ACHEA, LEGA
. La Lega (Κοινόν degli Achei si venne lentamente costituendo tra il 280 e il 270 a. C. al più tardi. Stringeva con vincoli federali i dieci comuni (πόλεις) di Patre, Dime, Fare, Tritea, Egio, Bura, Cerinia, Egira, Pellene, Leonzio; tutti compresi nella regione detta Acaia (Peloponneso di NO.), e quindi affini per stirpe e per dialetto. A capo della Lega furono dapprima due magistrati annuali; poi nel 255-54 fu eletto un unico stratego con durata ancora annuale e con ufficio politico e insieme militare. Il primo stratego fu Margo di Cerinia. La superficie di questa prima Lega era di circa kmq.: 2335; la popolazione di circa 25.000 cittadini. Per un ventennio la Lega rimase nell'ombra., col proposito di conservarsi libera in mezzo alle mutevoli sorti dei popoli vicini e lontani. Entrò nella storia l'anno 251-0 quando Arato di Sicione (v. arato) annetteva la sua città natale alla Lega degli Achei. Sicione era comune d' importanza non comparabile ad alcuno dei dieci comuni achei; e però da quel momento sorse per la politica achea il problema di armonizzare, per mezzo degli istituti federali, autonomie comunali alquanto gelose e particolaristiche: problema la cui soluzione era il presupposto necessario dell'espandersi della Lega. Il Peloponneso infatti era allora, a prescindere da Sparta, le cui tradizioni erano di gloriosa egemonia, una costellazione di comuni governati da signori o tiranni, i quali si appoggiavano tutti alla monarchia macedonica. Espandersi, o anche soltanto durare, importava dunque trovare un equilibrio tra molte forze; su cui Sparta e Macedonia preminevano.
Contro la Macedonia. - Da principio la Lega e Arato (che fino alla morte ne fu la mente direttiva) si tennero ostili sia a Sparta sia alla Macedonia; e cercarono invece rincalzo presso Tolomeo II re di Egitto, che concesse a Sicione un prestito di 150 talenti (1.000.000 di lire oro). Poi approfittarono della pace o tregua stipulatasi nel 249 fra Macedonia ed Egitto per consolidarsi e per prepararsi. A primavera del 245 Arato, trentenne, fu per la prima volta eletto stratego; e poiché quello e il successivo furono anni fortunati per la Macedonia, che aveva ripreso a guerreggiare contro l'Egitto, gli amici dell'Egitto e del nuovo sovrano Tolomeo III Evergete non ne ebbero vantaggio; ma la Lega, con una condotta prudente, e qualche approccio col re macedone, evitò di averne danno. Tra la fine del 244 e il principio del 243 concluse anzi alleanza con Sparta, dove il re Agide introduceva talune riforme sociali ed economiche reclamate dalla grande proprietà rurale, e cioè soprattutto la "remissione dei debiti" che i grandi proprietarî avevano contratti con i detentori del capitale mobile. Dell'alleanza con Agide la Lega approfittò per impadronirsi di Corinto (estate 243), il cui possesso era della più grande importanza per la Macedonia, perché le assicurava il predominio nel Peloponneso. La Macedonia reagì incaricando i suoi alleati Etoli, anch'essi costituiti in Lega repubblicana di muovere alla riscossa. Gli Etoli attraversarono la Megaride, superarono sull'Istmo la resistenza dell'esercito acheo unito allo spartano, penetrarono fino a Pellene in Acaia. Fu un momento difficile, perché Agide e Arato vennero a contrasto, onde l'esercito di Sparta si ritrasse dalla guerra, e gli Achei rimasero soli. Ma Araio riuscì a sorprendere gli Etoli e li annientò. Poi, riconosciuta l'impossibilità di sostenere più oltre la guerra, si indusse a concludere la pace (242) con la Macedonia e con gli Etoli; e rimase in pace anche con Sparta, dove Agide fu rovesciato da Leonida. Corinto restò acquisita alla Lega: troppo era impegnato il regno macedone nelle lotte per il primato in Egeo e in Siria. Così la Lega si trovò, in confronto con gl'inizî, più che raddoppiata di territorio, e cresciuta di popolazione in misura anche maggiore.
Nel 239 moriva il re di Macedonia Antigono Gonata e gli succedeva Demetrio II, che si trovò impigliato in gravi difficoltà. Di queste trassero profitto Arato e la Lega. E si allearono a quegli Etoli che dianzi erano stati di valido aiuto alla Macedonia, ma che adesso erano in conflitto col nuovo sovrano per differenza di interessi. Era questa la terza alleanza sperimentata dagli Achei (dopo l'Egitto e dopo Sparta). Fu la più fortunata. Sebbene i tentativi di prendere Argo fallissero (237), riusciva invece l'accessione alla Lega delle tre (e forse quattro) massime città di Arcadia: Megalopoli, Orcomeno, Mantinea (e forse Tegea); che erano oltre 3460 kmq. con popolazione fitta e prospera. Ciò accadde nel 235, per effetto di un'incursione degli Etoli in Arcadia (236), e per iniziativa del tiranno di Megalopoli, Lidiade. Questi aveva reputato miglior consiglio accedere alla Lega piuttosto che lottare contro Achei ed Etoli con mezzi inadeguati e senza sufficiente aiuto della Macedonia. Onde parve in quel momento che l'alleanza fra la grande Lega repubblicana dell'Etolia e quella acaica del Peloponneso importasse l'unione delle forze liberali, ispirate dall'ideale generoso dell'autonomia, contro il monarcato di Macedonia e contro le tirannidi da esso favorite. Parve che il mondo greco, passato attraverso tante e tanto cruente esperienze, si avviasse ad attuare con gli statuti federali un nuovo e originale tipo di governo, in cui le antinomie dottrinali (libertà e autorità), le discordie sociali (oligarchia e democrazia), le antitesi politiche (comune e impero) riuscissero felicemente armonizzate o addirittura risolte. Se non che, la Macedonia venne presto alla riscossa. Demetrio II, libero da altre cure, affrontò nel 233 le due Leghe repubblicane, e le batté a Filacia, in maniera decisiva. L'alleanza acheo-etolica non si sciolse; anzi gli Achei collaborarono con gli Etoli nella guerra contro gli Illirî (230) e furono impegnati anche sul mare (battaglia di Paxos, 229): ma alla morte di Demetrio II (229) troviamo che Mantinea, Orcomeno, Tegea (e Cafie) non appartengono più agli Achei, bensì agli Etoli, probabilmente per effetto di trattato e a reciproco compenso dei danni e degli acquisti. A Demetrio II successe Filippo minorenne, sotto la reggenza di Antigono Dosone che presto si fece re. Questa crisi della monarchia tolse animo ai tiranni del Peloponneso che ancora resistevano ai progressi della Lega. Così nel maggio 229 il tiranno di Argo, Aristomaco, accedette agli Achei sull'esempio di Lidiade; poco dopo il medesimo avvenne di Egina, Ermione, Fliunte; in tutto kmq. 1900. Il progresso adunque era sensibile, e bilanciava in parte la perdita di quei comuni arcadici.
