LEGATURA
Procedimento che conclude la lavorazione del libro, costituito da un assemblaggio di quaternioni cuciti e protetti da una copertura flessibile o rigida, i c.d. piatti di legatura.La storia della l. ebbe inizio con quella del codex, forma di libro che si distingue dal volumen di papiro utilizzato nell'Antichità nel mondo greco-romano. Il codex è menzionato per la prima volta dal poeta Marziale (Epigr., I, 2; XIV, 184, 186, 188, 190, 192) intorno alla fine del sec. 1° d.C. e gli studiosi sono attualmente concordi nel pensare che abbia fatto la sua prima comparsa a Roma, diffondendosi poi in tutto l'Impero romano per giungere a sostituirsi al volumen intorno al 4° secolo. Esso si avvicina ai quaderni di pergamena utilizzati nell'Antichità per prendere appunti; deve anche essere messo in rapporto con l'assemblaggio di due o più tavolette di cera collegate tra loro da lacci o da anelli.Fino a epoca relativamente recente, gli storici della l. si sono interessati pressoché esclusivamente della sua decorazione, mentre solo da qualche decennio si presta la necessaria attenzione anche alle tecniche impiegate dagli artigiani che le realizzarono. Lo studio di queste tecniche, evolutesi in maniera considerevole a seconda delle epoche e delle regioni, ha permesso di gettare nuove basi per la conoscenza delle l. antiche e, in particolare, di constatare che le biblioteche attuali conservano un numero non irrilevante di libri di epoca altomedievale ancora nel loro stato originale, o almeno senza che abbiano subìto troppi restauri. Si comprende quindi facilmente l'interesse che questo genere di ricerche presenta, e non solo nell'ambito della storia del libro, e non è dunque più possibile dissociare lo studio tecnico di una l. antica da quello della sua eventuale decorazione, poiché questi due aspetti forniscono dati tra loro complementari.Le più antiche l. conosciute sono state scoperte in Egitto. Molte di esse, risalenti al sec. 4°, sono semplici involucri di cuoio, talvolta dotati di cartoni costituiti di fogli di papiro incollati uno sull'altro. Un salterio recentemente scoperto (Cairo, Coptic Mus.) documenta l'aspetto di una l. in legno del 5° o 6° secolo.In Occidente, il primo testo che tratti della pratica della l. risale al 6° secolo. Si tratta di un passo di Cassiodoro (Inst., I, 30), che descrive come egli avesse fatto realizzare un album di modelli per decorare le l. dei libri della sua biblioteca di Vivarium. Non appare impossibile che il foglio iniziale di un manoscritto conservato a Parigi (BN, lat. 12190), sul quale sono disegnati e dipinti cinque differenti modelli di intrecci, provenga da una raccolta analoga, se non addirittura dallo stesso album di modelli cassiodoreo (Nordenfalk, 1974).I resti di un piatto di l., costituito da fogli di papiro sovrapposti e incollati e coperti di cuoio traforato, ritrovati sotto l'altare maggiore della chiesa di Sarezzano, borgo del Piemonte nei pressi di Tortona e ivi conservati, dovrebbero risalire a un'epoca vicina a quella di Cassiodoro (Ghiglione, 1984). In ogni caso, la più antica l. occidentale pervenuta in buono stato di conservazione venne realizzata nell'Inghilterra settentrionale da artigiani anglosassoni; essa ricopre un vangelo di Giovanni copiato sul finire del sec. 7° o agli inizi del successivo in Northumbria, nel monastero di Jarrow o in quello di Monkwearmouth, e scoperto nella tomba di s. Cutberto (m. nel 687), vescovo di Lindisfarne (Londra, BL, Loan 74, da Stonyhurst, College Lib.). Tre volumi (Fulda, Hessische Landesbibl., Bonifatiani 1-3), appartennero assai probabilmente a s. Bonifacio, martirizzato nel 754 dai Frisoni. Almeno le l. di due manoscritti (Bonifatiani 2-3) dovrebbero risalire alla prima metà del sec. 8° (Padberg, Stork, 1994).Analogamente a quanto accadde in Egitto, anche in Occidente esistono due differenti tipi di l.: quelle più solide sono formate di due assicelle di legno - dette quadranti - coperte di cuoio o, più raramente, di stoffa; le altre, più leggere, sono sprovviste di assicelle e hanno i quaternioni spesso cuciti in maniera rudimentale. Molti riferimenti in cataloghi medievali risalenti ai secc. 9°-15° descrivono questi libri con le formule in quaternionibus, quaternus, copertus sine postibus o copertus sine assidibus. L. di tal genere, assai fragili, sono state spesso sostituite con coperte più resistenti e più lussuose, divenendo così assai rare. Ciò nonostante esse dovettero essere numerose nel Medioevo, dato che molteplici testimonianze dimostrano che per accelerare il lavoro di copiatura non si esitava a slegare un'opera per suddividerne i quaternioni tra diversi scribi. La solidità dei rivestimenti dotati di assicelle di legno si opponeva certamente a un tale smontaggio, che avrebbe potuto danneggiare i fogli di pergamena e che sarebbe in ogni caso risultato assai costoso.Un caso estremo è rappresentato da un manoscritto di formato assai piccolo (Durham, Dean and Chapter Lib., A.IV.34), che non venne mai rilegato fin dall'epoca della sua trascrizione nel 12° secolo. I quaternioni che lo compongono sono rimasti indipendenti, anche se i fogli di ciascuno di essi sono stati resi solidali attraverso due sottili strisce di pelle che li attraversano alla testa e al piede del dorso. L'inventario medievale dei libri della cattedrale di Durham lo descrive come "Notae super Cantica canticorum, in quaterno" (Doyle, 1972).In alcuni casi fu sufficiente proteggere l'insieme dei quaternioni con un semplice foglio di cuoio o di pergamena cui i primi erano fissati singolarmente con linguette, anch'esse di pelle o pergamena. Tuttavia, in epoca carolingia venivano cuciti insieme anche i quaternioni coperti con questo tipo di l. flessibile (Vezin, 1982). Esemplari dei secc. 12°-14° presentano un rivestimento in tela (un foglio di cuoio o di pergamena foderato di tela). Spesso uno dei piatti è prolungato da un risvolto (detto in arabo rābiṭa), che protegge la costa interna, così che la l. assume l'aspetto di un vero involucro.Queste modeste coperture, a carattere essenzialmente utilitario, erano tuttavia talvolta decorate. In qualche caso, il bordo del cuoio o della pergamena è guarnito da un nastro colorato. Una l. del sec. 14° (Tolosa, Bibl. Mun., 165) è dipinta, con una scansione in due campi, giallo e arancio, seguendo un gusto peraltro ben attestato nel Medioevo per gli oggetti bicolori; un altro esemplare, del sec. 15° (Parigi, BN, lat. 8760), è decorato da intrecci dipinti. La pelle di una l. flessibile di epoca carolingia, proveniente da Fulda (Basilea, Universitätsbibl., F.III 15), è anch'essa decorata a stampo con piccoli motivi. Alla fine del Medioevo, principalmente nelle regioni germaniche, si moltiplicarono le l. flessibili di alta qualità. Per la loro realizzazione gli artigiani adoperarono i fili da cucitura e rinforzi in cuoio o corno al fine di creare una decorazione originale. Il termine ligaturae more studentium con cui vengono spesso designate indica chiaramente la loro destinazione (Bischoff, 1979, trad. franc. p. 39).Per la quasi totalità le l. medievali note sono al contrario molto solide. Normalmente esse sono costituite da quadranti coperti di cuoio, realizzati con legni di diverse essenze, a seconda della regione: principalmente impiegati sono la quercia, il faggio, il pioppo e le resinose. È possibile seguirne un'evoluzione nella tecnica di taglio e lavorazione del materiale grezzo: in epoca carolingia si tratta di tavolette di mm. 12 ca. di spessore, spesso tagliate a spigoli vivi. In qualche caso i bordi sono smussati o arrotondati e, in linea generale, verso la fine del Medioevo lo spessore delle assicelle diminuisce. Per conservare la loro solidità esse appaiono in qualche caso bombate, con bordi assai sottili e una parte centrale più spessa.In alcuni casi, apparentemente a partire dalla fine del sec. 13°, i piatti sono costituiti da lastre di cuoio assai rigide e dello spessore di diversi millimetri. In alcuni casi si provvedeva a incollare insieme molti fogli di pergamena di scarto al fine di ottenere una sorta di cartone.Nel corso dei primi secoli dell'era cristiana veniva utilizzato un cartone, in qualche caso assai spesso, fabbricato con l'ausilio di fogli di papiro incollati. È questo il procedimento tecnico che si può osservare nella già citata l. di Sarezzano. Il diffondersi dell'uso della carta nel sec. 14° mise a disposizione dei legatori un materiale assai adatto per la realizzazione di piatti di cartone. Nel 1369 l'inventario della biblioteca pontificia segnala alcuni libri rilegati cum postibus papireis (Gasnault, 1980, p. 273). Si tratta senza alcun dubbio di tavolette costituite da fogli di carta incollati tra loro. Alcuni libri provenienti dalla biblioteca di Guy de Roye, arcivescovo di Reims (m. nel 1409), conservano ancora la loro l. originale con piatti di cartone coperti di cuoio (Reims, Bibl. Mun., 517). Si potevano utilizzare anche piatti in pasta di cartone, come nel caso della l. di un manoscritto conservato a Parigi (BN, lat. 3528), che risale alla fine del 15° secolo.La prima tappa della l. era la cucitura dei quaternioni. L'esame degli esempi più antichi dimostra che in origine si usava cucire i quaternioni solamente con l'uso di uno o due fili che li trapassavano in sequenza formando delle catenelle. In questo caso le cuciture vengono definite a una o a due gugliate di filo. Il blocco costituito dai quaternioni così cuciti veniva in seguito attaccato ai quadranti. I rilegatori bizantini continuarono a impiegare questo metodo per tutto il Medioevo e la stessa tecnica è rilevabile anche sui libri arabi. In Occidente, solamente i quaternioni del già citato Vangelo di s. Cutberto vennero sicuramente cuciti in questa maniera, così come alcuni manoscritti coperti da un semplice foglio di cuoio o pergamena. In effetti, senza dubbio già nel sec. 8° fece la sua comparsa una innovazione che distingue la l. occidentale da quelle bizantina e araba, la cucitura sulle nervature.In questo tipo di cucitura il filo che serve a unire i quaternioni fuoriesce attraverso un foro dal dorso del quaternione, poi gira una o due volte intorno alla nervatura, semplice o doppia, prima di rientrare dal medesimo foro all'interno del quaternione; il filo esce quindi attraverso un altro foro a livello della nervatura successiva e così di seguito. Una volta che il quaternione è stato fissato a tutte le nervature, il filo fuoriesce da un foro posto in prossimità della testa o del piede del quaternione e passa in quello successivo formando abitualmente una catenella. Per rinforzare la cucitura, i rilegatori facevano spesso discendere il filo utilizzato per cucire un quaternione - nel momento in cui esso usciva dal suo dorso - sotto il filo del quaternione precedente, formando così su ciascuna nervatura un caratteristico disegno a spina di pesce.Le modalità del fissaggio delle nervature ai piatti di l. variarono spesso tra il sec. 8° e il 15° e uno studio di questo particolare consente di individuare importanti elementi per determinare l'età di una legatura. Nel corso dell'epoca carolingia e fino alla fine del sec. 11° vennero utilizzate nervature doppie costituite da una funicella o da un lacciolo di cuoio piegato in due. Nel tipo di l. più corrente, spesso definito, proprio per questa ragione, carolingio, benché non fosse il solo a essere impiegato in quell'epoca, tre fori disposti a triangolo appaiono praticati nei due quadranti in corrispondenza di ciascuna nervatura. Il foro posto alla sommità del triangolo