Leggere l’architettura costantiniana
Le grandi periodizzazioni che, per convenzione, sono imposte alla storia – e, in parallelo, alla storia dell’arte – tendono a prendere in considerazione intervalli piuttosto lunghi (per lo più di alcuni secoli) all’interno dei quali si può riscontrare una qualche omogeneità reale o, almeno, presumibile. Dando per scontata l’utilità o, meglio, l’esigenza di di;sporre di tali scansioni temporali – e anche geografiche – per suddividere la troppo estesa ‘storia universale’ in periodi contenuti e quindi analizzabili con maggiore specificità, resta però il problema dell’individuazione degli eventuali punti di inizio e di conclusione entro i quali gli inevitabili ‘periodi’ debbono essere contenuti.
Il criterio che, con maggior frequenza, è stato seguito per stabilire il limite superiore e il limite inferiore dell’intervallo cronologico individuato caso per caso, è stato quello di far coincidere tali limiti con personaggi chiave – o anche con eventi chiave – della storia, che così vengono evidentemente penalizzati, poiché del primo limite non si inquadrano i precedenti culturali e del secondo non si considerano gli esiti.
Così, quando si studia l’età imperiale romana da Augusto a Costantino, come spesso si propone, l’inquadramento dei due personaggi scelti come iniziale e terminale risulta incompleto.
In effetti al criterio che pone momenti culturali importanti agli estremi di un determinato intervallo cronologico dovrebbe forse essere preferito quello che pone tali momenti al centro di un periodo i cui limiti sono più ‘sfumati’ e si trovano a una certa distanza cronologica dall’epoca dell’attività del personaggio chiave stesso, in modo che si possano prendere nella giusta considerazione il tessuto culturale precedente e quello successivo, per valutare sia l’innovazione da lui apportata sia l’incidenza di quest’ultima nell’età successiva.
Probabilmente è questo il motivo per cui oggi si stanno moltiplicando gli studi monografici che pongono al centro – e non più ai margini – le figure più significative della storia e della cultura artistica. Anche Costantino, da sempre relegato a punto di partenza o di arrivo di parabole storiche, non di rado in senso negativo, è divenuto oggetto di un certo numero di analisi approfondite: queste, tuttavia, prendono in considerazione soprattutto l’aspetto politico-religioso del suo lungo regno1 piuttosto che quello relativo alla nuova cultura artistica di cui fu promotore e inventore, specialmente nel campo dell’architettura2.
Proprio quest’ultimo tema si vuole approfondire in questa sede, prescindendo non solo dalla connotazione cristiana o pagana, ma anche da quella civile o religiosa. Oggetto di questa indagine sarà dunque la produzione architettonica dell’età costantiniana in senso lato, per ricavarne una lettura integrale e non parziale o finalizzata, come finora di frequente si è proposto nelle trattazioni relative all’opera di Costantino.
Lo scopo finale dello studio sarà infatti quello di stabilire se, analizzando una serie di monumenti attribuibili all’età costantiniana, sia possibile individuare alcune caratteristiche unificanti della formulazione architettonica di matrice, appunto, costantiniana e inquadrare meglio il modo in cui l’imperatore voleva porsi di fronte al suo ‘pubblico’, usando come strumento di ‘comunicazione di massa’ l’architettura stessa, che da sempre si presta egregiamente a tale scopo. Infatti, si deve qui ricordare – anche se non sempre ciò viene sottolineato – che l’architettura è certamente uno dei tramiti più efficaci che l’imperatore stesso può utilizzare non solo per manifestare al popolo la dimensione del suo potere, ma anche per suggerire la connotazione e le prerogative che intende attribuire a esso nel suo caso specifico3.
Un confronto tra le caratteristiche specifiche ricavabili per l’architettura costantiniana e quelle riscontrabili per il periodo precedente permetterà una valutazione dei viraggi e delle innovazioni che hanno caratterizzato l’insolitamente lungo regno di Costantino, che, se si tiene conto anche del periodo di governo dei suoi figli, supera addirittura il mezzo secolo.
Della notevole produzione architettonica che possiamo collegare con la committenza di Costantino, o comunque con quella dell’età costantiniana in senso lato4, si prenderanno in considerazione, ovviamente, solo quei monumenti che, almeno in parte, si prestano a una analisi degli aspetti strutturali e decorativi, cioè gli edifici che sono tuttora conservati, pur se in modo incompleto e frammentario, e quelli dei quali possediamo almeno una documentazione grafica o descrittiva sufficientemente dettagliata: saranno così esclusi dalla rassegna qui proposta anche quelli di attribuzione decisamente dubbia e quelli sicuramente datati, ma non più esistenti o comunque non suscettibili di utili analisi architettoniche5.
I grandi monumenti di Costantinopoli che le fonti ci hanno tramandato come opera di progettazione costantiniana saranno dunque necessariamente omessi: come risulta infatti dalla trattazione specifica relativa a quella città6, essi non sono materialmente sopravvissuti7, poiché sono stati distrutti o, più frequentemente, soppiantati da altre installazioni o ricostruzioni, frutto delle successive e fiorentissime stagioni bizantine.
Questa perdita è piuttosto grave, poiché da quegli edifici sarebbe stato possibile ricavare un’importante testimonianza specifica sull’impostazione progettuale che Costantino aveva maturato nell’ultimo decennio della sua vita. Fortunatamente, però, altri monumenti di altre città compensano queste lacune. È stato quindi possibile raccogliere un discreto ‘campionario’ dell’architettura costantiniana che, pur se non esauriente, è sufficientemente rappresentativo e permette di svolgere questa analisi. I monumenti inclusi nel repertorio analizzato hanno necessariamente funzioni piuttosto variate e collocazioni geografiche diverse, pur appartenendo in prevalenza alla capitale storica dell’Impero. Sorprendentemente, dobbiamo infatti ammettere che è proprio a Roma – la città che molti considerano ‘rifiutata’ da Costantino – che si possono individuare le più cospicue sopravvivenze di monumenti dell’età costantiniana.
Degli edifici prescelti ed elencati in un possibile – ma pur sempre ipotetico – ordine cronologico nelle brevi schede che seguono, corredate da essenziali segnalazioni bibliografiche opportunamente commentate, si cercherà di evidenziare gli aspetti strutturali e decorativi più specifici, che saranno selezionati e sottoposti ad analisi d’insieme nei paragrafi successivi.
Uno dei monumenti più noti e meglio conservati dell’età costantiniana è certamente la maestosa Palastaula di Treviri, generalmente considerata pertinente alla residenza imperiale e a una funzione pubblica o semipubblica legata alla manifestazione dell’imperatore8.
Si tratta di un edificio di enormi proporzioni – 67 × 27 m circa per un’altezza di 30 m circa – sviluppato secondo la semplice planimetria delle aule rettangolari absidate che, pur essendo note nell’architettura classica (dove però hanno una diffusione decisamente contenuta9), diventano, nella tarda antichità, una delle strutture più diffuse sia nell’ambiente domestico (soprattutto come aule tricliniari delle domus aristocratiche) o comunque privato (ambienti termali, sacelli, sedi collegiali, etc.), sia in quello pubblico (basiliche civili e, poi, anche chiese, aule di udienza, grandi aule termali, etc.)10.
Se lo schema planimetrico si può considerare piuttosto semplice, non altrettanto si può dire delle dimensioni, poiché la larghezza di 27 m è davvero al limite delle possibilità di coperture lignee piane, che mai, nel mondo antico, raggiungono tale misura11 per ovvi motivi di reperibilità di travi di quella lunghezza e della necessaria sezione.
Anche l’abside ha dimensioni enormi e, a quanto risulta, non era conclusa da un catino in muratura ma aveva un tetto ligneo. Oltre alle dimensioni, la caratteristica strutturale più insolita è quella relativa alle pareti laterali che presentano all’interno una superficie liscia interrotta solo da due file di grandi finestre arcuate, mentre all’esterno sono articolate in una serie di imponenti arcate cieche, alte e strette, che si susseguono con il ritmo spaziale tipico degli acquedotti ed entro le quali si trovano le già citate finestre, aperte quindi non nella parte più spessa della struttura ma nei muri di poco spessore che chiudevano le arcate esterne.
Un’articolazione del tutto simile decora anche la facciata e l’abside, e quindi, di fatto, tutto il perimetro (la fiancata laterale è oggi ricostruita) presenta all’esterno questa scansione ritmica. A un involucro di aspetto così poderoso si contrappone invece un interno a pareti del tutto lisce e, in origine, interamente rivestite da incrustationes marmoree policrome (di cui restano i fori per le grappe di ancoraggio) che giungevano a un’eccezionale altezza, impartendo all’interno una ricchezza decorativa ben diversa dalla modestia delle attuali e spoglie pareti laterizie.
Nonostante la vivacità della decorazione piana, infatti, l’effetto ancor oggi immediatamente percettibile dall’interno è quello di un’incredibile leggerezza – anzi inconsistenza – delle pareti: dato che le finestre si aprono nelle sottili pareti di fondo delle arcate cieche, i loro stipiti sottili fanno sembrare sottilissima anche l’intera parete alta 30 m, che quindi sembra reggersi per miracolo.
Perduto, ma ricostruibile in base a resti rinvenuti in situ e a descrizioni, è il pavimento, che era in opus sectile di una tipologia ben nota e diffusa appunto nella Gallia germanica e nell’Italia settentrionale12.
Il monumento è dunque, almeno virtualmente, ricostruibile nella sua fase originaria, con il dubbio sull’articolazione della decorazione parietale, che possiamo immaginare a pannelli su più registri con possibili partizioni verticali costituite da lesene a commesso e con presenza di porfidi e marmi policromi delle specie più pregiate. Difficile da ipotizzare è semmai la decorazione della parte alta dell’abside, nella quale si sarebbe tentati di immaginare un finto catino ottenuto con tessuti preziosi con fili d’oro, con quelle strutture ‘a mezzo ombrello’ che Margherita Guarducci a suo tempo aveva individuato nel termine camerae fulgentes13 e che subito dopo e, poi, per almeno un millennio sono ricordate e ‘citate’ nei mosaici absidali paleocristiani e medievali (in genere nel punto più alto del catino), in cui sono rese almeno in parte in tessere a foglia d’oro.