Proprio allora la Lega si trovò ad attraversare una delle sue crisi più gravi. Scoppiò quella che antichi e moderni definiscono "guerra cleomenica". Il nuovo re di Sparta, Cleomene III, prese un atteggiamento ostile alla Lega, e parve che a tale scopo si accordasse con gli Etoli; così che le due potenze da cui la Lega aveva avuto, in tempo opportuno, impulso al proprio incremento, le diventavano nemiche contemporaneamente: appunto per effetto di quello stesso incremento. D'accordo con gli Etoli, o almeno senza il loro contrasto, Cleomene s'impadronì di Tegea, Mantinea, Orcomeno, Cafie (kmq. 970); il dominio di Sparta venne in tal modo a spingersi dentro il territorio della Lega come un tentacolo insinuato fra Argo e Megalopoli. Gli Achei cercarono di evitare la guerra in cui erano isolati. Riuscirono a prendere d'improvviso Cafie; Cleomene rispose occupando Metidrio. La guerra fu inevitabile. Del pari inevitabile divenne allora che si cercasse agli Achei un'alleanza valida fuori del Peloponneso. E non c'era scelta: bisognava aprire trattative con la Macedonia. Ma come sarebbe stata accolta una proposta di alleanza, sia dall'assemblea degli Achei, sia dalla corte di Macedonia? Oltre vent'anni di inimicizia separavano i due paesi. Arato fece iniziare trattative segrete. Per mezzo di ambasciatori disegnò la coalizione di tutte le forze antietoliche e antispartane. Contro questo disegno si levò l'ex-tiranno di Megalopoli, Lidiade, il quale voleva la guerra dei soli Achei contro la sola Sparta. Il contrasto eruppe violento l'anno dopo (228) dinanzi all'assemblea straordinaria e plenaria detta sincleto; e Arato, per ottenere di essere rieletto stratego per l'anno 227, dovette far sua la tesi di Lidiade. Non era che una mossa di parlamentare, egli restava fedele nell'intimo alla propria idea, e dichiarava che, se la sorte della guerra volgesse sfavorevole, il disegno dell'alleanza si sarebbe potuto riprendere. Ciò avvenne. Una prima sconfitta toccò agli Achei presso il monte Liceo (maggio 227); ma ebbe compenso da ciò che Arato, creduto morto nella battaglia, riuscì a raccogliere alquante truppe e a condurle alla conquista di Mantinea. Subito dopo il re Cleomene mosse direttamente su Megalopoli e prese la posizione di Leuttra; Arato, accorso a difesa, si attenne a una difensiva prudente e temporeggiante; Lidiade invece, a capo della cavalleria, esaltatosi per un piccolo successo delle truppe leggiere, si lanciò all'assalto, contro l'ordine ricevuto, pagando con la morte e la disfatta dei suoi l'audacia arbitraria (estate 227). Cleomene con nuove occupazioni strinse intorno a Megalopoli un cerchio da est e da ovest. L'indignazione dell'assemblea achea fu violenta contro Arato. Ma peggio stava per accadere. Il rapporto delle forze militari fra Achei e Sparta era come di 3 a 2. Nell'inverno il re Cleomene con un ardito colpo di stato introdusse nella costituzione spartana tali riforme, prima statutarie e poi economiche e militari, per cui l'esercito di Sparta divenne qualitativamente e quantitativamente superiore a quello degli Achei. Giunta l'estate 226, Cleomene riconquistò Mantinea. Nell'autunno si scontrò con gli Achei a Dime nell'Acaia. I due eserciti rappresentavano il massimo sforzo dei due stati. Gli Achei avrebbero voluto evitare la prova, ma Cleomene li costrinse a combattere, e pienamente li vinse. Senz'altro mandò a dire agli Achei che offriva pace se gli concedessero l'egemonia. La risposta fu ritardata da una lunga malattia di lui protrattasi per tutto l'inverno. Del ritardo approfittò la diplomazia di Arato per colorire il disegno dell'alleanza macedonica. La scelta cadeva per gli Achei fra l'egemonia di Cleomene e l'egemonia di Antigono Dosone. Cleomene aveva contro di sé soprattutto le riforme economiche e sociali introdotte a Sparta l'inverno prima; le quali, avendo favorito i poveri contro i ricchi, sollevavano l'indignazione e lo spavento dei possidenti achei. Antigono invece aveva contro di sé la richiesta che la Lega gli cedesse la rocca di Corinto (Acrocorinto), chiave del Peloponneso. caparra di schiavitù. A vincere l'esitazione, Cleomene credette utile di conquistare uno dopo l'altro i maggiori comuni della Lega: Cafie, Feneo, Pellene, e finalmente Argo, e poi Fliunte e Cleone, e ancora Ermione, Trezene ed Epidauro. Pericolo corse persino la patria di Arato. Ma quando da ultimo anche Corinto, ribellatasi agli Achei, si diede a Cleomene, Arato, che aveva chiesto e ottenuto poteri dittatoriali (stratego autocratore), dimostrò che, perduta Corinto, non v'era da esitare a cederne la rocca al re di Macedonia. Onde l'alleanza con Antigono fu stipulata. E una nuova fase si aprì nella storia degli Achei.
Con la Macedonia. - Antigono Dosone non tardò a scendere nel Peloponneso. La durata della guerra ch'egli vi diresse è incerta e i moderni la calcolano variamente (con differenze di 1 e anche di 2 anni). Ma è certo che Cleomene non riuscì a impedire al Macedone il passaggio dell'Istmo; che le città achee lo abbandonarono o spontaneamente o costrette; e che alla fine egli fu annientato a Sellasia sulla strada di Sparta (223 o 222 o 221 a. C.). Perdette il trono, salvò la vita in Egitto, donde non ritornò più. La grande vittoria di Antigono, conseguita con le forze unite della Macedonia e degli Achei, dette suggello all'alleanza, e la confermò in una forma che per originalità si deve reputare la più complessa creazione costituzionale del genio politico greco. Fu cioè una grande simmachia o confederazione, a cui parteciparono con gli Achei e i Macedoni altri cinque e forse sette stati: Tessali, Epiroti, Acarnani, Beoti, Focesi; probabilmente Locresi ed Eubei. I varî popoli serbavano autonomia e anche sovranità; nessun decreto federale era valido senza la ratifica dei singoli federati. Un'assemblea comune, detta sinedrio era deputata a trattare la politica estera, in particolare a decidere della pace e della guerra. Essa era convocata e presieduta dal re di Macedonia, il quale comandava l'esercito federale. Questa Simmachia differiva dalla precedente fondata nel sec. IV da Filippo II di Macedonia, e rinnovata da Demetrio Poliorcete, perché quella era una federazione di comuni. Differiva ancora dalle Leghe come l'Etolica e l'Achea, perché quelle erano repubblicane. Conciliava dunque in un solo organismo repubblica e monarchia; confermava in un solo vincolo più federazioni. Al secolare contrasto fra l'unità di tutta la Grecia e la libertà dei singoli comuni, la novissima Simmachia poneva, come termine di mediazione, fra Comune e Impero, fra polis e basileus, l'istituto federale, il koinòn. La Lega achea dovette però pagare quest'innovazione accettando che il re di Macedonia mettesse le sue guarnigioni a Corinto e ad Orcomeno. Con questo era grande il pericolo che la Lega perdesse della propria autonomia e diventasse una dipendenza della Macedonia; e non poca industria, né sempre fortunata, dovettero porre i politici achei, primo Arato, per difendersi da tale pericolo. In compenso l'esistenza della Lega era garantita da una potenza prevalente.
