Legge europea e legge di delegazione europea
Con l’avvento della l. 24.12.2012, n. 234, l’ordinamento nazionale ha osservato un autentico “sdoppiamento” della cd. legge comunitaria, principale strumento di attuazione, in fase discendente, del diritto dell’Unione europea in Italia. Sono nate così la legge europea e la legge di delegazione europea: si tratta di provvedimenti connotati da caratteristiche, contenuti e tempistiche differenti, riuniti tuttavia dallo scopo di rendere più fluido ed incisivo il recepimento della normativa sovranazionale. Se la legge europea ha come scopo primario quello di rimuovere gli ostacoli alla concreta attuazione del diritto dell’Unione, la legge di delegazione europea rappresenta il meccanismo più idoneo a recepire le direttive e gli altri atti dell’Unione. A fronte di criticità tuttora irrisolte si registrano, tuttavia, evidenti progressi resi possibili dai nuovi strumenti di attuazione.
Al fine di meglio comprendere i profili caratterizzanti le leggi di partecipazione europea, pare opportuno compiere un passo indietro e render conto, succintamente, dei più significativi sviluppi normativi occorsi in tema di fase discendente. In questa breve disamina non si può prescindere dalla l. 9.3.1989, n. 86, cd. legge La Pergola, che plasmò un meccanismo obbligatorio di aggiornamento normativo a scadenza annuale: era la “legge comunitaria”, improntata sia al recepimento degli oneri europei sorti nell’anno di riferimento, sia alla copertura delle lacune derivanti dai periodi precedenti1. La legge comunitaria subì un deciso aggiornamento a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, per mezzo della l. 4.2.2005, n. 11, cd. legge Buttiglione. Ma le storiche difficoltà dell’Italia nel recepire la normativa sovranazionale non vennero superate. A fini statistici, si rammenta che l’Italia ha fatto registrare, nel macro-periodo 1952-2015, ben 642 ricorsi per inadempimento contro uno Stato membro, portati innanzi alla Corte di giustizia, conquistando il primo posto di tale speciale classifica2. L’insuccesso della legge comunitaria, che pure ha tentato di ovviare a tali criticità, è dovuto principalmente a tre ragioni: la non sempre agevole individuazione dei centri di imputazione della fase attuativa, la necessità di attendere l’approvazione della legge comunitaria anche per i recepimenti più urgenti, la costante debolezza della posizione del Parlamento, a tutto vantaggio del Governo. Questi profili hanno determinato il legislatore al superamento dell’unicità del mezzo di recepimento, con la contestuale attribuzione di un ruolo diverso alle due nuove leggi di stampo comunitario.
È questo lo “sdoppiamento”, quasi per mitosi cellulare, cui si è fatto cenno: mentre la legge di delegazione europea appare come l’erede diretta della superata legge comunitaria, condividendone il sistema della delega al Governo, la legge europea assume un ruolo più residuale, prevedendo strumenti di vario genere, accomunati dal duplice scopo di velocizzare il processo di attuazione e di ovviare al cattivo o mancato recepimento del passato3.
È nel capo VI della l. n. 234/2012, intitolato «Adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea», che si innesta la previsione della legge europea, cui sono dedicati, in particolare, l’art. 29, co. 5 e l’art. 30, co. 3 (che si occupano, rispettivamente, della presentazione del disegno di legge e dei contenuti della legge); parallelamente della legge di delegazione europea si occupano l’art. 29, co. 4 e l’art. 30, co. 2.
Prima di analizzarne i tratti specifici, occorre ricordare come debba essere osservata una fase preliminare, di carattere informativo-ricognitivo, condivisa con la legge di delegazione europea.
Secondo i commi 2 e 3 dell’art. 29 della l. cit., gli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione europea devono essere oggetto di tempestiva comunicazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per gli affari europei. I destinatari sono le Camere e, per mezzo degli strumenti conoscitivi istituzionali, le varie autonomie territoriali.
Segue una fase di verifica dello stato di conformità dell’ordinamento interno e degli indirizzi di politica del Governo rispetto agli atti europei emanati. Tale analisi viene svolta anche a livello territoriale: le risultanze delle rispettive verifiche vengono poi reciprocamente trasmesse secondo scadenze periodiche predeterminate.
