Lebbra
La lebbra (dal greco λέπρα, derivato da λέπω, "squamare") è una malattia infettiva che si manifesta in individui predisposti, causata dal batterio Mycobacterium leprae, scoperto da G.H.A. Hansen nel 1873, appartenente alla classe dei micobatteri e dotato di un'elevata affinità per i nervi periferici e per la cute. Le manifestazioni cliniche si evidenziano dopo un lungo periodo di incubazione e sono da ascriversi alla reazione dei tessuti dell'individuo al microrganismo infettante. La storia della lebbra come malattia è inscindibile dalla vicenda della lebbra come fatto culturale e sociale. Poche malattie al pari di questa, infatti, sono state oggetto di tanti fraintendimenti, credenze e superstizioni, con conseguenze a volte spettacolari e disastrose sul modo di comprenderla, prevenirla e curarla.
di Pietro Santoianni
l. Eziopatogenesi e classificazione
La penetrazione del germe nell'organismo avviene attraverso soluzioni di continuità della cute o dalle vie respiratorie. Il principale serbatoio di infezione è il malato lepromatoso non trattato, il quale può disperdere nell'ambiente, tramite le secrezioni nasali e le lesioni cutanee ulcerate, più di 10 milioni di micobatteri al giorno. Il latte materno rappresenta un'altra possibile via di eliminazione. In condizioni climatiche di caldo umido e al riparo dalla luce solare, Mycobacterium leprae può sopravvivere, in forma infettante, anche più di un mese al di fuori dell'organismo umano. Un ambiente degradato dal punto di vista sociale e igienico favorisce la diffusione dell'infezione, tanto è vero che il 97% dei casi è concentrato nei paesi in via di sviluppo dell'area tropicale e subtropicale. In Italia, si trovavano piccoli focolai autoctoni in Liguria (Riviera di Ponente), sulla costa ionica calabrese e in Sicilia; episodi sporadici venivano riscontrati in Puglia, Sardegna, Molise e Toscana. Alla fine del 20° secolo, molti focolai sono estinti e possono considerarsi in via di estinzione anche quelli presenti in Calabria. Attualmente, tuttavia, l'epidemiologia della lebbra è influenzata dalle mutate condizioni sociali e dall'aumentata mobilità delle popolazioni. Nel nostro paese la patologia è sostenuta da casi d'importazione che si verificano sia in italiani che hanno soggiornato in paesi con lebbra endemica, sia in immigrati provenienti da tali paesi. Nuovi casi possono perciò manifestarsi in qualsiasi punto del territorio. Dopo il contatto con Mycobacterium leprae, la maggior parte dei soggetti (oltre il 95%) non contrae alcuna malattia o guarisce spontaneamente da una lesione minima, la lebbra 'indeterminata', che passa spesso inosservata. In alcuni soggetti, invece, si sviluppa la malattia vera e propria, dopo un periodo di incubazione di 2-7 anni. Tale diverso comportamento nei confronti dell'infezione subisce l'influenza dell'immunità cellulomediata dell'ospite: nei casi in cui il bacillo riesce a superare le difese cellulomediate dell'organismo invaso, si ha lo stato di infezione subclinica e, con il tempo, la malattia conclamata.
2.
Una caratteristica peculiare della lebbra è il polimorfismo, legato all'esistenza di uno spettro continuo di forme anatomocliniche. La diversa espressività clinica della patologia è influenzata dall'efficacia della risposta. Nel caso in cui Mycobacterium leprae riesca a superare il primo impatto con l'organismo infettato, possono aver luogo due situazioni estreme e, ovviamente, tutta una serie di scenari intermedi, che porteranno con il tempo al verificarsi della malattia e ne influenzeranno l'espressione clinica: l'organismo ospite mostra una risposta immunitaria sufficientemente attiva nei confronti del bacillo; il soggetto presenta una risposta immunitaria scarsamente attiva.
a) Risposta immunitaria sufficientemente attiva. Mycobacterium leprae, penetrato attraverso la cute, è relegato dall'aggressione immunitaria cellulomediata in siti protetti (il muscolo erettore del pelo, la ghiandola sudoripara, le cellule di Schwann che formano la guaina dei nervi periferici). In queste sedi, il batterio può moltiplicarsi al riparo dall'aggressione immunitaria e, approfittando di occasionali riduzioni del livello di risposta, diffondersi lungo il sistema nervoso periferico della cute. Questa modalità di sviluppo caratterizza le forme paucibacillari tubercoloidi.