Nel 221 venne a morte il re Antigono Dosone e gli successe Filippo V, ancor giovanissimo. Gli Etoli ne approfittarono per compiere incursioni nell'Acaia occidentale e nella Messenia. La Lega achea non era, o non si credette, in forze per affrontare da sola gli Etoli. Arato fu assai gravemente sconfitto a Cafie. Non rimaneva che appellarsi di nuovo alla Macedonia, attraverso il meccanismo della Simmachia: gli Achei ottennero che la Messenia fosse accolta tra i federati, e soccorsa da tutti. Non tutti si mostrarono ben disposti; ma Filippo cominciò la guerra che fu detta sociale o federale e che durò dal 219 al 217. Nel primo anno Filippo combatté in Etolia e in Acarnania, riportando successi non durevoli e spingendosi lungo il fiume Acheloo fino ad Eniade di fronte alla costa achea; aveva l'evidente intenzione di prepararsi ivi una base per passare nel Peloponneso; al che gli Achei lo sollecitavano con ambascerie, essendo impotenti a rintuzzare le scorrerie di un avventuriero etolico, nonché degli Elei comandati da un generale anch'esso etolico, e finalmente degli Spartani col nuovo re Licurgo. Il passaggio di Filippo nel Peloponneso avvenne di fatto nell'inverno sul 218: ma per altra via. Richiamato in Macedonia dalla minaccia dell'invasione dei Dardani, poiché fu sventata questa minaccia, il giovane re scese d'improvviso attraverso la Tessaglia e l'Eubea fino all'Istmo e a Corinto. Inflisse subito una sanguinosa lezione agli Elei, che col loro capo etolico si proponevano un assalto a Sicione; ma furono da Filippo sorpresi a Stinfalo. Unì poi le sue forze con quelle degli Achei (in tutto 10.000 uomini) e mosse a conquistare Psofide, fortezza reputata arcadica e posseduta dagli Elei; e ancora, sebbene nevicasse, saccheggiò l'Elide e occupò la Trifilia. Sorsero allora contrasti assai vivi fra la corte di Filippo e i magistrati achei: la Trifilia, desiderata dagli Achei, rimase in dominio diretto di Filippo; e tuttavia gli Achei sborsarono la somma di 50 talenti al re, gliene promisero 17 al mese per l'avvenire, e gli fornirono inoltre 10.000 medimni di grano. A stratego degli Achei Filippo fece nominare persona di sua scelta, Eperato, contro la candidatura di Timosseno, favorita da Arato. Venuta la buona stagione del 218, Filippo tentò invano la conquista dell'isola di Cefallenia, poi penetrò in Etolia, e giunse fino alla capitale Termo, che saccheggiò e distrusse. L'esercito etolico venne troppo tardi alla riscossa: Filippo passava invece nel Peloponneso e devastava la Laconia per rappresaglia delle molestie date dal re spartano Licurgo a Messene. Al ritorno corse rischio d'essere preso in mezzo proprio dinanzi a Sparta; ma una felice manovra lo fece salvo. Ritornò, fra i continui dissensi dei suoi cortigiani, Arato compreso, a Corinto; iniziò trattative di pace che non approdarono se non a una tregua di 30 giorni; si liberò, condannandoli in vario modo a morte, dei suoi consiglieri Leonzio, Megalea, Apelle; poi, venuto l'inverno, sciolse l'esercito e partì. Della sua partenza approfittarono gli Elei che, comandati sempre da un Etolo, corsero e devastarono le terre di Dime, Fare, Patre, posero campo sul monte Panacaico, misero il guasto nella regione del Rio, fino ad Egio, provocando fra gli Achei timore, malcontento, defezioni.
Nel 217, mentre Filippo era occupato a espugnare Tebe Ftiotica, donde gli Etoli facevano le loro scorrerie in Tessaglia, la Lega achea dovette da sola provvedere ai casi suoi contro Elei, Spartani ed Etoli. Poco noti sono gli avvenimenti di quell'estate. Vi fu una riforma nell'esercito; la quale è oscura nei particolari; ma da parecchi elementi si può desumere per congettura che il territorio della Lega fosse diviso in tre distretti o sintelie con centro rispettivamente a Patre, ad Argo, a Megalopoli; ciascun distretto difeso dal suo contingente di truppe, i primi due anche da due separate squadre navali. Un corpo mercenario di 8000 fanti e 500 cavalli (pagato verosimilmente da tutti i comuni confederati) rimaneva in riserva per essere dislocato a rafforzare di volta in volta la zona colpita. Fu inoltre necessario un intervento di Arato negli affari di Megalopoli, dove due partiti contendevano aspramente, certo per la crisi economica prodotta dalla guerra. Insufficienza finanziaria si verificava sensibilmente in quegli anni nella Lega: e la causa prima di tanti insuccessi, o solo parziali successi, e di certa trascuratezza e lentezza militare, va senza dubbio cercata nelle misere condizioni della finanza pubblica. I privati dovevano avere assai sofferto essi pure: si pensi che dal 250 per un trentennio la guerra fu quasi continua sotto l'una o l'altra forma. Essi erano inoltre riluttanti a compiere gravi sacrifici, il cui utile, attraverso la Simmachia, non ridondava agli Achei se non in parte. Così la Simmachia di più in più cessava di apparire vantaggiosa per apparire onerosa. Intanto le operazioni militari languivano. Un attacco combinato del re di Sparta Licurgo e del capo etolico dell'Elide, diretto contro la Messenia, fallì anche senza l'intervento di Arato. Due nuove invasioni degli Elei nell'Acaia propriamente detta furono rintuzzate dall'ipostratego Lico di Fare, la seconda anzi determinò l'incursione degli Achei nell'Elide, che si concluse con una battaglia vittoriosa. Contemporanei a tali vicende furono alcuni successi sul mare. Ma nell'agosto 217 Filippo si risolse per la pace. Finse un attacco contro l'Elide per vincere le riluttanze diplomatiche degli Etoli; ma finalmente stipulò un trattato con gli Etoli per sé e per tutti i Simmachi, sulla base dell'uti possidetis. Soli guadagni della Lega achea furono quelli conseguiti nell'inverno sul 218: Psofide in primo luogo, e poi Lasione e le fortezze di Tieo e di Strato. Ben maggiore era il guadagno della Macedonia, che si annetteva la Trifilia con Figalia nel Peloponneso, Tebe Ftiotica sul continente, Zacinto sul mare. Incuorato da questi successi, e dalla debolezza e prostrazione a cui riteneva si fossero ridotti gli Etoli, Filippo meditava più ampi disegni: gli era appena pervenuta la notizia della rotta di Roma al Trasimeno, e il più ascoltato dei suoi consiglieri, l'Demetrio di Faro, gli suggeriva di prender parte alla lotta mortale fra Roma e Cartagine in favore di Cartagine, cominciando col distruggere l'influenza romana in Illiria. Primo accenno alla connessione fra Roma e la Grecia, che doveva in breve diventare un'evidente necessità della politica e della storia greca.