A tal punto si giunge alla fase della presentazione del disegno di legge, effettuata ad opera del Presidente del Consiglio ovvero del Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati.
Dal punto di vista del contenuto, la legge europea si muove in cinque direzioni.
Innanzitutto, come si evince dalla lettura dell’art. 30, co. 3, della l. cit., il disegno di legge europea può prevedere l’abrogazione e la modifica di disposizioni nazionali in contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione: si tratta di una norma generale, volta a ribadire la necessità di conformare l’ordinamento interno alle prescrizioni sovranazionali, «in coerenza con gli articoli 11 e 117 della Costituzione, sulla base dei principi di attribuzione, di sussidiarietà, di proporzionalità, di leale collaborazione, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica», come spiega l’art. 1, l. n. 234/2012.
In secondo luogo, la legge europea può modificare ed abrogare le norme interne vigenti oggetto di procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea o di sentenze della Corte di giustizia. Si tratta probabilmente dell’aspetto più importante della legge europea, non limitato, peraltro, alla “chiusura” delle sole procedure di infrazione e al rispetto di eventuali sentenze della Corte. Infatti, qualora il Governo riconosca la fondatezza delle osservazioni formulate dalla Commissione europea nell’ambito delle ccdd. procedure di preinfrazione4, potrà, anche in tal caso, inserire nel disegno di legge le disposizioni più idonee ed adeguate. I primi due contenuti della legge europea, come appena descritti, sono accomunati dall’intervento sull’assetto ordinamentale già vigente: non si tratta tanto di attuare il diritto emergente dell’Unione, quanto di volgere lo sguardo al recente passato per porre rimedio al non corretto (o talora omesso) recepimento della normativa europea. Il terzo possibile contenuto, ancora una volta munito di portata ampia e generale, coincide con l’inserimento di disposizioni (da intendersi, sulla scorta di quanto appena affermato, come disposizioni innovative) in grado di dare attuazione o di garantire, a livello interno, l’applicazione degli atti dell’Unione. In maniera simile si muove il quarto tipo di previsioni da includere eventualmente nel disegno di legge: si tratta delle disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali che sono stati conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione. Gli ultimi due interventi descritti si attivano “all’occorrenza”, al fine di garantire il rispetto del diritto dell’Unione non solo nelle sue emanazioni interne, proiettate sugli Stati membri, ma anche nelle sue esternazioni, rappresentate dalla stipula dei trattati internazionali e consentite dalla ormai acquisita personalità giuridica dell’Unione. Infine, la legge europea assicura il rispetto dell’art. 117, co. 5, Cost., contenendo i presupposti per l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni. Più precisamente, questa (quinta) tipologia di intervento si rende necessaria quando le Regioni non adempiono all’attuazione degli atti normativi europei nelle materie di loro competenza e/o non provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea.
Se è vero che il titolo di ogni legge comunitaria prevedeva, prima del riferimento alla rispettiva annualità, la dicitura «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee», poi confluito nell’intestazione di ogni legge europea, è altrettanto vero che, a livello di contenuti, un profilo del tutto essenziale è stato assorbito dalla legge di delegazione europea. Secondo l’art. 29 della l. n. 234/2012, eseguite le fasi di informazione e verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento interno rispetto alla normativa sovranazionale, entro il 28 febbraio di ogni anno viene presentato alle Camere (ad opera degli stessi soggetti di Governo preposti alla presentazione del disegno di legge europea) il disegno di legge di delegazione europea. Emergono due dati interessanti: il primo è la previsione di un termine di periodicità annuale per la presentazione del disegno di legge (fissato al 28 febbraio e non più al 31 gennaio come accadeva per la vecchia legge comunitaria), non prescritto per la legge europea; il secondo è la necessaria acquisizione del previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ad