b) Risposta immunitaria scarsamente attiva. In questo caso, il micobatterio penetra massivamente attraverso le vie aeree e, non subendo alcuna aggressione, si localizza nei siti ottimali di crescita, come il plesso vascolare superficiale della cute caratterizzato da bassa temperatura (circa 30 °C) e notevole apporto di ossigeno. In queste condizioni Mycobacterium leprae si moltiplica attivamente e, in assenza di valide reazioni immunitarie, diffonde per via ematica a tutto l'ambito cutaneo e agli organi interni (soprattutto i linfonodi, il fegato e la milza). Questa è la modalità con cui si sviluppano le forme multibacillari. Come accennato in precedenza, fra queste due forme polari esiste tutta una serie di situazioni intermedie di transizione. La variegata espressività clinica ha fatto sì che la patologia sia stata oggetto di numerosi tentativi di classificazione; tra le più moderne, quella maggiormente seguita è la classificazione proposta da N.J. Ridley e W.H. Jopling nel 1966, che prevede cinque gruppi: tubercoloide polare; borderline tubercoloide; borderline; borderline lepromatosa; lepromatosa polare. Tra i due tipi polari caratterizzati da debole resistenza (lepromatoso) e da forte resistenza (tubercoloide) esiste, pertanto, uno spettro di forme interpolari. L'attribuzione di un paziente a una determinata forma clinica è basata sulla concordanza dei dati clinici, istologici, batteriologici e immunologici. Le forme interpolari sono instabili, con tendenza evolutiva verso il polo lepromatoso in assenza di trattamento e verso il polo tubercoloide sotto trattamento. La lebbra tubercoloide polare è contraddistinta da poche lesioni cutanee che appaiono di piccole dimensioni, asimmetriche, ipopigmentate. Esse hanno margini nettamente delimitati e possono apparire maculari o mostrare margini rilevati. Caratteristicamente, le lesioni cutanee presentano sensibilità tattile, termica e dolorifica scarsa o nulla (la lebbra è l'unica dermatosi che presenti tali disturbi della sensibilità). A livello delle lesioni la sudorazione è notevolmente ridotta. L'aspetto clinicamente più significativo è tuttavia legato all'invasione dei tronchi nervosi periferici; l'ipertrofia dei tronchi colpiti è tipica della lebbra. Le turbe della sensibilità fino all'anestesia rappresentano la manifestazione più precoce; successivamente il coinvolgimento della componente motoria può indurre paralisi a livello della mano, del piede e, infine, delle palpebre.
La lebbra lepromatosa consegue a un difetto dell'immunità cellulare nei confronti del micobatterio; dal punto di vista epidemiologico, i malati con forme lepromatose rivestono una notevole importanza per la gran quantità di bacilli che espellono con le secrezioni nasali. L'interessamento cutaneo è esteso e tende ad assumere una disposizione simmetrica. Le lesioni appaiono maculari, eritematose, ipopigmentate o color camoscio, a margini poco netti. Si possono osservare anche noduli (lepromi) di dimensioni variabili da un grano di miglio a una nocciola, talvolta associati a un'infiltrazione diffusa della cute. Il viso (fronte, lobuli delle orecchie, naso, sopracciglia) è particolarmente colpito, fino a configurare la caratteristica facies leonina. La mucosa nasale è massivamente invasa, al punto che una rinorrea persistente, mucosa o ematica, può rappresentare il primo segno di una lebbra. In assenza di trattamento, si può verificare una perforazione del setto. Anche il palato e la laringe possono essere sedi di infiltrazioni lepromatose. Le neuropatie lepromatose compaiono in genere tardivamente, appaiono simmetriche, l'ipertrofia nervosa è contenuta, il deficit è prevalentemente sensitivo e distale. Anche i disturbi motori si manifestano solo molto tardivamente. Procedendo dalle forme del polo tubercoloide a quelle del polo lepromatoso, le lesioni cutanee divengono più numerose e meno delimitate. La forma borderline vera è di rara osservazione in quanto assai instabile. Nelle forme interpolari le manifestazioni nervose si avvicinano a quelle della forma polare corrispondente. Nel complesso l'evoluzione della lebbra è lentamente progressiva ed è caratterizzata dalla lunghissima conservazione dello stato generale. Questa evoluzione torpida può essere improvvisamente modificata dall'insorgenza di reazioni infiammatorie acute denominate leproreazioni. Se ne distinguono due tipi: leproreazioni di tipo 1; leproreazioni di tipo 2.
