via mare. Alcuni studiosi sono però più propensi a credere che fu invece proprio il declino dell'impero partico, cominciato all'inizio del II sec. d.C., con il conseguente aumento di pericolosità della via terrestre, a spingere in altre direzioni i traffici commerciali. La prima via marittima sfruttata dalla Cina aveva il suo termine in India, nei porti di Barygaza o Barbarikon, alla foce dell'Indo, ma in seguito la rotta si spostò sullo Sri Lanka. I contatti tra India e Cina, all'inizio basati sulle vie terrestri, furono dunque tenuti, successivamente, soprattutto via mare. È per questo che in testi cinesi più antichi (Shih Ji [Memorie storiche], del I sec. a.C. ca., Han Shu [Cronache della dinastia degli Han], del 92 d.C., Hou Han Ji [Memorie della dinastia degli Han Posteriori], del IV sec. d.C., Hou Han Shu [Cronache della dinastia degli Han Posteriori], del V sec.) l'India è descritta fra le regioni occidentali, mentre viene menzionata fra le regioni meridionali in testi posteriori (Liang Shu [Cronache della dinastia di Liang], VII sec. d.C.); negli stessi testi, significativamente, fa la sua comparsa anche lo Sri Lanka. La via terrestre, comunque, non fu mai del tutto abbandonata, in particolare fino al III sec. d.C. I rapporti commerciali tra India e Occidente continuarono, nonostante un certo declino nel III sec. d.C., fino al VI secolo. Appartengono a questo periodo alcune delle monete romane rinvenute in India meridionale e alcuni accenni nei resoconti dei pellegrini cinesi che tra il V e il VII secolo visitarono l'India, da cui si apprende che da Tamralipti vi erano connessioni regolari con Sri Lanka da un lato e con Indonesia e Indocina dall'altro. Lo Sri Lanka, grazie alla sua posizione geografica, divenne un grande scalo commerciale nell'Oceano Indiano, in cui affluivano anche dalle coste orientali dell'India prodotti quali spezie e legno di sandalo, che da qui ripartivano alla volta dei porti indiani occidentali e spesso per destinazioni ancora più lontane, fin sulle coste persiane ed etiopiche. In direzione Cina i commerci continuarono via mare anche nei secoli seguenti. In epoca Tang vi fu uno sviluppo delle relazioni tra i due Paesi, come testimoniano le monete di questa dinastia rinvenute nell'India del Sud.
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di André Tchernia
Dopo il rinvenimento casuale, nel 1937, di materiali romani ad Arikamedu, presso Pondicherry (Tamilnadu), nel 1941 furono avviati i primi scavi, presto interrotti a causa della guerra; i responsabili dei lavori non identificarono i frammenti di ceramica aretina e di anfore greche che avevano portato alla luce. L'identificazione si deve a sir Mortimer Wheeler, allora direttore generale dell'Archaeological Survey of India, che li riconobbe nel corso di una visita nel 1944; a seguito della scoperta, questi intraprese nel 1945 una nuova campagna di scavi, i cui risultati furono, come egli stesso dice, "immediati e spettacolari". Vennero alla luce una quarantina di frammenti di ceramica aretina e 116 di anfore, più o meno rappresentativi, secondo Wheeler (ma la cosa appare improbabile), di altrettanti manufatti. I profili di 39 frammenti riconducibili ad una forma furono disegnati e pubblicati nel 1946: la stragrande maggioranza appartiene ad anfore ad anse bifide (Dressel 2- 4), molte delle quali provenienti dall'isola di Coo. Tra gli altri frammenti, alcuni sembrano di provenienza italica; un esemplare appartiene ad un'anfora rodia tarda, un altro probabilmente ad una Pompei XIII, anfora greca della quale non si conosce esattamente l'origine. Alcuni frammenti non sono identificabili; tutti quelli che lo sono appartenevano ad anfore vinarie, databili ad epoca augustea o al I sec. d.C. Altri frammenti, probabilmente rinvenuti nel corso di scavi ripresi fra il 1947 ed il 1948 e pubblicati, malauguratamente senza i disegni dei materiali, nel 1949 da J.