LEGA
. Il termine lega ha servito a designare, in Italia e poi anche in Francia (ligue), nel basso Medioevo e nei primi dell'età moderna, l'accordo temporaneo - di durata più o meno lunga - fra due o più stati, in vista di uno scopo specifico da raggiungere (guerra in comune, mantenimento di un certo statu quo territoriale, ecc.), mantenendo però in genere i contraenti intatta la loro piena sovranità e rimanendo ben distinti i differenti organismi statali. È stato quindi in sostanza il termine allora usato per designare quella che oggi viene denominata alleanza (termine quest'ultimo che in italiano appare solo col sec. XVI). Vigono, quindi, in genere, per la lega le differenze specifiche che distinguono l'alleanza dalla confederazione e dalla federazione: per quanto il termine abbia servito talora anche nel significato di confederazione (Lega grigia, Leghe svizzere). Spesso però il termine servì a designare non l'accordo fra due o più stati, ma l'accordo e l'unione, nel seno di uno stesso stato, fra gruppi di cittadini, in vista di un fine comune da raggiungere magari contro l'autorità suprema dello stato (Lega del bene pubblico, Lega cattolica in Francia).
Talora la lega ha preso il nome dalla città in cui è stato conchiuso il patto (v. sotto il nome della località: cambrai; cognac; malines; smalcalda; talora invece la denominazione viene assunta senza riferimento a una località specifica, e delle principali fra queste leghe si tratterà qui appresso.
Lega lombarda.
La resa di Milano del 1162 aveva fatto ritenere a Federico Barbarossa che ogni pericolo fosse cessato in Italia e che la sua autorità si fosse consolidata. Ma i comuni diventavano sempre più baldanzosi, tanto che aiutarono Milano a ricostruire le sue mura. Nel 1164 Verona, Vicenza, Padova, Venezia avevano giurato una lega a difesa comune contro l'imperatore. Queste notizie e anche la forte ripresa del partito guelfo, attaccato ad Alessandro III, spinsero l'imperatore a una nuova discesa in Italia nel 1166. Intanto nel 1167, Cremona, Bergamo, Mantova, Brescia, Ferrara a imitazione della Lega di Verona giurarono una nuova lega a comune difesa salva tamen imperatoris fidelitate. Quest'espressione conferma sempre più che almeno teoricamente i comuni riconoscevano l'autorità dell'impero. Il convegno di Pontida (7 aprile 1167) al quale la storia tradizionale ha dato così grande importanza come a quello che avrebbe dato origine alla lega, fu in realtà preceduto da altri rimasti ignoti, mentre a quello di Pontida si attribuirono avvenimenti d'altri tempi e d'altri luoghi.
Il fatto che la lega si allargasse e che vi entrassero anche dei comuni i quali, come Cremona, erano già stati alleati dell'impero, prova il carattere nazionale di questa unione di comuni. Nel dicembre 1167, per intervento dell'arcivescovo di Milano Galdino, legato pontificio, la nuova lega venne giurata da non meno di 16 città: Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Ferrara, Brescia, Bergamo, Cremona, Milano, Lodi, Piacenza, Parma, Mantova, Modena, Bologna. Primo atto della lega: la fondazione d'una nuova città sul confluente della Bormida e del Tanaro in posizione strategica importantissima e che in onore del papa fu chiamata Alessandria. Nel 1168 una nuova concordia fu stretta fra il marchese Obizzo Malaspina e 17 città fra cui era Como, in passato accanita nemica di Milano e fedelissima all'imperatore. Verso il 1170 anche Pavia aderì alla lega. Dopo la battaglia di Legnano (v.), per le vicende della politica, Cremona e Tortona si ritirarono dalla lega, mentre Como che prima di Legnano si era accostata al partito imperiale, si riavvicinò alla lega, ma non vi stette che fin dopo la tregua di Venezia del 1177, la quale doveva durare sei anni. Da allora la lega non volse in condizioni troppo prospere. Le città tentarono di sottrarsi riprendendo la propria autonomia, specie per la politica estera. Si giunse così al 1183 quando si venne alla pace di Costanza (v.). Il periodo eroico della lega era finito.
Le città della lega erano rappresentate da inviati speciali: spesso gli stessi consoli del comune. Ma nello stesso 1167 ogni città provvide a nominare un proprio rappresentante o rettore. Generalmente era un console e quando si passò alla costituzione podestarile, lo stesso podestà fu anche rettore. Come avveniva per tutte le magistrature di quei tempi, il rettore, entrando in carica, giurava il sacramentum rectoriae col quale si obbligava a osservare le convenzioni stabilite fra le città della lega. Doveva intervenire di persona ai colloquia, che si tenevano nelle diverse città; ma era ammessa la rappresentanza in caso d'impedimento. I rettori della lega trattavano e deliberavano sulle questioni attinenti ai patti di reciproca alleanza fra le città confederate; quindi provvedevano ai mezzi per condurre la guerra contro l'imperatore, trattavano le questioni interne della lega ed esercitavano tutte quelle prerogative che erano di spettanza dell'imperatore: in ispecial modo imponevano gravami e taglie per i bisogni della lega e giudicavano anche in appello, ora isolatamente, ora collegialmente, ora per mezzo di una persona di loro fiducia
La Lega lombarda non si scioglie con la cessazione delle ostilità con Federico I, ma dura e la sua legittimità è riconosciuta nel trattato di pace di Costanza. Si comprende però come quelle prerogative appartenenti ai diritti dell'impero, che la lega esercitò quando era in guerra, ritornarono all'imperatore. La lega si limitò a rappresentare gl'interessi delle città lombarde con l'imperatore, a intervenire per appianare le controversie nascenti fra le città, troppo gelose della loro autonomia per tollerare vincoli alla volontà loro. Nel 1198 fu rinnovata la lega per altri trent'anni fra Milano, Brescia, Mantova, Vercelli, Verona, Novara e Treviso. Nel 1208 furono stretti nuovi patti fra Milano, Brescia, Piacenza, Bologna, Vercelli, Alessandria.
Bibl.: C. Manaresi, Gli atti del Comune di Milano fino all'anno 1216, Milano 1919, p. xlvii segg.; G. Voigt, Storia della Lega Lombarda, Milano 1848; C. Vignati, Storia diplomatica della Lega Lombarda, Milano 1867; O. Masnovo, La battaglia di Legnano, estr. dell'Annuario 1924-25 del R. Istituto Tecnico Carlo dell'Acqua, Legnano 1926.
