LEASING
È affermazione tradizionalmente ripetuta che il contratto di l. sia forma giuridica di un'operazione dell'economia industriale caratterizzata dall'acquisto da parte di una società che opera nel settore dell'intermediazione finanziaria (società di l.) della proprietà di determinati beni mobili o immobili su scelta e indicazione dell'utilizzatore, e della concessione a quest'ultimo del godimento di tali beni contro il versamento di un corrispettivo periodico per un tempo predeterminato. Al termine l'utilizzatore può optare o per il rinnovo della locazione a un canone molto ridotto o per la restituzione del bene o per l'acquisto dello stesso a un prezzo prefissato. Lo schema negoziale descritto, che è quello più diffuso, è ordinariamente indicato con il nome di l. finanziario, per distinguerlo dal l. operativo, con cui vengono dati in locazione, per lo più direttamente da parte dell'industria produttrice, beni strumentali standardizzati (calcolatori elettronici, macchine utensili, ecc.), senza che sia prevista la possibilità dell'acquisto del bene da parte del locatario al termine del contratto.
L'evoluzione più recente del l. è caratterizzata da una progressiva specializzazione del contratto, che, come detto, si è ampiamente diffuso specie nella forma del l. finanziario. Si è parlato così di l. immobiliare, automobilistico, agevolato, pubblico, per indicare schemi contrattuali che, in relazione al loro oggetto o alle loro finalità, prevedono l'inserimento di clausole volte a conformare il contratto in relazione a peculiari interessi delle parti. Questa linea di tendenza e l'espandersi del contenzioso, anche in relazione al progressivo deteriorarsi della situazione economica delle imprese, hanno posto ai giuristi il problema dell'individuazione della disciplina volta a volta applicabile al contratto in relazione al suo specifico contenuto e al suo effetto.
Fermi i risultati acquisiti nella precedente fase di elaborazione che aveva portato a qualificare il l. come contratto atipico, bilaterale, consensuale, a titolo oneroso − nella cui causa confluiscono profili funzionali del mutuo, della locazione e della compravendita, tra loro articolati in modo inscindibile per dar vita a una complessiva funzione non riconducibile ad alcun contratto nominato − si pongono così con particolare forza i problemi:
a) dei limiti di validità delle clausole che, nei modelli contrattuali più comuni, sono volte a trasferire alcuni rischi contrattuali dal concedente all'utilizzatore: sono per es. le clausole che esonerano il concedente dalla garanzia per i vizi della cosa data in l., o le clausole che trasferiscono all'utilizzatore il rischio della mancata consegna dei beni oggetto del contratto da parte del produttore o venditore;
b) dell'applicabilità o meno al contratto di l. della disciplina dettata dall'art. 1525 c.c., il quale stabilisce che "nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l'ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive", e dell'art. 1526 c.c. il quale stabilisce che "se la risoluzione del contratto ha luogo per l'inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno" e ulteriormente specifica che "qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta". Disciplina, com'è noto, applicabile anche qualora il contratto sia configurato come locazione e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà del bene sia acquisita dal conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti (art. 1526 comma 3 c.c.);
c) dell'individuazione delle norme dispositive che integrano le lacune del regolamento pattizio.
È opinione generalmente condivisa che la soluzione di tali problemi applicativi dipenda dalla qualificazione del contratto di l., cioè dalla definizione della sua essenza o natura, e dalla ricostruzione che se ne faccia come figura in ogni caso unitaria o invece come schema suscettibile di articolazioni diverse.