attraversa il quadrante con andamento obliquo, partendo dal dorso per uscire sulla faccia esterna dello stesso quadrante. Gli altri due fori, praticati a qualche centimetro dal bordo, attraversano l'assicella perpendicolarmente da parte a parte. Prima di procedere alla cucitura dei quaternioni, la funicella o il lacciolo di cuoio destinato a servire da nervatura doppia veniva per l'appunto piegato in due; le sue estremità venivano introdotte nei due fori perpendicolari dell'assicella a partire dalla sua faccia inferiore; esse fuoriuscivano così sulla faccia superiore ed erano fissate insieme nel foro obliquo centrale. Questo primo quadrante serviva dunque da base per la l. dei quaternioni. Non si sa se questo lavoro venisse eseguito con l'aiuto o meno di un telaio da cucitura (cousoir), il cui impiego è attestato in maniera certa solo a partire dal sec. 12°, allorché compare su un disegno in un manoscritto di Bamberga (Staatsbibl., Msc.Patr.5, c. 1v).Una volta che i quaternioni erano stati cuciti, le nervature doppie passavano nei fori praticati sul secondo quadrante compiendo un percorso inverso a quello seguito con il primo. Le due estremità della funicella o del lacciolo venivano così annodate sulla faccia interna del secondo quadrante. Per rendere le nervature invisibili al di sotto del cuoio di copertura, esse venivano sistemate in apposite scanalature ricavate nel legno. In seguito questa tecnica venne perfezionata, pur complicandosi: gli artigiani provvidero affinché i fori che attraversavano i quadranti perpendicolarmente non venissero più praticati su di un medesimo allineamento e che essi fossero comunque meno numerosi.Accanto al metodo fin qui descritto, vennero comunque praticate anche altre tecniche. Una di esse, particolarmente complessa, si ritrova soprattutto nelle l. realizzate in Germania e in Italia. In estrema sintesi, i quadranti erano preparati nella maniera seguente: al livello di ciascuna nervatura, venivano scavati su entrambe le facce, perpendicolarmente al dorso, alcuni canalini rettangolari, profondi mm. 1 ca. e lunghi alcuni centimetri. All'estremità di questi canalini, opposta al bordo della tavoletta, una fessura attraversava il quadrante da parte a parte. Un filo, sistemato all'interno dei canalini, girava più volte dal dorso alla fessura passando in successione da un canale all'altro. Su entrambi i lati dei canalini, a cm. 3-4 dal dorso, venivano praticati fori circolari. Le nervature passavano attraverso i fori del primo quadrante a partire dalla sua faccia interna e si andavano a fissare ai fili posti sul bordo del quadrante dal lato del dorso. Dopo la cucitura, le estremità libere della nervatura doppia venivano annodate sulla faccia interna del secondo quadrante dopo che esse avevano seguito un percorso inverso a quello compiuto sul primo (Vezin, 1985; 1988b). Per certi aspetti, è possibile confrontare questo modo di connettere il corpo del volume ai quadranti con quello impiegato in ambito bizantino.Certamente intorno alla fine del sec. 11° o agli inizi del successivo gli antichi sistemi di cucitura su nervatura doppia vennero sostituiti dalla cucitura su nervatura tagliata, una striscia di pelle con una fessura al centro. Le funicelle o i laccioli di cuoio vennero sostituiti da un nastro di cuoio spesso mm. 2-3 e largo mm. 10 ca. tagliato longitudinalmente nella sua parte centrale per una lunghezza uguale allo spessore del libro da rilegare. La cucitura veniva effettuata come nel caso della nervatura doppia. Le due estremità della nervatura tagliata erano introdotte in mortase rettangolari ricavate nella costa del quadrante, prima di essere fissate con cunei di legno. La disposizione di queste scanalature muta a seconda delle diverse aree regionali e delle diverse epoche. A partire dalla fine del sec. 14° e dagli inizi del 15°, quando comparvero molti cambiamenti nelle tecniche di l., le estremità delle nervature tagliate vennero spesso fissate direttamente sulla faccia esterna dei quadranti, dal momento che questi ultimi erano divenuti troppo sottili per permettere di ricavare mortase nel taglio. Questo nuovo metodo era già applicato in precedenza nel caso dell'impiego di piatti costituiti di lastre in cuoio o in cartone e quindi assai più sottili dei quadranti in legno. Una tecnica analoga è ancora oggi impiegata nella l. artigianale. Se le cuciture su nervature doppie o su nastro tagliato furono quelle impiegate più frequentemente nel corso del Medioevo, sono comunque note anche l. realizzate ancora nel sec. 15° con la tecnica delle nervature semplici.Una volta terminata la cucitura dei quaternioni, le estremità del dorso venivano rinforzate con i c.d. capitelli, ricami ornamentali più o meno complicati, spesso costituiti da fili colorati, frequentemente cuciti insieme a pezzi di cuoio di rinforzo. Questi ultimi oltrepassavano normalmente il bordo del dorso formando delle orecchie ed erano cuciti al cuoio della copertura con fili analoghi a quelli dei capitelli e che formavano anch'essi una sorta di ricamo. Verso la fine del Medioevo, queste orecchie scomparvero, lasciando sovente il posto a un nuovo modello di capitello costruito a partire da un cordone di cuoio intrecciato.Dopo la conclusione del lavoro di cucitura si poteva passare alla copertura del volume. A partire da un'epoca difficile da determinare, ma forse circoscrivibile ai secc. 13° o 14°, si iniziò a guarnire il dorso di alcuni libri con strisce di tela o di pergamena che servivano a rendere ancor più solidali il corpo cartaceo e i quadranti. La copertura era normalmente realizzata in cuoio spesso. Alcuni testi, sfortunatamente troppo rari, indicano che i pellami utilizzati in età altomedievale si ottenevano da animali selvatici, in particolare cervi e caprioli. In seguito vennero impiegati anche il vitello, la scrofa o il cinghiale e certamente anche pelli di altri animali, quali la capra e il montone.A causa dell'invecchiamento del cuoio, la copertura di un gran numero di manoscritti è divenuta felpata e grigiastra, mentre in origine doveva essere assai spesso bianca. Ciò nonostante esistono alcune l. degli ultimi secoli del Medioevo che hanno conservato una tinta rosata. I risguardi di un certo numero di l. dei secc. 14° e 15°, che per la loro collocazione risultavano protetti dalla polvere e dalla luce, dimostrano che alcune coperte oggi grigiastre erano in origine tinte in rosa, verde, giallo o blu. Il cuoio di vitello è invece di un colore bruno più o meno cupo.A partire dalla fine del sec. 11° o dall'inizio del successivo alcune l., in particolare quelle realizzate nelle abbazie cistercensi, vennero dotate di una copertura supplementare in forma di fodera, la cui pelle normalmente debordava abbondantemente dai piatti, garantendo così una protezione dei tre tagli del volume, che si trovava completamente avvolto. In alcuni libri di gran lusso, la sovraccoperta in pelle poteva essere sostituita da una stoffa preziosa, talvolta ricamata.Nei secc. 14° e 15° la copertura di alcuni libri, generalmente di dimensioni assai piccole, risultava decisamente sovrabbondante verso il basso, permettendo così di tenere il manoscritto in mano o di attaccarlo alla cintura come una scarsella (Szirmai, 1988). Gli esempi conservati di questo tipo di l. sono assai rari, ma l'iconografia di dipinti e sculture ne ha trasmesso esempi assai numerosi, sia attaccati alla cintura dei loro proprietari, sia tenuti in mano dagli stessi, sia aperti davanti a un personaggio in preghiera. Questi libri-scarsella si possono avvicinare a libretti formati da piccoli fogli piegati più volte su se stessi e cuciti a un'estremità. Questo genere di libretti conteneva testi usuali, breviari, calendari, che potevano anch'essi venire attaccati alla cintola.Per quasi tutto il Medioevo, il cuoio del dorso non veniva incollato e le nervature, nonostante il loro forte spessore, risultano praticamente invisibili. Occorre attendere il sec. 15° per vedere la comparsa dei dorsi con le nervature a risalto, che spesso divengono esse stesse un elemento decorativo.Probabilmente dopo la copertura, alcuni libri, normalmente quelli di gran lusso, venivano decorati con tagli dorati o dipinti, spesso con le armi dei loro proprietari. Si sono conservati, per es., tre volumi con i tagli decorati con le armi di Francia e di Castiglia appartenuti a s. Luigi o a esponenti della sua cerchia (Parigi, BN, lat. 8851, lat. 10434, lat. 10525). Altri libri dai tagli dipinti con raffigurazioni araldiche furono un tempo in possesso del re di Francia Carlo V e del duca di Berry. Anche i tagli di molti manoscritti appartenuti all'arcivescovo di Reims Guy de Roye presentano dipinte le armi del prelato (per es. Reims, Bibl. Mun., 727, 755).Nel Medioevo, i libri erano disposti in piano su leggii o scaffali o anche ben accatastati in cofani o armadi. Per impedire loro di aprirsi, in particolare a causa della tendenza della pergamena a divenire ondulata, i volumi venivano corredati di corregge in cuoio, talvolta ricoperte di stoffa nei casi dei libri preziosi, fissate al bordo di uno dei piatti. Queste terminavano in un fermaglio in metallo - ottone, bronzo, argento o anche oro - che si assicurava a un tenone piantato sia nella costa sia sulla faccia esterna del piatto di l. opposto. Alla fine del Medioevo il tenone appare spesso sostituito da un controfermaglio in metallo tagliato. Normalmente i manoscritti possiedono uno o due fermagli posti sul lato esterno, ma, soprattutto in Italia, alcune l. possono essere dotate di due fermagli supplementari, posti l'uno in testa e l'altro al piede del volume. A seconda delle epoche e delle regioni i fermagli possono trovarsi tanto sul primo quanto sul secondo piatto di legatura.Al fine di proteggere i volumi dagli sfregamenti, le l. venivano spesso dotate di guarnizioni in metallo, borchie ed elementi angolari in corrispondenza degli spigoli dei piatti, e di umboni al centro. All'epoca in cui si sviluppò l'insegnamento universitario, intorno alla metà del sec. 13°, fecero la loro comparsa i primi libri incatenati, opere di frequente consultazione che servivano ad communem utilitatem dei membri di una comunità e che non dovevano dunque essere spostati.Il contenuto dei manoscritti era indicato in modi diversi. Fino al sec. 13° il titolo appare spesso scritto a inchiostro sul dorso in grandi caratteri capitali od onciali. In seguito si preferì incollare etichette di pergamena o di carta su uno dei piatti. Verso la fine del Medioevo le etichette potevano essere protette da una sottile lamina di corno traslucido fissata da una incorniciatura in ottone. Allorché i libri venivano avvolti in una guaina di pelle, l'etichetta poteva essere cucita su di un bordo del rivestimento stesso.Un certo numero di l. medievali presenta una decorazione più o meno ricca e complessa e, nella maggioranza dei casi, realizzata in cuoio. Nelle più antiche, che risalgono ai secc. 7° e 8° o agli inizi del 9°, praticamente ogni esemplare testimonia l'impiego di una tecnica differente. In questo periodo, l'aspetto esteriore dei libri era dunque assai vario e sembra molto probabile che si siano conservati solo alcuni tra i tipi di decorazione impiegati. Così, nella citata l. di Sarezzano (Ghiglione, 1984) e in quella del Codex Ragyndrudis (Fulda, Hessische Landesbibl., Bonifatianus 2), realizzata senza dubbio a Luxeuil prima di essere offerta a s. Bonifacio (Padberg, Stork, 1994), i piatti sono decorati con un foglio di pergamena dorata coperta da cuoio traforato. L'oro