ARPINATI, Leandro
Nacque a Civitella di Romagna (Forlì) il 29 febbr. 1892 da modesta famiglia. Militò dapprima nelle file del gruppo giovanile socialista; trasferitosi a Torino, dove già aveva lavorato qualche tempo da ragazzo, e assunto quale meccanico alla Diatto, prese parte ad agitazioni e scioperi, maturando una nuova esperienza, che gli fece abbandonare il socialismo marxista per abbracciare l'anarchismo. Rientrato a Civitella lavorò quale operaio elettricista, compiendo intanto con qualche successo propaganda anarchica. Collaborò alla Alleanza libertaria di Roma e, non senza schermaglie, alla Lotta di classe di Forlì, allora diretta da B. Mussolini. Ma con Mussolini socialista ingaggiò presto una vivace polemica, avendo in un manifesto attaccato Andrea Costa, reo, a suo avviso, di aver abbandonato l'anarchismo per concludere la propria carriera quale vice-presidente della Camera "borghese". Presero parte insieme, tuttavia, a comizi contro l'avversario comune: i repubblicani.
Trasferitosi a Bologna, assunto nelle ferrovie dello stato, frequentò le scuole serali e ottenne il diploma dell'istituto tecnico. Nel 1914, verso la fine d'agosto, capeggiava quel gruppo di interventisti anarchici che iniziarono nella città le agitazioni per la guerra, dando luogo a frequenti tafferugli con i socialisti neutralisti. Il 5 ott. 1914, recatosi con Libero Tancredi e Maria Rygier ad una riunione di anarchici alla Società operaia, fu accolto ostilmente ed infine malmenato per cui, sanguinante, dovette farsi medicare all'ospedale. L'interventismo lo avvicinò a Mussolini, tanto che un suo telegramma di augurio, firmato con lo pseudonimo Vittorio Neri, apparve sul primo numero del Popolo d'Italia. Scoppiata la guerra, fu militarizzato come ferroviere elettricista.
Incontratosi con Mussolini a Bologna il 24 maggio 1918, gli dichiarò di accettare il suo programma d'azione. Il 10 apr. 1919 fu tra i fondatori del Fascio bolognese di combattimento, del quale fu in seguito il principale esponente. Incominciate le cosiddette "spedizioni punitive", l'A. fu tra i più violenti, spietati squadristi bolognesi, prendendo parte, coi suoi uomini, ad azioni a Milano, a Monza, a Pavia, ad Ancona, a Rimini, a Lodi (gennaio 1920), ove fu imprigionato dopo uno scontro sanguinoso.
In seguito alla schiacciante vittoria socialista a Bologna nelle elezioni amministrative del 31 ottobre dello stesso anno, un vago avvertimento diffuso alla macchia dai fascisti bolognesi alcuni giorni prima dell'insediamento della nuova amministrazione faceva presagire l'intenzione del fascio locale, guidato dall'A., di passare ad azioni di fatto contro i socialisti.
Secondo alcune fonti, l'A. avrebbe capitanato il 21 novembre le squadre fasciste che avrebbero compiuto la sparatoría, dalla quale ebbero origine i noti fatti "di palazzo d'Accursio".
Pochi giorni dopo, il 1º dicembre, il Fascio bolognese pubblicava il primo numero del settimanale L'assalto, diretto da D. Grandi, che ebbe grande diffusione, mentre una recrudescenza dell'attività fascista si verificava in varie località dell'Emilia. In esecuzione al decreto col quale si intendeva imporre il disarmo nelle province emiliane, l'A. subì nel gennaio 1921 un arresto insieme con Baroncini e Grandi; ben presto rilasciato, si affermò tra i maggiori esponenti fascisti non solo in Emilia. Sin da allora, però, la sua posizione politica, per carattere personale e per la situazione locale, ebbe una particolare coloritura: con altri esponenti emiliani promosse sindacati rurali, in contrapposizione alle leghe rosse, avendo di mira un tipo, di stato "sindacalista" e distanziandosi dal fascismo "cittadino" di altre zone. Avverso a una pacificazione con i socialisti, espose al consiglio nazionale del partito (3 agosto) la tesi del gruppo emiliano: eliminare le cause profonde del disordine anziché procedere a patti con gli avversari. Tale tendenza di rottura, trovò espressione nel convegno che ebbe luogo a Todi nel settembre su iniziativa di Calza Bini e con la partecipazione dell'A., di Grandi e di altri, non pienamente concordi con la linea di Mussolini.
Nel frattempo l'A. era nominato segretario federale di Bologna, carica che mantenne fino al 1929, salvo una parentesi nel 1924 dovuta al dissidio fra "arpinatiani" e nazionalisti seguaci di Luigi Federzoni. Nello stesso anno veniva eletto deputato per la 26ª legislatura nella circoscrizione di Bologna (1921-1923) e rieletto poi per la 27ª (1924-1929) nella circoscrizione dell'Emilia e per la 28ª (1929-1934) nel collegio unico nazionale.