Sulla cronologia dell’aula, in genere attribuita ai primi tempi di Costantino, sono state recentemente avanzate nuove interpretazioni in funzione di altri ritrovamenti monetari che, da un lato, confermano l’inizio della costruzione nella prima età costantiniana e, dall’altro, indicano che gli ipocausti sono stati aggiunti in un’epoca successiva, intorno al 340, e così anche il pavimento dovrebbe essere stato eseguito o almeno in parte sostituito in quell’epoca14.
Gli studi sulle Kaiserthermen di Treviri hanno da tempo evidenziato due principali momenti costruttivi15: il primo, che è quello progettuale vero e proprio, è attribuito concordemente a Costantino ed è quello di cui ci restano tuttora le più vistose strutture in alzato. Si tratta in particolare del calidarium delle terme, di forma rettangolare con una grande abside sul lato lungo esterno e due absidi di minor dimensione nei due lati corti. L’imponente ed elegante prospettiva architettonica dell’abside maggiore e di una delle minori, conservate per gran parte dell’alzato con due ordini di enormi finestre arcuate, è ancora oggi uno dei più connotanti elementi del paesaggio urbano della moderna Trier. In queste strutture è impressionante, soprattutto, la prevalenza dei vuoti sui pieni, che corrisponde a una luminosità degli interni del tutto nuova rispetto alle realizzazioni architettoniche dei secoli precedenti. Particolarissima è, infine, la lavorazione degli stipiti esterni delle finestre, che sono di fatto strombate, pur se con una scalinatura arrotondata piuttosto che con lo sguancio obliquo tipico del Medioevo. Questo accorgimento è ricorrente nelle architetture di età costantiniana e serve ad aumentare il volume di luce che entra nell’ambiente, ma ha anche altri effetti come quello, già visto nell’aula basilica, di far sembrare, dall’interno, assai più sottili le pareti in cui si aprono le finestre.
Gli scavi eseguiti nelle terme negli anni 1912-1914, data l’epoca, sono stati in prevalenza distruttivi e hanno ‘denudato’ il monumento di tutte le sue fasi successive e delle relative stratigrafie, restituendone lo ‘scheletro archeologico’ oggi visibile. Tuttavia l’attenzione degli archeologi che allora operarono, anche se all’interno dei parametri culturali dell’epoca, ha comunque permesso di ricavare utili indicazioni relative al monumento costantiniano: si è potuto infatti stabilire che l’edificio dell’inizio del IV secolo non fu concluso in quell’epoca e non entrò mai in funzione come terme, ma fu poi recuperato e trasformato per altro uso (forse una caserma) al tempo di Graziano, quindi oltre mezzo secolo dopo. Quando i lavori furono interrotti erano già in parte realizzati la decorazione con marmi nelle pareti e nei pavimenti e anche alcuni mosaici, di cui sono segnalate tracce non meglio identificate.
La cronologia del monumento, almeno per le strutture in alzato a cui abbiamo rivolto la nostra maggiore attenzione, sembra comunque fissata entro il regno di Costantino, forse con l’alternanza di due momenti o, piuttosto, con una interruzione di alcuni anni, ma comunque all’interno dei primi due decenni del regno di quell’imperatore.
Gli studiosi sono genericamente concordi nel ritenere che i lavori per la costruzione della prima chiesa cristiana ‘ufficiale’ del mondo romano, cioè la grandiosa basilica che Costantino volle edificare nella capitale dell’Impero, furono avviati assai presto, ovvero probabilmente intorno al 314 o addirittura nel 312, e furono terminati in tempi relativamente brevi16. Sta di fatto, comunque, che nessuno sembra dubitare dell’antichità di questa fondazione, che viene spesso considerata come la realizzazione di una sorta di votum di Costantino espresso alla divinità che aveva favorito, a suo parere, la vittoria contro il tyrannus Massenzio.
È insomma abbastanza logico considerare queste fondazioni come una manifestazione della presa di possesso di Roma, e quindi frutto di una strategia già in atto da tempo quando l’imperatore celebrò i suoi decennalia, nel 316.
Nonostante la quasi totale perdita delle strutture originarie dell’edificio, se ne possono ricostruire quasi completamente la planimetria e parte dell’alzato in base a disegni, descrizioni dettagliate e resti rinvenuti negli scavi archeologici specialmente della parte absidale. Altri disegni e vedute ci permettono inoltre di avere utilissime indicazioni anche per alcune parti dell’alzato.
La basilica era enorme. Il suo sviluppo longitudinale interno oltrepassava di pochi centimetri i 90 m per il corpo rettangolare esclusa l’abside, mentre includendo quest’ultima raggiungeva quasi i 100 m senza gli spessori dei muri (e quindi, aggiungendoli, 102 m). La larghezza, per tutte le cinque navate, era internamente di quasi 54 m e, includendo i muri, superava i 55 m. La larghezza della navata centrale giungeva quasi a 19 m, misura notevole pur se inferiore a quella della navata centrale di S. Pietro in Vaticano (cfr. infra), che si aggirava intorno ai 23 m.
Particolare architettonico di un certo rilievo erano i finestrati della navata centrale, che emergeva certamente rispetto a quelle laterali, anche se si conoscono solo in prima approssimazione la misura di tale emergenza e la dimensione delle singole finestre, che dovevano essere alte 4 m e più17. Si è invece meglio informati sulle pareti divisorie, tutte laterizie, impostate su colonne e architravi nella navata centrale e su colonne e archi nelle navate laterali. Di queste ultime pareti divisorie abbiamo uno splendido rilievo che Francesco Borromini fece eseguire prima della demolizione seicentesca: la precisione di questo rilievo permette di esaminare l’accurata struttura rinforzata da numerosi archi di scarico di diversa dimensione, e mostra inoltre la presenza davvero innovativa di una sorta di imposte al di sopra dei capitelli18.
Questi elementi, che non sono certo usuali nell’architettura classica, potrebbero essere i precursori dei pulvini, più frequenti nel V secolo e di forma tronco-piramidale invece che ‘a cuscino rigonfio’ come questi lateranensi.
Poco si può dire della decorazione originaria; la quasi totale mancanza di sculture architettoniche (a parte l’architrave dei colonnati centrali) fa presumere che le pareti fossero totalmente lisce e quindi decorate da rivestimenti a incrustationes marmoree nelle superfici piane e da rivestimenti musivi in quelle concave e quindi nell’abside. L’indizio della presenza di un mosaico absidale si potrebbe riconoscere in un’epigrafe, posta appunto in abside e oggi perduta, di una coppia di clarissimi che figurano come evergeti. L’oro doveva essere presente o nelle tessere musive o negli eventuali soffitti sia lignei sia decorati con stucchi: le menzioni del Liber Pontificalis non lasciano dubbi in proposito19.
Ovviamente in questo caso, almeno per la parte architettonica, non sussiste alcun dubbio, neppure parziale, sulla paternità costantiniana dell’opera, la conclusione della quale si pone probabilmente, come già visto, nel secondo decennio del regno di Costantino o poco oltre.
Se la basilica lateranense fu una sorta di modello per molte delle successive basiliche cristiane, quella che Costantino costruì fuori delle mura urbane, sul sito in cui una solida tradizione poneva la tomba di san Pietro, ne fu certo una prima imitazione, addirittura su scala maggiore. Anche se le funzioni delle due grandiose chiese, cattedrale quella urbana e martiriale quella suburbana, erano ben diverse, la planimetria e la struttura dell’alzato, meglio documentate da disegni nel caso dell’edificio vaticano20, erano in linea di massima piuttosto simili, ciò che ci esime da un’ulteriore descrizione specifica. Diverse erano comunque le dimensioni poiché l’edificio vaticano, come ha giustamente rilevato Richard Krautheimer, era in un rapporto di 6:5 rispetto a quello lateranense21. Di enorme ampiezza erano le finestre, alte quasi 5 m e larghe circa 3,2 m.
A parte la maggiore dimensione, la basilica vaticana presentava tuttavia un altro ben noto elemento innovativo e cioè il transetto, braccio trasversale largo 18 m circa, posto in prossimità dell’abside che impartiva all’edificio una sorta di pianta cruciforme (croce latina), pur se appena percettibile. Dell’originaria decorazione, che subì continui rimaneggiamenti fino alla distruzione nel XVI e XVII secolo, poco si può ipotizzare, anche se, come già visto per la basilica lateranense, l’oro doveva in qualche modo essere profuso nella decorazione absidale.
I dati cronologici a disposizione permettono di stabilire che l’edificio vaticano fu progettato e costruito dopo quello lateranense: la data più probabile dell’inizio della costruzione si pone al 319 o poco oltre, mentre le dotazioni che Costantino destinò alla chiesa si collocano tra il 324 e il 329, e quindi possono indicare una conclusione dell’edificio. Tuttavia il ritrovamento, nei muri di fondazione della chiesa, di varie monete di Costantino e dei suoi figli (non databili con precisione) permetterebbe di ritardare ulteriormente la data di compimento dei lavori, da collocarsi in ogni caso entro il regno dello stesso Costantino.
Il Liber Pontificalis attribuisce a Costantino la costruzione di tre basiliche martiriali-cimiteriali nel suburbio di Roma, quella dei Ss. Marcellino e Pietro, quella di S. Lorenzo fuori le mura e quella di S. Agnese22, delle quali si hanno resti ancora esistenti o riportati in luce da scavi archeologici che, insieme alla documentazione disponibile, sono sufficienti a determinare le planimetrie e parte degli alzati, almeno quelli perimetrali23.
La forma del tutto insolita di questi edifici ricorda insistentemente la planimetria di un circo, anche se, ovviamente, sia la struttura in alzato sia la funzione non hanno nulla a che vedere con quel tipo di monumento pubblico. Si tratta dunque di una ‘citazione’ del tutto simbolica che trova giustificazione, peraltro, in alcuni passi di scritti patristici che paragonano la vita del cristiano a una difficile gara per ottenere, in conclusione, la palma della vittoria, cioè la beatitudine celeste. Originalissima è la forma, anche se resta qualche marginale dubbio sulla prima formulazione del modello, che si potrebbe vedere nell’altro edificio dello stesso tipo, quello di S. Sebastiano24, che ormai molti ritengono il più antico della serie.