ulteriore conferma del fatto che l’attuazione della fase discendente del diritto europeo non è più una prerogativa del solo Governo centrale. Il disegno di legge è accompagnato da un’articolata relazione illustrativa, volta a specificare l’elenco delle direttive da recepire e le relative motivazioni. Tra i contenuti della legge, piuttosto vari e differenziati (l’art. 30, co. 2, l. cit. prevede ben 9 lettere), devono essere menzionate: le disposizioni per il conferimento al Governo della delega legislativa volta all’attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire a livello interno (evitando espressamente l’inclusione di deleghe estranee al recepimento degli atti legislativi europei); le disposizioni per il conferimento di deleghe dirette a modificare o abrogare disposizioni interne, in ossequio ai pareri motivati della Commissione europea resi ai sensi dell’articolo 258 del TFUE o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse dalla Corte di giustizia; le disposizioni che autorizzano il Governo al recepimento delle direttive in via regolamentare; le deleghe per la disciplina sanzionatoria delle violazioni degli atti normativi dell’Unione; le deleghe per l’attuazione di disposizioni contenute nei regolamenti europei ma non direttamente applicabili. Ad ogni modo, il compito della legge di delegazione può anche essere integrato da un secondo disegno di legge da adottare, solo in via di necessità, entro il 31 luglio di ogni anno (“secondo semestre”); in casi di particolare rilievo politico, economico e sociale, al Governo è concessa inoltre la possibilità di adottare appositi disegni di legge (privi del meccanismo della delega) per l’attuazione di singoli atti normativi dell’Unione europea. Questi ultimi accorgimenti normativi contribuiscono a connotare la legge di delegazione europea quale atto, da un lato, del tutto imprescindibile, dall’altro, tuttavia, non esclusivo nel panorama del recepimento né preclusivo di ulteriori provvedimenti in grado di consolidare la fase discendente.
Alla luce dei primi anni di esercizio sperimentale, si tenta ora di render conto di pregi e difetti del nuovo sistema di recepimento5.
Un primo dato obiettivo: dal 2013 sono state approvate, con cadenza regolare, quattro leggi europee e quattro leggi di delegazione europea.
Le leggi europee sono la l. 6.8.2013, n. 97 («Legge europea 2013»), la l. 30.10.2014, n. 161 (sempre per il 2013), la l. 29.7.2015, n. 115 (riferita al 2014), la l. 7.7.2016, n. 122 (per il biennio 20152016). Le leggi delegazione sono rappresentate dai seguenti atti: l. 6.8.2013, n. 96 («Legge di delegazione europea 2013»), l. 7.10.2014, n. 154 (per il secondo semestre del 2013), l. 9.7.2015, n. 114 (legge per il 2014), l. 12.8.2016, n. 170 (riferita al 2015).
La regolarità nell’approvazione non implica l’assenza di criticità. Gli strumenti descritti, così come attuati, non riescono, in molti casi, a garantire una viva e concreta partecipazione del Parlamento alla fase discendente.
A livello di legge europea, si può notare come il suo utilizzo, soprattutto nei primissimi anni, sia stato indirizzato prevalentemente alla correzione degli errori del recepimento passato, chiudendo le procedure di infrazione e preinfrazione già in corso, senza valorizzare la facoltà (pur prevista) di dare attuazione diretta con legge agli atti dell’Unione.
Rispetto alla legge di delegazione europea, se la l. n. 234/2012 esprime alcuni principi e criteri direttivi validi per ogni delega, è altresì constatabile come sono molto ridotti gli inserimenti – a livello parlamentare – di principi e criteri direttivi ad hoc, da porre all’interno della specifica legge di delegazione: il rischio, da questo punto di vista, è che il Parlamento approvi, in maniera passiva, un mero elenco di direttive da trasporre in legge, senza dettare una disciplina specifica all’atto del conferimento della delega al Governo. Si incorre così nell’annoso problema della possibile violazione dell’art. 76 Cost., data l’eccesiva ampiezza dei criteri generali posti alla base della delega. I limiti dell’azione legislativa del Governo, vincolata al contenuto delle stesse direttive da recepire, sono dettati soltanto a livello sovranazionale, con una sorta di trasferimento di compiti dal legislatore interno (che nulla dispone nel conferire la delega) a quello europeo.