Tre anni dopo (214) Arato moriva per lenta malattia: le sue relazioni col re Filippo e con la corte erano allora, per nuovi ripetuti dissidî, divenute tali che si diffuse la credenza egli fosse stato avvelenato per ordine del re. La Lega degli Achei rimase, così, priva del capo che oltre trent'anni l'aveva condotta e che ne aveva favorito gli accorgimenti e le fortune. E fu danno tanto più grave, perché poco dopo (211) quell'interferenza di Roma nella vita greca, di cui la pace del 217 era stata quasi un presagio, prese forma concreta attraverso un patto di alleanza fra Romani ed Etoli: patto pel quale furono con Roma gli alleati degli Etoli, cioè Elei e Lacedemoni e forse anche Messenî; fu contro Roma il nemico degli Etoli, Filippo, e quindi anche i suoi alleati Achei. Nella guerra che allora riarse la Lega perdette Egina, che l'armata romana agli ordini del console P. Sulpicio Galba le tolse per darla agli Etoli, i quali la vendettero al re Attalo di Pergamo. Dallo scacco acheo trasse animo Macanida, che dominava a Sparta come tutore del minorenne re Pelope,figlio di Licurgo, e che occupò Tegea. Gli Achei invocarono di nuovo il soccorso di Filippo, che poté difatti conseguire qualche piccolo prospero successo (209-208), spiegando un'attività non priva di ardimento né di fortuna. Ma era evidente che, se la Lega voleva vivere autonoma, doveva armarsi per bastare a sé stessa, o almeno per essere un'alleata autorevole e temibile. Interprete di tale evidente necessità si fece un nuovo politico, Filopemene da Megalopoli; il quale già a Sellasia si era segnalato, poi aveva avuto la sua scuola di guerra, comandando mercenarî a Creta; e infine era stato ipparco nel 210-09, riformando la cavalleria degli Achei per renderla atta al successo: e ora finalmente, nel 208-07 salì alla strategia e intraprese senz'altro la riforma dell'esercito. Riuscì in breve a comporre e ad addestrare adeguatamente un esercito che si calcola di 15-18.000 uomini (tra cittadini e mercenarî), atto dunque a fronteggiare i nemici che la Lega aveva nel Peloponneso. E anzi, essendosi Macanida avanzato da Tegea sopra Mantinea, in quel medesimo 207, Filopemene corse ad affrontarlo in campo aperto: e con perizia tattica non impari alla perizia strategica ottenne di batterlo e ucciderlo, conseguendo il primato militare contro la potenza militare più temibile e di migliori tradizioni che mai il Peloponneso avesse conosciuta.
Contemporanea alla vittoria degli Achei in Mantinea fu l'incursione vittoriosa di Filippo nel cuore dell'Etolia (207). I due successi indussero la coalizione etolo-spartana (che i Romani non potevano abbastanza aiutare per le vicende della guerra annibalica) a stipulare la pace (206), allargatasi poi (205) ai Romani col trattato di Fenice: pace che fu in massima sulla base dell'uti possidetis. La Lega degli Achei non riebbe Egina; ma sì Tegea che aveva riconquistata poco dopo la vittoria di Filopemene. Rimase da quel trattato garentita l'indipendenza di Sparta; dove a Macanida era succeduto, come tutore del re minorenne, un principe della famiglia reale, di nome Nabide. Non fu che una tregua, tuttavia; e la tregua durò fin tanto che Roma non ebbe vinto Cartagine a Zama (Naraggara) e concluso con la tremenda rivale una pace vittoriosa (201). Questa pace trovò Filippo impegnato in una guerra di equilibrio, di quelle che tra i potentati greci si combattevano con sorte alterna dalla fine di Alessandro Magno in poi. Adesso erano uniti Filippo V di Macedonia e Antioco III di Siria contro Tolomeo Epifane di Egitto (un bambino di pochi anni); e Filippo era pervenuto a conseguire il primato navale nell'Egeo, battendo Rodi a Lade, Rodi e Attalo a Chio. Roma cominciò col mandare in Grecia tre ambasciatori (C. Claudio Nerone, M. Emilio Lepido, P. Sempronio Tuditano) con l'incarico di tentare la mediazione fra Antioco e Tolomeo e di osservare lo stato delle cose. Subito dopo, il Senato romano propose ai comizî di dichiarare la guerra a Filippo, qualora egli non avesse accettato la dura condizione di riparare i danni recati agli amici del popolo romano dopo la pace di Fenice. Il primo voto dei comizî riuscì ostile alla proposta. Ma poiché frattanto i tre ambasciatori romani in Grecia avevano, con la promessa dell'appoggio romano, fortemente favorito l'alleanza di Rodi e di Attalo (i nemici di Filippo) con Atene, nonché spinto Atene a dichiarare la guerra contro Filippo, un secondo voto dei comizî indisse la guerra di Roma contro Filippo, a lato di Rodi, di Attalo, di Atene. Tale guerra rispondeva evidentemente agl'interessi di Roma quali erano allora sentiti e veduti dalla oligarchia senatoriale che dirigeva gli affari pubblici: la quale, orgogliosa del recente trionfo su Cartagine, sicura della potenza militare, desiderosa e certa di prede più cospicue e più proficue che non quelle fin allora raccolte, era risoluta a intervenire nei perenni contrasti del mondo ellenico per risolverli in proprio vantaggio. La debolezza degli stati greci, sia repubblicani sia monarchici, e specie la debolezza che proveniva dalla loro insanabile discordia e dalle continue guerre civili, era di per sé un aperto invito alla forza di Roma: era a ogni modo una garanzia che Roma poteva in Oriente combattere e vincere i Greci con le armi medesime dei Greci, cioè col solo porsi accanto a una delle due coalizioni che andavano guerreggiando. Questa la ragione profonda e non eliminabile onde Roma fu tratta in Grecia. Il pretesto fu una scorreria di Filippo nel suolo dell'Attica, determinata dal fatto che due cittadini acarnani (l'Acarnania era con Filippo) erano stati dagli Ateniesi trucidati come violatori dei sacri misteri di Eleusi: episodio che, implicando insieme onore nazionale e fede religiosa era quant'altro mai atto a persuadere l'una e l'altra parte che la nuova guerra era una guerra giusta.
Gli Achei, alleati di Filippo, dovevano dunque partecipare alla lotta contro Roma. Iniziatasi questa nell'autunno del 200, la Lega non dette però altro segno di attività che inviando un'ambasceria a Rodi per esortare alla pace. Gli Achei erano infatti molto perplessi sopra la condotta da seguire: l'amicizia loro con la Macedonia durava da 25 anni, ma era attenuata da molti rancori e da dissidî non sempre latenti; l'inimicizia contro Roma era a sua volta attenuata dal timore di quella così soverchiante e quasi incontenibile potenza militare e navale. Aiutare fortemente Filippo significava, in quei termini, correre un grave rischio con scarso vantaggio. Induceva a maggiore perplessità anche l'esempio degli Etoli che, alleati altra volta di Roma, preferivano adesso conservarsi neutrali. Sembrava infine più avveduto consiglio astenersi da un conflitto tanto complesso e badare piuttosto alle irrequiete mosse di Nabide divenuto re di Sparta. Un anno dopo, alla fine del 199, la campagna dei Romani in Macedonia e sul mare aveva avuto per effetto di rompere quasi affatto le comunicazioni di Filippo col Peloponneso; onde gli Achei videro mutarsi i termini del loro problema politico: nei comizî elettorali non discutevano neppur più se combattere o no per Filippo, ma se continuare la neutralità ovvero unirsi con Roma. Per la neutralità, nonché per la guerra contro Nabide, da condursi con più intera energia, stava Filopemene. Ma il sentimento pubblico non fu adesso con lui. Sebbene fosse venuto il turno abituale della sua elezione a stratego, gli Achei elessero invece Aristeno di Dime che era propenso a Roma. Filopemene, risentitosene, ritornò a combattere a Creta per altre cause: Filippo invece corse ai ripari, e ottenne di tenere avvinti a sé gli Achei ancora per qualche tempo, col prometter loro la Trifilia e Alifera (conquistate durante la guerra sociale, v. sopra) nonché Orcomeno ed Erea (conquistate da Antigono Dosone durante la guerra cleomenica); promesse che altre volte il re aveva fatte, ma che adesso ripeteva con più solennità, e che rispondevano a un desiderio ripetutamente espresso dagli Achei. Ma oramai più che queste trattative diplomatiche doveva contare in suo favore o in suo danno l'esito della nuova campagna di guerra (198): e fu esito a lui sfavorevolissimo. Nell'autunno 198 il console romano T. Quinzio Flaminino, operando d'accordo con un'armata navale comandata dal fratello Lucio, preparò un attacco a Corinto. Dopo i successi romani di quella estate gli Achei non dubitarono che anche Corinto sarebbe caduta. E come la cessione dell'acropoli di Corinto alla Macedonia era stata nel 225 il segno e il pegno dell'alleanza fra Lega achea e Macedonia, così ora l'assalto romano a Corinto fu il segnale e il pretesto per abbandonare apertamente la Macedonia e per stringere alleanza con Roma. La deliberazione fu presa fra vivaci contrasti, e fu opera di Aristeno: e importò la guerra a Filippo. Si chiudeva così una lunga fase della storia achea.
