LEGATO (fr. legs; sp. legado; ted. Legat, Vermächtniss; ingl. legacy, bequest)
Diritto romano. - È probabile che nelle origini del diritto romano il legato fosse una donazione a causa di morte. In tutte le società primitive suole esser permesso al capocasa di disporre liberamente a causa di morte soltanto di una certa quantità e qualità di beni: il vero patrimonio familiare non può essere sottraHo alla famiglia e al suo nuovo capo (P. Bonfante). Fu fatto un passo decisivo nel diritto romano quando, a datare forse dalla legge delle XII Tavole, si ammisero simili donazioni nello stesso atto in cui si designava l'erede, cioè nel testamento. Allora presero il nome di legata, parola che verosimilmente deriva da legare nel senso di dare incarico o mandato (C. Fadda), poiché erano veri incarichi affidati all'erede. Nel diritto classico i legati non si potevano ordinare se non dopo l'istituzione di erede e in forma solenne. Si distinguevano quattro specie di legati con diverso effetto: per vindicationem, per praeceptionem, per damnationem, sinendi modo. I tipi fondamentali erano il legato per vindicationem e quello per damnationem: il primo, legato di proprietà; il secondo, legato di credito; gli altri due erano forme secondarie di questi. Tali forme svanirono nel diritto giustinianeo: in questo diritto, tolta ogni differenza fra i legati, a tutte le forme sono attribuiti gli stessi effetti e soprattutto, oltre l'azione obbligatoria, l'azione reale, tranne il caso in cui fosse stata legata cosa di un terzo. Nella sua evoluzione, poi, il legato si andò sempre più accostando al fedecommesso; Giustiniano abolì ogni diversità e dei due istituti ne formò uno solo regolato con le norme più favorevoli dell'uno e dell'altro e quindi principalmente del fedecommesso. Il legato è diventato un fedecommesso particolare; il fedecommesso ha assorbito il legato dell'universalità o di una quota di essa.
Da questo accostamento, anzi da questa fusione, sono derivate molte alterazioni dei testi classici accolti nelle fonti giustinianee; fra le altre, la massima con la quale si apre il gruppo dei tre libri XXX, XXXI, XXXII, de legatis et fideicommissis nelle Pandette: per omnia exaequata sunt legata fideicommissis (Dig., XXX,1). Due definizioni, poco felici, del legato sono contenute nelle fonti giustinianee (Inst., II, 20, de leg.,1; Dig., XXX, de leg. et fid., 116 pr.): poco felice quella che dice incombere la prestazione del legato all'erede, perché qualunque beneficato dal testatore può essere gravato da legato; poco felice quella che rappresenta il legato come una sottrazione fatta all'eredità, perché si può legare cosa dell'erede o di un terzo. Se il requisito della liberalità sia essenziale nel legato romano è gravemente controverso (L. Hartmann, B. Windscheid, C. Fadda). Il Messina Vitrano ritiene che questo requisito, estraneo all'essenza del legato classico, appartenga invece all'essenza del legato giustinianeo. Quanto al momento dell'acquisto del legato, la legislazione giustinianea superò la disputa fra proculeiani e sabiniani relativa alla necessità, ammessa dagli uni e negata dagli altri, dell'accettazione del legatario nel caso di legato per vindicationem e stabilì che il legato è ipso iure acquistato al legatario anche senza sua saputa. Quanto al diritto di accrescimento fra collegatarî, esso non poteva aver luogo per diritto classico nel legato per damnationem; era possibile invece nel legato per vindicationem, ma la lex Iulia e Papia Poppaea travolse anche questo diritto di accrescimento introducendo un artificioso regime. Quest'ultimo però fu abolito nella legislazione giustinianea, nella quale il diritto di accrescimento è disposto com'era nell'antico legato per vindicationem. Anticamente il testatore poteva lasciare all'istituto erede il nudum nomen heredis e distribuire tutto il patrimonio in legati, anzi poteva oltrepassare in quelle elargizioni il suo stesso patrimonio; ma, quando il fine dell'ereditȧ divenne veramente patrimoniale, essa venne in conflitto con il legato. Di qui varie leggi: lex Furia testamentaria, forse del 183 a. C.; lex Voconia del 169 a. C., e soprattutto la lex Falcidia del 40 a. C., per la quale l'eredità doveva in ogni caso rimanere intatta almeno per una quarta parte (quadrans) all'erede, riducendo proporzionalmente i legati superanti la misura dei tre quarti (dodrans). La revoca (ademptio) doveva essere fatta nel diritto antico in forma solenne come la concessione: ma questo rigore fu presto abbandonato. Una revoca tacita e valida iure praetorio si aveva nel diritto classico, quando il testatore avesse alienato la cosa legata per damnationem (Gai, II, 198): circa le condizioni perché questa ademptio potesse operare, molto si discute.
