LECCE (A. T., 27-28-29)
Città della Terra d'Otranto, capoluogo di provincia, situata nel mezzo della Penisola Salentina ma più vicina all'Adriatico (12 km.) che all'Ionio (24 km.), a 51 m. d'altezza. Sorge sulla più vasta area di quel particolare terreno, calcareo-marnoso del Miocene, che nell'Italia meridionale s'incontra quasi esclusivamente nella Terra d'Otranto e che viene comunemente conosciuto col nome di "pietra leccese", facilmente scavabile e tagliabile. La pianta di Lecce ha figura pressoché trapezoidale; per una considerevole parte, specie verso O., il centro abitato conserva la linea delle sue antiche mura, lungo le quali gira un viale di circonvallazione ornato da olmi e robinie; delle vecchie porte esistono tuttora quella di S. Biagio a SE., Porta Rusce a O. e Porta Napoli a NO. Oggi nuovi rioni sono sorti in ogni direzione al di fuori della cerchia di mura, più vasti e popolati a sud e sudest. Le vie del nucleo urbano sono strette e tortuose; le principali convergono alla Piazza di S. Oronzo, tuttora il centro della vita cittadina. Degno di nota è il giardino pubblico. Lecce negli ultimi anni ha migliorato la sua rete stradale; la sua stazione balneare è San Cataldo, sull'Adriatico, l'antico Porto Adriano, con cui è congiunta con servizî di autobus e tram (in estate).
La popolazione di Lecce ha subito negli ultimi quattro secoli le oscillazioni a cui è andata soggetta la popolazione di quasi tutte le altre città dell'Italia meridionale: considerevole aumento nel '500 (fu calcolata in 20.400 abitanti nel 1532, figurando così Lecce al primo posto tra le città pugliesi, in circa 30.000 nel 1545 e in 36.000 nel 1595); forte diminuzione fra la metà del '600 e la metà del '700 (25.400 abitanti nel 1648, 18.000 nel 1669 e 13.200 nel 1737); costante incremento fra la metà del '700 e i nostri giorni: valutata in 15.000 abitanti verso il 1790 e censita in 21.345 nel 1861, la popolazione di Lecce salì a 32.687 ab. nel 1901, a 39.290 nel 1921 e a 46.782 nel 1931. Nel 1921, il 13% degli ab. costituiva la popolazione sparsa: a differenza di quel che si riscontra negli altri comuni del Salento, gli agricoltori di Lecce vivono tutti in case sparse nelle campagne.
Lecce è notevole centro commerciale: vi sono ancora in fiore i mercati settimanali del lunedì e venerdì e alcune fiere. Fra le industrie vanno ricordate la molitoria, la ceramica, la poligrafica, quella del vetro, della lavorazione del legno, quella delle cotognate, una importante manifattura di tabacchi e, industria singolare e di nobili tradizioni, la fabbricazione delle statue, delle figurine e dei giocattoli di cartapesta. Nelle campagne, oltre alle industrie vinicole e olearie, è notevolmente diffusa quella dei formaggi. Il territorio comunale, molto vasto (238,40 kmq.), è coperto da giardini e da fitte colture ortensi nelle vicinanze dell'abitato, da colture di cereali e tabacco e poi da uliveti e vigneti in tutto il resto; dalla parte dell'Adriatico sono prevalenti il seminativo e il pascolo, e ciò per la natura del terreno, paludoso e malarico, oggi bonificato o in via di bonifica.
Lecce ha stazione ferroviaria sulla Foggia-Gallipoli, ed è testa di linea per Francavilla, che a Novoli si biforca per Nardò.
Monumenti. - Dell'età antica restano un ipogeo greco-messapico del sec. IV a. C. con decorazione scolpita, e l'anfiteatro romano.