a) Leproreazioni di tipo 1. Si osservano nelle forme interpolari al modificarsi dell'immunità cellulare del paziente. Le reazioni di reversione sono espressione di uno spostamento verso il polo tubercoloide e si evidenziano nella lebbra interpolare trattata. Le reazioni di degradazione si verificano per lo spostamento verso il polo lepromatoso in pazienti non trattati, in condizioni generali deteriorate.
b) Leproreazioni di tipo 2. Sono caratterizzate dal cosiddetto eritema nodoso leproso, cioè dalla comparsa di noduli profondi (dermoipodermici) arrossati, dolenti spontaneamente o alla palpazione, che possono localizzarsi in tutto il corpo. È presente coinvolgimento generale con febbre, malessere, astenia.
3.
La diagnosi della malattia è essenzialmente clinica; tuttavia alcuni esami complementari sono utili per confermare la diagnosi stessa, posizionare la forma clinica nello spettro della malattia, monitorare la risposta alla terapia. Di rapida effettuazione sono quelli relativi alla valutazione della sensibilità tattile, termica e dolorifica della cute e la ricerca del bacillo di Hansen. Lo studio batteriologico comprende l'esame degli strisci praticati da una lesione cutanea aperta e con muco nasale, da cui si ricavano indici batteriologici (relativi alla carica batterica) e morfologici (relativi alla vitalità dei bacilli), validi per la classificazione della forma clinica. L'istologia cutanea conferma sempre la diagnosi di lebbra, facendo osservare uno specifico granuloma infiammatorio le cui caratteristiche variano a seconda della forma clinica del caso in esame. L'intradermoreazione alla lepromina è il solo esame immunologico utile in pratica ed è effettuato iniettando nel derma un estratto di bacilli uccisi al calore; il test è letto dopo 3-4 settimane (reazione di Mitsuda). La positività è data dal formarsi di un nodulo, le cui dimensioni sono massime nella forma tubercoloide. Tale risposta indica la capacità di reazione contro Mycobacterium leprae, per cui è negativa nelle forme anergiche lepromatose, mentre è positiva nella maggioranza dei soggetti sani venuti in contatto con il bacillo. Pertanto la reazione di Mitsuda, positiva o negativa che sia, non serve a definire la diagnosi, ma soltanto a classificare la forma. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha proposto due schemi polichemioterapici nella cura della lebbra: uno per i malati paucibacillari e uno per i multibacillari. Nei malati paucibacillari si impiegano, per un periodo di 6 mesi, la rifampicina, somministrata mensilmente sotto controllo medico, e il sulfone, assunto quotidianamente a domicilio. Nelle forme multibacillari si utilizza uno schema analogo con l'aggiunta della clofazimina, ma per un periodo di 2 anni. La differenza di durata tra i due schemi è importante, in quanto trattare per 6 mesi un caso multibacillare espone invariabilmente a recidive. Farmaci alternativi che possono essere utilizzati in casi particolari sono la ofloxacina, la claritromicina e la minociclina.
di Andrea Carlino
Come altre malattie epidemiche, quali la peste e la sifilide, la lebbra ha avuto un forte impatto sulla realtà sociale e demografica e, al tempo stesso, ha generato un immaginario che, forse più della realtà fattuale dell'epidemia e delle sue conseguenze, ha influenzato profondamente sia i comportamenti sociali sia quelli sanitari a essa relativi.