-M. Casal sono conservati al Museo di Pondicherry. Il panorama è più vario di quello che si ricava dallo studio pubblicato da Wheeler (Wheeler - Ghosh - Deva 1946). Le Dressel 2-4 di Coo e dell'Italia non costituiscono che la metà dei frammenti presi in esame. Altre anfore vinarie provengono da Rodi e dal Nord dell'Adriatico (Dressel 6), mentre altre ancora sono di difficile attribuzione. Particolarmente interessante è la presenza di contenuti non vinari, testimoniati da alcuni frammenti di anfore da garum (Dressel 7 e 8) e di anfore olearie della Betica (Dressel 20) e della Tripolitania, tipo che si incontra frequentemente in Egitto. Queste ultime costituiscono un possibile riscontro della presenza di mercanti greci e romani ad Arikamedu, già supposta da Wheeler, ma posta in discussione in tempi più recenti. L'olio di oliva è infatti, a differenza del vino, un prodotto eminentemente culturale, gradito solo a coloro che vi sono abituati, sia che siano stati allevati in regioni dove crescono gli ulivi sia che abbiano adottato le abitudini alimentari di popoli che di lì sono originari; poiché non è questo certamente il caso degli abitanti di Arikamedu, si può a ragione supporre che quelle anfore olearie fossero destinate a persone provenienti dal Mediterraneo, lì residenti solo provvisoriamente. La cronologia va rialzata, rispetto a quella proposta da Wheeler, dopo la pubblicazione (Lyding Will 1991) di due anse bollate da Cnido, databili all'inizio del I sec. a.C. Nuove informazioni provengono dalle campagne di scavo condotte sul sito tra il 1989 ed il 1992, dopo più di quaranta anni di interruzione, da parte di un'équipe indo-americana, sotto la direzione di V. Begley (1993, 1996). Sono stati rinvenuti circa 400 nuovi frammenti di anfore; a giudicare da quelli pubblicati, si tratta per lo più di Dressel 2-4, la maggior parte delle quali sembrano appartenere ad anfore di Coo, ma è presente anche un'ansa rodia. Importante è la scoperta di alcuni frammenti di anfora gallica a fondo piatto, che potrebbero avere una datazione leggermente più tarda dei tipi rappresentati precedentemente. Infine, è attestato un periodo di occupazione del sito nel Basso Impero, sulla base di una moneta di Costantino e di tre frammenti di anfore datate al IVVII sec. d.C., di cui non viene tuttavia precisata la tipologia. Se le anfore di Arikamedu costituiscono il gruppo di gran lunga più importante, esse non rappresentano tuttavia, in India, un caso isolato. Nel corso del tempo, sulla base delle segnalazioni via via pervenute dalla ricerca archeologica, si può individuare una vasta area di distribuzione che comprende almeno 30 siti, certamente, peraltro, ancora incompleta. In particolare, il collo d'anfora Dressel 2-4 trovato a Taxila, in Pakistan, evidenzia un'altra probabile rete di contatti, legata ai regni indo- greci. I luoghi delle scoperte sono sufficientemente dispersi da coprire il Gujarat e tutto il Deccan, ma va tenuto conto del fatto che, quasi sempre, il numero di frammenti segnalati è assai esiguo e che in molti casi essi provengono da semplici raccolte di superficie. Un solo sito, Nevasa, ne ha restituito una quantità che si avvicina a quella di Arikamedu. Allo stato attuale, nulla ci autorizza pertanto ad esagerare l'importanza degli arrivi di vino mediterraneo in India. L'archeologia non contraddice le indicazioni del Periplus Maris Erythraei, secondo cui il vino arrivava a Barbarikon (porto del Sind), ma non in gran quantità, a Barygaza (porto del Golfo di Cambay), soprattutto dall'Italia, ma anche dalla Laodicea e dall'Arabia (non se ne conoscono però le anfore) e ai porti del Sud, Muziris e Nelkynda, ma in modiche quantità, come a Barygaza. Detto questo, la carta di distribuzione può autorizzare qualche riflessione. Si notano due concentrazioni, una, più netta, in Gujarat, l'altra sulla costa del Tamilnadu. La maggior parte dei rimanenti siti è posta lungo il corso di fiumi, sia gli affluenti del Gange sia quelli che, originatisi dai Ghat occidentali, raggiungono la costa orientale del Deccan. Alcuni rappresentano importanti incroci di vie commerciali, come Mathura, Ujjain, Ter, mentre i siti del Gujarat riflettono probabilmente un fenomeno di ridistribuzione locale a partire da Barygaza, altri ancora illustrano gli spostamenti verso est dei prodotti mediterranei sbarcati sulla costa occidentale. Le recenti scoperte di anfore sulla costa del Tamilnadu confermano la rappresentatività di quelle di Arikamedu. L'insieme, ma lo stesso discorso vale se si parla di quantità modeste, attesta il ruolo del vino mediterraneo in quello che Wheeler definiva il transit trade in opposizione al terminal trade, ovvero un commercio nel quale l'India e i suoi porti servivano da intermediari e che aveva come oggetto le piante aromatiche provenienti dalle pendici himalayane e soprattutto la seta; esso era diviso tra le vie terrestri che raggiungevano la valle del Gange passando per l'Assam o, più a nord, che discendevano da Bactra verso Barbarikon e Barygaza attraverso l'Hindukush ed una via marittima della quale i porti del Tamilnadu potevano ben essere l'approdo.
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