Cambrai, lega di
A Cambrai, cittadina al confine tra la Francia e le Fiandre, il 10 dicembre 1508 l’imperatore Massimiliano d’Asburgo e il re di Francia Luigi XII stipulano un trattato di pace e di alleanza. L’intesa tra i due sovrani, rappresentati rispettivamente da Margherita d’Asburgo, figlia di Massimiliano e già incaricata del governo delle Fiandre, e dal cardinale di Rouen Georges d’Amboise, si realizza dopo anni di rapporti difficili, segnati dall’occupazione francese del ducato di Milano iniziata nel 1499. «Spargendo fama di convenirsi – scrive Francesco Guicciardini nella Storia d’Italia (VIII i) – per trattare la pace tra l’arciduca e il duca di Ghelleri [Gheldria]», Carlo di Egmond (che nel 1492, sostenuto dalla Francia, ha sottratto il ducato a Massimiliano), in realtà le due potenze stringono un’unione militare antiveneziana che, proprio per questo, si vorrebbe mantenere segreta, come avrebbe ricordato anche M. nel Memoriale a Raffaello Girolami, politico fiorentino inviato in Spagna come ambasciatore nel 1522 (SPM, p. 658). Nel pio preambolo del trattato, alla cui stesura viene ammesso anche l’ambasciatore spagnolo, si afferma la volontà comune di muovere contro i nemici del nome di Cristo – gli infedeli –, di adoperarsi ad conservationem Reipublicae Christianae [...] ac etiam ad conservationem jurium et bonorum Sanctae Sedis Apostolicae («per conservare la Respublica christiana [...] e anche per salvaguardare i diritti e i beni della Santa sede apostolica»), dunque, anzitutto, di recuperare le terre che la Serenissima ha sottratto alla Chiesa. Nel documento (Dumont 1726, p. 114) viene quindi convenuto di muovere guerra contro la Repubblica di Venezia ed è fissato nei particolari quanto, in caso di vittoria, spetterebbe a ciascuno dei coalizzati: al papa Giulio II le città di Ravenna, Cervia, Rimini, Faenza, Imola e Cesena; all’imperatore Padova, Verona, Vicenza, Treviso, Rovereto e il Friuli; alla Francia i territori di Cremona, Crema, Brescia, Bergamo e la Ghiara d’Adda; al re Ferdinando d’Aragona Trani, Brindisi, Otranto, Gallipoli e gli altri porti pugliesi tenuti dai veneziani; così come al duca di Ferrara Alfonso I il Polesine di Rovigo e al duca di Mantova Francesco II le cittadine di Peschiera, Asola e Lonato; al duca di Savoia Carlo III e al re d’Ungheria, qualora avessero partecipato all’alleanza, vengono promesse rispettivamente l’isola di Cipro e la Dalmazia. Oltre, poi, alla risoluzione del dissidio tra il duca di Gheldria e l’arciduca, fra le clausole del trattato è inserita l’investitura imperiale del re di Francia, Francesco d’Angoulême, già promesso sposo della figlia di Luigi XII, Claudia, e dei suoi discendenti maschi, del ducato di Milano, per il quale il re cristianissimo avrebbe dovuto corrispondere a Massimiliano d’Asburgo centomila ducati d’oro.
«Con questi semi di gravissime guerre finì l’anno mille cinquecent’otto»: così Guicciardini conclude la sua narrazione dell’incontro svoltosi a Cambrai. In effetti, nelle settimane e nei mesi successivi perviene la ratifica del trattato anche da parte del re Ferdinando d’Aragona: come scrive Vettori, «acconsentì, e poteva facilmente comprendere che se Francia vinceva, poteva ciò che voleva; se i viniziani vincevano, era il medesimo, e l’uno e l’altro era per nuocerli» (Francesco Vettori a M., 16 maggio 1514).
Si assiste quindi alla formazione di una grande coalizione internazionale, cui aderiscono, oltre all’Inghilterra e all’Ungheria, quasi tutti gli Stati italiani, fatta eccezione per Firenze, il ducato di Ferrara, il marchesato di Mantova e il ducato di Savoia. Giulio II prende tempo. Nonostante nel trattato «si dicesse intervenirvi il mandato del papa e del re d’Aragona, fu fatto senza mandato o consentimento loro» (F. Guicciardini, Storia d’Italia VIII i). Giulio, il cui mancato consenso avrebbe di fatto reso vana la confederazione, aderisce alla lega solo il 23 marzo 1509, dopo avere esperito vari tentativi con Venezia per rientrare in possesso delle terre di Romagna senza avallare un’operazione che avrebbe comportato il rafforzamento delle potenze straniere in Italia. Il 4 aprile Venezia accetta tardivamente di restituire Faenza e Rimini e avvia un’estrema attività diplomatica con l’imperatore, il re d’Inghilterra e gli svizzeri, per scongiurare la guerra imminente. L’apertura delle ostilità ai primi di aprile, come annunciato nel trattato di Cambrai, seguita il 27 dello stesso mese dalla bolla papale di scomunica contro la Serenissima, porta rapidamente il 14 maggio 1509 alla rovinosa sconfitta veneziana ad Agnadello (→), quando, come osserva M., «in una giornata, [i veneziani] perderno ciò che in ottocento anni con tanta fatica avevono acquistato» (Principe xii 26). Sopraffatta dalle imponenti forze messe in campo dalla grande coalizione, la città lagunare è minacciata direttamente, mentre i suoi possedimenti di terraferma vengono lacerati da un’esplosione di conflitti bellici, politici e sociali che si protraggono per molti mesi e che mettono a dura prova la sorprendente capacità di resistenza delle popolazioni dei domini veneziani. Al riguardo, M. scrisse pagine appassionate mentre si trovava a Verona per una legazione presso l’imperatore:
nelli animi di questi contadini è entrato uno desiderio di morire e vendicarsi, che sono diventati più ostinati e arrabbiati contro a’ nemici de’ veneziani che non erano e’ giudei contro a’ romani, e tutto dì occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per non negare el nome viniziano [...]; dimodoché, considerato tutto, è impossibile che questi re tenghino questi paesi con questi paesani vivi (M. ai Dieci, da Verona, 26 nov. 1509, LCSG, 6° t., pp. 386-87, ma si veda a questo proposito anche Decennale II, vv. 193-216).