Nell'ambito della cultura giudaico-cristiana e delle aree geografiche in cui essa si è imposta nel corso dei secoli, la Bibbia ha fornito alcuni degli elementi che hanno caratterizzato il giudizio e l'atteggiamento di ostracismo nei confronti della lebbra e dei lebbrosi. In tal senso è significativo un passo del Levitico nel quale il Signore rivolgendosi a Mosè e ad Aronne spiega quali sono le manifestazioni della lebbra e il modo in cui il sacerdote deve giudicare la malattia, concludendo nel modo seguente: "Per tutto il tempo che è lebbroso e impuro, starà solo, fuori dagli accampamenti" (Levitico 13, 46). Questo versetto è ulteriormente esplicitato nell'ingiunzione rivolta a Mosè: "Ordina ai figli di Israele che mandino via dagli accampamenti tutti i lebbrosi [...]. Uomo o donna che sia, mandatelo fuori dal campo, affinché non lo contamini mentre io abiterò con voi" (Numeri 5, 2). Attraverso i testi biblici si sono dunque fissati alcuni elementi che caratterizzano la storia della patologia: la lebbra implica l'esclusione dalla comunità; è giudicata da un sacerdote e costantemente associata all'idea di una punizione divina per i peccati commessi. Tuttavia, sia le descrizioni della lebbra fornite dal Levitico, sia la ricerca archeologica non forniscono un'evidenza sufficiente per poter sostenere con certezza la presenza della lebbra - come noi oggi la intendiamo, dopo la scoperta di Mycobacterium leprae - in Medio Oriente e in Occidente prima del 4° secolo a.C. Nei testi biblici ed egizi il termine lebbra, infatti, sembra essere stato utilizzato per designare numerose malattie che producevano ulcere, piaghe e degenerazioni dermatologiche cospicue, tali da far apparire i malati come impuri, contaminati e sgradevoli da vedere. In particolare, il vocabolo usato in ebraico nella Bibbia, zara'at, ha appunto il senso più generico di "impurità". Nel 3° secolo a.C., ad Alessandria questo termine è stato tradotto con la parola greca λέπρα dagli eruditi ebrei che produssero la Settanta, la prima traduzione in greco della Bibbia; ugualmente san Girolamo, nella Vulgata, traduce zara'at con lepra. Con ogni probabilità, la lebbra è stata inizialmente portata verso l'Occidente, nel 4° secolo a.C., dalle milizie di Alessandro il Grande di ritorno dall'India, per poi progressivamente diffondersi con l'espansione romana in Europa. Come attestano recenti ricerche archeologiche, alcuni scheletri di malati di lebbra risalenti al 5°, 6° e 7° secolo d.C. sono stati ritrovati, infatti, nei territori che avevano fatto parte dell'Impero Romano, come la Britannia (Inghilterra), la Gallia (Francia), la Pannonia (Ungheria) e, oltre le sue frontiere, in alcune isole della Scandinavia. Con la discesa delle popolazioni germaniche verso sud, la lebbra - o comunque la paura della lebbra - compare in Italia. Ne è testimonianza, tra le altre, un capitolo dell'editto emanato dal re longobardo Rotari (643), nel quale si definiscono i comportamenti da adottare e le azioni da intraprendere in caso di lebbra. Essi ricalcano per molti aspetti il modello biblico: chi è sospetto di essere malato dovrà essere sottoposto a un esame e giudicato da un magistrato o dal popolo; nel caso il sospetto sia riconosciuto come lebbroso deve essere espulso dalla civitas o dalla casa in cui usualmente dimora; il lebbroso perde il diritto di poter alienare i propri beni, poiché "è come se egli fosse morto".
Simili prescrizioni costituiscono il telaio normativo di quella che alcuni storici hanno definita la 'Grande Caccia' al lebbroso, coincidente con la massima diffusione in Europa di questa malattia tra la fine dell'11° e il 14° secolo. Durante questo periodo, la figura del lebbroso era associata ad altre categorie di individui perniciosi e immorali, come quella dell'eretico, della strega e dell'ebreo. Come tale, il lebbroso è stato dunque oggetto di una persecuzione sistematica e a volte feroce. La lebbra, infatti, portava lo stigma della punizione divina, in particolare indotta da peccati di lussuria, riflettendo in tal modo la credenza che essa fosse trasmessa sessualmente. Inoltre, il fatto che - come attestato da numerose fonti - i processi contro i lebbrosi fossero condotti da esponenti del clero, da magistrati e dal popolo sulla base di scarse conoscenze mediche, fa presumere che molti di questi processi siano stati intentati come strumenti di controllo sociale, ossia per sbarazzarsi di individui reputati socialmente pericolosi o indesiderati. Ciò ha certamente falsato i dati epidemiologici relativi alla diffusione della malattia in Europa nel corso dell'età medievale. Il III Concilio lateranense (1179) decretò, conformemente allo spirito del Levitico, che tutti i lebbrosi fossero segregati dal resto della società e che venissero istituite chiese destinate esclusivamente a essi e cimiteri separati in cui le loro spoglie potessero essere sepolte. Nel IV Concilio lateranense (1215) fu poi stabilito che i lebbrosi, come gli ebrei, dovessero imperativamente rendersi riconoscibili alla comunità indossando abiti speciali. Altri segni di riconoscimento erano costituiti da una croce gialla cucita sui vestiti, una campana che portavano al collo, il caratteristico bastone utilizzato per indicare ciò che volevano acquistare o per raccogliere la coppa delle elemosine. L'obiettivo di questa semiotica del lebbroso era naturalmente quello di evitare ogni contatto contaminante con il mondo dei sani.