Altra problematica è rappresentata dalla scarsa partecipazione delle Regioni alla fase discendente del diritto europeo. La previsione dell’art. 117, co. 5, Cost., pur combinata, come visto, con il dettato della l. n. 234/2012, non garantisce un reale coinvolgimento delle autonomie territoriali più importanti. Probabilmente, questo è il risultato di quella incongruenza di fondo, non ancora superata, per cui la responsabilità formale per la corretta attuazione del diritto europeo persiste soltanto in capo allo Stato membro, con l’attuazione regionale che non può prescindere da norme precarie e dall’esercizio dei poteri sostitutivi centrali.
Oltre a tali considerazioni di sistema, non possono non indicarsi gli evidenti progressi fatti registrare dallo sdoppiamento della legge comunitaria.
Il primo vantaggio è indubbiamente rappresentato dalla rapidità delle tempistiche di approvazione delle leggi in questione.
Superando i ritardi provocati dall’esame congiunto delle disposizioni volte a chiudere le procedure di infrazione (piuttosto lento e complesso) e delle disposizioni squisitamente di delega (molto più rapido), i tempi di studio e approvazione sono ormai più celeri. Dopo l’esperienza del primo anno (2013), in cui le due leggi hanno proceduto in maniera congiunta fino all’approvazione, si è affermata una prassi diversa, che prevede un iter parallelo a Camere invertite e che si attesta, di media, su un periodo di 810 mesi. In sostanza, le leggi viaggiano su binari paralleli e, nonostante le temute lungaggini rispetto all’approvazione della legge europea, i tempi di approvazione, brevi, hanno sempre coinciso: in maniera ancor più bizzarra, nel 2016, la legge di delegazione ha impiegato, per giungere ad approvazione, due mesi in più rispetto alla legge europea, ponendo alcuni dubbi sull’utilità della prima (data la celerità dell’iter seguito nella seconda). Inoltre, il termine per l’esercizio della delega, dapprima anticipato, in via generale, di due mesi rispetto alla scadenza prevista dalle singole direttive, è stato anticipato addirittura di quattro mesi (dalla legge europea 2014), con evidente compensazione di eventuali ritardi in seno all’adozione del decreto legislativo delegato. A livello sostanziale, un’evidenza statistica inconfutabile è rappresentata dalla riduzione del numero complessivo delle procedure di infrazione ai danni dell’Italia: dalle 135 procedure del 2011, passando per le 104 del 2013, a luglio 2017 si è toccato il minimo storico, pari a 65 procedure di infrazione. Si tratta di un record positivo la cui incidenza, data la rilevanza storica della questione, non può essere sottovalutata. Appare arduo comprendere se i pregi del nuovo sistema prevalgano sui difetti: ad ogni modo, il meccanismo di recepimento sembra, nel suo complesso, migliorato, avendo posto le basi di un’attività istituzionale più rapida e snella. Tuttavia, per raggiungere la piena efficacia, nel rispetto delle garanzie di partecipazione sancite a livello costituzionale, non si può prescindere dalla risoluzione, pur graduale e parziale, delle problematiche descritte.
1 In relazione agli sviluppi della legge comunitaria, cfr. Pitino, A., Verso una nuova legge comunitaria. Stato e Regioni tra l’attuazione del titolo V e il nuovo trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Torino, 2005; Astone, F., Il processo normativo dell’Unione Europea e le procedure nazionali per l’esecuzione degli obblighi comunitari, Torino, 2008.
2 Fonte: Relazione annuale 2015 – Attività giudiziaria della Corte di giustizia dell’Unione europea.
3 Sui caratteri del nuovo assetto, cfr. Celotto, A., La fase discendente del diritto dell’Unione europea. Effetti dello “sdoppiamento” della legge comunitaria, in www.federalismi.it, 2017.
4 Si tratta delle procedure avviate tramite il sistema di comunicazione informatica “EU Pilot”, lo strumento di precontenzioso lanciato nel 2008 e utilizzato dalla Commissione europea al fine di anticipare, in senso preventivo, eventuali procedure d’infrazione, nel tentativo di assicurare la corretta applicazione della legislazione europea.
5 Sulle recenti esperienze, cfr. Savino, M., L’attuazione della normativa europea, in Giorn. dir. amm., fasc. n. 5/2013, 234 ss.; Bartolucci, L., “Legge di delegazione europea” e “Legge europea”: obiettivi e risultati di una prima volta, in Amministrazione in cammino, 2014.