Seconda Lega lombarda.
Nonostante i frequenti rinnovamenti, che parevano dare l'impressione di una tendenza dei comuni verso un'organizzazione stabile e permanente, verso una vera e propria organizzazione federale, la Lega lombarda, dopo il periodo della lotta aperta con l'imperatore, aveva avuto scarsa forza. Il fatto stesso che ogni città potesse concludere trattati, e far guerra e pace per proprio conto significava, nonostante la formula inserita nel testo dei patti salva societate Lombardie che ogni comune si riserbava libertà d'azione: lo scopo della lega era chiaramente non di cementare in un sol blocco le varie città, ma semplicemente di difenderne l'autonomia contro un possibile nemico comune. Organismo, quindi, che poteva divenire efficiente solo in alcuni determinati momenti, nei periodi di crisi acuta con l'impero.
E infatti la lega riappare in campo veramente solo un quarantennio dopo la pace di Costanza, quando l'atteggiamento di Federico II induce i comuni a serrare le fila. Federico II aveva indetto, per la Pasqua del 1226, una dieta a Cremona per apprestare la crociata ed estirpare l'eresia: i comuni dell'Italia settentrionale, insospettiti, risposero con il rinnovamento della lega (nota sotto il nome di Seconda Lega lombarda).
Il patto, della durata di 25 anni, fu firmato nella chiesa di S. Zenone in Mosio nel Mantovano il 6 marzo 1226, da Milano, Bologna, Brescia, Mantova, Bergamo, Torino, Vicenza, Padova e Treviso, a cui s'aggiunsero presto Piacenza, Verona, Faenza, Vercelli, Lodi, Alessandria, Crema, Ferrara, il marchese di Monferrato e il conte di Biandrate. Era una sfida aperta all'imperatore. E Federico II rispose con l'editto di Borgo S. Donnino, che prescriveva tutte le libertà e prerogative concesse alla città dalla pace di Costanza, mentre il vescovo di Hildesheim, designato da papa Onorio III come legato pontificio per la nuova crociata, lanciava l'anatema contro le città della lega. L'intervento di Onorio III poté nel 1227 appianare - in apparenza - le cose: il bando e l'anatema furono revocati, le città promisero di dare il loro aiuto per la crociata. Ma la lega rimase in piedi; anzi, il 2 dicembre 1229, adunatisi a Milano i delegati di 12 città aderenti, si mettevano al bando le città di Modena, Parma e Cremona perché seguaci dell'imperatore; e poi, quando Federico II ebbe indetto la dieta di Ravenna per il 1° novembre 1231, le città, ancor più allarmate, decisero, in un'adunanza tenuta a Bologna nel 1231, di allestire un potente esercito per difendere i comuni, lottare contro il ghibellinismo, e chiudere ai Tedeschi i passi delle Alpi.
Nuovamente intervenne il papa che con il suo lodo del 5 giugno 1233 impose il condono reciproco di offese e danni. Ma la situazione era ormai così tesa; l'urto fra le tendenze accentratrici e assolutistiche di Federico II e lo spirito di autonomia delle città così pronunziato che la lotta era divenuta inevitabile. Nel 1236 Federico II passava all'offensiva: il 1° novembre assaltava e prendeva Vicenza; costretto a recarsi in Germania nell'inverno e primavera del 1237, ritornava nel settembre nella valle padana, prendeva Goito, sottometteva Mantova e finalmente, il 27 novembre 1237, sconfiggeva pienamente, a Cortenuova, le forze della lega. Parve la rivincita piena di Legnano: l'imperatore inviava in Campidoglio il carroccio di Milano, caduto nelle sue mani; parecchie delle città della lega si sottomisero: ma Milano, Alessandria e specialmente Brescia resistettero; e sotto le mura di Brescia, invano assediata per due mesi, nel 1238, Federico II perdeva sostanzialmente tutti i vantaggi avuti con la vittoria di Cortenuova. E poiché il 20 marzo 1239 papa Gregorio IX passava risolutamente dalla parte delle città, scomunicando l'imperatore, la lega rientrava in azione, e riprendeva la lotta che doveva finire con la sconfitta di Federico II.
Bibl.: L. Simeoni, Note sulla formazione della seconda lega lombarda, in Memorie R. Accad. scienze dell'Istituto di Bologna, Bologna 1932.
Lega renana o delle città renane.
Fu conchiusa per iniziativa di un borghese di Magonza, Walpode, il 13 luglio 1254, fra le città di Magonza, Worms, Colonia, Spira, Strasburgo e Basilea e si estese poi a quasi tutte le città dell'alto e del medio Reno, con l'intento di tutelare il mantenimento dell'ordine e della pace durante il periodo del grande interregno. A differenza di altre leghe del genere, strette di consueto tra la nobiltà e l'alto clero, la Lega renana del 1254 proteggeva gl'interessi di tutte le classi, perfino degli Ebrei, ed era documento della potenza che avevano mantenuto le grandi città commerciali della valle del Reno, nonostante i decreti di Federico II del 1220 e del 1231, e insieme della loro decisa volontà di garantire con ogni mezzo i loro interessi economici, nel trambusto generale delle lotte tra i varî pretendenti al trono di Germania. Il 6 ottobre da Worms i rappresentanti della lega emanavano disposizioni generali per il mantenimento dell'ordine pubblico. Pure nell'ottobre essi riconoscevano come re Guglielmo d'Olanda, che si appoggiava alle città, favorendo le loro aspirazioni commerciali. E questo accordo tra la lega e Guglielmo d'Olanda ebbe la sua conferma più evidente nella dieta di Worms del febbraio 1255, quando il re chiamò a sedere i delegati delle città vicino ai vescovi, ai principi dell'impero, ai conti, ai nobili: fatto nuovo nella storia costituzionale di Germania. Morto Guglielmo d'Olanda (1256), l'importanza della lega diminuì notevolmente fino a estinguersi del tutto.
Lega italica.
Così è denominata la lega conclusa, il 30 agosto 1454, a Venezia, fra la repubblica di Venezia, il duca di Milano Francesco Sforza e la repubblica di Firenze, a cui s'aggiunsero poi Alfonso d'Aragona, re di Napoli, e papa Niccolò V.