fa risaltare i motivi, croci o racemi, realizzati a giorno nel cuoio, seguendo una tecnica conosciuta a quell'epoca tanto in Oriente quanto in Occidente per decorare diversi tipi di manufatti in cuoio, come cinture o sandali.Nel citato Vangelo di s. Cutberto (Stevick, 1987) il primo piatto di l. è decorato da un motivo a rilievo ottenuto con il procedimento dello sbalzo e da motivi a intreccio di tipo anglosassone sottolineati dall'impiego dell'oro. Sul secondo figura un motivo geometrico ottenuto per incisione del cuoio. L'impiego della tecnica del cuoio cesellato permise di disegnare gli intrecci che decorano i due piatti di un altro manoscritto di s. Bonifacio, il Codex Cadmug (Fulda, Hessische Landesbibl., Bonifatianus 3). Un volume proveniente da Fulda e copiato in Germania al volgere del sec. 8° o agli inizi del successivo è coperto in cuoio bruno (Kassel, Gesamthochschul-Bibl. Kassel-Landesbibl., theol. Q. 6). Il motivo decorativo, tracciato con larghi filetti (ovvero semplici linee rette o curve), secondo una tecnica che non trova altri esempi contemporanei, disegna una croce sul primo piatto e alcuni intrecci sul secondo.Nel periodo successivo questa varietà delle tecniche decorative scomparve e l'aspetto delle l. in cuoio finì per uniformarsi. Rimane un grandissimo numero di l. decorate con l'impiego di punzoni impressi a freddo, i cui esempi più antichi possono risalire alla seconda metà del sec. 8°, anche se non è possibile escludere che questa tecnica venisse utilizzata già in precedenza. Per quest'epoca, che comprende un arco cronologico di diversi secoli, si deve tenere conto del fattore della conservazione casuale ed è in definitiva possibile che l. appartenenti a una tipologia assai diffusa siano totalmente scomparse, falsando inevitabilmente il giudizio storico-critico. I punzoni utilizzati per le l. più antiche, vale a dire del periodo compreso tra i secc. 8°-12°, sono normalmente assai semplici; essi disegnano molto spesso cerchi, motivi floreali, palmette, rosette o intrecci, insieme con diversi motivi geometrici. Alcuni, più complessi, sono decorati con animali, volatili o quadrupedi. In casi isolati si osservano un volto umano visto di profilo, su di una l. di Corbie (Parigi, BN, lat. 12051), e la mano di Dio Padre, su di un manoscritto del monastero di S. Salvatore di Brescia nel corso della seconda metà del sec. 9° (Brescia, Bibl. Civ. Queriniana, G-VI-7). L'iconografia di molti di questi punzoni risale a un periodo assai antico, se non addirittura alla preistoria. Essi sono del tutto conformi alle tradizioni decorative dell'epoca carolingia, in particolare agli esempi che si possono osservare nella decorazione dei manoscritti.Queste punzonature sono ripartite sui piatti seguendo una disposizione dettata da un disegno tracciato da filetti. Nel sec. 9° ciascun piatto presenta abitualmente un disegno differente, spesso una croce latina sul primo piatto e una croce di s. Andrea, insieme con triangoli e losanghe, sul secondo. Alcuni punzoni potevano inoltre essere impiegati a gruppi per formare disegni più o meno complicati, in particolare croci o racemi. Confrontando i punzoni utilizzati nelle diverse l. è stato possibile individuare decorazioni realizzate a S. Salvatore di Brescia, Saint-Denis, Reims, Saint-Amand, Salisburgo, Fulda, Magonza, Würzburg, Reichenau e, forse, San Gallo, Coira, Fleury e la regione di Tours. La l. realizzata per il già citato manoscritto di S. Salvatore di Brescia merita una menzione particolare, giacché è decorata da punzoni che simboleggiano le tre figure trinitarie.Nei secc. 10° e 11° le decorazioni si semplificarono. Fatta salva qualche eccezione, i filetti disegnano lo stesso motivo sui due piatti: croce di s. Andrea, losanghe e triangoli. Forse non erano più disponibili utensili per realizzare i filetti per guidare la ripartizione dei punzoni. Il caso ha voluto che la quasi totalità delle l. del sec. 10° pervenute sia stata realizzata a Frisinga. Il fondo di Frisinga conserva anche una l. della seconda metà del sec. 10° verosimilmente realizzata a Toul (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 6294), che presenta la particolarità unica di punzonature dorate. Ad Angers (Bibl. Mun., 820) si conserva una l. decorata agli inizi del sec. 11°; due manoscritti della fine dello stesso secolo presentano anch'essi l. decorate con punzonature che possono risalire alla medesima epoca in cui vennero copiati i testi (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1029; Würzburg, Universitätsbibl., M.p.theol.fol.71).La tradizione delle l. decorate a stampo di tipo carolingio risulta ininterrotta dal sec. 8° al 12°, anche se gli esemplari conservati del sec. 11° sono estremamente rari. Una vera rivoluzione nell'arte del cuoio decorato a stampo si manifesta a partire dal secondo quarto del sec. 12°, in particolare a Parigi, dove l'affermarsi dell'insegnamento scolastico e la presenza di una clientela di rango principesco permisero lo sviluppo di botteghe laiche di copia e legatura. Fu dunque per questo motivo che il principe Enrico, terzo figlio del re Luigi VI, inizialmente monaco a Clairvaux, quindi vescovo di Beauvais e infine arcivescovo di Reims, donò all'abbazia in cui aveva cominciato la sua vita religiosa sotto la direzione di s. Bernardo alcuni libri coperti con l. del nuovo tipo, molti dei quali si conservano tuttora. Oltre alle botteghe parigine esistettero anche altri centri produttivi in Inghilterra e Germania (Schmidt-Künsemüller, 1985).Mentre nelle l. di epoca precedente la copertura era realizzata con un pellame di colore naturale divenuto quindi grigio in seguito al processo di invecchiamento, il cuoio di quelle che vengono tradizionalmente definite l. romaniche è tinto di beige, marrone, rosa o rosso. La decorazione dei piatti, variata ed eseguita con grande maestria, era opera di veri disegnatori, che non si accontentavano di tracciare figure geometriche semplici quali rettangoli, triangoli o losanghe; mediante l'impiego di filetti, ma anche di punzoni impressi uno accanto all'altro, essi in qualche caso disegnavano vere e proprie architetture dalle forme complesse. I punzoni, di sezione quadrata o rettangolare, talvolta in forma di mandorla o di ovale, riflettono la complessità dell'iconografia del sec. 12° riproducendo il bestiario medievale, popolato da grifoni, sirene, sciapodi, uccelli fantastici. Tre punzoni a forma di mandorla (per es. Troyes, Bibl. mun., 2266), di evidente ispirazione religiosa, presentano le figure del re Davide e dei ss. Pietro e Paolo. Una caratteristica di queste l. è l'impiego di motivi a intreccio che imitano la funicella intrecciata, che testimoniano di un'influenza araba e di cui si ritrovano equivalenti ancora nel sec. 15° nelle l. italiane o spagnole. L'elemento pittoresco non venne dimenticato. Giochi di punzoni giustapposti permettono di rappresentare fortezze difese da soldati o anche chiese i cui elementi principali, abside, tetto, corpo longitudinale e campanile, erano impressi con altrettanti distinti punzoni.Alcune l. del sec. 13° continuarono la tradizione romanica, ma la loro decorazione si impoverì e divenne monotona, nonostante la comparsa di nuovi punzoni, particolarmente quelli con l'albero di Iesse, la Vergine con il Bambino e animali fantastici ispirati ai disegni marginali dei manoscritti.Le conoscenze a proposito dell'arte della l. nel sec. 14° sono ancora assai limitate, soprattutto a causa della mancanza di elementi di confronto sicuramente datati e localizzati. Si può tuttavia constatare come la decorazione evolva nel senso della tradizione precedente. I punzoni, spesso quadrati, sono di modulo assai più piccolo e sono incisi più finemente. Gli artigiani li disponevano affiancati gli uni agli altri in maniera da formare delle cornici rettangolari o delle bande verticali. Vi si osservano raffigurazioni di sciapodi, grifoni, uccelli passanti come nel sec. 13°, ma anche due lupi sovrapposti e una pantera che affronta un drago. Questo tipo di decorazione si mantenne sostanzialmente immutata nell'arco di due secoli ca. e risulta dunque assai difficile distinguere le l. degli inizi del sec. 14° da quelle della metà del successivo, se non grazie alla comparsa di tipi iconografici nuovi come l'agnello crucifero o il pellicano nel suo nido.Nella seconda metà del sec. 15° si continuarono a utilizzare i medesimi punzoni adoperati in precedenza, ma fecero la loro comparsa motivi araldici, in particolare i gigli, che peraltro non indicano affatto una provenienza dalla corte reale francese, lettere isolate, brevi iscrizioni come ave Maria e laus Deo.Con il moltiplicarsi del numero dei libri in seguito all'invenzione della stampa, i rilegatori cercarono di rendere più rapido il proprio lavoro. Intorno al 1450 si cominciarono a utilizzare delle rotelle per tracciare i filetti, invece di accontentarsi di un semplice utensile appuntito. Vennero impiegate anche rotelle che recavano una decorazione; in questo caso non si tratta più propriamente di dischi, ma di cilindri sui quali sono incisi motivi decorativi. Fregi verticali e orizzontali potevano essere utilizzati per formare delle cornici; le rotelle erano impiegate anche per sottolineare e decorare il motivo centrale. Comparse per la prima volta in Germania intorno al 1470, queste rotelle vennero impiegate in Francia solo con la fine del 15° o gli inizi del 16° secolo. Sulle rotelle più antiche sono incisi piccoli motivi ripetuti che producono un effetto comparabile a quello delle l. a cornici multiple. Le rotelle più larghe presentano scene in cui sono per lo più raffigurati personaggi e animali entro elementi fogliati, ma anche motivi ornamentali e floreali.Il perfezionamento degli attrezzi a disposizione e in particolare l'uso della pressa permise di arrivare a imprimere sui piatti delle placche di metallo incise che misuravano mm. 7050 ca. e che un operaio non sarebbe stato in grado di applicare con la sua sola forza. Sembra verosimile che alcuni rilegatori fiamminghi avessero conosciuto già nel sec. 14° questa tecnica, il cui uso si diffuse in seguito nella regione inferiore del Reno e quindi, intorno al 1480, nella Francia settentrionale e in Inghilterra. Le lastre prodotte in queste regioni non differivano affatto, almeno agli inizi, dai loro modelli fiamminghi, ma verso la fine del sec. 15° comparvero placche assai più grandi, che arrivavano a misurare mm. 120-14075-80. La loro decorazione consisteva normalmente in scene religiose (Annunciazione, Visitazione, Messa di s. Gregorio) e nella rappresentazione di diversi santi. Si comprende così perché il libraio Andri Boule possedeva una placca che rappresentava il suo santo patrono con il suo nome inciso al di sotto. Oltre alle lastre con raffigurazioni di personaggi, esistevano anche lastre incise con motivi puramente ornamentali che riproducevano le bande verticali e le cornici rettangolari delle decorazioni a rotella.La tecnica del cuoio inciso permise ai rilegatori di liberarsi dai limiti imposti dalla decorazione a stampo, consistenti soprattutto nel numero forzatamente limitato dei punzoni, delle rotelle e delle lastre. La decorazione veniva realizzata incidendo il cuoio con una lama o con una punta e nessun ostacolo tecnico si opponeva alla fantasia dell'artista o dell'artigiano. Le più antiche l. note in cuoio inciso provengono dall'Egitto; in Occidente, il primo esempio si trova sulla l. del Vangelo di s. Cutberto e si tratta, come si è già accennato, di un motivo geometrico assai