Negli ultimi mesi del 1509, la rimonta militare veneziana e la volontà di Giulio II di non avvantaggiare troppo la Francia e l’impero si incontrano in una trama diplomatica che porta, il 24 febbraio 1510, alla revoca della scomunica contro Venezia in cambio della cessione alla Chiesa di tutte le città occupate, del riconoscimento alla stessa del diritto a intervenire sulle nomine vescovili nei territori della Serenissima e della rinuncia all’imposizione di decime sul clero senza beneplacito di Roma. Gli accordi di pace tra il papa e Venezia, che avvia negoziati anche con altri Stati avversari, eccetto l’imperatore, determinano di fatto la dissoluzione della lega di C., che ha già assolto, in massima parte, agli obiettivi territoriali fissati nel trattato, senza però ottenere l’annientamento della Repubblica di Venezia. Questa, drasticamente ridimensionata, avrebbe comunque impiegato diversi anni per riconquistare, a fatica e non appieno, i suoi domini di terraferma.
Nei mesi in cui le maggiori potenze europee e numerosi Stati italiani si coalizzano nella lega di C. per distruggere una Repubblica che, come scrive Guicciardini nella Storia d’Italia, aspira «allo imperio di tutta Italia», M. si trova impegnato (gennaio e giugno 1509) nella guerra per la riconquista di Pisa. In questo periodo, che include anche la rotta di Agnadello, non sono attestati commenti da parte di M. sulle vicende in Valle Padana. Ma è ovvio che egli seguisse con attenzione eventi così decisivi per il mutamento degli equilibri del sistema politico italiano. Ce lo conferma una lettera di Filippo da Casavecchia del 25 luglio 1509, in cui chiede a M. notizie «per intendere le cose di Gallia Cisalpina o vero Traspadana in che termine sono», e accenna a una precedente missiva, perduta, di M. su quelle vicende.
Già in una lettera del 28 settembre 1509 M. fa relazione ad Alamanno Salviati, allora capitano di Pisa, «delle cose di Padova et dello imperadore» mentre è in corso l’assedio imperiale alla città. Ma soprattutto i casi della guerra contro Venezia formano la materia dei dispacci inviati da M. nel successivo mese di novembre, durante una legazione a Mantova e a Verona presso l’imperatore che, costretto a togliere l’assedio a Padova e in gravi difficoltà finanziarie, ha chiesto un aiuto finanziario a Firenze, non partecipante alla lega di C., ma dichiaratamente avversa alla Serenissima.
Riferimenti diretti alla genesi della lega di C. si trovano nel secondo Decennale, redatto forse nel 1514, che si sofferma a lungo sugli avvenimenti del 1509:
Perché l’Imperio, sì com’io vi scribo, / sut’era offeso, et al buon re de’ galli / parve de’ venizian esser corribo: / così, perch’il disegno a Marco falli, / el papa e Spagna insieme tutt’a dua, / s’uniron con l’Imperio e’ gigli gialli. / Né steron punto de’ patti infra dua / ma subito convennon in Cambrai / ch’ognun s’andassi per le cosa sua (vv. 136-44).
M. lega l’origine della confederazione al desiderio di Massimiliano di recuperare i territori occupati da Venezia nell’ambito di una politica espansionistica messa in atto da tempo, e che, all’incirca un decennio prima, a proposito delle imprese veneziane di Romagna, aveva dettato a M. una lucida quanto profetica considerazione: «E fassi in summa questo iudizio, che la impresa che’ Viniziani hanno fatta di Faenza, o la sarà una porta che aprirrà loro tutta Italia, o la fia la ruina loro» (Legazione a Roma, dispaccio del 24 nov. 1503, LCSG, 3° t., p. 403).
Bibliografia: Fonti: A. Mocenigo, Bellum Cameracense, Venezia 1525; J.B. Dubos, Storia della lega fatta in Cambrai fra’ papa Giulio II, Massimiliano I imperadore, Luigi XII re di Francia, Ferdinando V re d’Aragona, e tutti i principi d’Italia contra la repubblica di Vinegia, Anversa (ma Venezia) 1718; J. Dumont, Corps universel diplomatique du droit des gens, 4° vol., Amsterdam 1726, pp. 109-16; I Diarii di Marino Sanuto, a cura di F. Stefani et al., 7°-8° voll., Venezia 1882.
Per gli studi critici si vedano: A. Bonardi, Venezia e la lega di Cambrai, «Nuovo archivio veneto», n.s., 1904, 7, pp. 209-44; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, 3° vol., Giulio II, Roma 1942; F. Seneca, Venezia e papa Giulio II, Padova 1962; A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del ’400 e ’500, Bari 1964; I. Cervelli, Machiavelli e la crisi dello stato veneziano, Napoli 1974; G. Sasso, Machiavelli e Venezia (Considerazioni e appunti), in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 3-46; A. Aubert, La crisi degli antichi stati italiani (1492-1521), Firenze 2003.