La segregazione e la discriminazione dei lebbrosi (o presunti tali) erano tuttavia già iniziate a partire dall'11° secolo con la proliferazione, in tutta l'Europa occidentale, di luoghi destinati alla loro reclusione fuori dalle mura delle città. I lazzaretti di solito ospitavano da 6 a 12 lebbrosi, ma non sono rari i casi in cui fossero istituiti anche per ospitarne uno solo. Di solito uomini e donne erano rigorosamente separati. Nella seconda metà degli anni Venti del 13° secolo c'erano circa 19.000 lebbrosari in Europa, e soltanto la Francia, nel 1226, ne contava oltre 2000. I decreti dei Concili lateranensi, costituendo delle direttive generali, contribuirono alla stigmatizzazione ufficiale del lebbroso da parte della Chiesa. D'altro canto, i comportamenti nei confronti dei malati variavano notevolmente da luogo a luogo e, nel quadro dei meccanismi d'esclusione e di discriminazione forniti dai Concili, erano dettati da regole e atteggiamenti propri alle singole comunità: dalla cura caritatevole del lebbroso sino all'esecuzione pubblica sul rogo. Un evento esemplare, che denota il clima che nel Medioevo era venuto a crearsi intorno al problema della lebbra, è il drammatico sterminio di lebbrosi del 1321. In quell'anno, in Francia, aveva cominciato a circolare la voce che centinaia di lebbrosi avessero ordito un complotto: il piano dei capi dei lazzaretti era di avvelenare pozzi, fontane e fiumi per trasmettere la lebbra a tutto il popolo francese; una volta che la malattia si fosse diffusa a livello capillare, gli organizzatori del complotto avrebbero potuto impadronirsi del potere e avere il dominio del regno. L'isteria generata dalla scoperta del complotto immaginario spinse il re di Francia Filippo V (1317-22) a promulgare a Poitiers un editto contro i lebbrosi, accusandoli di lesa maestà, uno dei crimini più gravi del diritto vigente dell'epoca. Una serie di processi vennero immediatamente istruiti per smascherare tutti i partecipanti al complotto. I lebbrosi, in molte località della Francia, furono interrogati e torturati per estorcere loro una confessione. Si 'scoprì' così che mandanti e finanziatori dell'impresa erano un 'mitico' sultano musulmano di Babilonia, il re di Granada e gli ebrei. I rei confessi e tutti coloro che furono reputati colpevoli vennero immediatamente mandati al rogo, compresi donne e bambini, e i loro beni furono confiscati dalla corona. La caccia al lebbroso si concluse con un vero e proprio massacro: non soltanto la giustizia secolare, ma in alcune località anche il popolo, sopraffatto dal terrore, aveva autonomamente proceduto a esecuzioni sommarie di intere famiglie.
A partire dalla seconda metà del 14° secolo inizia il declino dell'epidemia europea di lebbra. Nel 15° secolo, per es., in Inghilterra e in Scozia se ne segnala ancora qualche caso, ma non la costruzione di nuovi lazzaretti; nel 16° secolo non si hanno quasi più tracce della malattia. Molteplici sono i fattori che hanno contribuito a questa regressione. Un elemento importante è certamente il fatto che, intorno alla metà del 14° secolo, le autorità politiche ed ecclesiastiche avevano identificato e concentrato i propri sforzi nella persecuzione di altre categorie pericolose nella Grande Caccia al deviante: in particolare eretici, ebrei e streghe. Nei processi per lebbra fu introdotto, per la prima volta, il ricorso all'esame del presunto lebbroso da parte di esperti con competenze mediche, esperti che, se possibile, erano scelti in base al criterio della non appartenenza alla comunità delle parti in causa. L'introduzione del sapere medico nei processi per lebbra fu inoltre sostenuta da alcuni testi in cui erano descritti i sintomi e i segni di questa malattia. A partire dal 1363, per es., iniziò a circolare in numerose copie il manoscritto La grande chirurgia di G. de Chauliac, medico personale di papa Clemente VI, che, tra le altre cose, conteneva una lista accurata dei segni inconfondibili della lebbra. La medicalizzazione dei processi ebbe la conseguenza di limitare notevolmente gli abusi perpetrati nel periodo della Grande Caccia. Un altro elemento indicato dagli storici come determinante è la peste nera, che colpì con particolare violenza, sterminandoli, coloro che erano già fortemente indeboliti dalla lebbra e segregati nei lazzaretti. Questi erano luoghi d'elezione per la propagazione del contagio e molti di essi furono trovati vuoti alla fine della pestilenza. Infine, un terzo elemento è l'insorgere, in questo periodo, della tubercolosi che è caratterizzata da un agente patogeno simile a quello della lebbra, ma notevolmente più aggressivo, e che immunizza da Mycobacterium leprae. La lebbra sparisce progressivamente dalla mappa dell'Europa procedendo da sud verso nord. Ancora alcuni casi di questa malattia erano segnalati in Scandinavia alla fine del 19° secolo. Non è dunque casuale che sia stato proprio un danese, D.D. Danielssen, a fornire, negli anni Quaranta del 19° secolo, la prima accurata descrizione delle caratteristiche cliniche della lebbra lepromatosa e che il microrganismo che la determina, Mycobacterium leprae, sia stato scoperto, nel 1873, da un norvegese, G.H.A. Hansen.