Gli orientamenti giurisprudenziali sono noti. La Corte di Cassazione affrontò per la prima volta il problema con la sentenza del 28 ottobre 1983 n. 6390 individuando il tratto caratterizzante del contratto nella funzione di finanziamento. La Corte rilevò infatti che nella pratica del settore il rateo del l. viene fissato non in ragione del godimento del bene, ma in relazione al suo costo e alla durata del contratto, di modo che al termine di questo il valore economico residuo di quel bene sia, sotto il profilo finanziario, pressoché prossimo ad azzerarsi. Nell'oggettività dell'affare il l. risulterebbe così diretto a procurare non tanto la proprietà quanto la disponibilità del bene per un determinato periodo, trascorso il quale i vantaggi da esso offerti divengono di trascurabile entità e la stessa proprietà del bene di secondaria importanza. Coerente a queste premesse è l'affermazione che il l. è essenzialmente rivolto a consentire a una parte la disponibilità del bene mediante un prestito di capitale effettuato dall'altra, cosicché il canone assume principalmente il valore di restituzione della somma mutuata, non di versamento periodico di un prezzo di acquisto anche perché tale acquisto è contemplato in via meramente eventuale e comunque abbisogna di una nuova manifestazione di volontà negoziale. L'operazione sarebbe così caratterizzata dal reddito che una parte trae dall'investimento di capitali in termini brevi e con adeguate garanzie, e dalla possibilità, per l'altra parte, di utilizzare un bene (in genere di rapida obsolescenza) sino, in pratica, al suo esaurimento, senza l'immobilizzo dell'intera somma necessaria all'acquisto. Il riflesso pratico di questa soluzione è che viene esclusa l'utilizzabilità sia in via diretta sia in via analoga delle norme in tema di locazione e di vendita, mentre viene affermata la validità delle clausole volte a escludere l'applicabilità degli articoli 1525 e 1526 c. civile.
Più di recente la stessa Corte di Cassazione ha mutato indirizzo distinguendo, in relazione alla natura del bene oggetto del contratto e all'intento delle parti, tra il l. finalizzato a un finanziamento, denominato l. di godimento, e il l. essenzialmente volto all'acquisto della proprietà del bene oggetto del contratto, al quale si dà il nome di l. traslativo.
Il riflesso pratico di questa impostazione è che ai contratti aventi per oggetto beni con valore residuo alla scadenza superiore al prezzo cosiddetto ''di riscatto'', sarebbe applicabile, quanto meno in via di analogia, la disciplina imperativa dettata dagli articoli 1525 e 1526 c.c., inapplicabile invece al l. ''di godimento'', la cui causa è del tutto diversa da quella della vendita così da escludere l'applicabilità, anche in via analogica, delle norme per questa dettate. Entrambe le opinioni, volte a costringere la varietà dell'esperienza in schemi rigidamente predeterminati, sono state criticate dalla dottrina più attenta.
Con riferimento all'indirizzo meno recente si è infatti osservato che le argomentazioni volte a sottolineare la causa di finanziamento del contratto di l. si attagliano, a tutto concedere, alle ipotesi in cui il bene oggetto della pattuizione è strumentale all'attività imprenditoriale e al termine del contratto presenta un valore residuale pressoché irrilevante, ma non possono essere accolte per tutte le fattispecie concrete di l., specie per quelle in cui il bene non è strumentale all'attività d'impresa e per quelle in cui al momento dell'esercizio dell'opzione, il valore residuo del bene è talmente elevato da escludere un effettivo interesse a non perfezionare l'acquisto. Rilevante perplessità suscita d'altra parte la tesi secondo la quale l'art. 1526 c.c. sarebbe espressione di un principio generale di equità volto a evitare l'indebito arricchimento di una delle parti (il venditore) a danno dell'altra (l'acquirente) in caso di inadempimento di quest'ultimo, consentendo l'acquisizione, a titolo di risarcimento del danno, di utilità che eccedono l'ammontare reale del danno calcolato in base al corrispettivo convenuto tra le parti. Più in generale la perplessità riguarda il meccanismo tecnico utilizzato per ricondurre a una funzione unitaria la complessità del contenuto dei diversi contratti, che rende difficile individuare una prestazione come principale per collegarle poi le prestazioni ulteriori considerate accessorie e funzionalmente subordinate a quella principale di cui subiscono la disciplina.
La dottrina più recente ha correttamente rilevato come di fronte al singolo contratto sia necessario volta a volta ricercare la finalità concretamente perseguita dalle parti tramite il peculiare assetto di interessi da esso realizzato. L'insufficienza della soluzione che riduce in schemi funzionalmente rigidi le varie realtà del contratto di l. è del resto confermata dalle indagini della dottrina aziendalistica la quale ha sottolineato che, dal punto di vista economico, le finalità del l. possono essere assai diverse.