Dopo l'avvento al potere di Mussolini l'A. aveva svolto per alcuni anni prevalentemente la sua attività a Bologna, ma non per questo la sua azione aveva avuto meno risonanza nell'ambito generale della politica fascista. Solidale con Mussolini nelle discussioni seguite al delitto Matteotti, rappresentò il capo del fascismo a quel "primo convegno fascista di cultura" svoltosi a Bologna il 29 marzo 1925, dal quale ebbe origine il "manifesto Gentile". Nominato nel 1926 podestà di Bologna, l'A. promuoveva la costruzione di quello stadio Littoriale, che il 31 ottobre di quell'anno Mussolini volle inaugurare con una teatrale cerimonia a conclusione, delle celebrazioni anniversarie della marcia su Roma. Per l'attentato Zamboni, verificatosi in quel giorno, l'A. fu sospettato a causa dei suoi rapporti di conoscenza col padre di Anteo Zamboni, vecchio anarchico; i sospetti trovarono credito nella famiglia Mussolini, che pensava ad una congiura di fascisti dissidenti. Le indagini non portarono ad alcun risultato; Mussolini stesso, del resto, non credette alla complicità dell'A. e gli esternò la sua fiducia.
L'A. rimase a Bologna sino alla sua nomina a sottosegretario agli Interni (14 sett. 1929); agli inizi di quell'anno aveva espresso la sua avversione alla Conciliazione con la S. Sede.
Primo suo atto nella nuova carica fu di allontanare dalla direzione di P. S. il delegato del partito che aveva il compito di riferire alla segreteria ciò che avveniva al ministero degli Interni. Negli anni di attività governativa l'A. si venne a trovare, per il suo atteggiamento ispirato a un concreto senso dello stato e per certa sua tendenza moralizzatrice, in contrasto con la linea del regime: avverso al corporativismo e all'interventismo statale nel settore economico, al militarismo (alla Milizia in specie) e alla ingerenza del partito nell'ambito delle funzioni dello stato, nella tradizione della sua precedente esperienza individualista rappresentò nel fascismo di quegli anni un elemento dissidente, "una specie di conservatore liberale, o meglio liberista, alla Pantaleoni" (Salvatorelli-Mira, p. 548).
Numerosi episodi crearono una specie di frattura tra l'A. e alti gerarchi. Il dissenso si acuì quando fu nominato segretario del partito Achille Starace, il quale, però, riuscì a trionfare dell'avversario ottenendo che Mussolini invitasse l'A. a dimettersi (4 maggio 1933).
Ritornato a Bologna e ritiratosi in una sua tenuta a Malacappa, l'A. venne sospettato di tramare contro Mussolini: arrestato nella notte del 26 luglio 1934 sotto l'imputazione di avere mantenuto atteggiamento ostile alle direttive e all'unità del regime, venne inviato a Lipari per scontarvi cinque anni di confino. Dopo due anni poté tornare a Malacappa, rimanendovi sotto stretta sorveglianza.
Richiamato alle armi come soldato nel 1941, compì un breve servizio di caserma e fu quindi congedato come capo di azienda agricola. Nel 1943 ebbe contatti col principe Umberto, ma non ebbe parte negli avvenimenti del luglio. Dopo la liberazione di Mussolini da parte dei Tedeschi, l'A. non volle accettare le offerte che gli venivano fatte per un rientro politico: incontratosi col capo del fascismo il 7 ottobre alla Rocca delle Caminate ribadì il suo rifiuto di collaborare, probabilmente perché avverso ai Tedeschi e in generale alla politica del restaurato governo fascista.
Rimasto nella tenuta di Malacappa, l'A. aiutò poi ufficiali inglesi evasi da un campo di prigionia e partigiani italiani; il 22 apr. 1945, giorno successivo alla liberazione di Bologna, fu ucciso da un gruppo di partigiani comunisti.
Bibl.: T. Nanni, L. A. e il fascismo bolognese, Bologna 1927; M. Gallian, A. politico e uomo di sport, Roma 1928; E. Savino, La Nazione operante. Profili e figure di ricostruttori, Milano 1934, p. 377; C. Senise, Quando ero capo della polizia 1940-1943, Roma 1946, pp. 19-20; A. Tamaro, Due anni di storia (1943-1945), Roma 1948, passim; G. Pini, Itinerario tragico, Milano 1950, passim; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Firenze 1950, pp. 164, 206; G. Leto, Ovra, fascismo, antifascismo, Bologna-Rocca S. Casciano 1951, pp. 38, 155-156; Y. De Begnac, Palazzo Venezia, Roma 1951, pp. 557-565 e passim; A. Tamaro, Vent'anni di storia 1922-1943, 3 voll., Roma 1953, vedi Indici; G. Pini-D. Susmel, Mussolini, l'uomo e l'opera, 4 voll., Firenze 1953-55, vedi Indici; L.Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1957, pp. 162, 188, 504, 548 s., 862; Enc. Ital., IV, p. 569; App. I, p. 157; App. II, p. 255.