"Firenze del Barocco" chiamò il Gregorovius questa elegante cittadina: e invero qui l'arte barocca celebra i suoi fasti giovandosi della mirabile prestevolezza della "pietra leccese" che qui abbonda tenerissima e docile, bella di un colore caldo che accompagna la complicata molteplicità dell'unica intonazione stilistica. La quale da Lecce diffonde per tutta la penisola salentina i suoi schemi figurativi e persino i caratteristici manierismi e tutti ripete con tanta persistenza da confermare la lunga continuità di una fiorente scuola locale d'arte barocca. Fedeltà in quanto a fondamentali motivi d'ispirazione: poiché non fu mai così servile da inibirsi libere e originali innovazioni o nel trattamento quasi esasperato di alcuni elementi decorativi o nella classica predilezione di salde ed evidenti strutture architettoniche o nella ricerca di un equilibrio armonico fra quegli elementi e queste strutture. Così nel duomo, così nel palazzo e della prefettura e del seminario, così financo in Santa Croce.
La basilica di Santa Croce nasconde quasi interamente la sua origine (1353 da Gualtieri VI di Brienne duca d'Atene), sotto i rifacimenti barocchi (15491695) di Gabr. Riccardo, Francesco Antonio Zimbalo e Cesare Penna, architetti e scultori leccesi.
La facciata è un fantastico trionfo del più genuino barocco che pure non sommerge le membrature strutturali evidenti e poderose anche fra la esuberante dovizia decorativa. Un unico impeto schiude in basso i tre ampî portali fra sei grandi colonne e sottopone le cariatidi enormi del fregio della trabeazione a reggere la lunga balconata e sopra spalanca l'ornatissimo rosone centrale e dissemina statue e vasi fioriti e al di là del piano superiore spartito da colonne innalza il coronamento del fastigio. Nell'interno, a tre soleimi navate, ricchi capitelli nei grandi colonnati, festoni di alloro ricorrenti, altari a colonne tortili, fra cui sontuosissimo quello di S. Francesco di Paola con bassori lievi di Giuseppe Zimbalo, detto lo Zingarello.
Attiguo a S. Croce e ispirato a un barocco che riesce più agile e chiaro anche nella sovraccarica incrostazione degli ornati è il palazzo della prefettura, già convento dei celestini. E più disinvolta leggiadria rivela questo sontuoso barocco leccese nel palazzo del seminario, disegnato da G. Cino (1694-1709), con l'ampia e bella trifora al disopra del portale. Native forme del Rinascimento (1420-28), ispiranti anche i rifacimenti posteriori (1632), si ritrovano nel palazzo vescovile sveltito dal lungo loggiato, e una vivace grazia muove gli angioletti del fregio che ricorre sul portale della fiancata destra del duomo. Opera di Giuseppe Zimbalo (1661-1682) è il bel campanile a piani rastremati. Al medesimo artista si deve la sobria intonazione barocca di tutto quanto il duomo, completamente da lui rifatto (1659-70), nessuna traccia più comparendovi delle originarie forme romaniche in cui ebbe a sorgere per opera di Goffredo II conte di Lecce e del vescovo Formoso (1114). Altre notevoli chiese, tutte con varietà di modi riproducenti le medesime caratteristiche del barocco leccese, sono quella del Carmine, S. Angelo, S. Irene, S. Matteo, ecc.; e forme barocche o baroccheggianti improntano Porta Rusce (rifacimenti del 1703), Porta Napoli o Arco di Trionfo (1548) in onore di Carlo V, la Colonna di S. Oronzo (1661-82), il palazzo del Seggio o Sedile (1592) e altri edifici pubblici e privati, i quali rivelano in tutto o in parte la predilezione di particolari elementi barocchi nelle mensole enormi delle balaustre, nei portali a sesto ribassato e inquadrato, nelle transenne traforate di finestre, nei coronamenti a vasi fioriti, nelle colonne inserite negli spigoli in basso di edifici, ecc.
Singolarissima nei dintorni di Lecce è la chiesa dei Ss. Niccolò e Cataldo, eretta nel 1180 da Tancredi, allora conte di Lecce, e un tempo monastero di benedettini neri e poi olivetani.
