legge Tobler-Mussafia
La legge Tobler-Mussafia (così detta dal nome di Adolf Tobler e Alfredo Mussafia, i quali, rispettivamente nel 1875 e nel 1886, per primi osservarono nella distribuzione dei ➔ clitici in francese e in italiano le regolarità oggetto della legge) codifica una regolarità dell’➔italiano antico (dalle origini agli inizi del XV secolo) e, in generale, di tutte le varietà medievali romanze, concernenti il comportamento dei clitici (pronomi personali obliqui atoni – mi, ti, gli, le, lo, la, ecc. – e particelle avverbiali – ci, vi, ne, ecc.) nella loro relazione con il verbo e talvolta con altri elementi della frase (in Formentin 2007 si mostra che nella fase arcaica della lingua i pronomi atoni potevano essere enclitici a elementi diversi dal verbo).
Nel suo articolo del 1886 [1983], Mussafia osservò che i clitici pronominali o avverbiali seguono sempre l’elemento cui s’appoggiano prosodicamente, in specie il verbo, quando questo si trova in posizione iniziale di frase o assimilabile a essa. Poiché nella frase il verbo occupa sempre la prima o la seconda posizione ed è dunque sempre adiacente ai clitici (cfr. Salvi 1991), la legge Tobler-Mussafia è stata sovente interpretata come una continuazione romanza della legge di Wackernagel, secondo cui i clitici seguono sempre il primo elemento della frase indipendentemente dalla sua categoria (cfr. Meyer-Lübke 1897; Benacchio & Renzi 1987; Renzi 1987 e 1989).
Più dettagliatamente, rielaborando la proposta di Mussafia alla luce delle conoscenze attuali (cfr., tra gli altri, Schiaffini 1926; Sorrento 1951; Ulleland 1960; Ramsden 1963; Mura Porcu 1977; Patota 1984; Rollo 1993), i clitici:
(a) seguono sempre il verbo se questo si trova:
(i) in principio di frase: «Fecemi la divina potestate» (Dante, Inf. III, 5);
(ii) dopo un vocativo o dopo interiezione: «Donne, dicerollo a vui» (Dante, Vita nuova XXIII, 20, 28);
(iii) all’inizio di una frase (principale o dipendente) coordinata per asindeto alla precedente: «Amor mi fa sovente / lo meo core penare, / dami pene e sospiri» (Re Enzo I, 1-3), «Vogliono […] che voi […] perdoniate le ingiurie, guardiatevi dal mal dire» (Boccaccio, Dec. III, 7, 389);
(b) possono seguirlo o precederlo:
(i) nelle frasi coordinate mediante le congiunzioni ma ed e: «l’ombra si tacque e riguardommi (Dante, Purg. XXI, 110); «ma dimmi, in avarizia hai tu peccato» (Boccaccio, Dec. I, 1, 57), ma anche «abbracciommi la testa e mi sommerse (Dante, Purg. XXI, 101);
(ii) all’inizio di frasi principali precedute da subordinate: «Ma quando tu sarai nel dolce mondo / priegoti ch’a la mente altrui mi rechi» (Dante, Inf. VI, 88-9), ma anche «Quando voi togliete, si vuole sapere perché» (Novellino 820, 18).
In tutti gli altri casi i clitici pronominali e avverbiali di norma precedono il verbo, ma la posizione enclitica è sempre possibile (la cosiddetta enclisi libera; cfr. Formentin 2007), seppur facoltativa.
Mussafia (1886 [1983]: 295) motivava l’enclisi appellandosi al ‘sentimento degli antichi’: «il perché dell’uso degli antichi scrittori è facile riconoscere; era un fine sentimento che li faceva rifuggire dall’incominciare la proposizione […] con un monosillabo privo di accento, e quindi di suono e di significato soverchiamente tenue».
Nella storia degli studi si sono tentate altre spiegazioni che attribuiscono il fenomeno a cause di diversa tipologia:
(a) prosodico-ritmica, invocante l’esiguità fonica del clitico, che lo rende inadatto a funzionare come primo elemento di una frase (Meyer-Lübke 1897; Cardinaletti & Roberts 1991);
(b) sintattica (Benincà 1983; Marcantonio 1980), e quindi attinente, alla sua relazione formale profonda con il resto della frase;
(c) semantico-testuale (Vizmuller-Zocco 1992; Benacchio & Renzi 1987; Renzi 1989), concernente la struttura informativa della frase e, quindi, il rapporto tra parte data e parte nuova di quest’ultima (➔ dato / nuovo, struttura).
Diversamente dall’italiano contemporaneo, ove la posizione normale del clitico è preverbale con i verbi di modo finito e postverbale con quelli di modo non finito e l’imperativo positivo, la distribuzione dei clitici in italiano antico era fortemente dipendente dalla loro posizione rispetto al confine (superficiale) di frase, prescindendo dalla forma morfosintattica del verbo. Osservando il fenomeno da un punto di vista sintattico, quindi, la legge Tobler-Mussafia può essere interpretata come una vera e propria restrizione che impedisce ai clitici di stare dopo un confine superficiale di frase (cfr. Marcantonio 1980: 147; Wanner 1981: 335).
Tale restrizione diviene progressivamente meno stretta nei casi della tipologia sintattica (b), nei quali si può supporre che la posizione pre- o postverbale del clitico dipenda dalla percezione, da parte del parlante, dell’assenza o presenza di un confine tra la principale e la dipendente. È proprio a partire da esempi di questo tipo che già dal XIII secolo la posizione proclitica cominciò a imporsi su quella enclitica (cfr. Ramsden 1963; Maiden 1995 [1998]).
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Benacchio, Rosanna & Renzi, Lorenzo (1987), Clitici slavi e romanzi, Padova, Clesp.
Benincà, Paola (1983), Un’ipotesi sulla sintassi delle lingue romanze medievali, «Quaderni Patavini di linguistica» 4, pp. 3-19 (rist. in Ead., La variazione sintattica. Studi di dialettologia romanza, Bologna, il Mulino, 1994, pp. 177-194).
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