Diritto moderno. - Secondo l'art. 760 del codice civile italiano, il legato è una disposizione testamentaria a titolo particolare: non comprende, cioè, l'universalità dei beni del testatore o una quota di questa universalità, e non costituisce quindi istituzione di erede. Esso importa un'attribuzione patrimoniale per atto di ultima volontà a favore di una o più persone (legatarî). Normalmente esso importa un beneficio economico per il legatario e costituisce quindi un atto di liberalità; ma ciò non è essenziale per la validità del legato secondo il codice italiano. Vi possono essere infatti dei legati i quali non presentano affatto un vantaggio per l'onorato o ne presentano uno affatto trascurabile (p. es., legati di carte di famiglia non aventi per il legatario alcun vantaggio economico; legato in luogo della legittima avente un oggetto di valore uguale o anche inferiore a quello della medesima; legato di debito, ecc.). Inoltre il legato può essere gravato d'un altro legato di valore uguale o anche superiore, ovvero essere subordinato a una condizione o gravato d'un onere, il cui adempimento ne assorba tutto quanto il valore.
Il legato non può avere per oggetto né l'universalità né una quota dei beni del testatore. Per universaliià dei beni si deve intendere il patrimonio nel suo complesso, nel suo insieme cioè di attività e di passività; e per quota una frazione aritmetica dell'universalità del patrimonio (p. es., la metà, un terzo, ecc.). Quindi il lascito del puro importo o del residuo attivo dell'intero patrimonio o di una quota di esso, il lascito dell'usufrutto di tutto il patrimonio o di una quota di esso, il lascito di tutti i mobili o di tutti gl'immobili in generale o di una quota degli uni o degli altri, e simili, si debbono tutti considerare come legati e non già come istituzioni di erede. Il titolo dato dal testatore all'onorato o l'espressione adoperata per la chiamata non ha per sé importanza decisiva per la determinazione della natura del lascito; neppure la volontà effettiva del testatore può bastare a dare a un lascito, che per il suo contenuto deve essere qualificato come legato, il carattere di istituzione di erede.
Subietti del legato sono: 1. il testatore o legante; 2. l'onerato o gravato - e onerato o gravato è ordinariamente l'erede o un legatario, ma può essere in generale chiunque per la morte del testatore venga a conseguire o a conservare un vantaggio patrimoniale -; 3. l'onorato o legatario, che può essere qualunque persona che abbia la capacità di ricevere per testamento, e sia certa, cioè determinata o almeno determinabile. Onorato di legato può essere anche l'erede o un coerede; se un tale legato è lasciato a carico di altri coeredi o di un legatario o altro onerabile, esso non ha nulla di speciale; se invece esso è lasciato a carico dell'eredità tutta quanta, esso prende il nome di prelegato. Oggetto del legato può essere tutto ciò che ha un valore patrimoniale, sia una cosa o un fatto, anzitutto una cosa corporale individualmente determinata, sia essa appartenente al testatore, all'onerato, o anche a un terzo, presupposto però, in quest'ultimo caso, che risulti dal testamento che il testatore sapeva che la cosa era di un terzo. Più obietti, poi, possono essere legati in modo alternativo; in questo caso, in mancanza di diversa disposizione del testatore, la scelta spetta all'onerato. L'oggetto del legato deve essere possibile naturalmente, giuridicamente e moralmente; deve inoltre essere certo e determinato. La designazione troppo generica o ambigua, che renda impossibile la determinazione dell'oggetto legato, è causa di nullità del legato. Così pure il legato è nullo se la determinazione dell'oggetto è lasciata all'assoluto arbitrio altrui (arbitrium merum), non anche invece se è lasciata all'equo arbitrio del terzo (arbitrium boni viri). L'istituzione del legato non può essere fatta che mediante testamento e con l'osservanza delle medesime regole che valgono per l'istituzione di erede; non è subordinata a formule sacramentali né dev'esser fatta in forma imperativa: ciò che è necessario è soltanto che il testatore manifesti chiaramente la volontà di fare una disposizione vincolativa per l'onerato. La volontà di legare deve essere seria e decisa. Non è quindi possibile far dipendere l'efficacia dell'istituzione del legato dall'assoluto arbitrio altrui.