Sotto i rimaneggiamenti barocchi (1716) rimane tuttora intatta la salda struttura architettonica, nella quale gli artisti locali, pur fedeli ai modi romanico-pugliesi, espressero le più diverse influenze. Schiettamente romanici si rivelano il portale della facciata e quello del fianco destro con affreschi del secolo XIII nelle lunette. Finissimo il triplice ornato del magnifico portale della facciata: in essa sono ravvicinati con delicati effetti di chiaroscuro motivi decorativi di varia derivazione. L'interno, a tre navate divise da otto pilastri polistili con archi e vòlte a botte in sesto acuto, è tutto improntato a modi oltre montani, i quali ne giustificherebbero l'attribuzione a qualche architetto cluniacense o cisterciense ispirantesi a forme borgognone, se già non comparissero altrove, accordati con accogliente eclettismo, segni di altre influenze come nella cupoletta emisferica, nel cui alto tamburo ad arcate rette da esili colonnine le maestranze pugliesi modificarono modelli bizantini.
Superstiti e superbi avanzi del castello di origine angioina, ampliato poi per ordine di Carlo V (1537-49) con cinta trapezoidale tutta bastionata, rimangono quattro poderosi baluardi, e nell'interno un bel salone gotico. Nel Museo provinciale sono raccolte varie tra cui alcuni dipinti di scuola veneziana.
A quindici chilometri da Lecce, in contrada della Masseria Cerrate, molto interessante è la chiesa basiliana di S. Maria di Cerrate, che conserva quasi intatta la sua originaria struttura architettonica (fine del sec. XII, primi del XIII) con sculture e affreschi di varia epoca.
Storia. - L'odierna Lecce, anche se non occupa la stessa area dell'antica città, è l'erede naturale di Lupiae, centro iapigio posto dagl'Itinerarî a 25 miglia da Brindisi. Benché le notizie geografiche non siano concordi sulla sua topografia, in quanto Strabone la pone nell'interno, e Plinio, Mela e Tolomeo la collocano sul mare, il dissidio è apparente perché il centro interno era collegato con un porto, dovuto ad Adriano, probabilmente nell'odierna baia di S. Cataldo, punto d'approdo di Ottaviano dalla Grecia dopo l'uccisione di Cesare, per cui variava la topografia a seconda del riferimento del geografo. All'imperatore Marco Aurelio, del quale si vantavano le origini salentine, si dovette il benessere economico e l'ampliamento edilizio. Municipio, inscritto nella tribù Camilia, comprese presto nel suo territorio il decaduto comune della iapigia Rudie.
Conquistata da Totila, riconquistata dai Greci 5 anni dopo, risaccheggiata da Totila nel 549, cominciò a decadere per le guerre dei Longobardi di Benevento e per la sua secolare fedeltà all'impero d'Oriente. Nei secoli seguenti fu disputata volta a volta da Saraceni, Greci, Longobardi, invasa da Ungheri e Slavi (922, 926, 946), saccheggiata da Saraceni sotto Berengario I e II (dal 914 al 944). Dalla morte di Ottone II (983) in poi, rimase in possesso dei Bizantini, compresa nel tema d'Italia avente a capo il catapano di Bari, ed ebbe da Bisanzio lingua, vescovo, rito, cultura, ordini monastici. Conquistata dai Normanni, aggregata alla contea di Puglia, fu eretta poi in contea a sé nella seconda metà del sec. XI. Da allora s'inizia la politica di soppiantare il vecchio monachismo greco, volgendosi alle Badie di Cava e di Montecassino e alla chiesa romana. Morto sul campo, senza eredi maschi, il 20 febbraio 1194, il quinto conte di Lecce, Tancredi, la contea passò a sua figlia Albira, alla cui morte tornò al