Con Roma. - Anche gli Etoli furono per i Romani. Lo stesso Nabide di Sparta, sebbene Filippo gli avesse ceduta Argo che si era distaccata dagli Achei per restar fedele alla Macedonia, chiese l'amicizia di Roma e, pur senza ottenerla esplicita, dette un contributo d'uomini all'esercito del console. All'aprirsi della nuova campagna nel 197 Flaminino aveva un esercito di oltre 25.000 uomini, un terzo dei quali erano Greci. Pare che fra questi mancassero gli Achei; certo, se non mancavano, erano poche centinaia: perché il presidio macedonico di Corinto (non più espugnata) e la minaccia di Nabide li tenevano impegnati nel Peloponneso. La campagna finì con la disfatta di Filippo a Cinoscefale. Nel medesimo giorno (o almeno circa quel giorno) gli Achei battevano al fiume Nemea il presidio macedonico di Corinto, uccidendo 1500 uomini e catturandone 800; era stratego Nicostrato (198-7). Conclusa la pace e ratificata dal Senato romano nel 196, Flaminino ai giuochi istmici di quell'anno proclamò la libertà di tutti i Greci, salvo i presidî di tre fortezze, una delle quali era appunto l'Acrocorinto, donde i Macedoni uscivano. Presidî temporanei, si disse, e che non contraddicevano troppo gravemente alla proclamata indipendenza della Grecia: tanto che l'entusiasmo fu immenso. E vi ebbero parte gli Achei, i quali potevano credere non già di aver sostituito all'egemonia macedonica la romana, ma di avere eliminato la macedonica senz'altro danno della propria sovranità. Di ciò meglio si convinsero ricevendo da Roma Corinto, ricevendo Erea e la Trifilia, ricevendo infine Argo che Flaminino ritolse a Nabide. Fu quest'ultima guerra, svoltasi nell'estate 195, quasi un'appendice della pace recente. Flaminino raccolse da tutti gli alleati greci di Roma un forte esercito, al quale la Lega contribuì con 10.000 fanti e 1000 cavalieri comandati dallo stratego Aristeno: ed era circa il terzo del totale. Interrotte da una fase di trattative, le ostilità durarono fino all'estate avanzata: terminarono con un terribile assalto a Sparta, che, se non fece cadere la città eroicamente difesa, indusse Nabide ad accettare le dure condizioni dei nemici. Gli Achei guadagnarono oltre Argo tutte le città laconiche (tranne Sparta); le quali dopo il 146 formavano una lega autonoma col titolo di Eleuterolaconi; e prima non sappiamo con certezza in qual maniera dipendessero dalla Lega. Così, ad onta di tutto, la Lega usciva ancora ingrandita da un conflitto che s'era manifestato in origine tanto grave e aveva imposto alla sua politica problemi tanto delicati, dubbî tanto angosciosi. La vittoria romana di Cinoscefale veniva a ribadire l'autonomia e la potenza degli Achei, così come un quarto di secolo prima la vittoria macedonica di Sellasia. Lunghe esitazioni e avviluppate trattative avevano adesso preceduto l'alleanza con Roma come allora l'alleanza con la Macedonia; in entrambi i casi s'era dovuto rinnegare il passato, disdire odî o avversioni molto profonde; ma s'era ottenuto di sussistere e di accrescersi. L'analogia era sottolineata da quel presidio romano che teneva l'Acrocorinto dond'era uscito il presidio macedonico. Una differenza sostanziale, tuttavia: la Lega era adesso più povera, il suo unico alleato era più potente.
Nuovo accrescimento ebbe la Lega pochi anni dopo, e ancora per l'aiuto romano. Il re Nabide di Sparta, scontento della pace onerosa, molestava gli Achei con una persistente guerriglia, inaspritasi nel 192 pel tentativo di riprendere le città laconiche ora dominate dalla Lega, e in particolare l'importante porto di Gizio. Filopemene, tornato da Creta e rieletto stratego, tentò di resistergli con le sole forze achee; e fu sfortunato sul mare, vittorioso invece per terra. L'intervento romano condusse prima a una tregua; ma subito dopo Nabide cadde vittima d'un assassinio, Sparta rimase senza valido governo, Filopemene ne intraprese l'assedio e finì per indurre la città a partecipare alla Lega. Aveva affrettato questo accordo la consapevolezza che le forze navali e terrestri di Roma erano in ogni caso tali da imporlo. Successo notevolissimo, quando si pensi alla lunga egemonia di Sparta sul Peloponneso, alla gloriosa tradizione del suo governo e del suo esercito, alla secolare resistenza contro ogni tentativo che ne menomasse l'autorità e la sovranità. Adesso gli Achei erano gli eredi di un patrimonio tanto cospicuo. Successi non minori conseguirono di lì a poco. Nella guerra fra Roma e Antioco il Grande di Siria (192-190) la Lega fu con Roma, si dimostrò anzi alleata fervida e zelante: per suggerimento di Flaminino dichiarò guerra ad Antioco (e agli stati alleati di lui) anche prima che la dichiarasse Roma; poi confermò di non avere altri amici e nemici all'infuori di quelli che avesse la repubblica romana; e furono dichiarazioni e conferme di particolare significato politico, perché Antioco si presentava come assertore della libertà di tutti i Greci. Anche Filopemene fu ora per i Romani. Parteciparono poi gli Achei alle operazioni di guerra, specie a Calcide nell'Eubea e a Pergamo in Asia; combatterono nella grande battaglia di Magnesia al Sipilo (190). Ma di tutto ciò ebbero ricco compenso: nel 191 Flaminino si fece mediatore della unione dei Messenî alla Lega, propiziatore anche della unione dell'Elide. Così il Peloponneso era oramai tutto unificato sotto la comunità della Lega; la quale realizzava quello che neanche Sparta nell'apogeo della potenza aveva mai potuto: la coincidenza dei confini politici con i confini geografici della penisola peloponnesiaca. La politica delle alleanze, di cui Arato aveva posto gli inizî, aveva condotto a tale risultato. Naturalmente, il valore della vittoria era in rapporto diretto con i mezzi adoperati a conquistarla: e come gli Achei non avevano vinto da soli, così non erano soli a dominare. La loro egemonia aveva implicito il limite, posto dalla maggiore e prevalente egemonia di Roma.