La volontà di legare non può essere viziata né da violenza né da dolo né da errore essenziale sugli elementi costitutivi del legato. Questi vizî rendono il legato annullabile, così come lo rende annullabile anche la causa illecita, quando sia espressa nel testamento e sia la sola che abbia indotto il testatore a disporre. L'istituzione del legato può essere fatta puramente e semplicemente ovvero sotto condizione sospensiva o risolutiva, o sub modo, o a termine iniziale o finale. La condizione però apposta al legato deve essere possibile e lecita, altrimenti si considera come non apposta. Lo stesso si dica del modo. Al legato può essere apposta anche una sostituzione per il caso che l'istituzione rimanga inefficace per la premorienza, l'incapacità o la rinunzia del chiamato (sostituzione volgare). La sostituzione fedecommissaria invece è vietata e si considera come non apposta all'istituzione. Vietato è anche il lascito di un usufrutto o altra annualità a più persone successivamente, che ha effetto soltanto a favore dei primi chiamati a goderne alla morte del testatore.
L'acquisto del legato ha luogo al momento dell'apertura della successione in tutti i legati non sottoposti a condizione sospensiva, e nei legati sottoposti a tale condizione, al momento in cui la condizione si avvera. Questa regola tuttavia subisce qualche eccezione (p. es., nel caso dell'art. 855). L'acquisto ha luogo ipso iure; il legatario ha però la facoltà di rinunziare. Dal legato sorge in ogni caso un diritto di credito; in taluni casi, però, sorge anche un diritto immediato sull'oggetto legato (art. 710 e arg. art. 863). A garanzia del suo diritto il legatario non ha un diritto di ipoteca legale sui beni dell'erede né la legge sancisce a favore di lui un divieto all'erede di alienare la cosa legata.
Quando il pagamento dei legati incombe sugli eredi, questi, se non hanno accettato l'eredità con beneficio d'inventario, sono tenuti a pagarli integralmente, anche col proprio patrimonio se quello ereditario sia insufficiente, essendo la loro responsabilità per il pagamento dei debiti e pesi ereditarî illimitata. La responsabilità degli eredi invece è limitata al patrimonio ereditario, quando essi abbiano accettato col beneficio d'inventario, nel qual caso essi possono anche liberarsi da qualsiasi obbligo cedendo ai creditori e ai legatarî tutti i beni ereditarî (art. 968). Quanto all'ordine e al modo di pagamento da parte degli eredi beneficiarî, nonché ai casi nei quali i legati possono rimanere in tutto o in parte insoddisfatti o assoggettati a proporzionale riduzione, dispongono gli articoli 976, 977, 821, 982, 983, 2055 e 2063. Il legato può essere invalido fin dal momento della sua istituzione, quando manchi di uno dei requisiti essenziali per la sua esistenza giuridica, o quando sia affetto da uno di quei vizî che, pur non escludendo l'esistenza di esso, lo rendono tuttavia annullabile; ovvero può diventare invalido successivamente. Tra le cause d'invalidità susseguente va annoverata anche la revoca, la quale può aver luogo per volontà del testatore o della legge. La revoca per volontà del testatore ha luogo o per dichiarazione espressa o anche tacitamente (per contrarietà o incompatibilità del legato con le disposizioni contenute in un testamento posteriore, o per alienazione o trasformazione della cosa legata, o per distruzione, lacerazione, o cancellazione del testamento o della disposizione contenente il legato, o per ritiro del testamento segreto dalle mani del pubblico ufficiale, presso cui era depositato). La revoca dal legato poi ha luogo di diritto, per l'esistenza di figli o discendenti del testatore ignorati al