semplice; alcuni decenni più tardi, il Codex Cadmug venne decorato di motivi a intreccio profondamente incisi nel cuoio. Solo nel corso della seconda metà del sec. 14°, tuttavia, questa tecnica ornamentale assunse tutta la sua importanza in Germania, in Austria e in Boemia. La decorazione combina fiori e foglie con disegni di animali fantastici o reali o anche, in qualche caso, con figure umane; accade anche che appaiano incise decorazioni a carattere araldico. Normalmente il disegno occupa uno spazio rettangolare bordato da una cornice contenente motivi vegetali o iscrizioni. Questo tipo di decorazione incontrò un grande successo e alcuni rilegatori fecero anche incidere delle lastre che imitavano il cuoio cesellato.Le l. medievali erano in cuoio naturale o tinto in colore uniforme e i punzoni erano solamente impressi a freddo. Si conservano alcuni rari casi di doratura di epoca altomedievale, ma solo intorno al 1480 si cominciò a diffondere in Occidente, e più precisamente in Italia e in Spagna, la tecnica ispirata alle produzioni arabe, che consisteva nell'interporre una foglia d'oro tra il cuoio e il punzone precedentemente scaldato, in maniera tale che l'impronta del punzone si stagliasse in oro sullo sfondo del cuoio. Il cuoio di alcune l. poteva essere dipinto, come accade per alcuni libri di Guy de Roye (per es. Reims, Bibl. Mun., 71). I piatti di altre l. poterono essere arricchiti da fogli di pergamena miniati, protetti da lastrine di corno, sostenuti da cornici metalliche, analogamente a quanto accadeva per le etichette.I libri di gran pregio, in particolare quelli appartenenti a re o principi, furono spesso coperti da stoffe preziose quali sete, velluti e broccati di diversa provenienza. Un esempio assai antico in questo senso è fornito dai Vangeli di S. Maria in Via Lata (Roma, BAV, S. Maria in via Lata I. 45). Questo manoscritto, copiato nella regione di Roma nella seconda metà del sec. 9°, possiede la sua l. originale composta da due quadranti di legno ricoperti da una stoffa in broccato di seta di origine orientale. I piatti vennero ulteriormente arricchiti con due placche d'argento decorate, destinate a proteggere la seta assicurandone la conservazione. Tessuti diversi servirono anche da sfondo a motivi decorativi in metallo traforato (Steenbock, 1965, tavv. 68, 70; Laffitte, Goupil, 1991, tav. 26). Queste coperture in stoffa sono assai fragili e molte di esse sono note solo attraverso gli inventari di biblioteche come quelle del re di Francia Carlo V, dei duchi di Borgogna, dei Visconti e degli Sforza. I libri contabili di questi principi menzionano anche acquisti di tessuti preziosi destinati alle l. dei libri.Le armi, gli emblemi o le iniziali dei proprietari venivano spesso ricamati su queste l., che potevano anche essere ornate di perle. Tra i rari esempi ancora conservati si possono citare l'involucro di seta blu gigliato realizzato certamente nel sec. 14° per il Salterio di Bianca di Castiglia (Parigi, Ars., 1186) e un libro offerto al re di Francia Luigi XII, coperto di seta blu sulla quale vennero ricamati in filo d'oro grandi gigli (Parigi, BN, lat. 4777).Queste l. sontuose erano assai frequentemente dotate di fermagli terminanti in graffe in oro o in argento cesellato, in qualche caso ornate di smalti e di 'pipe', piccoli steli di metallo prezioso da cui si staccano dei segnalibri. Alcuni inventari dimostrano che queste 'pipe' potevano a loro volta essere decorate con perle o gemme.Materiali preziosi vennero utilizzati anche per arricchire rilegature destinate a coprire libri che rivestivano grande importanza, essenzialmente libri d'uso liturgico (sacramentari, antifonari, salteri e vangeli). Queste l. d'oreficeria servivano a mettere in risalto il contenuto sacro delle opere che proteggevano e assumevano per qualche verso un ruolo di reliquiari. Ciò viene del resto confermato dall'esistenza di vere e proprie teche per libri che presentano l'aspetto di l. (Steenbock, 1965, tavv. 2, 57, 62, 78), in cui veniva conservato il testo dei vangeli, come nel caso dei cumdachs irlandesi.L'avorio venne spesso utilizzato nella decorazione delle l., sia che si trattasse di reimpiego di dittici antichi sia di placche scolpite in epoca altomedievale. A causa della loro origine, le placche d'avorio non potevano superare una certa larghezza, per questa ragione esse vennero spesso impiegate nelle coperte di manoscritti stretti e lunghi, quali per es. i libri destinati al canto liturgico. Per opere di formato più importante si procedeva con l'incastro delle placchette d'avorio in cavità ricavate nei quadranti, creando normalmente intorno a esse una cornice in metallo prezioso. In ogni caso, alcuni dittici particolarmente sontuosi, composti da cinque lastre d'avorio assemblate in maniera da formare una sola placca che misurava da mm. 355 a 385 di altezza e da mm. 275 a 305 di larghezza, potevano facilmente coprire un vangelo.Per altre l. vennero utilizzati metalli come l'oro o l'argento incisi, stampati o lavorati a sbalzo e normalmente arricchiti con pietre preziose, smalti e perle. A partire dalla fine del sec. 12° e nel 13° vennero spesso impiegate lastre smaltate che coprivano la maggior parte del piatto di legatura.Questo tipo di l. in materiali preziosi è stato ovviamente oggetto di restauri o modificazioni in misura assai più sensibile che non gli altri tipi di l. e per questa ragione il suo studio deve essere condotto con una particolare prudenza. Del resto, con questo genere di oggetti si travalicano gli ambiti della l. propriamente detta - salvo per quel che concerne gli aspetti tecnici dell'uso dei quadranti e delle cuciture - per affrontare quelli delle arti suntuarie.
Bibl.: E. Kyriss, Verzierte gotische Einbände im alten deutschen Sprachgebiet, 4 voll., Stuttgart 1951-1958; The History of Bookbinding, 525-1950 A.D., a cura di D.E. Miner, cat., Baltimore 1957; J. Peeters, Livres enchaînés, Le livre et l'estampe 16, 1958, pp. 61-65; T. De Marinis, La legatura artistica in Italia nei secoli XV e XVI. Notizie ed elenchi, 3 voll., Firenze 1960; F. Steenbock, Der kirchliche Prachteinband im frühen Mittelalter von den Anfängen bis zum Beginn der Gotik, Berlin 1965; H. Kühn, Wörterbuch der Handbuchbinderei und der Restaurierung von Einbänden, Papyri, Handschriften, Graphiken, Autographen, Stuttgart 1969; A.I. Doyle, Further Observations on Durham Cathedral MS. A.IV.34, in Varia codicologica. Essays Presented to G.I. Lieftinck, I, Amsterdam 1972, pp. 35-47; C. Nordenfalk, Corbie and Cassiodorus. A Pattern Page Bearing on the Early History of Bookbinding, Pantheon 32, 1974, pp. 225-231; G. Pollard, Describing Medieval Bookbindings, in Medieval Learning and Liturature. Essays Presented to R.W. Hunt, a cura di J.J.G. Alexander, M.T. Gibson, Oxford 1976, pp. 50-65; E. Baras, J. Irigoin, J. Vezin, La reliure médiévale. Trois conférences d'initiation, Paris 1978; B. Bischoff, Paläographie des römischen Altertums und des abendländischen Mittelalters (Grundlagen der Germanistik, 24), Berlin 1979 (trad. franc. Paléographie de l'Antiquité romaine et du Moyen Age occidental, Paris 19932); P. Needham, Twelve Centuries of Bookbinding, 400-1600, New York-London 1979; L. D'Adamo, La couverture en soie de l'évangéliaire de Santa Maria in Via Lata au Vatican. Une proposition de datation et d'attribution, Bulletin de liaison du Centre international d'étude des textiles anciens, 1980, 51-52, pp. 10-26; P. Gasnault, Observations paléographiques et codicologiques tirées de l'inventaire de la librairie pontificale de 1369, Scriptorium 34, 1980, pp. 269-275; F.A. Schmidt-Künsemüller, Corpus der gotischen Lederschnitteinbände aus dem deutschen Sprachgebiet (Denkmäler der Buchkunst, 4) Stuttgart 1980; J. Vezin, Une reliure carolingienne de cuir souple (Oxford, Bodleian Library, Marshall 19), Revue française d'histoire du livre, n.s., 51, 1982, pp. 235-241; L. Gilissen, La reliure occidentale antérieure à 1400 (Bibliologia, 1), Turnhout 1983; J. Duft, R. Schnyder, Die Elfenbein-Einbände der Stiftsbibliothek St. Gallen, Beuron 1984; N. Ghiglione, L'evangeliario purpureo di Sarezzano (secc. V-VI), Vicenza 1984; D. Gid, Catalogue des reliures françaises estampées à froid XVe-XVIe siècles de la Bibliothèque Mazarine (Documents, études et répertoires publiés par l'Institut de recherche et d'histoire des textes), 2 voll., Paris 1984; A. Nascimento, A. Dias Diogo, Encadernaçao portuguesa medieval Alcobaça, Lisboa 1984; P. Quilici, Breve storia della legatura dalle origini ai giorni nostri, Il bibliotecario 3, 1985, pp. 39-54, 83-113, 115-133; F.A. SchmidtKünsemüller, Die abendländischen romanischen Blindstempeleinbände (Denkmäler der Buchkunst, 6), Stuttgart 1985; J. Vezin, Dix reliures carolingiennes provenant de Freising, BSNAF, 1985, pp. 264-274; F.A. Schmidt-Künsemüller, Bibliographie zur Geschichte der Einbandkunst von den Anfängen bis 1985, Wiesbaden 1987; R.D. Stevick, The St. Cuthbert Gospel Binding and Insular Design, Artibus et historiae 8, 1987, 15, pp. 9-19; D. Carvin, La reliure médiévale d'après les fonds des bibliothèques d'Aix-en-Provence, Avignon, Carpentras et Marseille, Arles 1988; G.D. Hobson, Studies in the History of Bookbinding, London 1988; J.A. Szirmai, The Girdle Book in the Museum Meermano-Westrenianum, Quaerendo 18, 1988, pp. 28-29; J. Vezin, Deux manuscrits de Würzburg et leur reliure, in Litterae Medii Aevi. Festschrift für Johanne Autenrieth, a cura di M. Borgolte, H. Spilling, Sigmaringen 1988a, pp. 87-92; id., Les plus anciennes reliures de cuir estampé dans le domaine latin, in Scire litteras. Forschungen zum mittelalterlichen Geisteslesen, a cura di S. Krämer, M. Bernhard (Bayerische Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse, Abhandlungen, n.s., 99), München 1988b, pp. 393-408; id., Le décor des reliures de cuir pendant le haut Moyen Age, Bulletin du bibliophile, 1989, pp. 17-33; Les débuts du codex, "Actes de la Journée d'études, Paris 1985", a cura di A. Blanchard (Bibliologia, 9), Turnhout 1989; A. Hobson, Humanists and Bookbinders. The Origin and Diffusion of the Humanistic Bookbinding, 1459-1559. With a Census of Historiated Plaquette and Medallion Bindings of the Renaissance, Cambridge 1989 (19922); Les tranchefiles brodées, étude historique et technique, Paris 1989; S. Fogelmark, Flemish and Related Panel-Stamped Bindings. Evidences and Principles, New York 1990; La legatura dei libri antichi tra conoscenza, valorizzazione e tutela, "Atti del Convegno internazionale, Parma 1989", a cura di A. Di Febo, M.L. Putti, Bollettino dell'Istituto centrale per la patologia del libro 44-45, 1990-1991; M.P. Laffitte, V. Goupil, Reliures précieuses, Paris 1991; H. Pedersen, Bucheinbände, Graz 1991; H.M. Nixon, M.M. Foot, The History of Decorated Bookbinding in England, Oxford 1992; J.A. Szirmai, Ein karolingischer Einband mit Ledertapete-Überzug, Restauro 98, 1992, pp. 155-156; B. Van Regemorter, Binding Structures in the Middle Ages. A Selection of Studies (Studia bibliothecae Wittockianae, 3), Bruxelles-London 1992; C. Clarkson, English Monastic Bookbinding in the Twelfth Century, in Ancient and Mediaeval Book Materials and Techniques, a cura di M. Maniaci, P. Munafó (Studi e testi, 358), Città del Vaticano 1993, II, pp. 181-200; C. Federici, F. Pascalicchio, A Census of Medieval Bookbindings: Early Examples, ivi, pp. 201-237; C. Federici, La legatura medievale, a cura di D. Carvin, K. Houlis, F. Pascalicchio, Milano 1993; Bookbindings and other Bibliophily. Essays in Honour of Anthony Hobson, a cura di D.E. Rhodes, Verona-London 1994; L.E. von Padberg, H.W. Stork, Der Ragyndrudis-Codex des Hl. Bonifatius, Paderborn-Fulda 1994; D. Gid, M.P. Laffitte, Plaques de reliures françaises ou utilisées en France entre 1480 et 1535, Turnhout 1996.J. Vezin