Essa era direttamente collegata con la pace di Lodi del 9 aprile 1454, che aveva posto fine alla lotta fra Venezia e Milano, ma che faceva sorgere varî altri problemi preoccupanti: lo sdegno del re di Napoli, alleato di Venezia, a cui insaputa era stato trattato l'accordo fra Milano e Venezia; il pericolo rappresentato dai condottieri, specialmente Iacopo Piccinino, che in seguito alla pace sarebbero rimasti senza lavoro, e anche dalle pretese dei principi francesi della casa d'Angiò le cui rivendicazioni su terre italiane erano state completamente messe da parte nella pace. Allo scopo pertanto di consolidare la pace, Francesco Sforza assumeva l'iniziativa di negoziare, con l'aiuto di Firenze allora legatissima a lui, la costituzione di una lega con Venezia. Le trattative, iniziate sin dalla fine di maggio, condotte innanzi non senza difficoltà e controversie, riuscirono allo scopo. Assai più difficile fu invece ottenere l'adesione di Alfonso d'Aragona, irritatissimo. Gli ambasciatori milanesi, veneti e fiorentini, a lui inviati nel novembre, e appoggiati dal legato pontificio Domenico Capranica (papa Niccolò V aveva subito aderito alla lega) non riuscirono a ottenerne l'assenso solenne ed esplicito che il 26 gennaio 1455, quando il re aderì alla lega e ratificò a un tempo la pace di Lodi. Al testo dell'accordo di Venezia, Alfonso d'Aragona aveva tuttavia fatto aggiungere nove capitoli, ai quali i rappresentanti delle tre altre potenze avevano dovuto aderire.
Il trattato di Venezia, diviso in 16 articoli, conteneva le seguenti disposizioni essenziali: 1. lega difensiva della durata di 25 anni, a conservazione e difesa dei rispettivi dominî di terraferma in Italia; 2. le parti contraenti s'impegnavano a tenere per tutta la durata della lega un determinato contingente di milizie (Venezia e Milano, ciascuna almeno 6000 cavalieri e 2000 fanti in pace, 8000 cavalieri e 4000 fanti in guerra; Firenze 2000 cavalieri e 1000 fanti in pace, 6000 cavalieri e 2000 fanti in guerra); 3. divieto alle singole parti di venire a pace o accordo separato, in caso di guerra; 4. divieto di contrarre alleanza, se non di comune consenso; 5. in caso di guerra, obbligo alle parti di soccorrersi vicendevolmente sino a metà del numero delle milizie sopra detto; 6. in caso di guerra marittima di Venezia, obbligo per Milano e Firenze di contribuire in totale con 5000 ducati d'oro al mese.
Il re di Napoli accettò di tenere, e in pace e in guerra, un numero di armati non inferiore a quello di Venezia e Milano, senza però esser tenuto a renderne conto (art. 4 delle aggiunte dal re stesso imposte); rifiutò di concedere sussidio a Venezia in caso di guerra marittima (art. 5 delle aggiunte).
Alla lega aderirono subito, ma come aderenti (tanquam aderens ligae), Borso d'Este e Bologna; Venezia, Milano e Firenze avevano poi nominato, nell'atto stesso dell'accordo, i loro aderenti e amici, che erano nel complesso, si può dire, tutti i principi italiani. Solo Genova, avversata dal re di Napoli che fra le aggiunte ne impose una (6ª), con cui si riconosceva che il suo ingresso nella lega non recava pregiudizio ai suoi pretesi diritti contro Genova, finì col trovarsi completamente isolata, sebbene fosse stata nominata fra gli amici e aderenti del duca di Milano.
La proclamazione ufficiale e solenne della lega, nella forma definitiva - e cioè dopo l'ingresso di Alfonso d'Aragona e di papa Niccolò V - fu celebrata a Roma il 2 marzo 1455, a Milano, Venezia, Firenze, Ferrara il 25 marzo: e ciò per disposizione del pontefice, che aveva anzi emanato, il 25 febbraio, la bolla Incedentes quantum.
Ricostituita e benedetta da Paolo II il 25 dicembre 1470, dopo la caduta di Negroponte in mano del Turco; rinnovata il 2 novembre 1474 fra Milano, Firenze e Venezia, con l'adesione poi del re di Napoli, ma, questa volta, non del papa, Sisto IV; confermata ancora nella pace di Bagnolo del 1484, dopo la guerra di Ferrara che aveva visto la scissione della lega e i Veneziani combattere contro il re di Napoli e il duca di Milano, la lega sussisteva ancora nel 1494; anzi, ricostituita il 31 marzo 1495, contro Carlo VIII, faceva la sua ultima prova sul campo di battaglia di Fornovo.
Promossa per consolidare la pace e mantenere l'assetto territoriale stabilito dalla pace di Lodi (e, anche, per la lotta contro il Turco: ma a questo scopo la lega non rispose se non nel momento dell'invasione turca a Otranto, nel 1480), la Lega italica è caratteristica appunto della situazione politica dell'Italia della seconda metà del '400: la politica dell'equilibrio, della "bilancia", trova in essa la sua formale espressione.
Bibl.: G. Soranzo, La lega italica (1454-1455), Milano 1924.
Lega del bene pubblico.
Al "Bene pubblico" si appellarono, nel 1465, i grandi signori feudali francesi per combattere Luigi XI e il suo assolutismo. Anima della lega fu Carlo il Temerario, allora conte di Charolais (poi duca di Borgogna); e con lui Giovanni II, duca di Alençon, Dunois, Antonio di Chabannes, Giovanni d'Angiò, duca di Lorena e di Calabria, il duca di Borbone, il duca di Nemours, il conte di Saint-Pol. Alla lega aderirono Francesco II duca di Bretagna e lo stesso fratello del re, Carlo di Francia, duca di Berry. Pretesto era la difesa "del bene pubblico": in realtà la lega era una tipica manifestazione di spirito feudale, una rivolta dei grandi signori minacciati dai progressi della monarchia.
Contro la lega, ch'era indubbiamente assai forte, Luigi XI richiese l'aiuto dell'amico Francesco Sforza, duca di Milano, che inviò in Francia il figlio, Galeazzo Maria, con 4000 cavalieri e 1000 fanti: e l'esercito milanese rese preziosi servizi al re, nella Francia del centro e del sud-est, sino al marzo 1466. Luigi aveva anche assoldati mercenarî in Savoia: ma soprattutto riuscì a salvarsi approfittando degli errori militari e politici dei principi. Riuscì ad occupare il Berry, il Borbonese; poi dovette far fronte all'esercito di Carlo il Temerario. Il 16 luglio, a Montlhéry, le forze avverse si scontravano, in una lotta che finì in effetto senza vinti né vincitori; poco più tardi i notabili di Parigi rifiutarono di aprire le porte della città ai principi, dando tempo al re di ritornare dalla Normandia, ove s'era recato, e di rientrare in Parigi (28 agosto). Ma Luigi XI fu costretto a trattare coi principi, per le continue defezioni che avvenivano nel suo campo.