tempo del testamento, o sopravvenuti dopo, a meno che il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi, o che questi siano premorti al testatore. Si noti infine che il legato, pur essendo stato validamente istituito, può diventare in seguito inefficace o caduco per cause sopraggiunte sia prima dell'apertura della successione, sia dopo di essa; così, p. es., per la premorienza, l'indegnità o l'assenza del legatario all'epoca dell'apertura della successione, per la rinunzia di lui al legato, per la sopraggiunta impossibilità della prestazione della cosa legata prima dell'apertura della successione, per cessazione dello scopo o motivo determinante del legato prima dell'apertura della successione quando tale scopo risulti espresso nel testamento, per inadempimento della condizione sospensiva sotto cui il legato è stato istituito. La nullità, la revoca, o l'inefficacia del legato torna, di regola, a profitto dell'onerato, o di colui a danno del quale la prestazione di esso avrebbe avuto luogo. Ci sono però delle eccezioni: così in particolare nel caso che vi sia luogo a rappresentazione, nel caso che sia stata disposta una sostituzione e nel caso che vi sia luogo a diritto di accrescimento.
Bibl.: C. L. Arndts e C. Salkowski, Dei legati e dei fedecommessi, continuazione del Commentario alle Pandette del Glück, parte 1ª e 2ª, trad. it. di C. Ferrini, Milano 1898 e 1901; C. F. Rosshirt, Die Lehre von den Vermächtnissen nach römischen Recht, Heidelberg 1835; C. Ferrini, Teoria generale dei legati e dei fedecommessi, Milano 1889; C. Fadda, Dell'origine dei legati, in Studi e questioni di diritto, Napoli 1910; G. Segrè, Note esegetiche sui legati, in Studi in onore di V. Scialoja, Milano 1905, I, p. 239 segg.; M. Wlassak, Vindikation u. Vindikationslegat, in Zeitschr. d. Sav. St. f. Rechtsg. (rom. Abt.), XXXI (1910), p. 196 segg.; M. Pampaloni, La nuda proprietà nella dottrina dei legati, in Mélanges Oirard, Parigi 1912; F. Messina Vitrano, Il legato di usufruto, Palermo 1913; id., L'elemento della liberalità, ecc., Palermo 1914; id., Sulla dottrina romana della revoca tacita dei legati e dei fedecommessi, Palermo 1914 e 1919 e Perugia 1921; E. Albertario, Sulla revoca tacita dei legati e dei fedecommessi nel diritto romano, Pavia 1919; U. Coli, Lo sviluppo delle varie forme di legato nel diritto romano, Roma 1920; P. Ciapessoni, Sul senatoconsulto neroniano, in Studi in onore di P. Bonfante, Milano 1930, III, p. 649 segg.; S. Romano, Sull'acquisto del legato per vindicationem, Padova 1933; E. Pacifici Mazzoni, Successioni, VII (Dei legati), 3ª ed., Firenze 1900; Vitali, Successioni, II, 2ª ed., Torino 1924; C. Losana, Successioni testamenti, s. v., in Dig. it.; Paolucci, in Diz. prat. di dir. priv., s. v.; C. Gangi, I legati nel dir. civ. ital., Parte generale, 2ª ed., I, Padova 1933; II, Padova 1933 e bibl. ivi cit.
Prelegato. - È così chiamato il legato fatto allo stesso erede. Nel diritto romano, se fatto all'unico erede, era nullo per intero; se fatto a uno fra più eredi, era nullo per la parte in cui il prelegatario era erede. Questa singolare situazione, determinata dalla struttura della successione ereditaria romana, non perdura nel diritto civile italiano, dove eredità e legato sono due forme di attribuzione patrimoniale indipendenti fra loro. Il prelegato nel diritto italiano comporta come legato comune; e, poiché sono comprendibili in una sola persona le qualità di erede e di legatario, il prelegato è valido per intero. Così, disposto un prelegato a favore di uno degli eredi e a carico di tutti, l'erede prelegatario ottiene, oltre la propria quota ereditaria, l'intero legato come praecipum.