Per il rivestimento delle l. in Occidente nel primo Medioevo venne impiegata pelle di camoscio conciata all'allume. Dal sec. 14° si preferirono la pelle di vitello liscia e la resistente vacchetta, mentre dal sec. 15° ha trovato impiego soprattutto in area tedesca la pelle di maiale per coperte con impressioni a secco. La preziosa pelle di capretto (marocchino), il più delle volte di vivaci colori (soprattutto rossa, ma anche blu, verde, marrone chiaro), è tipica solo dell'Europa meridionale. Sono attestate anche coperte di pergamena e perfino 'coperte fatte con manoscritti', cioè con pergamena riutilizzata. Già nel Medioevo vennero utilizzate anche coperte rivestite di stoffa; l'impiego della seta caratterizzava le coperte a uso delle corti.Fin dall'inizio le l. hanno avuto non solo la funzione di avvolgere il blocco del libro in un involucro protettivo, ma anche quella di costituire il supporto per la decorazione, limitata alle facce esterne della coperta, a volte solo a quella anteriore. La decorazione del dorso ha avuto pieno sviluppo solo quando si è cominciato a conservare i libri di taglio. Fra gli elementi strutturali della coperta partecipavano a volte alla decorazione il capitello, i cordoni e le intaccature. Tutte le epoche hanno conosciuto coperte di uso corrente e coperte preziose. Il genere e la ricchezza della decorazione della coperta erano in rapporto al valore del libro in possesso del committente.Alcune lussuose l. di codici ecclesiastici della Tarda Antichità e del Medioevo vanno messe in rapporto con la loro funzione sacrale. Per la decorazione venivano usate molteplici tecniche artistiche, come l'avorio intagliato di antica derivazione (per es. sul modello del dittico consolare) o con una iconografia prettamente cristiana, le opere di oreficeria e di smalto, le pietre preziose montate, il legno inciso. I dittici sono stati a volte reimpiegati nelle l. come ornamento delle coperte di legno, a volte interpretando le figure antiche come santi cristiani. Questo processo termina con la cristianizzazione dell'iconografia antica, quando la figura dell'imperatore viene sostituita con quella di Cristo, l'imperatrice con Maria, i geni con gli angeli, i consoli con gli apostoli.Le opere di oreficeria rientrano fra le tecniche più antiche usate per le coperte di lusso. Già l'Evangeliario di Teodolinda a Monza (Mus. del Duomo), databile all'inizio del sec. 7°, presenta una coperta, la più antica pervenuta tra quelle occidentali, rivestita di lamine d'oro; una croce ornata di perle e di pietre preziose divide le superfici delle coperte in quattro specchiature, entro cui sono inseriti cammei, paste vitree e l'iscrizione di dedica.Le figure di Cristo e dei santi potevano essere realizzate con lavori a sbalzo in oro e in argento; le pietre preziose e le perle venivano montate su metalli nobili e si poteva utilizzare come elemento decorativo la filigrana. Dal sec. 11° vennero in uso come supporti per le decorazioni lamine di metallo incise e ritagliate.La tecnica a smalto introdusse un elemento cromatico nella decorazione del libro per la presenza di paste vitree a vivaci colori. Da Bisanzio si recepì la tecnica a cloisonné: nella lamina d'oro si praticavano piccole cavità, poi riempite di pasta vitrea. Nella tecnica di vetrificazione gli incavi sono chiusi da pezzi di vetro colorati. Nel periodo dal sec. 11° al 13° si utilizzò la tecnica a champlevé: si incideva un disegno su una lastra di rame e se ne riempivano i contorni con pasta vitrea.Fra i ricorrenti schemi compositivi riscontrabili sulle coperte di codici liturgici di lusso c'è la croce. Si ha il tipo della crux gemmata quando la croce che divide la coperta è ornata di perle e di pietre preziose. Se la croce sorregge il corpo di Cristo si è di fronte al tipo crucifix. Se il quadrato formato dalla croce è ampliato a campo figurativo, si ha il tipo codex aureus, che prende nome dal Codex Aureus di St. Emmeram (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000). Un gran numero di coperte di lusso è articolato in cornici e in campi figurativi; questo tipo è perciò denominato 'a figure' o 'a cornici'. Il campo centrale costituisce il fulcro della rappresentazione (per es. Cristo in gloria, Cristo in trono, la Parusía, la Crocifissione, e ancora l'Agnello di Dio, Maria, gli apostoli, i santi, Davide), mentre lungo la cornice sono rappresentati scene integrative o elementi decorativi.Nel Tardo Medioevo si produssero in officine di corte o di città coperte in metallo, caratterizzate per lo più da una predominanza dell'elemento ornamentale.Coperte in cuoio intagliato sono note in Occidente dal sec. 7°; il periodo di vera e propria fioritura di questa tecnica, specifica dell'arte gotica, si ebbe nel 14° e 15° secolo. Avevano già dimostrato grande abilità nel realizzare disegni su cuoio i Copti, che conoscevano, oltre all'intaglio della pelle e alle decorazioni con stampi, anche la lavorazione a mosaico del cuoio, i lavori di ritaglio e di intreccio della pelle, la tecnica di scalfittura e di punzonatura. L'intaglio su cuoio è caratterizzato dall'incisione di un disegno sul cuoio della coperta. Venivano a volte combinate insieme le tecniche di intaglio del cuoio e di impressione a secco. I motivi decorativi delle coperte in cuoio intagliato presentano ornati vegetali, figure grottesche di animali, lettere decorative, stemmi, raffigurazioni di personaggi profani, angeli e santi.Il normale procedimento di decorazione della coperta medievale avveniva con linee tracciate con ferri e con stampi con cui si imprimevano sulla coperta, senza impiego di colori, motivi ornamentali. Questa tecnica, detta impressione a secco, apparsa in Europa intorno al 700, fino al Rinascimento restò quella principale nella decorazione della legatura. Nel corso del tempo si svilupparono dallo stampo nuovi arnesi, come la lastra, entrata in uso dal sec. 13°, e il rullo, usato dalla metà del 15° secolo. Sempre nel sec. 15° si affermò nella legatoria la doratura; fino ad allora la tecnica usata consisteva nel colorare la superficie di oro (oro musivo). Si parla di impressione in oro quando per ottenere un ornamento per mezzo di fogli dorati si usavano stampi diversi; le lastre servivano per produrre calchi in oro.Con la denominazione di coperte carolinge si indicano le coperte occidentali dei secc. 9° e 10°, di cui si conoscono finora ottanta esemplari. Dopo una cesura nel sec. 11°, comparvero le coperte romaniche a impressione dei secc. 12° e 13°, di cui sono rimasti centodieci esemplari.La maggior parte dei volumi proviene dalla Francia, una parte limitata dall'Inghilterra, dalla Germania e dall'Austria. Oltre a Parigi, centro della legatoria francese, si possono individuare le officine di Clairvaux e Cîteaux, di Evreux e del territorio anglonormanno lungo la Mosa. L'influsso francese fu molto forte in Inghilterra; centri di legatoria erano Winchester e Durham; si possono supporre officine anche a Oxford e a Londra. Nelle coperte di area tedesca si può notare la successione di tre tendenze stilistiche diverse: nell'età preromanica, che abbraccia il sec. 11° e i primi anni del 12°, viene riecheggiato il modello delle coperte orientali; intorno alla metà del sec. 12° si afferma lo stile figurativo parigino; in epoca tardoromanica la coperta tedesca rinuncia sempre più alla decorazione figurativa, tornando a un'ornamentazione astratta delle superfici. I centri di produzione delle coperte tardoromaniche si trovavano in Austria, nella Germania meridionale e lungo il Meno. Dopo una ridotta attività artistica nel sec. 14°, nel 15° compaiono in gran numero le coperte gotiche, pervenute a migliaia. La maggior parte di esse proviene dall'area culturale tedesca; seguono a distanza sempre maggiore l'Italia, i Paesi Bassi, la Francia, l'Inghilterra, la Spagna, l'Ungheria. Accanto alle officine conventuali si affermarono quelle delle città commerciali e universitarie. Con l'invenzione della stampa si ebbe nella seconda metà del sec. 15° un'improvvisa crescita della produzione libraria e quindi anche un aumento delle legature. Nei territori a N delle Alpi lo stile gotico delle l. si mantenne fino ai primi decenni del sec. 16°, mentre in Italia, in Spagna e in Europa sud-orientale si affermarono nel sec. 15° gli ornati e le tecniche orientali, che contribuirono a produrre una rivoluzione nella legatoria del Rinascimento.
Bibl.: M.J. Husung, F.A. Schmidt-Künsemüller, Geschichte des Bucheinbandes, in Handbuch der Bibliothekswissenschaft, a cura di P. Milkau, 3 voll., Wiesbaden 19522 (Leipzig 1931-1940): I, pp. 782-848; E. Kyriss, Der verzierte europäische Einband vor der Renaissance, Stuttgart 1957; F. Steenbock, Der kirchliche Prachteinband im frühen Mittelalter von den Anfängen bis zum Beginn der Gotik, Berlin 1965; H. Helwig, Einführung in die Einbandkunde, Stuttgart 1970; O. Mazal, Der mittelalterliche Bucheinband, in Liber librorum. 5000 Jahre Buchkunst, Genf 1973, pp. 342-370; id., Buchkunst der Gotik (Buchkunst im Wandel der Zeiten, 1), Graz 1975; id., Buchkunst der Romanik (Buchkunst im Wandel der Zeiten, 2), Graz 1978; id., s. v. Bucheinband, in Lex. Mittelalt., II, 1983, coll. 823-826.O. Mazal
Lo studio della l. bizantina è reso particolarmente difficoltoso dal fatto che solo in pochissimi casi si sono conservati esemplari di lusso, nessuno dei quali è antecedente al sec. 9°, mentre non anteriori al sec. 14°, salvo alcune eccezioni più o meno sicure, sono gli esempi di l. di tipo corrente pervenuti. È quindi necessario, sia pure con la dovuta cautela, ricorrere ai confronti forniti dalle culture che più o meno profondamente subirono l'influenza bizantina.Per quanto riguarda gli aspetti tecnici della l., va rilevato il loro significato anche dal punto di vista storico-artistico, dato che risulta sempre più evidente come lo studio approfondito delle caratteristiche della cucitura e dell'attacco dei quadranti di copertura del blocco dei quaternioni possa aiutare a localizzare e a datare le l. e a circoscrivere meglio l'attività degli artigiani e delle botteghe.Dopo i primi incerti esperimenti, testimoniati da alcune l. di origine egiziana (soprattutto copte, ma anche greche), databili ai secc. 4°-5°, gli artigiani bizantini adottarono la grecatura dei quaternioni, la loro cucitura a catenella e il loro fissaggio ai quadranti mediante il filo di cucitura o fili supplementari. Sino alla fine del Medioevo, e anche oltre, gli artigiani bizantini restarono fedeli a tale tecnica, che conferisce al dorso delle l. un aspetto 'piatto' che le differenzia nettamente dalle l. occidentali cucite su nervature. Altre caratteristiche evidenti della l. bizantina sono l'assenza di unghiatura (i bordi del piatto non sporgono rispetto al blocco dei quaternioni), i capitelli, che invece sporgono verso l'alto e verso il basso e si prolungano sullo spigolo del piatto, e le chiusure, costituite da una striscia di cuoio che passa attraverso un anello di metallo; quest'ultimo è attaccato a un perno fissato nel taglio del piatto superiore, mentre le estremità della striscia di cuoio sono divise ognuna in tre elementi che, intrecciati due a due, penetrano nel piatto inferiore e sono ribattuti sulla sguardia. Nelle l. di lusso vennero probabilmente usati