Con i trattati di Conflans e di Saint-Maur-les-Fossés (ottobre 1465), egli accordava ai capi della lega quanto essi desideravano: primi fra tutti, Carlo di Francia ebbe, invece del Berry, il più ricco ducato di Normandia; Carlo il Temerario, le città sulla Somme, a lungo disputate fra casa di Borgogna e monarchia francese, e altre terre. Ma l'astuto re aveva calcolato bene, pensando che poi i principi, al momento di spartirsi il bottino, si sarebbero urtati fra loro: e infatti, approfittando dei dissapori subito sorti fra Carlo di Francia e il duca di Bretagna, ricuperava, già nel dicembre 1465-gennaio 1466, la Normandia. La lega era sciolta. Restava, nemico terribile, Carlo il Temerario, che il 15 giugno 1467 diveniva duca di Borgogna e che nel 1467 e nel 1471 suscitava nuovamente altre leghe contro il re. E la Lega del bene pubblico si trasformava nella lotta, diretta e indiretta, fra il re di Francia e il duca di Borgogna, che finiva con la morte di quest'ultimo (v. carlo il temerario; luigi xi).
Lega sveva.
Con questa denominazione si designa la lega costituita nel 1488 fra principi, cavalieri e città della Germania meridionale, allo scopo di mantener l'ordine nell'impero e di render efficace la Landfriede, promossa nel 1486 dall'imperatore Massimiliano. La lega aveva i suoi precedenti nella Società di S. Giorgio (Georgengesellschaft), costituita già nel sec. XIII da cavalieri della Franconia, con cui s'era poi unita la Società dello Scudo di S. Giorgio (Georgenschildesgesellschaft), fondata nel 1392 dalla nobiltà sveva; mentre da parte delle città v'era il precedente della Lega delle città sveve Schwäbischer Städtebund), fondata nel 1331 da 22 città, e rimasta in vita - attraverso aspre lotte con signori e principi - fino al 1389.
La lega fu costituita il 14 febbraio 1488, a Esslingen; contraenti furono l'arciduca Sigismondo d'Austria, il conte Everardo di Württemberg, la Società di S. Giorgio e 22 città imperiali: in seguito s'aggiunsero altri principi e città. La lega, che aveva un proprio ordinamento e un tribunale federale di giustizia, disponeva di una forza militare notevole (12.000 lanzichenecchi e 1200 cavalieri), costituendo così un organismo di grande influenza politica.
Sorta con l'appoggio dell'imperatore Federico III d'Asburgo, e sempre rimasta strettamente unita con gli Asburgo, la lega dovette servirsi delle sue forze, oltre che in conflitti locali con signori, contro gli Svizzeri, nel 1499, nella cosiddetta "guerra sveva". Massimiliano I voleva costringere i confederati svizzeri, oltreché ad aderire alla convenzione per la pace generale e a sottomettersi alla giurisdizione del tribunale dell'impero, a entrare nella Lega sveva. Di fronte all'opposizione recisa degli Svizzeri, si venne a guerra aperta. Le truppe della Lega sveva occupavano dapprima la valle di Münster, presso Glarus (gennaio 1499) poi Maienfeld; ma rapidamente le sorti della guerra mutavano a favore degli Svizzeri, che vincevano a Hard e a Fussach, a Bruderholz, a Schwaderloh, a Frastenz, mentre i Grigioni sconfiggevano le truppe di Massimiliano I a Calven (22 maggio). La sconfitta decisiva, subita da questo ultimo, a Dornach (22 agosto), condusse alla pace di Basilea del 22 settembre 1499, che sanciva pienamente l'indipendenza dei confederati.
La Lega sveva continuò a vivere fino al 1534, quando i contrasti religiosi provocati dalla Riforma nel seno degli stati confederati e, anche, l'abile diplomazia del francese Du Bellay, ne provocarono lo scioglimento.
Bibl.: Schweiger, Vorgeschichte u. Gründung der Schwäbischen Bundes, Zurigo 1876; Klüpfel, Der Schwäbische Bund, in Hist. Taschenbuch, s. 6ª, II, Lipsia 1883; E. Bock, Der Schwäbische Bund u. seine Verfassungen 1488-1534, in Untersuchungen zur Staaten u. Rechtsgeschichte, 1927.
Lega santa.
Scioltasi di fatto la lega di Cambrai per l'accordo di Giulio II con i Veneziani contro la minacciosa potenza di Francia, Luigi XII e Massimiliano imperatore avevano tentato di combattere il pontefice nel campo religioso, facendo indire da un gruppo di cardinali un concilio a Pisa. Giulio II promosse allora la Lega santa, che fu conchiusa a Roma il 4 d'ottobre 1511 e pubblicata il 5 a S. Maria del Popolo. Aveva come fine difendere l'unità della Chiesa dal tentativo scismatico e mantenere lo stato papale, che era minacciato dai Francesi padroni di Bologna e alleati del duca di Ferrara; nell'animo ardente di Giulio era anche il disegno ch'essa liberasse l'Italia dai "barbari". Vi partecipavano il pontefice, Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, e la repubblica di Venezia; era lasciata libertà di accedervi all'imperatore e al re d'Inghilterra. Enrico VIII vi entrò infatti il 17 novembre; Massimiliano tenne a lungo un contegno indeciso. Ma nella lega la Spagna, meglio provveduta di denaro e di milizie, ebbe subito il primo posto, e Raimondo di Cardona, viceré spagnolo di Napoli, fu il capitano generale.