Un’ipotesi basata su dati non insignificanti (l’edificio non è citato nel Liber Pontificalis tra le fondazioni di Costantino) attribuisce questa basilica addirittura agli ultimi anni di Massenzio, quando l’usurpatore sembra avere manifestato un’apertura nei confronti della religione cristiana25. D’altronde anche un’altra basilica circiforme, anonima, quella della via Prenestina, sembra antica e non necessariamente collegata a committenze cristiane ‘ufficiali’.
Non è questa la sede per affrontare la spinosa questione: sarà sufficiente prendere in considerazione solo le basiliche circiformi costantiniane con la loro innovativa struttura, certamente valorizzata e potenziata da Costantino, la quale, come tipologia architettonica, non sopravvisse alla fine del regno di quest’ultimo: l’altra grande e ultima replica si deve a papa Marco26, che inaugurò il suo pontificato proprio alla morte di Costantino.
Oltre alla struttura a tre navate su pilastri27 e agli ingressi a polifora, sempre con arcate e pilastri, non possiamo aggiungere molto sulla architettura di questi edifici che, nonostante l’innovativa struttura del deambulatorio periabsidale, presentavano evidenti caratteristiche di semplicità sia nella realizzazione strutturale sia, soprattutto, nella decorazione. Dobbiamo tuttavia tener presente che per quanto riguarda la navata centrale abbiamo l’alzato e parte del finestrato solo a S. Sebastiano28 e che, per il muro perimetrale, solo S. Agnese conserva la struttura originale con finestre anche circolari, ma senza tracce evidenti di decorazioni.
Non sussistono invece difficoltà riguardo all’attribuzione a età costantiniana, anche se la sequenza cronologica dei vari edifici è definita solo in parte29.
Associato alla grande basilica extraurbana di fondazione costantiniana dei Ss. Marcellino e Pietro era l’enorme mausoleo circolare, detto Tor Pignattara per via delle grosse anfore che alleggerivano l’attacco della cupola e che tuttora si vedono nelle sezioni esposte dai crolli della parte superiore dell’edificio30.
Il grande cilindro centrale coperto in origine da una cupola semisferica di circa 20 m di diametro presenta un accentuato ringrosso nella metà inferiore: in esso sono praticate sette profonde nicchie, tre a pianta rettangolare31 e quattro semicircolari, con volta a botte le prime e a catino absidale le seconde. Nella parte superiore, invece, si aprono sette finestre di struttura del tutto insolita, poiché sono di profilo arcuato ma a sesto leggermente ribassato e sono aperte non nella parete a spessore pieno (2,4 m circa) ma entro il fondo di nicchie, che a un certo effetto decorativo aggiungono il vantaggio di assottigliare di molto la parete e quindi fanno da strombo alle finestre stesse.
Gli scavi recenti, eseguiti con modalità moderne e rigorose, hanno permesso di ricavare dati esaurienti sulla struttura e sulla decorazione interna32, che consisteva in incrustationes marmoree a grandi pannelli su tutto il cilindro interno e a mosaico nella cupola. Anche il pavimento, di cui si è potuto ricostruire il disegno, era in opus sectile marmoreo a grande modulo quadrato-reticolare al centro e a semplici lastre rettangolari nelle nicchie. Così è stato possibile proporre una ricostruzione grafica dell’intero edificio.
La datazione del monumento, nella muratura del quale è stata a suo tempo rinvenuta una moneta del 324/326, è da collocare tra quella data e la morte di Elena (330), che vi fu sepolta. È nota la plausibile ipotesi secondo la quale il mausoleo era stato progettato in origine per accogliere le spoglie di Costantino, che poi preferì essere sepolto a Costantinopoli33.
Le terme di Diocleziano e Massimiano, le più grandi di Roma e del mondo antico, avevano finalmente dotato il popoloso quartiere Esquilino-Viminale di un servizio che mancava ancora in quella zona, ma, all’interno della città, restava anche un’altra popolosa area priva di un grande impianto termale, quella della via Lata e della parte ovest dell’Alta Semita. È proprio sull’ultima propaggine del Quirinale, infatti, che Costantino impiantò le sue terme, di dimensione medio-grande ma di struttura monumentale e innovativa.
Purtroppo di questo enorme complesso restano solo pochissimi tratti murari di una zona non centrale, conservati soprattutto a livello di fondazione sotto l’attuale palazzo Rospigliosi-Pallavicini in via XXIV Maggio34, ma alcune incisioni della fine del XVI secolo e una pianta dell’intero complesso delineata da Andrea Palladio ci permettono di fare qualche osservazione su queste terme, distrutte interamente all’inizio del XVII secolo.
L’intera struttura non era sviluppata in larghezza come le altre terme maggiori, ma piuttosto in profondità, in un insieme compreso tra due grosse esedre semicircolari: planimetria, questa, del tutto insolita nonostante Aurelio Vittore definisse le terme «opus ceteris haud multo dispar»35.
Di particolare interesse risultano gli edifici posti lungo l’asse principale, con il tepidarium tetraconco e il grande calidarium rotondo di circa 25 m di diametro, coperto da una cupola e con l’insolita aggiunta di tre esedre semicircolari lungo gli assi (escluso l’ingresso), aperte in pentafore a colonne. Di rilievo doveva essere anche l’apparato decorativo, di cui non sappiamo molto, ma già da sole le grandi statue dei Dioscuri con i cavalli, ora rimontate nella piazza del Quirinale, bastano a dare un’idea dell’impegno profuso nella decorazione.
Non si conoscono le date di costruzione dell’edificio, nel quale sono stati trovati numerosi laterizi bollati che orientano solo genericamente verso l’età tetrarchico-costantiniana.
L’ipotesi di Margareta Steinby, che, sulla base dei citati bolli sui mattoni, ipotizza che le terme siano un’altra opera di Massenzio terminata da Costantino, non è coerente con la menzione di Aurelio Vittore che, parlando di Massenzio, precisa che tutte le sue opere («cuncta quae construxerat») furono dal Senato attribuite a Costantino, ma precisa che si trattava del tempio di Venere e Roma e della basilica36, che quindi erano le uniche veramente massenziane: subito dopo infatti, in un altro passo, considera esplicitamente Costantino autore delle Terme: «ad lavandum institutum opus ceteris haud multo dispar»37.
Nell’ambito del settore meridionale del complesso palaziale costantiniano, denominato più tardi Sessorium, che si trova entro le mura di Aureliano nell’ansa tra la Porta Maggiore e l’Anfiteatro Castrense, si erge tuttora un enorme rudere che, nonostante la sua imponenza, è stato assai poco considerato dagli studiosi, con l’eccezione di Antonio Maria Colini38: viene infatti citato in genere solo con poche righe nell’ambito del Sessorium e non ha neppure trovato una sua voce specifica nel Lexicon Topographicum Urbis Romae. Si tratta di una grandiosa abside leggermente semiellittica del diametro di 17,25 m e profonda 10,50 m, perforata da cinque enormi finestre arcuate larghe 3,20 m e separate solo da un pilastro; l’aula rettangolare, sul cui muro di fondo si innestava l’abside, era larga 24,65 m e di lunghezza non precisabile (ma probabilmente di oltre 40 m) ed era preceduta da un monumentale portico su cui si affacciava anche un’altra aula absidata di dimensioni minori ma sempre ragguardevoli, purtroppo del tutto scomparsa39.
La struttura superstite è in laterizio ed è rinforzata da grossi speroni, sia nel semicilindro absidale sia nelle due terminazioni laterali. Sarebbe auspicabile un saggio archeologico per accertare la decorazione pavimentale, che poteva essere in opus sectile a grande modulo, come è frequente a Roma in quel tipo di edifici. Un rivestimento a incrustationes marmoree decorava i tratti di muri superstiti (si vedono i caratteristici fori per le grappe) e doveva estendersi anche alle pareti perimetrali perdute.
Il modulo delle cortine laterizie ancora ispezionabili è coerente con l’età costantiniana e comunque, pur in assenza di documenti specifici, gli studiosi sono concordi nell’attribuire a Costantino questa grande struttura: anche se l’epoca precisa non si può determinare, sembra probabile che il complesso – e quindi anche quest’aula – fosse stato allestito piuttosto presto per ospitare la famiglia imperiale e lo stesso Costantino, ma soprattutto sua madre Elena, a Roma. Quest’ultima morì nel 33040, ma dal 326-327 aveva soggiornato per lunghi periodi in Palestina e, più in generale, in Oriente: quindi risiedette nella vecchia capitale e nel nuovo Palatium più probabilmente nel periodo compreso tra la vittoria di ponte Milvio e i vicennalia di Costantino41.
Recenti interventi archeologici e un’impegnativa campagna di restauro strutturale attualmente in corso hanno giustamente rimesso in valore l’enorme sala decagona a cupola indicata in epoca tardomedievale col nome di ‘Galluzze’ o ‘Gallucce’ e poi, impropriamente, prima col nome di basilica di Caio e Lucio (e anche sporadicamente tempio di Ercole Callaico), poi tempio di Minerva Medica e infine, a partire da Antonio Nibby42, ninfeo degli Horti Liciniani.
In effetti, come si è già dimostrato43, le denominazioni di basilica, tempio e ninfeo44 sono tutte insostenibili: la proposta di identificare la struttura con un’aula di tipo residenziale di altissimo livello di committenza e probabilmente legata a funzioni tricliniari o miste, ma non certo termali come recentemente si è voluto suggerire45, può restare valida; inoltre la mia ipotesi di un collegamento con il Sessorium costantiniano, pur se sussiste qualche difficoltà, legata soprattutto al passaggio della via Labicana tra le due strutture, sembra tuttora praticabile.
Sta di fatto che l’edificio, in base ai bolli laterizi rinvenuti nella parte alta della struttura superstite e alle cortine in opera laterizia (prima fase) e in opera listata assai curata (seconda fase, da tutti considerata adiacente alla prima e quindi vista come variazione in corso d’opera per motivi statici), si collega senza problemi con l’età di Costantino46.
Le caratteristiche strutturali e decorative di questo enorme corpo a pianta centrale del diametro di 25 m circa, con una cupola tra le più grandi della Roma antica (e soprattutto tardoantica), possono essere facilmente individuate data la notevole sopravvivenza degli alzati.