In relazione alle caratteristiche concrete dell'operazione si potrà infatti avere: a) una prevalente funzione di finanziamento dell'utilizzatore al quale viene consentito di sfruttare e di utilizzare un bene necessario alle esigenze dell'impresa pur senza doverne acquistare necessariamente la proprietà: in tal caso il l. assume rilievo di tecnica integratrice e moltiplicatrice delle tradizionali fonti di finanziamento per la dotazione del capitale tecnico dell'azienda; b) una prevalente funzione contabile, dipendente dal fatto che nel bilancio di esercizio dell'impresa l'operazione risulta solo nel conto profitti e perdite per l'importo dei canoni corrisposti nell'esercizio; c) una prevalente funzione fiscale in quanto il l., in generale e sia pure con le limitazioni poste dal T.U. delle imposte sui redditi (approvato dal d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917), permette alle aziende e ai liberi professionisti, per i beni strumentali, di dedurre dal reddito tassabile i canoni di locazione e la relativa IVA corrisposti nell'anno, il che indirettamente riduce i costi finanziari.
Più di recente si è constatato che tra i vari possibili operatori intercorrono rilevanti differenze in relazione alle quali essi sono riconducibili, quanto meno, a tre gruppi distinti: a) le società di l. di estrazione bancaria che ricevono finanziamenti dalle banche di cui sono emanazione: per esse concedere un bene in l. significa concedere un finanziamento; b) le società di l. collegate con il produttore del bene oggetto del contratto, per le quali l'operazione è un'alternativa più evoluta rispetto alla tradizionale vendita con riserva della proprietà da parte del produttore; c) le società cosiddette indipendenti che investono in beni da concedere in leasing. In questo caso ci si trova di fronte a una prestazione di servizi alle imprese.
Risulta dunque ancor più evidente l'inadeguatezza del procedimento logico che riconduce a un'unica causa socialmente tipica la multiformità di profili che compongono l'operazione economica e che devono trovare tutti una loro considerazione sul piano giuridico, accertando di volta in volta, tra le varie possibili, la concreta funzione del contratto effettivamente costruito dalle parti e, in relazione a questa, individuando caso per caso la disciplina applicabile. Il che si traduce, dal punto di vista tecnico, nella riconduzione delle singole prestazioni previste dalle parti al tipo contrattuale nel quale ciascuna assume funzione simile a quella che le è propria nel contratto di l. considerato.
È appunto in questo senso che in alcune forme di l. a prevalente funzione di finanziamento (si pensi per es. al caso di lease back) si è posto il problema della compatibilità della figura con il divieto del patto commissorio. Problema che non dovrebbe porsi invece per i l. che realizzano una funzione prevalentemente contabile o fiscale. Allo stesso modo si è posto il problema dell'applicabilità della disciplina dettata dagli articoli 1525 e 1526 c.c., e riguardante il l. cosiddetto traslativo, a quello che persegue finalità di finanziamento, o contabili, o fiscali, per il quale tale applicabilità dovrebbe essere esclusa.
Discorso analogo dovrebbe farsi per quanto riguarda le clausole di trasferimento dei rischi contrattuali dal concedente all'utilizzatore. Così per es. nel l. cosiddetto traslativo può dubitarsi che le clausole volte a esonerare il concedente dal rischio della mancata consegna del bene all'utilizzatore siano compatibili con la funzione di questa figura di l., nella quale assume determinante rilievo causale il godimento del bene in vista del successivo acquisto della proprietà dello stesso. Dubbio che ha oggettivamente meno ragione di porsi nel l. con prevalente funzione di finanziamento o, comunque, con funzione diversa da quella di trasferimento della proprietà del bene.
Quest'impostazione sembra consentire infine, in diversa prospettiva, una più corretta e coerente individuazione delle norme integrative delle lacune della regolamentazione pattizia, le quali vanno individuate, in relazione alle singole prestazioni, secondo il criterio dell'affinità tra l'interesse che la prestazione considerata soddisfa nel contesto del concreto contratto e quello che la stessa prestazione soddisfa nel contratto tipico all'interno del quale essa svolge la funzione più simile a quella assunta nella figura di l. considerata.
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