Per la lentezza degli Spagnoli, i Francesi riuscirono dapprima a respingere un attacco degli Svizzeri alleati del papa su Milano; e se, il 2 febbraio 1512, Brescia capitolava innanzi ai Veneziani, il giovanissimo Gastone di Foix salvava Bologna da un assalto ispano-pontificio, riprendeva fulmineo Brescia (18 febbraio), assaliva Ravenna, dov'erano i rifornimenti dei collegati, sconfiggeva (11 aprile) in sanguinosissima battaglia (v. ravenna) il Cardona. Ma il La Palice, succeduto a lui che era morto sul camp0, non riuscì a trarre frutto dalla vittoria. Il papa, dopo un istante di smarrimento, riprendeva l'usato vigore, faceva apparecchi nuovi di guerra, moveva in proprio soccorso, per mezzo di Matteo Schinner, gli Svizzeri; e al concilio scismatico, trasferitosi da Pisa a Milano, che lo dichiarava deposto (21 aprile), rispondeva, proponendo al concilio lateranense (3 maggio) come fine, accanto alla riforma della Chiesa e alla crociata, l'estirpazione dello scisma. Il re d'Inghilterra, strettosi a lui che gli aveva promesso la corona di Francia, si apprestava a invadere la Guienna e la Bretagna; l'imperatore, intimorito dalle vittorie francesi, conchiudeva tregua con i Veneziani, ritirava i lanzichenecchi, nerbo dell'esercito francese, lasciava il passo agli Svizzeri. Allora la Romagna ritornò al pontefice; la Lombardia all'entrare degli Svizzeri insorse e Pavia venne presa (giugno); Genova si dichiarò indipendente; perfino Asti, possesso antico degli Orléans, andò perduta: i Francesi erano ricacciati di là delle Alpi.
E certo il pontefice aveva ottenuto un trionfo nel campo spirituale, perché il concilio scismatico, passato ora a Lione, si andava spegnendo nel disprezzo e nell'indifferenza universale; ma, quanto alla politica italiana, i collegati, riuniti in congresso a Mantova, con l'intervento anche di Matteo Lang, l'onnipotente consigliere di Massimiliano, che pur non aveva aderito espressamente alla lega, deliberarono dell'Italia come di loro preda. E nemmeno riuscirono ad accordarsi in tutto, perché troppo divergevano gl'interessi: convennero solo nel lasciare il ducato di Milano a Massimiliano Sforza, sotto la protezione degli Svizzeri, sebbene lo desiderassero il re di Spagna e l'imperatore per Carlo d'Asburgo, e nel restituire i Medici in Firenze, già tenacemente avversa alla lega; un esercito ispano-pontificio ricondusse infatti sull'Arno gli antichi signori.
Giulio II, sebbene avesse Parma e Piacenza, tenne quel congresso come fatto "a dishonor et danno suo" e vide "con gran suspetto" il crescere della potenza imperiale e spagnola. Egli avrebbe ora voluto estirpare "la radice de' Francesi" anche da Ferrara, stabilire l'equilibrio in Italia, sicché questa potesse difendersi da tutti i "barbari", riunire le forze della lega contro il Turco, infrenare le ambizioni spagnole, soprattutto avere l'adesione dell'imperatore alla totale estirpazione dello scisma. Per questo conchiuse in Roma (19 novembre 1512) un accordo con Massimiliano, il quale riconosceva il concilio lateranense, prometteva al papa assistenza, gli cedeva Modena e Reggio; la nuova lega fu pubblicata solennemente il 25. Ma, per ottenere l'alleanza imperiale, il papa aveva dovuto cedere alle smoderate esigenze di Massimiliano a danno di Venezia; e la repubblica, consapevole del pericolo, si andava accostando ai Francesi, con i quali conchiuse poi la lega di Blois (23 marzo 1513). Così, determinandosi nuovi aggruppamenti politici, la Lega santa di fatto si sciolse, sebbene rivivesse nel nome delle leghe seguenti di Malines e di Cognac.
Mediante la Lega santa l'Italia aveva sostituito alla servitù presente e gravosa di Francia, quella di Spagna, che pareva ancora meno temibile; i due fini principalissimi, per cui la lega era stata conchiusa, essa aveva pienamente raggiunti.
Bibl.: Cfr. L. Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1912, e Supplemento, Roma 1931, dove sono citate le più importanti opere precedenti. Vedi per interessanti particolari A. Luzio, Isabella d'Este di fronte a Giulio II, in Arch. stor. lombardo, s. 4ª, XVII e VIII (1912), e per un disegno sintetico F. Ercole, Da Carlo VIII a Carlo V, Firenze 1932, p. 106 segg.
Lega sacra o Lega di Lepanto: v. lepanto.
Lega santa o Lega cattolica in Francia.
Con questa denominazione, e più comunemente con quella di "Lega" senz'altro (Ligue), viene designata l'unione dei grandi capi cattolici francesi e di larghi strati della borghesia cittadina, nel secondo periodo delle lotte di religione in Francia, durante il regno di Enrico III. Già all'inizio di quelle lotte si era avuta una coalizione dei capi cattolici: nel 1562, Francesco di Guisa, Anna di Montmorency e l'ex-calvinista Antonio di Borbone avevano formato il cosiddetto "triumvirato" che aveva imposto, in quell'anno, la sua volontà a Caterina de' Medici. E in seguito anche in varie città s'erano formate coalizioni di borghesi cattolici contro i riformati. Ma la lega vera e propria appare solo nel 1576 quando la nobiltà cattolica si unisce per reagire contro le concessioni fatte dalla monarchia ai calvinisti con la paix de Monsieur riuscendo a far limitare nuovamente la libertà dei calvinisti stessi (pace di Poitiers, 17 settembre 1577) e determinando le nuove guerre religiose del 1576-77, e del 1579-80. A capo delle forze cattoliche era, di fatto, il duca di Guisa, stabilendosi così un pericoloso precedente che faceva dei Guisa quasi i legittimi rappresentanti - occorrendo anche contro la monarchia - della Francia cattolica, stringendo attorno a loro gran parte della nobiltà.
Assai più grave si fece la situazione quando, nel 1584, per la morte di Francesco duca d'Angiò, fratello di Enrico III, la qualità di erede presuntivo della corona, da lui tenuta, passò al calvinista Enrico di Borbone, re di Navarra. La violenta reazione degli ambienti cattolici francesi, accortamente sfruttata dai Guisa, trovava eco d'altra parte in Filippo II di Spagna che, da anni impegnato in aspra lotta coi riformati ribelli dei Paesi Bassi, doveva considerare come un disastro per la sua potenza anche la sola eventualità dell'accessione di Enrico di Navarra al trono di Francia; e poiché da tempo i Guisa erano in diretti rapporti con il re spagnolo, fu ovvia la conclusione di un accordo fra l'uno e gli altri. Nel castello di Joinville, il 31 dicembre 1584, i rappresentanti di Filippo II si accordavano con i Guisa, il cardinale Carlo di Borbone, zio di Enrico di Navarra e designato dai Guisa come il legittimo successore al trono, con un vero e proprio trattato, che avendo per scopo il mantenimento della religione cattolica, la lotta contro i riformati in Francia e nei Paesi Bassi, l'esclusione di principi eretici dalla successione al trono, pattuiva da parte del re di Spagna sussidî in denaro, da parte dei Guisa e del card. di Borbone la cessione di Cambrai e della Navarra al loro alleato.