Va sottolineata innanzitutto l’insolita pianta decagonale in luogo delle più consuete e più semplici planimetrie circolari, ottagonali e, semmai, esagonali; altrettanto insolita è l’articolazione interna con nove absidi semicircolari (una per lato, escluso quello d’ingresso), quattro delle quali aperte originariamente in trifore estroflesse ad arcate semicircolari su colonne (poi tamponate per motivi statici e ridotte ad una sola grande apertura arcuata al centro del semicilindro absidale). Questa soluzione è in aperta rottura, dal punto di vista stilistico, con quella tradizionale, che prevedeva l’alternanza di nicchie a profilo interno semicircolare e rettangolare e che, comunque, sarà spesso ripresa anche in epoche successive.
Altra evidente caratteristica specifica di questa imponente struttura a pianta centrale è il finestrato amplissimo, realizzato con dieci finestre arcuate che dovevano impartire all’interno una luminosità davvero notevole. A tal proposito, un particolare accorgimento, decisamente innovativo, è quello che consiste nell’assottigliamento degli stipiti e dell’arcata di ognuna delle finestre che così sembrano aprirsi in una parete sottilissima. In effetti l’apertura della finestra stessa presenta all’esterno, uno ‘strombo a scalino’ che, da un lato, aumenta la luminosità e, dall’altro, crea all’interno un ‘effetto di parete sottile’, mentre la struttura del tamburo, vista dall’esterno, risulta poderosa, anche perché rinforzata da grossi pilastri-contrafforte in corrispondenza dei dieci spigoli del decagono.
Sempre in tema di struttura architettonica, bisogna poi sottolineare l’articolazione dell’intero complesso nella sua parte attualmente visibile, che è certamente assai inferiore all’estensione dei resti murari che proseguivano (e probabilmente proseguono tuttora) a est, al di sotto del terrapieno su cui sono installate le decine di binari ferroviari della stazione Termini.
Addossato all’ottagono si trova infatti una sorta di atrio a forcipe che però, come risulta dagli ipocausti che servivano le due terminazioni laterali a pianta rettangolare absidata, doveva ospitare due ambienti tricliniari ‘invernali’. Altri ambienti, sia circolari sia absidati, si addossavano verso est a queste strutture, con articolazioni tipiche dei complessi residenziali di lusso della tarda antichità. Sempre curvilinee erano le due fontane del tipo a gradini, oggi completamente spogliate della loro decorazione, a cui si accedeva dalle quattro nicchie aperte – due a est e due a ovest – del decagono. L’insieme era dunque assai movimentato nell’articolazione planimetrica, con netta prevalenza del curvilineo sul lineare, in completa rottura con la tradizionale ortogonalità di base dell’architettura classica.
L’altissimo livello progettuale che risulta dalla struttura architettonica trova ampie conferme nella decorazione interna dell’edificio, che era la più lussuosa che si possa immaginare poiché ogni superficie era ricoperta da incrustationes marmoree oppure da mosaici.
I rivestimenti in marmo, su più registri, si estendevano dagli zoccoli all’attacco della cupola, la quale, come le altre superfici concave (catini absidali nelle nicchie), era rivestita da mosaici che, come risulterebbe da alcune tessere a suo tempo osservate in situ, potevano avere un fondo azzurro.
Mancava invece completamente, nell’intero complesso o, almeno, nelle parti ispezionabili attualmente, la tradizionale decorazione architettonica che prevedeva l’inserimento negli interni di mensole, architravi, lesene, cornicioni, pilastri o colonne non portanti addossate, timpani su nicchie e finestre, etc.
La decorazione era dunque affidata interamente ai rivestimenti policromi in marmo e mosaico, articolati secondo motivi forse solo geometrici nelle incrustationes e naturalistici e/o figurati nel mosaico. Le pareti restavano lisce ma movimentate dalla policromia, che non impediva lo scorrere della luce. Quest’ultima, non ostacolata da aggetti, facilitava la lettura delle composizioni policrome.
Per quanto riguarda la cronologia specifica, qualcosa di più preciso si potrà ricavare dagli scavi attualmente in corso. Per ora, tuttavia, la presenza di due fasi costruttive e la complessità stessa della realizzazione suggeriscono di ipotizzare tempi piuttosto estesi, che possono quindi aver occupato l’intera età costantiniana.
Una serie di campagne di scavo eseguite nei punti più accessibili del complesso del Santo Sepolcro di Gerusalemme – un monumento-santuario tra i più visitati del mondo da devoti e turisti – ha permesso di ricostruire in modo piuttosto oggettivo la struttura della fase originaria dell’opera architettonica e delle sue successive modificazioni47. È importante, ai nostri fini, l’individuazione dell’edificio commissionato personalmente da Costantino, come dimostra una lettera da lui scritta al vescovo di Gerusalemme, Macario, e fortunatamente trascritta da Eusebio di Cesarea nella sua Vita Constantini48. La ricostruzione, nella sua parte più oggettiva, che è quella della planimetria49, permette un’analisi della struttura che evidenzia la complessità del progetto e l’assoluta originalità della realizzazione, almeno per l’area del santuario vero e proprio. L’intero edificio, che si sviluppa per una lunghezza di oltre 140 m, è infatti articolato in tre parti. Una, quella a est, che è anche la più estesa, è una basilica a cinque navate con abside a ferro di cavallo inclusa in una spessa muratura che non ne segue il profilo. La lunghezza del corpo interno supera i 50 m che, aggiungendo l’atrio irregolare che precede il portico colonnato d’ingresso con la sua scalinata, giungeva a 85 m circa. Il modello per la chiesa vera e propria è probabilmente quello della basilica lateranense che, come vedremo, è decisamente precedente; tuttavia la struttura absidale, ricavata all’interno di un blocco murario e quindi non estroflessa, è piuttosto originale per quell’epoca, anche se ha evidenti riferimenti alla tradizione architettonica più antica. La parte centrale del complesso è condizionata fortemente dalla funzione che doveva assumere (quella di collegamento tra i due blocchi estremi) e dalla presenza ‘fuori asse’ di un altro luogo di devozione, cioè il tratto del monte Calvario in cui si presume sia avvenuta la crocifissione; per questo motivo la pianta di questa parte centrale del complesso, largo circa 40 m, ci mostra un cortile colonnato su tre lati (triportico) di forma quadrilatera irregolare, con l’ambiente devozionale incluso nell’angolo sud-est e con un enorme ingresso nel lato ovest, ove si apriva il vero e proprio luogo del sepolcro. La parte architettonicamente più insolita – e del tutto originale – dell’insieme strutturale è, tuttavia, certamente il blocco ovest, che si articola intorno a un colonnato circolare del notevole diametro di 20 m circa, aperto verso est (verso il cortile), e sul quale si impostava una cupola, forse di forma conica. Il grande colonnato circolare era circondato per circa 200° da un muro concentrico, del diametro di oltre 32 m, che però lo racchiudeva solo in parte (era di fatto poco più che semicircolare). In esso si aprivano tre grandi nicchie semicircolari a nord, ovest ed est.
Grandi finestrati si trovavano su questa parete esterna, conservata tuttora per una certa altezza, ma la gran parte della luce doveva essere fornita da finestrati posti sul tamburo del corpo centrale, sui quali, però, non si possiedono dati.
Molto interessante e, almeno per quanto si sa, mai replicata è la sovrapposizione, alla metà anteriore est della rotonda, di un corpo rettangolare che fa da raccordo con il cortile secondo una soluzione di non facile inquadramento anche dal punto di vista della statica: ne risulta una pianta del tutto particolare nella quale la rotonda sembra proporsi più come esedra apicata (in forma di omega) che come corpo circolare chiuso. Poco possiamo dire della decorazione, di cui nulla o quasi resta oggi; dalla lettera di Costantino a Macario risulta, almeno dal punto di vista progettuale, una grande profusione di marmi e di oro.
Per la datazione dell’estesissimo complesso si dispone di elementi abbastanza solidi. Infatti questo e gli altri edifici costruiti da Costantino in Palestina sono legati al viaggio di sua madre nei luoghi santi, a partire dal 326 circa, e comunque la citata lettera della ‘commessa’ di Costantino al vescovo Macario si data tra il 326 e il 330. Per la consacrazione si ha un’altra precisa indicazione di Eusebio, che la pone nel 336, in coincidenza con il trentennale del regno di Costantino50. Va comunque tenuto presente che l’edificio doveva essere già in gran parte costruito quando lo vide il pellegrino di Bordeaux, nel 33351.
Quattro furono le principali chiese-memoriali che Costantino, per ottemperare alle sollecitazioni della madre Elena, volle edificare in Terrasanta. Al Santo Sepolcro si è già fatto riferimento; di altre due chiese, quella sul monte degli Ulivi e quella di Mamre, non restano che poche tracce, ma della quarta, costruita sul luogo della nascita di Cristo, a Betlemme, gli scavi eseguiti nella prima metà del secolo scorso nel sottosuolo dell’edificio attuale hanno permesso di rilevare elementi sufficienti per una ricostruzione quasi totale della planimetria e di vaste porzioni del pavimento costantiniano a mosaico52.
Anche in questo caso la struttura dell’edificio risulta originale e insolita. A un corpo basilicale anteriore canonico, a cinque navate precedute da un quadriportico, si salda infatti come corpo terminale e, nel contempo, come martyrium una struttura ottagonale che è stata considerata, nelle ricostruzioni correnti, un edificio indipendente nell’alzato, cioè emergente e con tetto proprio rispetto alla parte basilicale colonnata.
Anche il raccordo tra i due corpi tra loro disomogenei potrebbe essere stato ottenuto con varie soluzioni strutturali e, quindi, non è per ora accertato in modo univoco: resta il fatto che la planimetria è del tutto originale e innovativa e, semmai, può presentare qualche analogia – ma solo dal punto di vista dell’impostazione – con il Santo Sepolcro, nel quale il santuario più importante ha un corpo architettonico proprio, e comunque differenziato, nella parte terminale dell’intero complesso.