demanio regio. Tornò poco dopo alla Corona di Sicilia e fu donata da Federico II a Manfredi, ora devota ora ribelle agli Svevi. Rimase più o meno pacificamente per più di mezzo secolo in potere dei Brienne, a cui era stata concessa da Carlo d'Angiò; fra essi fu il "duca di Atene", al quale Lecce deve nuove mura cittadine e lavori nel porto. Passò poi agli Enghien nel 1353, ed ebbe momenti burrascosi quando, sotto Maria d'Enghien sposata a Raimondello Orsini del Balzo nel 1385, fu unita a circa metà dei beni del reame di Napoli e provò le alterne vicende dell'ira e dell'amicizia della regina Giovanna II. Passò per successione ereditaria agli Orsini Del Balzo, che l'unirono al principato di Taranto, finché entrò nei dominî di Casa d'Aragona. Afflitta dalla peste frequentemente (1469, 1481, 1520, 1616), fu poi colonizzata, come molti altri paesi di Terra d'Otranto, da Greci oriundi di terre soggette ai Turchi nel 1515, 1636, 1682, ecc. La discesa di Carlo VIII diede origine in Lecce, come troppe altre volte prima e poi, a un moto di rivolta e di persecuzione contro gli Ebrei, la cui sinagoga fu convertita in chiesa cattolica. Fulcro dapprima della riscossa aragonese, fu organizzata poi a difesa dalla Spagna, che nel 1537 demolì la vecchia bicocca e costruì il nuovo castello e mura alte, scarpate e cinte di fossato e altre opere di fortificazione.
A datare dal sec. XIV le forze intellettuali di Lecce si spostano verso occidente; lo spirito militare cede a quello commerciale e manifatturiero. Scomparsi i "boni homines", i balivi, i mastrogiurati e le altre reminiscenze di dominio greco e longobardo, sorge l'Universitas civitatis Licii con grazie e privilegi, con dacia regolanti l'esazione di collette fiscali, e con capitoli proprî (il più antico del 1309), costituiti tutti a difesa dai padroni e dalle imposizioni fiscali, feudali e monastiche. Il governo di Maria d'Enghien fu il più chiaro. Cominciò a scomparire il latino dagli atti pubblici; negli statuti, nuova forma di libertà comunali sposate al potere regio, s'innestò il volgare. Nel secolo XV Lecce divenne convegno di mercanti: fiorentini (Pigli, Carnesecchi, Peruzzi), veneziani e genovesi (Fieschi e Spinola) e poi greci, albanesi, che stabilitisi più tardi, diedero alla città carattere orientale. Il '500 fu secolo di progresso, soprattutto per l'influenza mitigatrice e civilizzatrice della cultura e della religione.
Come altre città pugliesi, anche Lecce insorse nel 1647 sostenuta dal suo sindaco; la folla fece giustizia di don Giovanni d'Urraca, inviato per punire i sediziosi; ma nobili e baronaggio concorsero a domare la ribellione. Democratizzata il 9 febbraio 1799, iniziò la reazione avanti che giungessero le truppe del cardinal Ruffo. Con la legge eversiva della feudalità del 1806 Lecce vide frazionarsi il suo demanio comunale. Partecipò al moto carbonaro del 1821, e mandò un contingente armato per resistere alle truppe austriache. Nel 1848 elementi moderati costituirono un governo provvisorio e formarono la guardia nazionale. Costituitosi il partito liberale in circolo patriottico salentino, sottoscrisse il memorandum delle provincie confederate del 12 giugno 1848, di Basilicata, di Terra di Bari, di Capitanata, del Molise; e si collegò col moto liberale di tutte le provincie meridionali e della capitale. Con la reazione, dei 25 sottoposti a processo per reati politici furono condannati ai ferri 19 leccesi, tra cui Giuseppe Libertini e il duca Sigismondo Castromediano.