Non era d'altronde la prima volta che uno dei due grandi partiti in cui era allora divisa la Francia si alleava con lo straniero, a scapito degli stessi interessi nazionali: basti ricordare che nel 1562, allo scoppio della prima guerra civile, il partito calvinista aveva promesso ad Elisabetta d'Inghilterra, per averne aiuto, Le Havre. Ma le conseguenze del trattato di Joinville dovevano avere per la Francia conseguenze di gran lunga più gravi che non qualsiasi accordo precedente del genere.
Ma se questa lega era di carattere nettamente nobiliare-politico, a lato di essa si costituiva, pure all'inizio del 1585, la Lega di Parigi, organizzata dalla borghesia cittadina e dal clero (segnatamente dai gesuiti), la quale, pur unendosi alla prima e accettando il comando supremo del duca di Guisa, aveva tuttavia diversa impronta: maggior fanatismo religioso e maggior radicalismo, ma anche maggior ampiezza di forze e una certa aura popolaresca che mancava totalmente alla conventicola dei nobili. Sulla via di Parigi si ponevano rapidamente molte altre città della Francia settentrionale o centrale, nelle quali la borghesia, in massima, reagiva contro il pericolo calvinista.
Uniti, Guisa e Ligueurs cittadini diffusero il manifesto di Péronne (30 marzo 1585), nel quale, a lato delle vecchie reclamazioni aristocratiche (ripristino della nobiltà nei suoi diritti primitivi), figuravano pretese care alla borghesia cittadina ed espresse più volte negli stati generali del sec. XVI: la riduzione delle imposte e la regolare convocazione degli stati generali. Da allora ripresero nell'interno della Francia le guerre civili, che cessarono solo dopo l'assunzione di Enrico IV al trono e la sua assoluzione da parte del pontefice, nel 1595 (v. francia: Storia). Il re Enrico III, costretto in un primo momento a cedere alla lega e ad allearsi con essa, in un secondo tempo, sempre più insospettito delle ambizioni del duca di Guisa che, si diceva, aspirava egli stesso al trono (s'era fatto anzi a tale scopo fabbricare una genealogia che lo faceva discendere da Carlo Magno), si liberò di lui facendolo assassinare (23 dicembre 1588); ma con ciò trasse la lega in lotta aperta contro la monarchia. E, assassinato a sua volta Enrico III da un fanatico domenicano (1° agosto 1589), per opporsi all'eretico Enrico IV la lega - diretta da un Consiglio generale, formato da borghesi ed ecclesiastici e nobili parigini (i cosiddetti Seize), alla cui testa stava il duca Carlo di Maienna, fratello dell'assassinato duca di Guisa - non esitò a sacrificare il sentimento nazionale, rivolgendosi per aiuto al re di Spagna e accettando che le truppe spagnole, al comando di Alessandro Farnese, entrassero in Francia e combattessero contro il Navarrese. Il fanatismo politico-religioso parve disposto a fare della Francia una vassalla della Spagna. Ma proprio quest'eccesso di passione partigiana doveva in breve tempo rovinare la lega. Sempre più crebbe il numero di quelli in cui il sentimento nazionale riprendeva il sopravvento; e quando la conversione di Enrico di Navarra al cattolicismo (25 luglio 1593) ebbe tolto il pretesto dell'eresia, la stessa nobiltà, in massima parte, passò dalla parte di lui, che veniva consacrato re, a Chartres, il 27 febbraio 1594. Il 22 marzo di quello stesso anno Enrico IV entrava in Parigi, ch'era stata la roccaforte della lega e aveva subito durissimo assedio da parte del Navarrese; già nei due mesi immediatamente precedenti le più importanti città della lega (Lione, ecc.) avevano accolto i suoi luogotenenti: la lega era virtualmente finita. Il 17 gennaio 1595 Enrico IV dichiarava guerra al re di Spagna, trasformando così definitivamente la questione interna in questione di politica estera; il 17 settembre 1595 papa Clemente VIII lo assolveva dalle censure e dalle scomuniche, ridandogli intera la sua dignità di re di Francia.
Bibl.: Oltre alle notizie generali in Mariéjol, in E. Lavisse, Histoire de France, VI, Parigi 1904, cfr. H. de L'Épinois, La Ligue et les papes, Parigi 1886; P. Robiquet, Paris et la Ligue, Parigi 1886; F. Rocquain, La France et Rome pendant les guerres de réligion, Parigi 1924. Cfr. anche enrico iii; enrico iv.
Lega cattolica in Germania.
Fu l'unione militare (1609-1648) di molti stati cattolici della Germania per controbilanciare l'unione degli stati protestanti.
Il 12 maggio 1608 fu costituita l'Unione protestante, sotto la direzione del palatino. Suoi scopi erano combattere il papato e la Spagna, far includere i calvinisti nella pace d'Augusta, conservare il possesso dei beni ecclesiastici occupati, assicurare ai principi protestanti la successione negli stati di Jülich. Gli unionisti si appoggiavano alla Francia, all'Inghilterra e all'Olanda.
Allora il duca di Baviera Massimiliano I, grande difensore del cattolicismo, si diede a organizzare le forze cattoliche, pur dovendo lottare contro l'apatia, l'incomprensione, l'egoismo dei principi ecclesiastici e dei vescovi, e soprattutto contro la diffidenza della casa d'Austria. Finalmente, il 10 luglio 1609, si costituì a Monaco la Lega cattolica di cui facevano parte Massimiliano, suo capo, i vescovi di Würzburg, di Passau e d'Augusta, i rappresentanti dei circoli di Franconia, di Svevia e di Baviera, i tre elettori ecclesiastici di Magonza, di Colonia e di Treviri, il vescovo di Costanza, l'abate di Kempten e il priore di Ellwangen. La lega, della durata di nove anni, si proponeva la conservazione del cattolicismo e della pace nell'impero e il ricupero dei beni ecclesiastici; i membri erano tenuti a costituire una cassa comune e a soccorrersi se aggrediti.