Da Roma la Lega ripeteva il proprio diritto d'esistenza e d'azione: così nel 189 il responso ambiguo del Senato romano circa un contrasto insorto tra gli Achei e Sparta bastò a Filopemene per invadere la Laconia, bastò ai Lacedemoni per ritenere inutile la lotta e per cedere. Filopemene inflisse loro una sanguinosa punizione (strage di Compasio); demolì le mura di Sparta, sottopose la città alle leggi comuni degli Achei, abolendo la costituzione di Licurgo. Raggiunta la massima estensione, il problema politico della Lega achea era adesso problema di conservazione, sia nel rispetto territoriale, sia nel rispetto diplomatico; cercare insomma che all'interno non sorgessero dissensi atti a rompere l'unità o a diminuire il territorio federale e che all'estero la tutela di Roma non diventasse oppressiva. Sui mezzi più adatti a conseguire tali fini potevano dissentire i varî partiti achei: sui fini non dissentirono. Ma i fini di per sé erano indizio di stasi e di involuzione nell'attività degli Achei, e palesavano che oramai la parabola ascendente era tutta percorsa, e bisognava, si volesse o no, percorrerne il ramo discendente. Gli atti compiuti da Filopemene a Sparta non furono approvati da Roma, ma neanche abrogati. La Lega fu anzi libera di fare qualche dimostrazione diplomatica contro l'amico di Roma Eumene di Pergamo, e d'iniziare e di concludere trattative per il rinnovo dell'alleanza con l'Egitto, nel quale taluni politici achei credevano di trovare un qualche contrappeso alla prevalenza romana. A Q. Cecilio Metello, inviato da Roma ambasciatore agli Achei nel 185, la maggioranza del governo acheo non dette le soddisfazioni che egli esigeva, e lo lasciò partire irritatissimo. Pari resistenza oppose l'anno dopo ad Appio Claudio Pulcro; e ciò soprattutto per l'opera energica dello stratego Licorta di Megalopoli, padre del celebre storico Polibio. Non più soddisfatto ritornò a Roma nel 182 un terzo ambasciatore, Q. Marcio Filippo; onde Roma, fastidita delle minuscole beghe per cui quei Greculi s'accapigliavano, finì con l'interessarsene così blandamente che parve quasi disinteressata. Gli Achei ne approfittarono, sotto la guida del vecchio Filopemene, per reprimere con la forza una ribellione di Messene; e poiché nell'impresa Filopemene trovò la morte, Licorta ne continuò il comando, devastò spietatamente il territorio messenico, penetrò in Messene, e la riammise nella Lega, riducendone però il territorio. Roma dette la ratifica al fatto compiuto. E allora Licorta mise ordine anche nelle relazioni sempre agitate fra la Lega e Sparta, confermando tra loro il vincolo federale, a patto che fossero sbanditi da Sparta quanti avevano cospirato contro gli Achei. Roma consigliò moderazione, ma lasciò fare. Era dunque una considerevole libertà, questa che la Lega aveva e rivendicava; né davvero la mano di Roma gravava troppo pesantemente. Ma si determinò adesso fra gli Achei un movimento diverso: v'erano uomini, della generazione formatasi alla politica dopo le vittorie romane di Cinoscefale e di Magnesia, i quali reputavano che il metodo di Filopemene e di Licorta non convenisse agli interessi achei, che tendesse troppo la corda e che accumulasse, se non il rancore, certo il dispetto del Senato romano. Pareva a costoro che con Roma si dovessero mantenere relazioni più cordiali, più calde; rafforzando l'intesa, transigendo sulle questioni minori e minime, collaborando nelle questioni maggiori e massime. Stimavano che così la Lega avesse miglior probabilità di durare, e anzi di durare libera. Capeggiava il nuovo partito Callicrate da Leonzio, il quale, ambasciatore a Roma nel 180, e stratego degli Achei nel 179, dette prova della sua politica filoromana accettando, nei riguardi di Sparta e di Messene, i consigli moderatori di Roma.
Scoppiata nel 171 la guerra tra Roma e il re macedone Perseo, gli Achei mandarono nell'esercito romano 1500 fanti. Nell'autunno del 170 ai comizî elettorali né Callicrate né Licorta riuscirono eletti, bensì Arcone che fra le due tesi opposte ne rappresentava una intermedia e moderata. Fu però profferto ai Romani l'aiuto di tutto l'esercito acheo. Terminata con vantaggio di Roma la dura campagna del 169, gli Achei non osarono mostrare alcuna simpatia palese per la causa di Perseo; solo si astennero, con un pretesto formale, dal fornire al comandante romano, che lo richiedeva, un corpo di 5000 uomini. Finalmente, chiusasi la guerra con la vittoria romana di Pidna nel 168 e con lo sfacelo del regno macedonico, i Romani procedettero alla punizione di quanti, stati ed individui, avevano attraversato l'opera delle legioni. La Lega era rimasta fedele e non poteva essere punita. Ma gli avversarî di Callicrate furono da lui denunziati al vincitore come nemici del nome romano. Due ambasciatori compirono l'inchiesta, difficile per la mancanza o l'insufficienza delle prove. Più di mille furono gli accusati; l'assemblea non osò condannarli, gli ambasciatori non osarono insistere; su proposta di uno degli accusati si deliberò che tutti fossero deportati in Italia per essere uditi dal Senato di Roma. Il processo non avvenne mai. Il Senato, richiesto dagli Achei di un sollecito giudizio, rispose secondo verità: che il rimpatrio di quei mille non avrebbe giovato né a Roma né agli Achei. Era tra essi lo storico Polibio che aveva avuto l'ufficio di ipparco nel 170 agli ordini dello stratego Arcone; e che, tepido allora, divenne poi zelatore convinto della causa e della grandezza romana. Il suo esempio dimostrava la prudenza del Senato di Roma per aver evitato insieme la condanna e il proscioglimento degli imputati. Del resto anche dalla terza macedonica gli Achei ebbero qualche guadagno territoriale. Ricevettero Pleurone nella Etolia, che però conservarono solo per poco, e non molto dopo, non sappiamo bene quando, Eraclea al monte Eta.
Contro Roma. - Ma intanto fra gli Achei la tendenza antiromana persisteva. Compressa pel momento, priva di mezzi e, si può dire, di voce, fermentava in occulto, prendendo incentivo da ogni episodio della cronaca politica. Giacché, poste come erano le cose, qualunque piccolo litigio che dividesse le opinioni dei comuni achei o degli stati greci, era inevitabile che finisse dinanzi al giudizio del Senato romano: le sentenze del quale erano alla lor volta causa di nuove discussioni o di cavillose interpretazioni o di subdole elusioni; quasi ogni partito si compiacesse di provare con i fatti che sotto la tutela di Roma la risse civili dei Greci potevano continuare come nel sec. V e nel IV sotto la tutela persiana e nel III sotto la tutela macedonica. Così uno dei nostri informatori (Pausania) ci racconta con minuti particolari la bega insorta tra Atene e Oropo e la successiva mediazione degli Achei; bega su cui si pronunziò anche Roma, e che dette occasione agli Achei antiromani di tessere intrighi. Callicrate, che perseverava nella propria direttiva, citò in giudizio il capo di quelli, lo spartano Menalcida. Così il contrasto dei due partiti divenne senz'altro contrasto fra la Lega e Sparta; e si riaprì la controversia sul carattere e sui limiti della dipendenza di Sparta dagli Achei. Per evitare la guerra, Sparta s'indusse ad accettare il bando di ventiquattro tra i principali suoi cittadini, compreso Menalcida. Costoro s'affrettarono a Roma. Callicrate vi si recò a sua volta per confutarli: ma venne a morte per malattia durante il viaggio.