tipi di chiusure più raffinati, ma non ne è pervenuto alcun esemplare.Le l. di lusso di sicura origine bizantina sono pochissime, ma fin dall'epoca in cui il cristianesimo fu riconosciuto come religione ufficiale i libri liturgici di cui si intendeva sottolineare l'importanza, come gli evangeliari e i lezionari, ebbero sicuramente l. preziose. A partire dai secc. 5°-6°, nelle pitture, nei mosaici e negli avori sono rappresentati codices chiusi, i cui piatti sono decorati con perle e pietre preziose e recano spesso una raffigurazione della Croce. In quest'epoca la pergamena aveva già soppiantato largamente il papiro come supporto per la scrittura: il peso e la rigidità di questo materiale fecero sì che per la realizzazione dei piatti di l. si generalizzasse l'uso del legno, che nei libri di lusso veniva ricoperto da lamine di metallo o da stoffe pregiate, come la seta.In un certo numero di casi, il legno fu sostituito dall'avorio dei dittici consolari. Questo materiale, che era stato rapidamente adattato all'uso liturgico in forma di tavolette per scrivere, venne utilizzato in seguito anche per la realizzazione di coperte di evangeliari: gli esemplari certi appartengono all'area latina (dittico di Milano, Tesoro del Duomo) oppure orientale (Evangeliario di Eǰmiacin, Erevan, Matenadaran, 2374), ma derivano sicuramente da esempi bizantini. Nel suo studio sull'evoluzione iconografica della l. bizantina Velmans (1979, pp. 118-119) sostiene che anche i dittici a cinque scomparti si inseriscono in tale evoluzione, a differenza di altre placche d'avorio e d'argento protobizantine che, a suo avviso, non devono essere ritenute altro che casuali adattamenti alla realizzazione di una legatura.Le l. pregiate erano probabilmente nella maggior parte dei casi lavorate a oreficeria. Malgrado le prudenti riserve di Velmans (1979, p. 117), si può ritenere che almeno una delle coppie di lamine d'argento dorato del c.d. tesoro di Sion, della seconda metà del sec. 6° (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.; Kitzinger, 1974) - ritenuto proveniente dall'omonimo monastero nei pressi di Mira, in Licia -, rappresenti uno dei primi esemplari conservati. La decorazione a sbalzo riproduce un tema iconografico, la Croce-albero della vita, presente nelle rappresentazioni figurate e in molte l. orientali di ispirazione bizantina segnalate dalla stessa studiosa. Sulle lamine, la Croce è fiancheggiata da due alberi stilizzati e posta sotto un arco sostenuto da due colonne; lo spazio sotto l'arco è riempito da un motivo a scaglie o a ventaglio che si ritrova, per es., nei dittici eburnei o nella miniatura dell'Evangeliario di Rossano Calabro (Mus. Diocesano), che rappresenta S. Marco nell'atto di scrivere.Il tesoro di S. Marco a Venezia possedeva cinque l. lavorate a oreficeria, tre delle quali, di fattura bizantina, provengono quasi sicuramente da Costantinopoli; due di esse fanno ora da coperta a manoscritti latini e sono conservate nella Bibl. Naz. Marciana. La più antica (lat. I, 101) può essere datata alla fine del sec. 9° o agli inizi del 10° (Frazer, 1984, nr. 9): le lamine d'argento dorato dei piatti anteriore e posteriore recano una larga cornice di pasta vitrea bordata da perle; al centro una croce a smalto cloisonné include l'immagine di Cristo rivestito dal colobium, nel piatto anteriore, e l'immagine della Vergine, nel piatto posteriore; medaglioni con effigi di santi, sempre a smalto cloisonné, circondano la croce. L'altra l. (lat. I, 100; Frazer, 1984, nr. 14) presenta cornici di pietre dure tagliate a cabochon bordate da perle e reca al centro due smalti rettangolari rappresentanti l'uno il Cristo benedicente con in mano un libro chiuso, l'altro la Vergine orante; medaglioni a smalto con busti di santi circondano le due figure principali. I confronti iconografici e stilistici consentono di datare questa l. alla fine del sec. 10°; le figure, ancora piuttosto semplificate, sottolineano infatti in forma simbolica i grandi misteri della fede cristiana.In seguito divennero invece caratteristiche scene più fortemente drammatiche e realistiche: la Crocifissione, la Déesis e la Discesa al limbo. Quest'ultima scena compare già su una l. di evangeliario del monastero atonita della Grande Lavra, comunemente datata al sec. 11° (The Treasures, 1974-1992, III, pp. 2, 117). La l. bizantina di un altro manoscritto conservato a Venezia (Bibl. Naz. Marciana, gr. I, 53; Frazer, 1984, nr. 19), del sec. 14°, segna chiaramente lo sviluppo degli elementi narrativi ed emotivi: le lamine d'argento sbalzato rappresentano la Crocifissione e la Discesa al limbo; le due figurazioni principali sono circondate da dodici altre scene rappresentanti le Grandi Feste dell'anno liturgico e da medaglioni a smalto.Dal sec. 11° al 14°, quindi, le l. lavorate a oreficeria si inseriscono nelle grandi correnti dell'arte bizantina. Per abbellire le l. vennero usati, oltre i metalli, anche altri materiali, in particolare lo smalto, il vetro e le pietre preziose. Non è certo se la placca di legno scolpito della l. del manoscritto atonita Dionisio 33 (The Treasures, 1974-1992, I, p. 44), peraltro sovrapposta a una copertura in stoffa, possa costituire qualcosa di più di un'eccezione.Negli inventari del sec. 15° della biblioteca Vaticana si fa menzione, per diversi manoscritti greci, di l. coperte di seta, talvolta ricamate in oro, e appare probabile che si trattasse di l. bizantine. Benché gli esemplari vaticani siano andati perduti, si conservano tuttavia ancora alcune l. in seta ricamata, due delle quali recano il monogramma della dinastia paleologa. La prima è quella del manoscritto di Grottaferrata (Abbazia, bibl., Zd. I): si tratta della copertura originale di un volume di opere dell'imperatore Manuele II Paleologo (1391-1425), offerto in dono al cardinale Bessarione; in seta blu ricamata in argento, reca sui due piatti l'aquila bicipite bizantina e il monogramma dei Paleologhi (Irigoin, 1982). La seconda, che fa da coperta a un manoscritto dell'Escorial (Bibl., X.IV.17), è di seta rossa ricamata in oro, rinforzata da borchie; in questo caso il monogramma, accompagnato da altri emblemi della famiglia, si trova sul dorso. Buchthal (1984) ritiene che questa l. sia stata realizzata in Moldavia, nella seconda metà del sec. 15°, per la seconda moglie di Stefano III il Grande (1457-1504), anch'essa esponente della famiglia paleologa. È opportuno infine segnalare la l. in lino ricamato in argento di un manoscritto di Patmo (monastero di S. Giovanni, bibl., 81), datato al 1334-1335, il cui dorso è decorato da lamine d'argento rappresentanti gli evangelisti.Al di là degli esemplari di lusso fin qui trattati, la quasi to talità delle l. bizantine conservate è costituita da tavolette di legno rivestite di cuoio, spesso stampato a freddo. Sia sotto il profilo tecnico sia sotto quello ornamentale, si ritrovano ovunque le stesse formule di base, ma tra le l. di qualità più corrente e quelle di livello più elevato vi è un notevole divario nei dettagli e nell'accuratezza dell'esecuzione. Nell'impressione a freddo venivano impiegati insieme filetti e punzoni: i primi, di solito triplici, delimitano sulla superficie del piatto partizioni in forma di rettangoli posti l'uno dentro l'altro o di losanghe e triangoli. I punzoni, di piccole dimensioni, sono di forma rettangolare, circolare, romboidale o triangolare: quelli rettangolari, giustapposti a formare una sorta di fregio, riempiono i relativi scomparti; gli altri decorano lo spazio all'interno delle losanghe e dei triangoli. Piccoli cerchi sottolineano i punti di intersezione oppure completano il riempimento degli spazi vuoti.I motivi, derivanti dal repertorio dell'ornamentazione bizantina (scultura, mosaici, tessuti), sono di tipo geometrico, oppure stilizzazioni di elementi desunti dal regno vegetale e animale (Van Regemorter, 1967; Federici, Hulis, 1988): racemi intrecciati, rosette, gigli e fiori di loto sono i motivi vegetali più spesso rappresentati; sono altrettanto frequenti l'aquila bicipite, di chiaro valore simbolico, gli uccelli, i quadrupedi stilizzati e gli animali fantastici, come il drago.Anche se nell'insieme il numero dei motivi decorativi risulta abbastanza limitato, l'individuazione di punzoni identici è un'operazione delicata, che, però, congiunta ad altri criteri di carattere tecnico e artistico, consente interessanti raggruppamenti. La presenza di un particolare motivo, come per es. il citato monogramma dei Paleologhi, ha così permesso di porre in relazione tra loro un certo numero di l., anche non appartenenti alla stessa epoca. È stato possibile individuare alcuni gruppi di l. provenienti da Costantinopoli, da Creta, dal monte Athos e da alcuni monasteri della Grecia continentale e di Cipro; in qualche caso si è giunti a isolare la produzione di determinate botteghe (Canart, 1990-1991; Grosdidier de Matons, 1991). Anche se in molti casi la ricerca in questo settore è appena avviata, particolarmente stretti appaiono i rapporti tra le botteghe costantinopolitane della prima metà del sec. 15° e le botteghe cretesi della seconda metà dello stesso secolo.
Bibl.: J. Irigoin, Un groupe de reliures crétoises (XVe siècle), "Atti del I Congresso internazionale di studi cretesi, Eraclion 1961", Κϱητιϰὰ Χϱονιϰά 15-16, 1961-1962, 2, pp. 102-112; B. Van Regemorter, La reliure byzantine, RBAHA 36, 1967, pp. 99-142; E. Kitzinger, A Pair of Silver Book Covers in the Sion Treasure, in Gatherings in Honor of Dorothy E. Miner, Baltimore 1974, pp. 3-17; The Treasures of Mount Athos. Illuminated Manuscripts. Miniatures-Headpieces-Initial Letters, 4 voll., Athinai 1974-1992; T. Velmans, La couverture de l'évangile dit de Morozov et l'évolution de la reliure byzantine, CahA 28, 1979, pp. 115-136; J. Irigoin, Un groupe de reliures byzantines au monogramme des Paléologues, Revue française d'histoire du livre, n.s., 51, 1982, pp. 273-285; H. Buchthal, A Greek New Testament Manuscript in the Escorial Library: its Miniatures and its Binding, in Byzanz und der Westen. Studien zur Kunst des europäischen Mittelalters, a cura di I. Hutter, Wien 1984, pp. 85-98: 94-98; M.E. Frazer, Emaux et orfèvreries byzantins, in Le Trésor de Saint-Marc de Venise, cat., Paris 1984, pp. 109-114, pp. 124-128 nr. 9, pp. 152-155 nr. 14, pp. 176-178 nr. 19; P. Hoffmann, Une nouvelle reliure byzantine au monogramme des Paléologues (Ambrosianus M 46 sup. gr. 512), Scriptorium 39, 1985, pp. 274-281; D. Grosdidier de Matons, P. Hoffmann, Reliures chypriotes à la Bibliothèque Nationale de Paris, ᾽ΕπετηϱὶϚ τοῦ Κέντϱου ἐπιστημονιϰῶν ἐϱευνῶν 17, 1987-1988, pp. 209-259; C. Federici, K. Hulis, Legature bizantine vaticane, Roma 1988; P. Canart, Reliures et codicologie. Perspectives de la recherche, in La legatura dei libri antichi tra conoscenza, valorizzazione e tutela, "Atti del Convegno internazionale, Parma 1989", a cura di A. Di Febo, M.L. Putti, Bollettino dell'Istituto centrale per la patologia del libro 44-45, 1990-1991, pp. 55-73; D. Grosdidier de Matons, Nouvelles perspectives de recherche sur la reliure byzantine, in Paleografia e codicologia greca, "Atti del II Colloquio internazionale, Berlino-Wolfenbüttel 1983", a cura di D. Harlfinger, G. Prato (Biblioteca di Scrittura e civiltà, 3), Alessandria 1991, I, pp. 409-430; M.E. Frazer, Early Byzantine Silver Book Covers, in Ecclesiastical Silver Plate in Sixth-Century Byzantium, "Papers of the Symposium, Baltimore-Washington 1986", a cura di S.A. Boyd, M. Mundell Mango, G. Vikan, Washington 1992, pp. 71-76.P. Canart