Il primo evento nel quale la lega fece sentire il suo peso fu la questione della successione negli stati di Jülich, Klève e Berg, incuneati nei paesi cattolici. L'imperatore li fece occupare da suo cugino Leopoldo, ma i membri dell'unione invasero il paese e ne scacciarono Leopoldo. Per tutta risposta, l'8 febbraio 1610, aderirono alla lega i vescovi di Ratisbona, di Strasburgo, di Bamberga, di Spira e di Worms e altri ecclesiastici. Ma l'imperatore si rifiutò di versare i sussidî promessi nell'ottobre 1609, fino a quando la direzione della lega non fosse stata affidata alla casa d'Austria. Massimiliano diede le dimissioni e Filippo III prese, allora, il titolo di protettore della lega, lasciandone, però a Massimiliano la direzione effettiva. L'assassinio di Enrico IV, alleato dell'unione, rafforzò la lega. I protestanti avanzarono proposte di pace, e questa fu conclusa a Monaco (24 ottobre 1610).
I territorî ecclesiastici furono sgombrati dall'unione. Ma il Klesel, onnipotente alla corte di Vienna, voleva distruggere la lega e perciò la suddivise in tre direttorî: bavarese, renano, austriaco, con la speranza che quest'ultimo avrebbe assorbito gli altri due. Per parare questa minaccia, Massimiliano costituì un'alleanza speciale nel seno della stessa lega, formata dalla Baviera, dai vescovi di Würzburg, di Bamberga, di Augusta e di Eichstädt e dall'abate di Ellwangen, ma ben presto vi aderirono l'arciduca Leopoldo e il vescovo di Ratisbona (alleanza di Augusta). L'Austria intervenne, allora, con l'astuzia e con la violenza, facendo entrare nel direttorio austriaco l'elettore di Magonza, i prelati e le città della Svevia. Massimiliano rassegnò le dimissioni (1616).
Il 3 aprile 1617, l'imperatore ordinò lo scioglimento dell'unione e della lega. Ma l'unione rinnovava la sua alleanza e i cattolici della Germania continuarono a guardare, come all'unica speranza di salvezza, a Massimiliano, che, infatti, strinse in segreto una nuova lega con i principi-vescovi di Würzburg e di Bamberga, con il vescovo di Eichstädt, con l'abate di Ellwangen e con Ferdinando di Baviera, vescovo-elettore di Colonia. Nel 1618 seguiva la defenestrazione di Praga (v. boemia: Storia), scintilla della guerra dei Trent'anni. Ferdinando II vide nel capo della lega cattolica l'unica sua salvezza e Massimiliano, per quanto riluttante a immischiarsi nel conflitto fra la casa d'Austria e i Boemi, cedette alle pressioni. Per guadagnare l'aiuto dei principi protestanti che avevano occupato beni ecclesiastici dopo la pace di Augusta, l'elettore di Sassonia propose, e la lega accettò, che fosse consentito ai luterani il possesso di tali beni. Intanto Massimiliano organizzò un esercito sotto il comando del Tilly. Rapida fu la sottomissione dell'Alta Austria. Quando l'esercito della lega, forte di trenta mila uomini, si congiunse con l'esercito imperiale, una massa di 50 mila cattolici irruppe nella Boemia. Nella battaglia della Montagna Bianca Massimiliano trionfò con i suoi soldati.
La traslazione del Palatinato (25 febbraio 1623) riaccese la rivalità fra Spagna e Baviera. Apparve il dissenso sulla finalità della guerra: mentre la lega si era prodigata per la difesa del cattolicismo, la Spagna, al contrario, non voleva spingere la lotta contro i protestanti fino a provocare l'intervento dell'Inghilterra. Questa divergenza si fece sempre più grave. Finalmente, la pace interrompeva il corso delle vittorie sui riformati per portare a compimento l'impresa di Mantova. Ne rimase indignato papa Urbano VIII, il quale vide nella sola Lega cattolica la difesa della religione. Si fecero, allora, sempre più stretti i legami tra la Santa Sede e la lega, miranti all'abbassamento della casa d'Austria. Alla vigilia della discesa di Gustavo Adolfo, parve opportuno affiancarsi alla Francia. Quindi la mediazione svolta con attività febbrile dal nunzio Di Bagno tra la corte di Francia e la Baviera. Gustavo Adolfo s'impegnò a rispettare la neutralità della lega, ma non mantenne l'impegno e invase i territorî della lega. Non potendo ottenere dalla Francia neppure gli aiuti sperati, Massimiliano propose a Gustavo Adolfo un trattato di neutralità. Non fu possibile concluderlo, perché lo Svedese non intendeva sgombrare i territorî occupati e Massimiliano e l'elettore di Colonia non vollero acconsentire allo scioglimento dell'esercito. Tutto il territorio della lega subì, allora, la più inesorabile vendetta. Anche dopo la morte di Gustavo Adolfo, i territorî degli ecclesiastici subirono devastazioni e il clero persecuzioni. La morte di Wallenstein pose fine alla tragica situazione della lega. Massimiliano poté prestare man forte a Ferdinando re d'Ungheria per espugnare Ratisbona. Ma la Francia entrava in guerra aperta contro la casa d'Austria. Massimiliano fu solidale con la casa d'Austria, battendosi per essa e respingendo l'offerta dell'Austria anteriore (Vorland) fattagli dalla Francia. La Baviera fu devastata dall'esercito del Turenne. Non potendo ormai dominare più gli eventi, Massimiliano si strinse alla Francia che, insieme con la Svezia, gli prometteva il possesso del Palatinato superiore e dell'elettorato (trattato di Ulm, 14 marzo 1647). Ma nel settembre 1647, rompendo il trattato di Ulm, concluse un'alleanza con l'imperatore contro la Svezia, pur restando neutrale nei riguardi della Francia. E ancora una volta lanciò una parola d'ordine ai cattolici: resistere ai protestanti, che miravano a fondare una nuova unione per annientare il cattolicismo in Germania. Ancora una volta i Franco-Svedesi devastarono la Baviera. A metà settembre 1648, Monaco era bloccata, mentre la pace di Vestfalia era un fatto compiuto. Massimiliano ottenne per sé e per il ramo guglielmino della sua casa la dignità elettorale e il Palatinato superiore. Ma la restaurazione del cattolicismo rimase un semplice desiderio.