Nulla si può dire della struttura degli alzati e, soprattutto, degli eventuali finestrati, per mancanza totale di resti superstiti della parte superiore dell’edificio originario, che fu precocemente sostituito dalla costruzione paleocristiana successiva, databile, a quanto sembra, nell’arco del V secolo piuttosto che nel VI, come pure spesso si era ipotizzato. Resta invece ben documentato e ancora in parte esistente il pavimento della nave centrale in mosaico policromo, certo non del più prezioso opus sectile, ma comunque di alto livello qualitativo dal punto di vista redazionale.
La datazione dell’edificio dovrebbe essere più o meno coincidente con quella del Santo Sepolcro e la fase progettuale dovrebbe cadere all’interno dell’ultimo decennio del regno di Costantino – probabilmente poco prima del 330 –, mentre per la dedicazione si indica in genere la data del 339.
Il Liber Pontificalis riporta l’edificazione, da parte di Costantino, di un «Fons Sanctus ubi baptizatus est»53, che concordemente si identifica con il battistero annesso alla basilica lateranense, tuttora esistente anche in alzato e restato in uso fino ai nostri giorni.
Studi recentissimi, che hanno proposto nuove analisi delle strutture superstiti54, hanno mostrato che, a parte la culminazione attuale di Urbano VIII (1623-1644) e le decorazioni interne, anch’esse per lo più del XVII secolo, gran parte dell’alzato ottagonale è paleocristiano e composto da due fasi: quella inferiore, con otto porte e otto grandi finestre sopra di esse, attribuibile alla fase costantiniana, e quella superiore, del pieno V secolo, con un nuovo ordine di finestre ancor più grandi che corrispondeva alla tamponatura delle precedenti finestre (e di buona parte delle porte), e all’aggiunta di un portico biabsidato e di tre sacelli posti in posizione radiale.
La struttura originaria, oltre che per la pianta ottagonale isolata, nota fino ad allora più per i mausolei (per esempio quello di Diocleziano a Spalato) che per altre funzioni55, è interessante per l’articolazione interna che, pur se non ancora comprovata da specifiche indagini archeologiche, dovrebbe aver avuto, come è tuttora, un colonnato interno di otto colonne su due ordini con architrave poligonale, che sosteneva un corpo emergente, pure ottagonale, concentrico a quello esterno56. Se così fosse, questo sarebbe il primo esempio di edificio a pianta centrale con peribolo interno, e cioè con ‘navata ottagonale’, intorno al corpo centrale.
Anche in questo edificio, poi, bisogna segnalare l’ampiezza del finestrato, aperto su pareti molto sottili e, quindi, senza particolari strombature degli stipiti come visto altrove.
Non si può essere precisi sulla datazione di questo edificio; gli ultimi rilevamenti delle strutture e delle successioni stratigrafiche fanno pensare a una collocazione nella tarda età costantiniana, forse con conclusioni dopo il 337.
Non sono stati finora rinvenuti né il sito preciso né i resti dell’Ottagono Aureo di Antiochia, la probabile cattedrale di quella importantissima e raffinata metropoli dell’Impero romano tardoantico57. L’edificio è citato e, pur se brevemente, descritto da Eusebio nella sua biografia di Costantino con accenti di particolare ammirazione. Dobbiamo purtroppo contentarci di tale descrizione, che qui riportiamo in traduzione:
In essa [Antiochia], quasi fosse stata la capitale di tutte le province del luogo, consacrò una chiesa unica nel suo genere per la proporzione e la bellezza; all’esterno fece costruire intorno all’intero tempio una grande cinta e all’interno fece erigere l’edificio vero e proprio, di altezza straordinaria, costruito su pianta ottagonale, circondato tutto intorno da edicole disposte su due ordini, superiore e inferiore, che fece generosamente rivestire con ornamenti d’oro massiccio, bronzo e altri materiali preziosi58.
La chiesa era dunque di forma ottagonale e decorata internamente da nicchie su due ordini, il che richiama insistentemente lo schema architettonico del santuario di S. Filippo Apostolo a Hierapolis di Frigia (V secolo) e, ancor più, quello dei più tardi S. Vitale di Ravenna e Ss. Sergio e Bacco di Costantinopoli.
La decorazione è appena accennata, ma il riferimento a grandi quantità di oro può far pensare a mosaici a tessere auree, senza però escludere le dorature su stucchi. L’edificio doveva essere molto alto e probabilmente anche piuttosto grande in pianta se poi fu utilizzato come cattedrale. Una veduta schematica del mosaico del V secolo da Yakto in cui è rappresentata Antiochia, fornisce forse l’unica immagine dell’alzato di questa chiesa, pur se con dettagli davvero minimi59.
Per quanto riguarda la cronologia, è probabile che il progetto sia da collocare nell’ultimo decennio del regno di Costantino e la conclusione dei lavori ancora più tardi. Infatti, nonostante Eusebio sembri affermare che la consacrazione avvenne con l’imperatore ancora in vita, si sa da altre fonti che la chiesa fu inaugurata solo nel 34160.
Uno dei monumenti più caratteristici di Roma, sia per la sua struttura relativamente ben conservata, sia per la sua ambientazione in un angolo del Velabro a ridosso del Palatino, ove si trovano pure la chiesa altomedievale di S. Giorgio in Velabro e il severiano arco degli Argentari, è certamente l’arco Quadrifronte, detto di Giano, che viene spesso identificato con l’Arcus divi Constantini, registrato nei cataloghi regionari61. Si tratta di un tetrapilo che doveva probabilmente monumentalizzare l’incrocio tra due strade e che è frequente nelle città tardoantiche, pur se in uso anche in epoche precedenti.
L’attribuzione a Costantino, basata anche su plausibili criteri stilistici, non viene in genere posta in discussione, anche se la tendenza più recente è quella di ritenere che il monumento sia stato edificato dai figli di Costantino in onore del padre62.
Il monumento è stato certamente privato di un importante elemento della sua decorazione con la perdita delle statue che, con ogni probabilità, erano installate nelle sue trentadue nicchie, ma esso resta pur sempre imponente, e doveva esserlo ancor di più quando esisteva una sopraelevazione che fu demolita in tempi moderni perché ritenuta una torre medioevale.
Annesso alla oggi diruta basilica circiforme di S. Agnese (cfr. supra), costruita da Costantino su istanza della figlia Costantina63, sussiste ancora oggi, pressoché integro e comunque interamente ricostruibile nella sua decorazione in parte perduta, il grandioso mausoleo destinato alla sepoltura della stessa Costantina e realmente poi usato a tale scopo. La figlia di Costantino morì infatti in Bitinia nel 354, ma il suo corpo fu traslato a Roma e sepolto nel mausoleo in questione nello splendido sarcofago porfiretico, oggi conservato ai Musei Vaticani.
L’edificio, ormai privo di un peribolo colonnato che lo circondava all’esterno, è circolare e presenta all’interno un colonnato, anch’esso circolare, composto da colonne binate e collegate da arcate, sul quale si imposta un tamburo cilindrico finestrato con cupola emisferica, il tutto in solida muratura laterizia64. Il muro perimetrale presenta due absidi semicircolari ai due lati di chi entra e una profonda nicchia a sezione quadrata in asse, con una distribuzione su tre posizioni a 90°, come nella rotonda del Santo Sepolcro, con la quale presenta anche l’analogia del colonnato interno e, quindi, della navata anulare interna65. Quest’ultima conserva buona parte dell’originale decorazione della volta a botte, rivestita interamente di mosaici a fondo bianco, incisivamente integrati nelle parti mancanti, ma nel rispetto dell’esistente.
Questa estesissima superficie musiva è divisa in undici campate decorate con motivi diversi ma replicati in zone simmetriche, tranne che nelle due assiali, poiché alla campata d’ingresso corrisponde, sul lato opposto, un corpo rettangolare che emerge rispetto alla volta la quale è dunque assente. Prevalgono nei vari riquadri, di forma trapezoidale concava, gli schemi geometrici iterativi prelevati dal repertorio pavimentale diffuso nell’epoca, ma nella campata d’ingresso, in quelle al centro della due semicirconferenze e nelle due a fianco del corpo rettangolare opposto all’ingresso, che ospitò probabilmente il sarcofago di Costantina, si trovano invece decorazioni più elaborate, sviluppate senza simmetria e con motivi anche figurati.
Tra queste decorazioni sono da notare, per la vivace policromia e per la presenza incisiva di tessere d’oro, quelle delle campate poste a fianco della nicchia di fondo, con una disordinata distribuzione, sul fondo bianco, di rami fogliati misti a uccelli, a oggetti d’uso o sacrificali e ad altre insolite rappresentazioni come quelle delle camerae fulgentes66, decorazioni in forma di conchiglia ottenute con tessuti preziosi montati su telai per adattarle alla curvatura dei catini absidali. Una decorazione musiva si trovava poi nella cupola, ove dodici cariatidi-candelabre inquadravano altrettanti spicchi entro i quali si svolgevano anche scene figurate, sia relative a episodi biblici sia di genere, su fondo azzurro e forse con tessere d’oro specialmente nelle candelabre67.
La decorazione musiva era integrata poi con quella a incrustationes marmoree, che si estendeva a tutto il corpo cilindrico centrale interno, dalle arcate sulle colonne all’attacco della cupola. I rivestimenti marmorei erano su più registri: in quello inferiore si trovava una serie di pannelli rettangolari con motivi geometrici caratteristici di quel tipo di redazione (rombi o rettangoli articolati), seguiva poi una finta cornice di archetti pensili resi prospetticamente e infine, più in alto, semplici lesene e specchiature marmoree inquadravano il finestrato. Il tutto in marmi policromi, come riferiscono le fonti che, insieme ai relativamente numerosi disegni in cui sono rappresentati i rivestimenti nel loro stato alla fine del XVI e agli inizi del XVII, sono gli unici documenti che hanno tramandato questo apparato decorativo. Di quest’ultimo, dopo la totale rimozione voluta dal cardinale Veralli nel 1620, restano oggi solo i fori per le grappe che sostenevano le incrustationes marmoree.
Dal punto di vista strettamente architettonico questo monumento, che è raccordato alla preesistente basilica di S. Agnese con un ampio atrio a forcipe, si deve considerare eccezionale soprattutto per la presenza della navata anulare colonnata, struttura ignota all’architettura classica e testimoniata soltanto, probabilmente in epoca di poco precedente, nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, che potrebbe essere il riferimento ideale, pur nella sua diversa articolazione, per il mausoleo di Costantina.