Gli successe Dieo. Ma le forze ostili a Roma andavano crescendo irresistibilmente. Esse si raccoglievano soprattutto nelle classi diseredate, perché Roma sosteneva al governo dei varî comuni i possidenti. Così che il problema meramente politico delle relazioni fra la Lega e Roma si complicava col problema sociale delle relazioni economiche e giuridiche fra abbienti e non abbienti; e la grave crisi economica che travagliava tutta la Grecia non poteva non inasprire prima il contrasto sociale e poi, per riflesso, il contrasto politico. Il felice risultato della nuova guerra condotta da Roma contro la Macedonia (148-7) rattenne ancora per un poco la ribellione degli Achei. Ma il conflitto sempre aperto con Sparta moltiplicava le occasioni. Ambasciatori romani vennero ad annunziare ch'era imminente l'arrivo di arbitri da Roma e dissero che fino allora bisognava evitare la guerra tra Achei e Spartani. La guerra scoppiò invece per iniziativa di Sparta e fu facilmente vittoriosa per gli Achei che vinsero in battaglia e corsero poi il territorio laconico. Dieo assunse allora la strategia e fece formale ossequio al consiglio romano; ma lo spartano Menalcida riaccese la guerra: rimasto peraltro senza successo si vide accusato dai concittadini e si ridusse a bere il veleno. Così, ad onta delle molte agitazioni, il partito filoromano aveva in ultimo la prevalenza. Fu allora che pervennero nel Peloponneso gli arbitri mandati da Roma in commissione presieduta da Aurelio Oreste. Costoro riferirono che il Senato romano aveva deliberato il distacco di Sparta, di Corinto, di Eraclea Etea, di Orcomeno dalla Lega degli Achei. Il proposito del Senato era evidentemente di indebolire la Lega per rendere meno pericolose le sue perpetue inquietudini: segno che a Roma si giudicava oramai inetto il partito di Dieo a fronteggiare le mene del partito contrario. Il giudizio non era sbagliato. Appena a Corinto fu resa nota la deliberazione del Senato gli Achei, insorsero, dettero la caccia agli Spartani presenti sul luogo, e non si peritarono d'inseguirli fino negli alloggi degli ambasciatori romani, con offesa patente del loro diritto e della loro dignità. Alla strategia fu poi elevato il più acerbo degli antiromani: un certo Critolao, il quale non esitava a dichiarare necessaria la guerra contro Roma. Toccò a lui di ricevere una nuova commissione di ambasciatori romani, ma la lasciò insoddisfatta, ritardando con pretesti la convocazione del sinedrio acheo. Poi preparò la guerra e strinse accordi con Tebe che aveva motivo di irritazione contro Roma per certa multa inflittale. A Roma, informata dai suoi ambasciatori e rappresentanti, non restava che allestire un esercito e un'armata per punire i sediziosi.
Le nostre fonti (Pausania e Polibio) ci segnalano come un fenomeno di stoltezza furiosa la propaganda di Critolao contro Roma e la guerra da lui intrapresa con forze tanto inadeguate: "l'audacia congiunta con la debolezza è piuttosto pazzia che disgrazia". Ma Critolao ebbe pure il consenso e l'entusiasmo della moltitudine. Sicché, meglio che di follia individuale o collettiva, il fenomeno fu di disperazione: fu la sollevazione di tutta una classe, la quale ritenne che peggio di quel che pativa non le sarebbe toccato di patire, neanche dopo la sconfitta; e in complesso non s'ingannò. La guerra fu cominciata da Q. Cecilio Metello, governatore della Macedonia, in attesa che pervenisse da Roma il console Mummio. Critolao non osò farglisi incontro, ma fu sorpreso e sconfitto a Scarfia nella Locride: dopo la battaglia non fu più veduto vivo né trovato morto. Il comando, secondo la norma costituzionale, passò allo stratego dell'anno prima, Dieo, che seguì la corrente e continuò la guerra. Per raccogliere uomini, dette la libertà a 12.000 schiavi, ordinò la leva in massa dei cittadini, e la leva tributaria di tutti gli abbienti, uomini e donne; ottenendo soltanto di accrescere la confusione in ogni ceto e in ogni comune. Ma oramai era come una valanga che travolgeva tutto e tutti. Intanto Metello conquistava Tebe, l'alleata degli Achei, si avanzava su Megara dove non trovò resistenza, e perveniva all'Istmo, donde faceva di nuovo annunziare agli Achei propositi di pace e d'indulgenza, che furono respinti. Sopraggiunse allora il console Mummio e assunse il comando. Gli Achei, inorgogliti da una felice scaramuccia di avamposti, attaccarono per primi. Ma la cavalleria fu quasi subito sopraffatta, e poi fu aggirata anche la fanteria. Dieo non ritenne riparo sufficiente neanche la vicina Corinto, dinanzi a cui era avvenuta la battaglia (Leucopetra): si ritirò in fretta sino a Megalopoli, e colà, disperando ormai della sorte della patria, bevve il veleno, dopo avere ucciso di sua mano la moglie perché non cadesse prigioniera. La rapida disfatta fu, a giudizio di Polibio, una fortuna per gli Achei, perché rese meno dura la immancabile vittoria romana. "Tutti avevano allora sulla bocca il proverbio: se non perdiamo subito, non ci salveremo più" (Pol., XXXVIII, 18, 12). Il vincitore Mummio esitò alquanto ad entrare in Corinto, temendo di agguati; ma nel terzo giorno prese la città e la incendiò, facendo preda delle opere d'arte che v'erano numerose e cospicue. Ma della vittoria usò parcamente, e il castigo ai sediziosi inflisse con moderazione. Abbatté le mura delle città che avevano combattuto contro Roma, sciolse i governi popolari, costituì magistrature oligarchiche di possidenti, abolì ogni maniera di federazioni, impose multe ai Beoti e agli Achei, ma a favore non di Roma bensì di altri Greci.
Così la Lega achea finiva nel 146 dopo un'esistenza di 135 anni. A poco a poco l'ordine romano condusse a nuovo assetto il Peloponneso e la Grecia tutta quanta: a facilitare l'adattamento e il trapasso contribuirono non poco quanti fra i Greci per diretta conoscenza delle cose romane e delle greche si erano ormai persuasi che nel dominio di Roma era adesso per la Grecia non la fine ma la rinascita. Erano tra costoro alcuni di quei mille imputati mandati dagli Achei a Roma nel 167: da Roma erano tornati in 300, liberi, nel 150; dei quali il più celebre e il più fattivo nell'interesse comune della Grecia e di Roma fu lo storico Polibio. A lui dobbiamo il meglio delle nostre cognizioni sulla Lega achea; per lui la Lega sopravvive nel ricordo delle generazioni. (v. acaia).