Bibl.: Oltre a M. Ritter, Deutsche Geschichte im Zeitalter d. Gegenreformation u. des dreissigjähr. Krieges (1555-1648), II e III, Stoccarda 1895-1901, cfr. K. Lorenz, Die historisch-politische Parteibildung in Deutschland vor Beginn des dreissigjähr. Krieges im Spiegel der konfessionellen Polemik, Monaco 1902; Cornelius, Zur Gesch. der Gründung des Deutschen Liga, Monaco 1863; Stieve, Das Contobuch der Deutschen Liga, in Deutsche Zeitschrift f. Geschichtswissenschaft, X (1893).
Seconda Lega renana.
Per tenere a freno gli Asburgo d'Austria e impedire che essi intervenissero nuovamente nella guerra per sostenere gli Asburgo di Spagna, o anche per combattere la Svezia, alleata della Francia, il cardinale Mazzarino promosse nel 1658 una lega fra principi tedeschi. La lega, detta anche Rheinische Allianz o Alliance du Rhin, fu stabilita il 15 agosto 1658 a Francoforte sul Meno; ne facevano parte il principe elettore di Magonza, che aveva preso l'iniziativa formale, e quello di Colonia, il vescovo di Münster, il duca di Brunswick e il re di Svezia (che vi interveniva per i suoi possessi tedeschi). Fine proposto, assicurare il mantenimento della pace di Vestfalia. E ciò significava precisamente chiudere ogni possibilità di ritorno offensivo degli Asburgo d'Austria che, dopo essere stati costretti alla pace di Vestfalia nel 1648, nel giugno di quello stesso anno 1658 avevano dovuto impegnarsi ancora, nella persona dell'imperatore Leopoldo I, a non soccorrere gli Asburgo di Spagna, e che ora vedevano formarsi, nella stessa Germania, un forte raggruppamento politico legato alla Francia. Nel 1665 aderì alla lega anche il principe elettore di Brandeburgo, che nel 1658 era invece legato con l'Austria. Sennonché la fine della guerra tra Francia e Spagna (pace dei Pirenei del 1659) aveva tolto alla lega la sua vera ragione d'essere; e infatti il 15 agosto 1667 la lega si sciolse.
Bibl.: Joachim, Die Entwicklung des Rheinbunds von 1648, Lipsia 1886.
Prima Lega dei neutri (o della neutralità armata).
Durante l'ultima fase della guerra tra l'Inghilterra e le sue colonie d'America, grave danno veniva al commercio delle nazioni non belligeranti dal diritto di visita severamente esercitato dalla prima. L'imperatrice Caterina II, che tendeva a estendere il prestigio e l'influenza della Russia in Europa e aspirava a limitare la supremazia navale inglese, volle riaffermare il principio, già sostenuto dalla Prussia nel 1752 e dalla Francia nel 1778, che le merci trasportate dalle navi di un paese neutrale dovevano essere considerate libere ("free ships make free goods"). La proclamazione dell'8 marzo 1780 affermò, infatti, che le navi neutrali potevano recarsi liberamente da un porto all'altro e liberamente costeggiare; che il blocco non poteva essere riconosciuto valido se non era esercitato realmente ed effettivamente; che, salvo il caso di manifesto contrabbando, appunto "free ships make free goods". Tali principî furono accettati dagli Stati Uniti, dalla Francia e dalla Spagna, quest'ultime già alleate tra loro fin dal 12 aprile 1779, e un accordo si strinse immediatamente tra la Russia, la Danimarca e la Svezia per imporre l'osservanza di quella proclamazione, che inaugurava un'era importante nella storia del diritto marittimo. A tale intesa aderirono successivamente l'Olanda, la Prussia, l'Impero, il Portogallo e Napoli e si costituì una vera e propria Lega dei neutri, o della neutralità armata, come fu detta. Riviveva così, in qualche modo, la grande alleanza che Pietro il Grande aveva contrapposto alla minacciosa espansione svedese (1699, 1709, 1714). L'Inghilterra, gravemente colpita da questo accordo, che limitava il vantaggio assicuratole dalla sua grande preponderanza marittima e le faceva correre il rischio di una deprecata estensione della guerra, già per lei tanto difficile, volle correre ai ripari, specie per evitare l'intervento dell'Olanda. Ma la cattura di una nave americana che aveva a bordo Henry Somers, inviato dagli Stati Uniti in missione diplomatica all'Aia (settembre 1780), provocò una seria tensione tra l'Inghilterra e l'Olanda. Questa il 10 dicembre aderì alla lega e allora l'Inghilterra le dichiarò la guerra che ebbe esito sfavorevole per l'Olanda, abbandonata dai suoi alleati. Ma la formazione della lega influì sull'Inghilterra, che comprese di non poter continuare la lotta in America di fronte alla minaccia di una coalizione europea. Con la pace di Parigi del 1783 la lega cessò di esistere.
Seconda Lega dei neutri (o della neutralità armata).
Gl'insegnamenti della prima Lega dei neutri non andarono perduti. Gl'incidenti accaduti durante la lotta tra la Francia rivoluzionaria e l'Inghilterra provocarono il risentimento dello zar Paolo I contro quest'ultima. Il 27 agosto 1800, dopo la cattura da parte degl'Inglesi della fregata danese Freya, egli invitò i sovrani di Prussia, Danimarca e Svezia a unirsi a lui per riaffermare i diritti dei neutri. Il temporaneo accordo anglo-danese sconcertò i suoi piani; ma nuovi incidenti sopravvenuti rinfocolarono l'ira dello zar e lo spinsero a una più decisa azione. Tra il 16 e il 18 dicembre 1800 furono conchiusi accordi per la costituzione di una nuova Lega dei neutri tra la Russia, la Svezia, la Danimarca e la Prussia, ribadendosi i principî che erano stati posti a base della lega del 1780. La Francia, che con il trattato del 30 settembre 1800 s'era accordata con gli Stati Uniti per proclamare il diritto dei neutri e favorire il loro commercio, aderiva poco dopo alla lega con la speranza di poter riprendere agl'Inglesi quanto questi le avevano tolto durante le guerre del secolo. L'assassinio di Paolo I (23 marzo 1801) e la catastrofe della flotta danese (2 aprile 1801) provocarono un mutamento nella politica delle potenze nordiche. Il 19 giugno 1801 si ristabilivano le buone relazioni tra la Russia e la Gran Bretagna, che s'impegnava ad accettare alcuni tra i principî difesi dalla lega. E nei mesi successivi Prussia, Danimarca e Svezia aderirono alla convenzione anglo-russa. L'ultimo a riconoscerla fu Gustavo Adolfo IV (30 marzo 1802).