Per quanto riguarda la datazione, è difficile dubitare che il monumento fosse completo alla morte della stessa Costantina (354) che vi fu ben presto traslata, ed è altrettanto certo che fu annesso alla grande basilica circiforme di S. Agnese (cfr. supra), certamente edificata da Costantino.
Gli scavi recenti, eseguiti in corrispondenza dell’atrio biabsidato68, hanno mostrato che un altro mausoleo, forse a tricora, precedette questo, assai maggiore di dimensioni. Tutto fa pensare dunque che, sebbene la sua costruzione possa essere iniziata verso la fine del regno di Costantino, il mausoleo che ancora si conserva, e del quale si conserva anche il testo dell’iscrizione dedicatoria, sia stato terminato durante la prima parte del regno di Costanzo II.
Nel 1952 sul fianco di via Brisa, non lontano dall’attuale sbocco su corso Magenta, fu rinvenuto un complesso di struttura insolita, molto articolata, composto da un cortile circolare dal quale si dipartivano radialmente alcune aule absidate, con uno sviluppo che oltrepassava il limite dello scavo e si dirigeva verso il perimetro del grande Circo della città, di cui sono stati rinvenuti ampi resti. L’ipotesi secondo la quale si poteva trattare di un edificio termale fu giustamente confutata da Ermanno Arslan, il quale propose che potesse trattarsi di un settore del palazzo imperiale di Milano che, per altri motivi, si poteva giustamente ipotizzare in adiacenza al Circo69. Brevi contributi si sono poi succeduti sull’argomento, fino all’inclusione del monumento di via Brisa in una più ampia monografia sulle residenze imperiali e reali in Lombardia70.
La datazione proposta più recentemente si orienta entro la prima metà del IV secolo e quindi permette di considerare il monumento collocabile all’interno di quella che abbiamo indicato come età costantiniana, in senso lato.
Purtroppo la perdita totale degli alzati e persino delle pavimentazioni – i resti oggi visibili sono pertinenti quasi esclusivamente alle fondazioni – ci priva della possibilità di analizzare le decorazioni che, in ogni caso, difficilmente potevano essere di livello mediocre, dato che la progettazione architettonica indicava un livello decisamente alto, coerente anche con una committenza imperiale.
Il tipo di edificio con cortile a pianta centrale e ambienti disposti a raggiera è testimoniato da vari esempi in residenze aristocratiche tardo antiche, per lo più suburbane, in Italia, Spagna e Portogallo, che, tuttavia, potrebbero aver avuto come modello proprio l’edificio di via Brisa.
In genere l’enorme chiesa cruciforme a navata unica intitolata assai più tardi a S. Simpliciano, il vescovo che resse per pochi anni la cattedrale di Milano (397-401) dopo S. Ambrogio, è stata considerata edificio post-ambrosiano, pur senza alcuna prova oggettiva e nonostante la sua struttura architettonica, praticamente identica a quella dell’altrettanto grandiosa (e anche un po’ più grande) aula di Treviri (cfr. supra). Solo recentemente si è invece proposta per questa chiesa l’identificazione con la Basilica Portiana citata da Ambrogio – quindi a lui preesistente – e indicata tra le righe come proprietà imperiale71: in questo studio si è avanzata una datazione generica «ad età costantiniana (intesa fino a Costanzo II incluso)»72.
Le considerazioni allora addotte sembrano tuttora valide e l’identità dell’architettura con quella di Treviri fa pensare insistentemente a momenti di stretto contatto culturale tra le due sedi imperiali ‘alternative’ della parte settentrionale dell’Impero d’Occidente.
Le stesse dimensioni della nave unica (inclusa l’abside) – 67 m × 27 m circa per un’altezza di 30 m circa a Treviri, 63 m × 22 m circa per un’altezza di 20 m circa a S. Simpliciano – suggeriscono una sorta di replica in scala ridotta (soprattutto per la larghezza e l’altezza) ma con l’aggiunta di un transetto che sarebbe, con quello di S. Pietro e, forse, quello di S. Anastasia a Roma, tra i più antichi e precederebbe, sulla struttura cruciforme, quello della basilica Apostolorum di Milano, di sicura committenza ambrosiana.
Dato che la caratteristica struttura dell’involucro esterno risulta replicata solo sporadicamente e, comunque, in edifici costantiniani (soprattutto gli horrea), sembra logico, fino a concrete e oggettive prove contrarie, considerare di età costantiniana questo eccezionale edificio milanese.
L’analisi di ciascuno dei monumenti raccolti, considerati significativi e rappresentativi dell’architettura dell’età costantiniana, ha permesso di individuare caratteristiche specifiche che è possibile estrarre e isolare al fine di individuare gli elementi unificanti. Si può in questo modo proporre una lettura d’insieme delle linee progettuali e delle motivazioni culturali e politiche che le sostengono.
La presenza di absidi su uno dei lati corti di aule di forma rettangolare si riscontra già in epoca tardorepubblicana, soprattutto in ninfei e all’interno di complessi termali (calidaria); più tardi questo tipo di aula si diffonde, oltre che negli edifici già citati, anche in ambito abitativo e in strutture di funzione pubblica come le basiliche civili. Ma è in epoca flavia – e forse già in epoca neroniana – che troviamo aule absidate di rappresentanza nell’ambito dell’edilizia abitativa imperiale, come ad esempio nella Domus Flavia del Palatino. Questo modello passerà poi nel repertorio abitativo anche in seguito all’introduzione, nel II secolo d.C., della moda del letto tricliniare a ferro di cavallo (stibadium), che comporterà una funzione mista tricliniare e/o di rappresentanza di questo tipo di ambiente e lo farà includere costantemente nelle progettazioni delle residenze imperiali e, di riflesso, in quelle di alto livello abitativo73.
Quanto alla diffusione, però, si deve constatare che, mentre nella piena età imperiale gli esempi sono limitati, anche se spesso monumentali, nell’età tardoantica e forse proprio a partire dall’età costantiniana le aule absidate sono sempre più frequenti e ‘inevitabili’ nei palazzi imperiali, nelle grandi domus urbane e nelle ville suburbane dell’aristocrazia. In parallelo, per traslato, sono adottate, anche con varianti di volumetria maggiore, nelle nuove basiliche cristiane così come nelle grandi sale di udienza di tipo pubblico.
Gli esempi di Roma, Treviri, Milano e delle altre grandi città menzionate bastano a mostrare l’improvvisa popolarità che questo tipo architettonico acquistò nell’età di Costantino nell’ambito sia pubblico che privato, sia civile che religioso.
L’abside semicircolare delle aule non è l’unico elemento che arricchisce e movimenta le planimetrie degli edifici tardoantichi. È frequente, in quell’epoca, la presenza, all’interno di complessi edilizi di una certa articolazione, di altri ambienti di forme ancora più insolite, a base curvilinea o poligonale complessa.
È vero che i monumenti più importanti, in particolare quelli di uso pubblico, tendono a contenersi, almeno sulle linee generali, nell’ambito dei tradizionali criteri di ortogonalità tipici delle epoche precedenti, ma è anche vero che, già nei più grandi santuari come le basiliche circiformi con annessi mausolei, la varietà delle forme e delle composizioni è evidente e lo è ancor più nei due grandi martyria della Palestina, nei quali si sperimentano soluzioni in cui la componente innovativa è decisamente predominante.
La varietà e l’innovazione si ritrovano ancor più manifestamente quando si passa all’edilizia residenziale imperiale, dove la creatività domina sulla tradizione e gli ambienti assumono forme del tutto insolite, molto articolate e con prevalenza di elementi curvilinei o poligonali che si compongono secondo assialità differenziate lasciando spesso spazi intermedi del tutto irregolari.
Nel caso delle residenze imperiali si possono prendere in considerazione, tra gli esempi citati, il complesso del cosiddetto tempio di Minerva Medica, nel quale si è proposto di vedere un settore privato della residenza imperiale del Sessorium74, oppure l’edificio di via Brisa a Milano, ritenuto anch’esso parte del palazzo imperiale della città75. Ma le testimonianze più tangibili di questa tendenza alla massima varietà e articolazione delle planimetrie le troviamo nell’edilizia residenziale di alto livello, sia nelle domus urbane di moltissime città tardoantiche sia nelle ville che in quel periodo fiorirono in tutte le zone dell’Impero76.
Una caratteristica ricorrente negli edifici descritti è certamente quella della presenza quasi costante – ove riscontrabile – di corpi di fabbrica di notevole elevazione che spesso emergono dal profilo urbano, sia come edifici indipendenti e isolati, sia come corpi centrali o interni di più estesi blocchi costruttivi. Troviamo tale caratteristica nelle citate aule absidate, nelle basiliche cristiane a più navate (delle quali quella centrale è sempre la più alta), nei mausolei, nelle terme, etc.
Questo elemento, che non sembra essere stato finora oggetto di particolare attenzione, risulta evidente dal confronto con le architetture delle epoche precedenti77, nelle quali tale soluzione strutturale è decisamente poco frequente. La funzione di questa ‘sopraelevazione’ era ovviamente quella di prendere luce attraverso un finestrato che, come si è visto, era sempre presente. Questo emergere del corpo centrale era riscontrabile anche nei monumenti che oggi risultano a corpo unico, pur se molto alti: l’aula di Treviri aveva infatti intorno un porticato che la chiudeva all’interno di un più esteso complesso, e così anche il S. Simpliciano. Questa soluzione era dunque diffusa e dava una connotazione insolita anche al paesaggio urbano tardoantico che, come mostrano alcune rappresentazioni in avori, sculture e mosaici, era assai più movimentato da aule e cupole di quanto non lo fosse nelle rappresentazioni di epoche più antiche.