Bibl.: A. A. Buchholtz, Die Lehre von den Prälegaten, Jena 1850; G. Kretschmar, Die Natur des Prälegats nache röm. Recht, Lipsia 1874; C. Ferrini, Contributi alla dottrina del prelegato, Roma 1895; poi ripubblicato in Opere, IV, Milano 1930, p. 237; C. Scuto, La teoria del prelegato, ecc., Palermo 1909; C. Gangi, Brevi considerazioni sulla teoria del prelegato, ecc., in Rivista italiana per le scienze giuridiche, XLVII (1910), p. 315 segg.; A. Cicu, in Rivista diritto civile, III (1911), p. 136 segg.; P. Bonfante, in Scritti giuridici, I, Torino 1916, pp. 430 segg., 443 segg.
Legato pio. - In una significazione generalissima viene così indicato qualunque lascito pio o fondazione ecclesiastica; in una significazione più ristretta vengono così indicati sia il complesso dei beni destinati a uno scopo di cristiana beneficenza e pietà, sia anche lo stesso onere (modus) imposto all'erede o al legatario per lo stesso scopo; in una significazione ancor più ristretta è così indicato un complesso di beni o un onere (modus) che abbia esclusivamente di mira il culto. Quando come legato pio s'indichi un complesso di beni destinato al culto, è chiara la grande analogia tra il legato pio e la cappellania. Si distingue tuttavia dalla cappellania ecclesiastica, perché questa è un vero e proprio beneficio, mentre il legato pio non ha questo carattere. Si distingue dalla cappellania laicale, perché, quantunque anche questa non abbia carattere beneficiario e lo scopo della cappellania laicale sia identico a quello del legato pio quando questo sia destinato alla celebrazione di messe, nel legato pio, a differenza di quel che accade per la cappellania laicale, non occorre la designazione specifica dei beni che si vogliono vincolare all'adempimento dell'onere di culto, né vi ha una persona che figuri come usufruttuaria dei beni e rappresentante dell'ente.
Il legato istituito per scopi di beneficenza cristiana assumeva denominazioni varie (praestimonium, salarium, ecc.) secondo il concreto scopo stabilito dal testatore.
L'art. 29 del concordato fra l'Italia e la Santa Sede (v. art. 4 legge 27 maggio 1929, n. 848 e art. 17 reg. 2 dicembre 1929, n. 2262) dispone che "sono ammesse le fondazioni di culto di qualsiasi specie, purché consti che rispondano alle esigenze religiose della popolazione e non ne derivi alcun onere finanziario allo stato. Tale disposizione si applica anche alle fondazioni già esistenti di fatto". Quando questa rispondenza vi sia, come non può trovare più luogo l'applicazione dell'art. 1 legge 1867, così si devono considerare abrogati per incompatibilità con le nuove disposizioni gli articoli 883 e 1075 del cod. civ. Secondo qualcuno (V. Del Giudice) l'autorità, a cui spetta determinare la rispondenza, o no, di una fondazione di culto alle esigenze religiose di una popolazione, sarebbe l'autorità ecclesiastica, e il fatto di questa rispondenza sarebbe un elemento canonico dell'istituzione: la giurisprudenza italiana ha ritenuto che, in base al concordato, il decidere se una fondazione sia, o meno, rispondente alle esigenze della popolazione è demandato esclusivamente allo stato e non può essere oggetto di sindacato dell'autorità giudiziaria.
Bibl.: L. Coviello, Successioni, II, Napoli 1915, p. 547 segg.; N. Coviello, Diritto ecclesiastico, I, 2ª ed., Roma 1922, p. 336 segg.; V. Del Giudice, Corso di diritto ecclesiastico ital., II, Milano 1933, p. 297 segg. (con bibl.).