La provincia di Lecce. - È la provincia d'Italia che ha subito negli ultimi anni le maggiori variazioni territoriali: dal gennaio 1927 misura un'area di 2768 kmq., sulla quale il 21 aprile 1931 erano raccolti 487.138 ab., con una densità di 176 ab. per kmq. (nel 1921: 423.134 ab.). Essa abbraccia 91 comuni e ha per capoluogo Lecce. È il cosiddetto "tallone d'Italia" ed è costituita dalla parte estrema della penisola salentina, al di là della strozzatura nota col nome d'istmo salentino. Il terreno è pianeggiante nella sezione settentrionale, interrotto da linee di basse elevazioni (le Serre Salentine) dirette da NO. a SE. nella sezione meridionale; la quota più alta (201 m.) è nella Serra del Cianci; il suolo scende a terrazze tanto verso il Mare Ionio quanto verso l'Adriatico e il Canale di Otranto: su quest'ultimo i gradini sono avvicinati, sicché la costa appare molto ripida, e tale ripidità continua sotto il livello marino. Meno, peraltro, che in questa sezione, le coste della provincia di Lecce si presentano basse ed erano fino a poco tempo fa acquitrinose e fortemente malariche; esse sono ora in via di bonifica. I centri abitati sorgono, perciò, nell'interno e quivi sono pure maggiormente diffuse le colture intensive della regione, che sono l'uliveto, il tabacco, gli ortaggi, il vigneto e il frutteto (specialmente i fichi); per produzione di olio e di tabacco, il Leccese è al primo posto in tutta Italia; le aree litoranee sono messe prevalentemente a seminativo e a pascolo. Nella parte più meridionale (detta per antonomasia Capo) è fiorente l'industria delle marmellate di mele cotogne, le note "cotognate". (V. anche: terra d'otranto).
Bibl.: G. C. Infantino, Lecce Sacra, Lecce 1634; T. Angiulli, Lecce rosata, Lecce 1656; P. Marangio, Saggio storico della città di Lecce, Lecce 1807; G. B. Cantarelli, Storia di Lecce, Lecce 1885; L. De Simone, L. e i suoi monumenti descritti e illustrati, Lecce 1874; C. De Giorgi, S. Maria di Cerrate, Lecce 1889; C. Taramelli, Delle condizioni geologiche dei dintorni di Lecce, Genova 1903; C. De Giorgi, Lecce sotterranea, Lecce 1907; L. Fulvio, Osservazioni sull'anfiteatro di Lecce, Bari 1908; P. Palumbo, Storia di Lecce con documenti inediti, Lecce 1910; G. Palumbo, Lecce, Milano s. a.; C. De Giorgi, Cronologia dell'arte in terra d'Otranto, Lecce 1911; G. Gigli, Il tallone d'Italia, I: Lecce e dintorni, Bergamo 1911; M. S. Briggs, In the Heel of Italy, Londra 1910, trad. it. di O. Santarcangelo, Lecce 1913; C. De Giorgi, Note statistiche sul clima di Lecce, Lecce 1915; Tummarello e Carruggio, Guida di Lecce, Lecce 1929; A. Foscarini, Guida stor.-art. di Lecce, Lecce 1929; P. Romanelli e M. Bernardini, Il Museo Castromediano, Roma 1932; N. Vacca, La Corte d'appello di Lecce nella storia, Lecce 1931. - Per la città antica v. inoltre Corpus Inscript. Lat., IX, p. 5; H. Nissen, Ital. Landesk., II, Berlino 1902; Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, col. 1842.
Per la provincia di Lecce v.: C. De Giorgi, Note geologiche sulla provincia di Lecce, Lecce 1876; id., Geografia fisica e descrittiva della provincia di Lecce, voll. 2, Lecce 1897; id., Note e ricerche sui materiali edilizi adoperati nella provincia di Lecce, Bari 1902; id., Descrizione geologica e idrografica della provincia di Lecce, Lecce 1922; C. Colamonico, Zone di piovosità e densità di popolazione in prov. di Lecce, Firenze 1917; id., La piovosità della Terra d'Otranto, Roma 1917.