Proprio le cupole, elementi emergenti molto caratteristici, furono predilette dagli imperatori-costruttori: come Nerone e Adriano, anche Costantino riservò loro una particolare attenzione. Nel repertorio qui proposto sono già presenti alcuni monumenti dotati di grandi cupole, ancora in parte conservati o documentabili, come il cosiddetto tempio di Minerva Medica, i mausolei di Costantina ed Elena, il Santo Sepolcro, le terme di Costantino e, forse, la Natività di Betlemme e il battistero lateranense. A questi si potrebbero aggiungere anche le terme di Agrippa, con cupola centrale da 25 m di diametro, certamente tardoantica (forse conclusa sotto Costante e Costanzo II)78, e il calidarium delle terme di Caracalla: la sua enorme cupola, la seconda a Roma per dimensioni con i suoi 34 m di diametro, fu quasi certamente ricostruita da Costantino dopo un probabile crollo79. Si tratta di strutture molto grandi, di diametro spesso superiore ai 20 m, alle quali si potrebbe forse aggiungere quella un po’ minore (14 m circa) del cosiddetto tempio di Romolo, attribuito con buoni motivi a Massenzio ma di cui è attestata la conclusione con modifiche da parte di Costantino80. L’insieme è comunque impressionante e, sebbene le cupole siano ben documentate anche in epoca precedente, specialmente nelle terme e nei mausolei, quelle in cui l’intervento costantiniano è certo risultano davvero numerose, soprattutto se a esse si aggiungono gli altri edifici con simile copertura che si diffusero poi a Roma – e certamente anche in altre aree dell’Impero81– nell’edilizia privata, sia abitativa sia funeraria.
Presenti proprio nelle parti emergenti, e anche nelle pareti di zone meno alte degli edifici di età costantiniana, le serie di ampie finestre di quell’epoca si distaccano tipologicamente da quelle di età classica, normalmente rettangolari, tendenti al quadrato e con architrave solo leggermente incurvato. A partire dal IV secolo, infatti, le finestre diventano in prevalenza di forma rettangolare con culminazione ad arco semicircolare, assumono proporzioni anche enormi e sono disposte spesso in sequenza assai ravvicinata82.
Finestrati arcuati addirittura abnormi si trovano nella basilica di Massenzio e pongono l’alternativa tra l’ipotesi di un intervento di Costantino sull’edificio e quella di un’innovativa esperienza massenziana, ripresa solo più tardi e su larga scala da Costantino.
In ogni caso, se pure si deve ammettere che finestre con arcuazioni si trovano in epoche precedenti, bisogna anche osservare che si tratta di casi limitati; in epoca costantiniana, invece, la finestra arcuata diventa un elemento stilistico connotante e di uso pressoché costante.
L’intenzionale ampiezza delle aperture dei finestrati non è l’unico accorgimento che caratterizza questo aspetto delle strutture architettoniche costantiniane: la stessa esigenza di aumentare l’apporto di luce all’interno degli ambienti ha stimolato, negli architetti dell’epoca, l’invenzione di altre soluzioni fino ad allora non sperimentate.
Occorre infatti ricordare quanto osservato nelle pagine precedenti a proposito dei finestrati della basilica e delle terme di Treviri, del S. Simpliciano di Milano, del mausoleo di Elena e del cosiddetto tempio di Minerva Medica. In tali monumenti i muri, molto spessi, vengono assottigliati nelle zone in cui si aprono le finestre, che presentano, così, stipiti di spessore assai limitato: accorgimento, questo, che ha l’effetto di allargare notevolmente il fascio di luce ‘prelevato’ dall’esterno.
Altri monumenti che non sono stati inclusi, per brevità, in questo repertorio – e cioè il ‘tempio della Tosse’ a Tivoli, la rotonda-mausoleo di S. Andrea a S. Pietro in Vaticano e il Calidarium delle terme di Caracalla – presentano lo stesso accorgimento strutturale a cui si è accennato e che si può ritenere piuttosto specifico della produzione architettonica dell’età costantiniana, il che conferma l’ipotesi, basata anche su altri dati83, di una possibile attribuzione di questi monumenti allo stesso periodo.
L’assottigliamento degli stipiti ha, peraltro, anche un altro interessante effetto. Se, infatti, si guardano le finestre dall’interno, lo spessore ridotto che si percepisce viene attribuito anche all’intera estensione dei muri. L’effetto che ne risulta è quello di un’incredibile leggerezza dell’edificio, che sembra avere pareti quasi inconsistenti dando così l’impressione di una realizzazione tecnicamente evolutissima, quasi fosse un miracolo architettonico.
Confrontando l’esterno con l’interno, ad esempio nell’aula di Treviri e nel decagono del tempio di Minerva Medica, questo effetto è davvero evidente, tanto che l’esterno, massiccio e solido, non sembra pertinente all’interno, che risulta leggero e quasi aereo.
I colonnati sormontati da archi, che gradualmente sostituiscono i classici colonnati architravati, vanno annoverati fra le strutture architettoniche che, sebbene esistenti nel periodo romano imperiale e forse anche prima (almeno concettualmente), sono utilizzate sporadicamente nell’antichità, mentre in età tardoantica, e soprattutto costantiniana, entrano a far parte delle caratteristiche più specifiche dell’architettura sia dei ‘grandi interni’ sia degli esterni84.
I colonnati architravati erano, infatti, la soluzione preferita – anzi, quasi esclusiva – per i portici, le fronti e i periboli dei templi e, in generale, per le partizioni interne degli edifici monumentali di età greco-romana. Solo in un secondo tempo, e soprattutto in ambito romano, a questo tipo di struttura fu affiancata quella a serie di pilastri (spesso con semicolonne) e arcate, con funzioni analoghe, ma con l’esclusione degli edifici templari. Questi binomi, pilastri con archi e colonne con architravi, predominarono comunque per tutta l’età imperiale, come si può vedere a Roma, ad esempio, nel Tabularium, nel teatro di Pompeo, nella basilica Giulia e nel Colosseo per i primi, e in tutti i templi conservati, nelle basiliche Ulpia ed Emilia, nei peristili e nei porticati per i secondi.
Solo rare indicazioni di archi su colonne – peraltro anche di dubbia interpretazione – si possono infatti riferire alla prima età imperiale85: allusioni se ne trovano nella pittura fantastica del secondo stile pompeiano (Villa dei Misteri) e nelle rappresentazioni su mosaici (navalia) o sulla ceramica sigillata italica, e casi concreti sono addirittura sporadici (a Pompei su un solo lato del cortile nella Casa degli Archi). Qualche esempio concreto si può individuare anche su scala monumentale a Villa Adriana (sala rettangolare dell’edificio con tre esedre e cortili semicircolari con esedre, arcate alternate ad architravi intorno alla piscina del Canopo), ma questo non può meravigliare poiché quel complesso contiene da solo tante innovazioni quante quelle apportate da Nerone e Costantino messe insieme. Realizzazioni vere e proprie, ma limitate a portici di cortili con minima elevazione al di sopra delle arcate e con murature in opera quadrata, sono invece quella di età severiana a Leptis Magna (Portico del Foro) e quella di Diocleziano nel cortile-atrio del Palazzo imperiale a Spalato86.
Sembra dunque possibile che il primo esempio di arcate su colonnati in laterizio e in partizioni interne con notevole sviluppo in alzato sia quello realizzato nelle navate laterali della basilica lateranense, del quale Francesco Borromini – forse cosciente dell’importanza di quel manufatto – ci ha lasciato uno splendido documento grafico prima di eseguirne, purtroppo, la demolizione, nel corso della ricostruzione seicentesca della basilica costantiniana.
Da questo disegno si può valutare anche l’effetto di quella innovativa soluzione che, proprio per il contenuto spessore dei sostegni con arcate in laterizio, consente un notevole sviluppo in altezza mantenendo una grande leggerezza della struttura, oltre che un’innegabile eleganza e uno slancio verticale: effetti che non si sarebbero certo ottenuti con pesanti architravi, ai quali tuttavia l’architetto di Costantino, nella navata centrale, non volle rinunciare, forse non riponendo ancora totale fiducia nella nuova soluzione applicata nelle navate minori.
Colonnati con arcate furono costruiti, subito dopo quelli del Laterano, nella basilica vaticana e, anche lì, limitatamente alle navate laterali; ma quel ritmo architettonico così gradevole e arioso era ormai già entrato nella nuova linea di gusto e fu realizzato addirittura in forma curvilinea nelle nicchie estroflesse del decagono dell’area sessoriana – forse anche nelle analoghe pentafore estroflesse del calidarium delle terme del Quirinale – e nel colonnato anulare di S. Costanza. Diverrà poi l’elemento caratteristico delle chiese cristiane quando, negli ultimi decenni del IV secolo, durante il regno di Teodosio, ebbe la sua più monumentale realizzazione in forma lineare nella basilica di S. Paolo fuori le mura.
Nella produzione monumentale romana della piena età imperiale sorprende, almeno a prima vista, l’assenza di architetture a pianta centrale con colonnati interni. Persino il grande ‘laboratorio’ di Villa Adriana, nel quale si sperimentarono innumerevoli soluzioni strutturali del tutto innovative, non presenta edifici con questa particolare caratteristica.
Di fatto, nella cultura architettonica romana i colonnati si ponevano costantemente all’esterno degli edifici rotondi o poligonali e, quando si trovavano all’interno (come, ad esempio, nel cortile esagono del tempio maggiore di Baalbek), erano affacciati su ambienti aperti. Si trattava, dunque, di veri e propri porticati che non avevano, sopra gli architravi, muri di particolare elevazione; espletavano quindi soprattutto una funzione di appoggio per gli spioventi dei tetti. Per questi motivi i colonnati interni degli edifici a pianta centrale si possono considerare una delle più specifiche innovazioni introdotte in architettura nell’età di Costantino87.
Il primo esempio di applicazione di questa articolazione interna è da individuare nel Santo Sepolcro di Gerusalemme che, però, aveva il perimetro esterno interrotto e il colonnato interno continuo ma affacciato all’esterno almeno in corrispondenza dell’apertura centrale.
L’esempio più completo resta tuttavia il mausoleo di Costantina che probabilmente si ispirò al modello descritto, realizzato però con colonnato interno concentrico al perimetro circolare chiuso, che era circondato a sua volta da un portico colonnato esterno, oggi perduto.
Il vano circolare più interno, impostato su colonne abbinate e archi, era coperto da una cupola emisferica; di conseguenza il peso di questa e dello spesso muro del semicilindro in laterizio che la sosteneva gravavano interamente sulle colonne, che, probabilmente per prudenza, furono abbinate e sormontate da un corto architrave trasversale al fine di fornire una più larga base d’appoggio alla massiccia muratura.