Nell'ambito dell'arte del libro medievale islamico, l'importanza svolta dalle l. è testimoniata da un'ampia trattatistica e dalla sopravvivenza cospicua di esemplari che tuttavia risultano ancora oggi studiati solo parzialmente.Una complessa nomenclatura caratterizza questo tipo di manufatti e i numerosi utensili funzionali alla loro produzione. Se l'arabo jild ('pelle') era la parola più usata per indicare le l. (dalla stessa radice derivano mujallid 'legatore' e tajlīd 'arte di rilegare'), il più puntuale tasfīr (saffār 'legatore') compariva nella trattatistica specificamente dedicata alle arti librarie. In questi testi potevano anche essere usati altri vocaboli derivanti dal concetto di unire insieme (i quaderni), come 'arm ('catasta') o ḥazm ('fastello'), o dal concetto di coprire, come ghishā᾽ ('coperta'). Ancora, la l. poteva essere associata all'intero libro o a parte di esso in termini come ṣahīfa ('pagina' o anche 'epidermide') e muṣḥaf ('codice'), derivanti dalla stessa radice, o juz' ('parte', 'capitolo'), adottato poi in persiano nel composto juz'bandī ('legatura').L'importanza della l. fu presto presa in considerazione, nell'Islam medievale, in testi di varia natura: la necessità di preservare e proteggere i manoscritti del Corano, ereditata probabilmente da consuetudini codicologiche delle tradizioni ebraica e cristiana, aveva portato a sostenere che "ciò che sta tra i due piatti di una l. è la parola di Dio", non senza discussioni sulla maggiore o minore empietà dell'uso di materiali preziosi nelle l., nonché sulla legittimità dell'uso di l. per altri codici manoscritti che non fossero quelli religiosi (Bosch, 1981, p. 7). La contiguità con il mondo copto (inizialmente per il tramite etiopico) aveva portato i primi musulmani a contatto con i fondatori di una raffinata tecnica di lavorazione e decorazione delle l. in pelle. Tale eredità tecnica, che si riflette anche sul piano terminologico (come nel citato termine muṣḥaf, di origine etiopica; v. Codice), condizionò molto presto l'arte del libro islamica e in particolare le tecniche di legatura. Un riscontro certo può essere individuato vuoi nel sistema di aggancio e cucitura 'a catenelle' dei fascicoli tra loro (Arnold, Grohmann, 1929, p. 57; Bosch, Petherbridge, 1981, p. 46) vuoi più in generale nella struttura della l., che poteva comprendere un risvolto, che avrebbe acquistato nel corso della storia islamica medievale un caratteristico aspetto pentagonale (rābiṭa).Il legame con il testo sacro dell'Islam portò presto a una complessa letteratura specifica, destinata alle l. e alle tecniche con le quali dovevano essere eseguite. Al più celebre trattato, quello di Ibn Bādīs, autore nordafricano del sec. 11°, se ne devono aggiungere altri, come quelli di Qalqashandī (m. nel 1418) e di al-Sufiyānī (m. nel 1619; Bosch, 1961; Bosch, Petherbridge, 1981), o ancora il più autonomo trattato del magrebino Ishbīlī (m. nel 1232), di recente indagato da Gacek (1990-1991). In essi vengono offerte numerose informazioni su tutti gli aspetti del complesso processo di l. di un codice sin dai materiali utilizzati, descritti nel dettaglio: vi sono citati la balāṭa (anche detta lawḥ al-rukhām, persiano sang-e marmar), ovvero la lastra di marmo sulla quale avveniva la lavorazione; la mi'ṣara, cioè il torchio, per il quale poteva anche essere utilizzato il termine kukhliyūn (dal gr. ϰοχλίαϚ 'spirale doppia'); il misann, cote per affilare i ferri da taglio; le miqaṣṣ ('forbici') e il sayf ('trincetto'); la misṭarat al-rīḥ ('spola'). Ancora devono essere segnalati il kāzān ('mazzuola'), lo shafā ('lésina'), vari tipi di ago (ibar, mikhiyāṭ) per le cuciture e altri utensili, come il bīkār ('compasso'), utilizzato per le decorazioni (Bosch, 1961; Bosch, Petherbridge, 1981).Non mancano notizie di legatori famosi, come Ibn Abī Ḥarīsh, che operò nella biblioteca del califfo abbaside al-Ma'mūn (812-822). L'arte della l. poteva essere praticata anche da letterati e studiosi, come il celebre geografo alMuqaddasī (sec. 10°). I legatori potevano firmare le loro opere facendo precedere, al pari di altri artigiani, il proprio nome dal termine 'amal ('opus'), come in una l. persiana del Rawÿat al-akhiyār di Sulṭān Valād, conservata a Firenze (Laur., Or. 319), risalente alla fine del sec. 13°, opera di Muḥammad alBukhārī, o ancora in una l. (già Istanbul, Mus. Evkaf, inv. nr. 2485), firmata dal banda Muḥammad 'Alī, prodotta a Tabriz nel 1334 (Sakisian, 1934, pp. 83-84, n. 12).Le l. dei primi secoli dell'Islam sono principalmente costituite da esemplari del Corano. Se la tecnica più diffusa è quella della l. in pelle, non mancano l. preparate in altri materiali, come in un Corano egiziano del sec. 9° (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst; Sarre, 1923, tav. I, fig. 1), caratterizzato da una l. in legno intarsiato in avorio sulla quale è raffigurata una serie di archi che ricorda motivi analoghi presenti nella metallistica sasanide e protoislamica. Non deve sorprendere il riferimento a forme decorative peculiari di altre tecniche artistiche: nella vicenda, pur semi-leggendaria, di un muṣḥaf coranico che sarebbe stato dell'epoca del califfo 'Uthmān e sarebbe poi giunto nella moschea di Córdova per transitare nuovamente a Marrakech nel sec. 12° e andare infine perduto, al-Maqqāri descrive una l. in oro e argento decorata con smalti cloisonnés che era stata eseguita imitando tecniche espressamente definite bizantine (Dessus Lamare, 1938, pp. 563-564).Si può certamente affermare che la storia della l. islamica ha conosciuto uno sviluppo determinante grazie alla straordinaria scoperta di centosettantanove l. in un magazzino annesso alla Grande moschea di Kairouan (Marçais, Poinssot, 1948-1952). Tali esemplari, oggi conservati a Tunisi (Mus. Nat. du Bardo), coprono un vasto arco cronologico che va dai cinquantotto esemplari del 9°, ai diciannove del 10°, ai settantuno dell'11° e ai trentuno del 12° e 13° secolo. Tra le l. dei secc. 9° e 10° devono essere segnalati diversi esemplari 'all'italiana' (più larghi che lunghi), caratterizzati da decorazioni impresse a secco, che occupano l'intera superficie dei piatti, e da una cornice che in molti casi può essere costituita da un motivo a treccia a due o più capi che circonda dei disegni geometrici regolari variamente raffiguranti l'intreccio di motivi circolari, triangolari, quadrangolari ed esagonali, che Marçais e Poinssot (1948-1952) hanno studiato cogliendo l'analogia profonda che presentano con le decorazioni delle pitture murali di Bāwīt. Non mancano esemplari con decorazioni epigrafiche, come nella l. 1, dove appare, divisa tra i piatti anteriore e posteriore, la locuzione apotropaica mā shā'/ Allāh ('ciò che Dio vuole'). Recentemente Deroche (1986) ha evidenziato la presenza di alcuni esemplari del sec. 9°, per la maggior parte 'all'italiana', di provenienza siriaca (Grande moschea di Damasco), che molto hanno in comune con gli esemplari nordafricani: si può affermare che la tendenza a una certa omogeneità, che caratterizza la decorazione e spesso anche le tecniche di esecuzione delle l. islamiche sin dai primi esemplari conosciuti, denota la natura particolarmente conservativa di questo settore specifico delle arti islamiche.Il più celebre esemplare tra quelli di Kairouan (Marçais, Poinssot, 1948-1952, nr. 119a; Petersen, 1954, fig. 18; Ettinghausen, 1959, p. 114, fig. B; The Arts of Islam, 1976, nr. 507) risale al sec. 11° ed è caratterizzato da una tecnica particolare, consistente nell'incollatura di spaghi sottili sull'asse ligneo di pioppo sul quale è stata disposta e incollata la pelle; questa, una volta aderita alla superficie, forma un netto bassorilievo consistente in un medaglione circolare centrale, disposto orizzontalmente, al cui centro si trova una palmetta, mentre agli angoli si dipartono altri quattro elementi vegetali lanceolati. La tecnica di confezione di questa l., di sicura origine copta, è stata indicata da Ettinghausen (1959, p. 114) anche come ispiratrice di modelli analoghi occidentali già del sec. 7°, come il celebre Vangelo di s. Cutberto, eseguito in Northumbria e oggi a Londra (BL, Loan 74, da Stonyhurst, College Lib.).Lo stesso Ettinghausen (1959, p. 120, figg. D-E, tavv. 1-2) considerò un'altra tecnica, le cui origini attribuiva a contesto copto, consistente nella lavorazione a giorno della pelle da sovrapporre a una superficie colorata o dorata, di cui sopravvive un esemplare, con i piatti anteriore e posteriore smembrati, di provenienza egiziana, conservato a Baltimora (Walters Art Gall.). Tale procedimento appare già utilizzato anche in l. occidentali, come nel Codex Ragyndrudis, precedente il sec. 8°, conservato a Fulda (Hessische Landesbibl., Bonifatianus 2; Ettinghausen, 1959, p. 119), ma anche in l. manichee rinvenute a Kocho (Turfan), databili approssimativamente tra i secc. 8° e 9° (Le Coq, 1923, p. 40, tav. 4e; Gratzl, 1939, tav. 951B, C) e discutibilmente identificate come testimonianza di un altro centro di irradiazione di questa tecnica (Aslanapa, 1979, p. 60). Nella l. di Baltimora, Ettinghausen riconobbe anche un'altra caratteristica originale, consistente nell'uso delle cuciture a scopo decorativo. Infine questo esemplare denuncia chiaramente un legame con i legni intagliati di epoca fatimide (secc. 10-11°), un legame che conferma ulteriormente i prestiti, nel vocabolario e nelle tecniche decorative delle l., provenienti da altre manifestazioni artistiche.Durante il periodo di dominazione almohade del Maghreb la tradizione relativa alla produzione di l. assunse un particolare rigoglio. Già consolidatasi nell'Africa settentrionale nei secoli precedenti e diffusasi nel mondo non solo islamico, come attesta l'uso del termine 'marocchino' in italiano per indicare le pelli conciate con galle di Tamarisco e di colore rosso perché tinte con i fiori del sommacco, la produzione di l. marocchine conobbe il suo apogeo tra i secc. 12° e 13°, come attestano sontuosi esemplari del Corano (quadrati o 'alla francese', ovvero più alti che larghi), come quello del 1178, decorato con dorature impresse in un arabesco geometrico che occupa l'intera superficie della l. e del risvolto (Rabat, Bibl. Royale, 12609; Khemir, 1992, nr. 78, p. 308), o quello del sec. 13° a Marrakech (Bibl. Ben Youssef; Ricard, 1933, pp. 111-117; Ettinghausen, 1959, fig. 6). Anche in queste l., il disegno della decorazione riprende i modelli geometrici eseguiti su oggetti di legno; una doratura campiva gli spazi vuoti, costituiti da losanghe, stelle e poligoni che potevano essere punzonati in un fitto decoro a rilievo. Tali tecniche si ritrovano anche in codici di minore importanza e in un arco di tempo più esteso (Ricard, 1933; 1934; Ettinghausen, 1959, figg. 7-9).La produzione di codici manoscritti fatimidi rimane assai oscura: a quest'epoca risale un Corano 'all'italiana' conservato a Baltimora (Walters Art Gall., 554), del sec. 11°, decorato sui piatti con un atipico medaglione centrale ovale caratterizzato da due cuspidi sui fianchi e campito da un rilievo ottenuto con la punzonatura di cerchi entro cui sono inscritte delle stelle a sei punte. Tratto peculiare di questo esemplare è la presenza per la prima volta di elementi triangolari agli angoli interni della cornice, secondo un modello che venne utilizzato nei secoli a seguire in Iran, nelle l. mudéjares fino ad arrivare nel sec. 15° in quelle rinascimentali d'Occidente (Ettinghausen, 1954, fig. 362; 1959, p. 121, fig. 5). La l. della Walters Art