Attualmente la lebbra è debellata nei paesi occidentali, ma resta un gravissimo problema di sanità pubblica in molti paesi africani, del Sud e del Sud-Est asiatico e dell'America Meridionale. Nel 1985, i lebbrosi nel mondo erano ancora oltre 10 milioni; grazie ai risultati conseguiti dal Programma per l'eliminazione della lebbra (LEP, Leprosy elimination program) promosso dall'Organizzazione mondiale della sanità, il numero dei malati registrati è oggi limitato a 800.000 (dati OMS, gennaio 1999). Persistono, tuttavia, l'antico stigma del lebbroso e i comportamenti sociali e sanitari conseguenti. Fino al termine del 20° secolo i malati di lebbra sono stati vittime dell'esclusione sociale, con perdita del posto di lavoro, allontanamento da famiglia e comunità, sino alla reclusione forzata nei lebbrosari. Per molte delle popolazioni colpite dalla lebbra, lo stigma morale e le pratiche di esclusione sono in larga misura una conseguenza indiretta dell'espansione coloniale occidentale. Esemplare in tal senso è il caso delle isole Hawaii, 'scoperte' da J. Cook nel 1778, dove la lebbra, inesistente prima di questa data, fu dichiarata malattia endemica nel 1863. Due anni dopo, il re hawaiano, conformemente al modello occidentale d'esclusione dei lebbrosi, decretò la necessità di una rigida politica di segregazione. Soltanto pochi mesi dopo era già operativo un campo di concentramento per i lebbrosi in una penisola sulla costa settentrionale dell'isola di Molokai: circondata da tre parti dal mare e separata dal resto dell'isola da uno strapiombo, costituiva un lebbrosario a prova d'evasione, nel quale le condizioni di vita (alimentari, igieniche e sanitarie) erano al limite dell'umano. La lebbra veniva considerata incurabile e la segregazione nel campo era dunque necessariamente a vita. Un ruolo importante nella storia di questa malattia è stato svolto dai missionari cristiani. In modo particolare nel periodo concomitante con l'espansione coloniale e imperialistica del 19° e del 20° secolo, i missionari hanno sovente associato all'obiettivo dell'evangelizzazione la cura dei lebbrosi. Quest'ultima, infatti, sulla scorta dell'esempio evangelico, era considerata una delle espressioni più alte della carità cristiana. Di fatto è accaduto che, in mancanza di personale medico sufficiente, ai religiosi fosse conferita la responsabilità, e di conseguenza l'autorità, di prendersi cura dei malati, che a loro volta attribuivano a essi competenze cliniche, sovrapponendo alla figura del religioso quella del curatore. Allo stesso tempo, gli stessi missionari si trovarono a importare, nelle aree geografiche in cui operavano, il paradigma della lebbra come malattia moralmente stigmatizzata. Essi, nel corso delle loro attività d'evangelizzazione e di carità, hanno pubblicato numerosi bollettini e articoli sulla lebbra e non è raro imbattersi in testi nei quali ricorre il vecchio significato biblico della malattia. In molti casi, lo stigma della lebbra era di fatto estraneo alle comunità in cui i missionari operavano. I meccanismi d'esclusione e di reclusione dei lebbrosi sono stati il paradossale contributo della carità cristiana al mondo che i missionari cercavano di convertire e salvare.
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