La costituzione. - La Lega Achea (κοινόν τῶν 'Αχαιῶν, 'Αγαιοί) era una federazione di città (πόλεις). Esisteva la cittadinanza federale accanto e sopra la cittadinanza di ogni singola città o comune: il diritto della cittadinanza federale poteva venir conferito a singoli, e veniva conferito a tutti i cittadini di un comune quando questo era annesso o accedeva alla Lega. La unione di un comune alla Lega avveniva sulla base di un accordo, che stabiliva i diritti e i doveri reciproci, nonché le particolari condizioni proprie di ciascun comune. L'accordo era giurato dalle due parti, e valeva come perpetuo. Poiché obbligava i due contraenti, restava così escluso sia che il comune potesse sciogliersi dalla Lega sia che la Lega potesse cederlo ad altri. Il distacco di un comune dalla Lega doveva perciò essere a sua volta consensuale; altrimenti era considerato di pieno diritto come una sedizione, reprimibile con la guerra. La politica estera (pace, guerra, diplomazia) e la politica militare erano di competenza della Lega. Il diritto privato invece era di competenza comunale. Il potere giudiziario era diviso in modo che la Lega giudicava i reati federali, il comune i reati comunali. Monete, pesi e misure erano uguali per tutta la Lega. L'ente comunale svolgeva così la propria esistenza entro i termini d'ogni territorio civico. Fuori da quei termini, se ne risentiva l'efficacia particolarmente in due occasioni: nella leva militare e nella leva tributaria. Allora la Lega procedeva al contingentamento, determinando quanti uomini o quanto denaro dovesse raccogliere ogni singolo comune. Il comune procedeva poi a suddividere la quota fra i singoli cittadini. È opinione prevalente dei moderni che anche nelle assemblee federali (di cui ora diremo) il voto avvenisse non per testa, ciascuno dei presenti votando per sé, ma per comune. Le assemblee federali erano di due tipi: un tipo portava il nome di sinodo (σύνοδος) l'altro quello di sinclèto (σύγκλητος). È molto controversa tra i moderni la distinzione precisa di queste due assemblee: ma è certo che la prima era meno numerosa della seconda, e più frequente; così che si può considerare come ordinaria l'una e straordinaria l'altra. Alla straordinaria partecipavano di diritto tutti gli Achei di oltre trent'anni; alla ordinaria solo gli appositi deputati. La convocazione dell'assemblea ordinaria pare che avvenisse a date prestabilite e periodiche. La convocazione dell'assemblea straordinaria era indetta o per decreto dell'ordinaria o per decreto del magistrato supremo. L'ordinaria si riuniva sempre a Egio; solo dal 189, quando la Lega ebbe dominio in tutto il Peloponneso, si riunì in un'altra qualunque delle città confederate: evidentemente secondo un turno. Sembra certo che erano riservate all'assemblea straordinaria le deliberazioni di interesse supremo: dichiarare la guerra, concludere la pace, stipulare un trattato, aiutare un alleato o un amico. Meno certa è la sua competenza in altri casi: come l'annessione di un nuovo comune. Ogni altro affare spettava all'assemblea ordinaria: così anche gli affari relativi alla guerra e alle relazioni diplomatiche, ma sempre in esecuzione del decreto votato nella straordinaria; e perciò anche gli affari relativi ai singoli comuni, ma sulla base del patto federale. Come in ogni altra assemblea, così anche in questa era naturale che particolare preminenza avessero i problemi finanziarî, sia dell'entrata che della spesa. Non tutti i critici moderni si accordano nel ritenere che i presenti alle deliberazioni ricevessero una diaria. Le deliberazioni e dell'una e dell'altra assemblea erano dette decreti (ψηϕίσματα). La redazione delle leggi (νόμοι) spettava invece a un'apposita magistratura. La elezione dei magistrati federali apparteneva infine a un'assemblea di terzo tipo (αρχαιριεσίαι) che assomigliava alla sincleto in quanto vi partecipavano per diritto tutti gli Achei di oltre trent'anni, ma se ne distingueva in quanto il voto (per alzata di mano) era individuale: essa era convocata a termine fisso ed eleggeva i magistrati che dovevano entrare in carica col capodanno immediata = mente successivo. L'intervallo fra elezione ed entrata in carica non fu uniforme, ma ora più ora meno breve. Tutti gli Achei di oltre trenta anni potevano essere eletti, senza limite di censo o di nascita. Un limite, ma forse solo consuetudinario, è testimoniato per la rielezione alla carica suprema di stratego; alla quale anche un uomo come Arato sarebbe stato innalzato solo ad anni alterni. Ma non è escluso che esistessero eccezioni. Il magistrato che cessasse dall'ufficio prima del termine legale (per morte, per dimissione, per condanna o per altra causa) era sostituito dalla persona che aveva tenuto il medesimo ufficio l'anno precedente: e ciò fino a che il nuovo eletto per l'anno successivo non fosse entrato in carica. All'uscire dall'ufficio il magistrato era tenuto al rendiconto. Si ha notizia di magistrati giudicati e assolti o condannati (a multa, a morte) ora dall'assemblea federale ora da una corte di giustizia. Lo stratego era assistito nel governo da una giunta federale costituita da dieci demiurgi; le sue funzioni erano complesse, specialmente perché avevano insieme carattere militare, pel supremo comando dell'esercito, e carattere politico, pel disbrigo di ogni affare pubblico, e carattere parlamentare, per le relazioni con l'assemblea ordinaria e con la straordinaria. Il sigillo dello stato era in sue mani. L'anno si denominava da lui ("eponimia"). Egli presiedeva alle assemblee. In casi d'urgenza poteva prevenirne i decreti e chiedere poi la sanzione. In casi di particolare gravità poteva assumere, per volere dell'assemblea, potere dittatoriale; e allora si denominava "autocràtore": altra volta l'autocrazia era affidata a persona diversa, così che veniva a sospendere o a limitare i poteri ordinarî dello stratego in carica. Ma questa seconda eventualità è controversa. Un capo a parte aveva la cavalleria, e si chiamava ipparco; e rappresentava la seconda alta carica dello stato. Subito dopo veniva l'ammiraglio o navarco; che ebbe scarsa importanza perché di scarsa importanza fu sempre l'armata navale degli Achei, ad onta delle coste molto estese e delle tradizioni di Corinto e di Sparta. Esisteva inoltre un segretario generale (γραμματεύς) e un tesoriere (ταμίας).
Bibl.: Dubois, Les lengues étolienne et achéenne, Parigi 1885; Freeman, History of Federal Government, 2ª ed., Londra 1893; Niccolini, La confederazione achea, Pisa 1914; A. Ferrabino, Arato di Sicione e l'Idea federale, Firenze 1921 [fino all'anno 214 a. C.]; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2a ed., Berlino 1927, IV [fino all'anno 217 a. C.]; Niese, Geshichte der griechischen und makedonischen Staaten seit der Schlacht bei Chaeroneia, Gotha 1893-1903; Colin, Rome et la Grèce de 200 à 140 avant J. Ch., Parigi 1905; Holleaux, Rome, la Grèce et les monarchies hellénistiques au IIIme siècle avant J. Ch. (273-205), Parigi 1921.
Per la costituzione degli Achei il meglio è in Hermann-Swoboda, Lehrbuch der griechischen Antiquitäten, 6ª ed., Tubinga 1913, I, III, e ora in Busolt-Swoboda, Griechische Staatskunde, II, Monaco 1926.