Gall. attesta anche la diffusione di una tipologia che ebbe un successo notevole nei secoli successivi, non solo in Egitto ma anche nel mondo iranico, area nella quale si sviluppò maggiormente la tipologia della l. con medaglione centrale a turunj (arabo turunja 'limone'), generalmente caratterizzato da una forma a mandorla, anche se non mancano medaglioni circolari o più raramente poligonali o stellari. Un medaglione centrale decorato da un fitto intreccio geometrico compare già in una l. di Corano degli inizi del sec. 12°, caratterizzata anche da una cornice epigrafica in cufico khorasanico (Boston, Mus. of Fine Arts, 20.884; Ettinghausen, 1954, fig. 360).Sebbene non esistano che sporadiche testimonianze di l. persiane precedenti il sec. 14°, la presenza al Cairo di una sezione di Corano dotata di splendida l., eseguita per il sovrano ilkhanide Üljaytü nel 1313 e poi acquistata dal sultano mamelucco Muḥammad Nāṣir b. Qalā'ūn nel 1328 (Cairo, Nat. Lib., inv. nr. 15640; Ettinghausen, 1954, pp. 461-462, fig. 346), attesta della circolazione di questo tipo di manufatti. Prima del Trecento, tuttavia, sono rari i precedenti significativi, come la già citata l. di Boston o quella rudimentale di un codice proveniente dalla Grande moschea di Nā'īn, orientativamente della fine del sec. 13°, già conservato nella coll. Pope (Gratzl, 1939, tav. 951A; Ettinghausen, 1954, fig. 358). Ancora alla fine del sec. 13° risale un esemplare del Manāfi' al-ḥayawān, probabilmente prodotto a Maragha, conservato a New York (Pierp. Morgan Lib., 500) e caratterizzato da una lunga e sobria l. sprovvista di dorature. È interessante notare che al medaglione a turunj molto allungato si affianca in questo esemplare, una volta chiuso, un medaglione circolare nel risvolto che riprende nella sua forma i disegni tipici delle 'ashīra o khāmisa, segni peculiari dei testi coranici indicanti la ricorrenza di dieci o cinque versetti; la decorazione ricorda peraltro tipologie ornamentali proprie della metallistica, come il disegno a mosaico di Y attesta chiaramente (Ettinghausen, 1954, pp. 460-462, fig. 344).Con la conversione all'Islam della dinastia mongola degli Ilkhanidi si assiste, agli inizi del Trecento, a un vero rigoglio della produzione codicologica coranica, specialmente a Maragha, da dove peraltro proviene il Manāfi' al-ḥayawān di New York. Oltre alla già citata sezione di Corano del Cairo, altri esemplari monumentali sono conservati a Teheran (Iran Bastan Mus.), come l'esemplare del 1304, la cui l. è firmata da 'Abd al-Raḥmān. Questo artista è autore anche di un'altra l. del 1306, conservata anch'essa a Teheran (Iran Bastan Mus.; Bahrāmī, Bayānī, 1949; Ettinghausen, 1954, pp. 462-463, figg. 348, 350). Ettinghausen ha sottolineato la difficile riconducibilità dei modelli di questi esemplari a caratteristiche peculiari dell'Iran mongolo, per la presenza di motivi decorativi, quali la stella a otto punte con quattro quadrati (entro i quali è posta la firma dell'artefice), disposti sui quattro punti cardinali delle stelle anche in codici precedenti, come in un Corano del 1211 (Teheran, Kitābkhāna-yi Malak), o in altri due esemplari conservati a Filadelfia (Univ. Mus., Univ. of Pennsylvania), del 1036 e del 1164. In altri codici del Corano prodotti a Maragha alla fine degli anni trenta del sec. 14° si osserva il consolidarsi di un disegno caratterizzato da un medaglione circolare al centro dei piatti all'interno del quale una fitta trama geometrica ruota attorno a una stella centrale; all'interno della trama sono presenti disegni a svastica a cinque bracci o figurine di stelle 'annodate' (per es. Dublino, Chester Beatty Coll., del 1338; Boston, Mus. of Fine Arts, 29-58, del 1338; 29-57, del 1339; Ettinghausen, 1954, pp. 465-467, figg. 351, 353-354). Esemplari prodotti in Mesopotamia nello stesso periodo si presentano maggiormente austeri nell'impianto decorativo (Corano del 1310, già Istanbul, Mus. Evkaf; Sakisian, 1934, fig. 1), sebbene la sobrietà caratterizzi tutti gli esemplari del tempo. Si deve attendere la seconda metà del secolo per poter osservare cambiamenti sostanziali, come in un codice confezionato a Shīrvān nel 1379 (già Istanbul, Mus. Evkaf), caratterizzato da un'atipica discordanza tra la decorazione del piatto anteriore e quella del posteriore: vi appaiono infatti due turunj centrali di forme assai diverse, di cui quello sul piatto anteriore molto più grande di quello sul posteriore. L'esemplare presenta tra l'altro dei cartigli campiti da motivi floreali a peonie tipici del repertorio 'cinese', la stessa tipologia che di lì a poco si ritrova nella decorazione architettonica degli edifici di Samarcanda, dove Tamerlano utilizzò appunto artisti cinesi (Sakisian, 1934, fig. 4-5; Ettinghausen, 1954, p. 468, fig. 355).Strettamente collegate agli esemplari persiani sono le l. mamelucche, anche se non mancano in queste ultime caratteristiche originali, come quella, già peraltro osservata in esemplari nordafricani, di riempire integralmente la superficie dei piatti con disegni geometrici ruotanti attorno a una stella centrale. Vanno segnalate in questa tipologia, tra i molti esempi, due l. conservate a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst; Sarre, 1923, tavv. II-III) o altre due conservate a Londra (Vict. and Alb. Mus.; Haldane, 1983, nrr. 4-5). Sempre a Londra (Vict. and Alb. Mus.) è una l. dello stesso tipo, anch'essa del sec. 14° (Haldane, 1983, nr. 3), ma estremamente interessante per le controguardie decorate da fogli di pelle lavorati a stampo, secondo una tecnica che ebbe fortuna anche nelle posteriori l. ottomane (Tanindi, 1991, figg. 9, 11, 15, 17). Più simile a esemplari persiani è una serie di l. prodotte tra Siria ed Egitto, decorate da un medaglione centrale circolare polilobato e internamente caratterizzato da una fitta trama geometrica (per es. l'esemplare del 1382 di Washington, Freer Gall. of Art; Ettinghausen, 1954, fig. 356).Con le l. mamelucche e iraniche del sec. 14° risulta oramai stabilita la premessa a nuove forme, che videro nei secoli successivi un progressivo perfezionamento e l'introduzione di tecniche nuove, come la lacca.
Bibl.:
Fonti. - Ibn Bādīs, ῾Umdat al-kuttāb [Il sostegno degli scribi], in M. Levey, Mediaeval Arabic Bookmaking and its Relation to Early Chemistry and Pharmacology (Transactions of the American Philosophical Society, 52, 4), Philadelphia 1962, pp. 5-66; Aḥmad ibn ῾Alī al-Qalqashandī, Ṣubḥ al-a῾shā [Il mattino del nictalopo], II, Cairo, 1913-1919; Aḥmad Ibn Muḥammad al-Sufiyānī, Ṣina῾at al-tasfīr al-kutūb wa ḥall al-Dhahab [L'arte della l. dei libri e della loro doratura], a cura di P. Ricard, Fez 1919 (Paris 19252); Muṣṭafā ῾Alī, Manāqib-i hünerveran [Le leggende degli artisti], Istanbul 1926.
Letteratura critica. - P. Adam, Zur Entwicklungsgeschichte des Lederschnittes mit besonderem Bezug auf spanische Arbeiten, Archiv für Buchbinderei, 1904, 3, pp. 175-181, 188-190; id., Über türkisch-arabisch-persische Manuskripte und deren Einbände, ivi, 4, pp. 141-143; 1905, pp. 145-152, 161-168, 177-185; 5, pp. 3-9; J. Loubier, Orientalische Einbandkunst, ivi, 1910, 10, pp. 33-43; H. Ibscher, Ägyptische Abteilung (Papyrus Sammlung) Bucheinbände aus Ägypten, Amtliche Berichte aus den Königlichen Kunstsammlungen 33, 1911-1912, coll. 46-52; J. von Karabacek, Zur orientalischen Altertumskunde. IV. Muhammadanische Kunststudien (Sitzungsberichte der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse, 172), Wien 1913, pp. 33-60; P. Adam, Beiträge zur Entwicklung der frühislamischen Einbände, Archiv für Buchbinderei, 1914, 14, pp. 90-97; 1915, 15, pp. 29-30; id., Venezianer Einbände nach persischen Mustern, ivi, pp. 101-110; F. Sarre, Islamische Bucheinbände, Berlin 1923; A. von Le Coq, Die buddhistische Spätantike in Mittelasien, II, Die manichäischen Miniaturen, Berlin 1923; E. Gratzl, Islamische Bucheinbände des 14. bis 19. Jahrhunderts, Leipzig 1924; id., Islamische Handschrifteinbände der Bayerischen Staatsbibliothek, in Buch und Bucheinbände. Aufsätze und graphische Blätter zum 60. Geburtstage von Hans Loubier, Leipzig 1925, pp. 118-147; T.W. Arnold, A. Grohmann, The Islamic Book, München 1929; P. Ricard, Reliures marocaines du XIIIe siècle: notes sur des spécimens d'époque et de tradition almohades, Hespéris 17, 1933, pp. 109-127; id., Sur un type de reliure des temps almohades, Ars islamica 1, 1934, pp. 74-79; A. Sakisian, La reliure dans la Perse Occidentale, sous les Mongols, au XIVe et au début du XVe siècle, ivi, pp. 80-91; A. Dessus Lamare, Le Muṣḥaf de la mosquée de Cordue et son mobilier mécanique, Journal asiatique 230, 1938, pp. 551-575; E. Gratzl, Book Covers, in A Survey of Persian Art. From Prehistoric Times to the Present, a cura di A.U. Pope, P. Ackerman, III, London 1939, pp. 1975-1994; H. Thomas, Early Spanish Bookbindings: XI-XVth Centuries, London 1939; G. Marçais, L. Poinssot, Objets Kairouanais du IXe au XIIIe siècle, 2 voll., Tunis-Paris 1948-1952; M. Bahrāmī, M. Bayānī, Rāhnumā-yi Ganjina-yi Qur᾽ān [Guida alla mostra sul Corano], I, Teheran 1949; R. Ettinghausen, The Covers of the Morgan Manâfi῾ Manuscript and Other Early Persian Bookbindings, in Studies in Art and Literature for Belle da Costa Greene, Princeton 1954, pp. 459-473; T.C. Petersen, Early Islamic Bookbindings and their Coptic Relations, Ars orientalis 1, 1954, pp. 41-64; The History of Bookbinding, 525-1950 A. D., a cura di D.E. Miner, cat., Baltimore 1957; R. Ettinghausen, Near Eastern Book Covers and their Influence on European Bindings, Ars orientalis 3, 1959, pp. 113-131; G.K. Bosch, The Staff of the Scribes and Implements of the Discerning: an Excerpt, ivi, 4, 1961, pp. 1-13; M. Weisweiler, Der islamische Bucheinband des Mittelalters nach Handschriften aus deutschen, holländischen und türkischen Bibliotheken, Wiesbaden 1962; K.B. Gardner, Three Early Islamic Bookbindings, BrMusQ 26, 1962-1963, pp. 28-30; id., Oriental Bookbindings at the British Museum, OrA, n.s., 9, 1963, pp. 134-145; The Arts of Islam, cat., [London] 1976; M. Kellermann, Islamischer Bucheinband, in Bücher im Wandel der Zeiten: eine Ausstellung aus den Beständen der Universitätsbibliothek, cat., Tübingen 1977, pp. 29-35; O. Aslanapa, The Art of Bookbinding, in The Arts of the Book in Central Asia. 14th-16th Centuries, a cura di B. Gray, Paris 1979, pp. 59-65; G. Bosch, Islamic Bookmaking: the Historical Setting, in Islamic Bindings & Bookmaking, a cura di G. Bosch, J. Carswell, G. Petherbridge, cat., Chicago 1981, pp. 1-21; G. Bosch, G. Petherbridge, The Materials, Techniques and Structures of Islamic Bookmaking, ivi, pp. 23-84; D. Haldane, Islamic Bookbindings in the Victoria and Albert Museum, London 1983; F. Deroche, Quelques reliures médiévales de provenance damascaine, REI 54, 1986, pp. 85-99; W. Bull, Rebinding Islamic Manuscripts. A New Direction, Bookbinder 1, 1987, pp. 21-38; A. Gacek, Arabic Bookmaking and Terminology as Portrayed by Bakr alIshbīlī in his Kitāb al-taysīr fī ṣinā῾at al-tafsīr, Manuscripts of the Middle East 5, 1990-1991, pp. 106-113; id., A Collection of Qur᾽anic Codices, Fontanus 4, 1991, pp. 35-53; Z. Tanindi, 15th-Century Ottoman Manuscripts and Bindings in Bursa Libraries, Islamic Art 4, 1991, pp. 143-151; S. Khemir, Las artes del libro, in Al-Andalus. Las artes islámicas en España, a cura di J.D. Dodds, cat. (GranadaNew York 1992), Madrid 1992, pp. 115-125, 308; U. Dreibholz, Research on Early Islamic Bookcovers and Book Structures in Ṣan῾ā᾽, Yemen Update 32, 1993, pp. 7-8.M. Bernardini