Sempre a Roma, la stessa soluzione, ma su colonne singole e non abbinate, fu probabilmente applicata a un ambiente ottagonale, anche se, in questo caso, non sono ancora state conseguite certezze sulla reale progettazione costantiniana. Si tratta del battistero lateranense, il cui colonnato ottagonale interno con fusti porfiretici e architrave marmoreo sormontato da un secondo ordine di colonne, anch’esse architravate, sostiene tuttora una leggera cupola più volte ricostruita (quella attuale è seicentesca).
Dagli studi più recenti88 risulta probabile che le colonne, che il Liber Pontificalis considera costantiniane, fossero state installate come anello interno sin dall’origine, ma non si sa con certezza quando il progetto iniziale sia stato realizzato. È piuttosto probabile che anche l’Ottagono Aureo di Antiochia abbia avuto una struttura a colonnato ottagonale interno, peraltro su ben più larga scala rispetto al battistero lateranense: questo tuttavia non è esplicitato in modo oggettivo dalla pur ampia descrizione che ne fornisce Eusebio di Cesarea. Solo uno scavo potrà fornire in futuro una prova definitiva della struttura di questo eccezionale monumento. Sembra comunque del tutto probabile che le sperimentazioni eseguite a Roma e in Oriente in quel tempo avessero una forte risonanza nell’architettura tardoantica di tutta l’area dell’Impero, pur se limitatamente all’ambito degli edifici cristiani.
Le caratteristiche architettoniche poste fin qui in evidenza sono certamente innovative e specifiche, ma il viraggio più vistoso tra la produzione edilizia precostantiniana e quella costantiniana si deve probabilmente individuare nelle scelte decorative applicate soprattutto all’interno degli ambienti.
Se si confrontano, ad esempio, il mausoleo di Diocleziano e quello di Elena, che distano tra loro pochi decenni e che già nella struttura presentano divergenze basilari89, si nota un cambiamento totale dell’impostazione progettuale della decorazione. Nel primo monumento colonne non portanti, sormontate da mensoloni e cornicioni, movimentano la superficie e la spezzano in riquadri e, insieme a ulteriori elementi architettonici (nicchie), interrompono il flusso della luce, favorendo un effetto di chiaroscuro, ovvero di luci e ombre senza emergenze di colore. Nell’altro, invece, la parete è interamente liscia, senza soluzioni di continuità (a parte le finestre) dal pavimento alla cupola, ed è interamente ricoperta di marmi policromi disposti secondo disegni geometrici nel corpo cilindrico, e di mosaico policromo a fondo azzurro nella enorme cupola semisferica. Così la luce che inonda l’ambiente dalle grandi finestre scorre sulle superfici stesse esaltandone la policromia, con effetto del tutto diverso da quello che le pesanti decorazioni architettoniche impartiscono all’interno dell’altro mausoleo, dove lo sviluppo verticale è interrotto e l’atmosfera interna è incupita dalle penombre.
Si potrebbero proporre decine di confronti analoghi, ma basterà ricordare esempi di poco precedenti a Costantino (se non addirittura da lui conclusi e inaugurati), come il massenziano tempio di Venere e Roma, ricchissimo, nella cella tuttora conservata, di decorazioni architettoniche che compaiono persino nel catino absidale con i pesanti cassettoni in stucco, per constatare quanto sia repentino il cambiamento che si sviluppa con Costantino e che è già testimoniato nell’aula di Treviri e nelle prime basiliche cristiane.
Gli elementi innovativi posti in evidenza, che risultano replicati più volte già nel campione proposto, sono sufficienti a stabilire che in età costantiniana si manifesta un profondo e intenzionale viraggio nel campo dell’architettura di committenza imperiale e si apportano nuove ‘mode’ che si trasferiscono a breve termine nelle realizzazioni architettoniche di ambito privato.
Le implicazioni, i significati e le motivazioni di questo netto cambiamento sono numerosi e relativi a vari aspetti della cultura dell’epoca: se ne prenderanno in considerazione solo alcuni, soprattutto per mostrare la varietà dei temi e offrire spunti per ulteriori riflessioni.
A parte il caso di Adriano – e forse anche di Nerone – del quale la passione per l’architettura e la partecipazione diretta nei cantieri delle sue opere sono almeno in parte attestate con certezza, non si può pensare che, in generale, gli imperatori partecipassero attivamente e personalmente alla progettazione di dettaglio e, tanto meno, all’esecuzione delle opere commissionate.
Ciò è ancor più impensabile per Costantino che, data la nuova situazione dell’Impero, dovette avere una vita decisamente itinerante, salvo forse negli ultimi anni di vita, quando poté probabilmente seguire, almeno saltuariamente, l’enorme cantiere costantinopolitano.
Verosimilmente, tuttavia, egli poté vedere solo una parte dei risultati della sua grande impresa. Non è infatti casuale che, nella ricerca di monumenti costantinopolitani da includere nella selezione qui proposta, non si sia potuto individuare nessun edificio sicuramente concluso da Costantino o dai suoi figli e conservato fino ai nostri giorni90. Da Roma, invece, si è potuto attingere a piene mani, tanto da poter affermare che, se le datazioni proposte sono corrette, la vecchia capitale è la città che ha conservato il maggior numero di testimonianze dell’architettura costantiniana e, in ogni caso, non è stata certo trascurata e rifiutata da quell’imperatore, come spesso si sostiene.
La documentata scarsa presenza di Costantino a Roma e le numerose testimonianze della sua attiva committenza edilizia costringono a domandarsi come si possano conciliare queste due situazioni apparentemente contrastanti. La risposta non è difficile: la capitale dell’Impero, che nell’anno della battaglia di ponte Milvio viveva un momento di intensa e documentata fase di restauro e incremento edilizio, era ovviamente rigurgitante di maestranze e di architetti.
Anche se questi ultimi erano stati al servizio del tyrannus Massenzio, è del tutto probabile che ciò non avesse conseguenze negative sul prosieguo dei lavori. Anzi, considerato che le opere del nemico-predecessore furono tutte ultimate tranne la villa dell’Appia, è da ritenere che i precedenti architetti e le precedenti maestranze siano state incaricate sia del completamento di quanto era incompiuto sia delle nuove opere. I nuovi progetti dovevano dimostrare che il vincitore non era inferiore al vinto nell’incremento dell’urbs, specialmente negli anni in cui non era ancora nata l’idea di realizzare una nuova città sul Bosforo.
Di fronte a una così decisa – e forse inaspettata – continuità dell’impegno edilizio, gli architetti si resero probabilmente disponibilissimi non solo a ottemperare ai desideri dell’imperatore, ma anche a suggerirgli nuove imprese. Si debbono dunque attribuire a loro i viraggi stilistici e culturali, almeno per quanto riguarda le proposte tecniche e le elaborazioni progettuali, sulle quali, almeno nei casi più importanti, è probabile che l’imperatore o i suoi familiari o i suoi consiglieri e delegati abbiano poi operato delle scelte o suggerito degli indirizzi. Si deve, insomma, restituire agli architetti, rimasti in gran parte anonimi, un ruolo concreto nell’innovazione costantiniana.
Al committente, tuttavia, va certamente il merito di aver stimolato la creatività dei progettisti e dei realizzatori delle opere, non solo alimentando l’incremento delle attività edilizie, ma anche proponendo temi nuovi, vale a dire incaricandoli di ideare edifici destinati a svolgere funzioni fino ad allora mai sperimentate, come quelle attinenti alla religione cristiana, oppure commissionando loro la creazione dell’intero tessuto urbanistico per una nuova città, come nel caso della sua Costantinopoli.
Il rapporto committente-architetto nel caso di edifici di nuova funzione si può forse meglio esemplificare, pur se in termini ipotetici, se si prende in considerazione il modo in cui potrebbe essere nata la prima basilica cristiana, quella lateranense, che, non a caso, fu chiamata in antico basilica constantiniana.
Semplificando quel che può essere avvenuto durante i primissimi soggiorni di Costantino a Roma, dopo la battaglia di ponte Milvio del 312, si può ipotizzare che l’imperatore abbia chiamato gli architetti più importanti attivi in quel momento a Roma e abbia espresso la sua commessa in modo molto semplice, dichiarando la sua volontà di costruire un nuovo tempio, molto grande, per i cristiani. Gli architetti, non necessariamente cristiani, potrebbero allora avere chiesto delucidazioni sulle funzioni e sulle dimensioni del nuovo edificio. A questo punto, potrebbe essere stato necessario interpellare gli esperti della religione, e cioè il clero di Roma, che potrebbe aver chiarito più estesamente l’aspetto funzionale. Gli architetti avrebbero così appreso che l’edificio doveva accogliere migliaia di persone al coperto. Al suo interno si doveva svolgere una cerimonia nella quale si commemorava e ripeteva una sorta di sobrio banchetto rituale, il quale doveva essere svolto dai membri del clero in una zona separata, ma visibile per tutti, e del quale si doveva rendere partecipe tutto il popolo attraverso una simbolica distribuzione di pane e vino.
A questo punto il compito della realizzazione passò certamente agli architetti, i quali, pensando alla commemorazione di un banchetto, si ispirarono probabilmente all’ambiente tricliniare allora più in voga, cioè l’aula absidata, in cui si trovava la mensa su cui si deponevano le vivande. Il modo per rendere visibile ciò che succedeva sotto l’abside era sicuramente quello di prolungare il corpo anteriore e allargarlo il più possibile. Tuttavia, dato che la massima larghezza consentita per una navata singola era legata alla disponibilità di travi (che non potevano misurare 30 metri ed erano già difficilmente reperibili oltre i 20), si dovette optare per le navate multiple con partizioni longitudinali intermedie che, però, non ostacolassero troppo la visibilità verso l’altare, e cioè quella in direzione obliqua. A tale scopo non si potevano certo scegliere le pilastrate, troppo spesse, e si adottarono le colonne, con architravi nella zona centrale, secondo una tradizione da tempo consolidata, e con archi che permettevano una maggiore distanza tra una colonna e un’altra nelle zone laterali.
Così la basilica cristiana era stata inventata prendendo a prestito elementi della tradizione, come i colonnati o le absidi, ma fondendoli in un modo nuovo, che rispondeva alle nuove funzioni, e aggiungendo alcune innovazioni che si devono ritenere almeno in parte introdotte dagli architetti e, probabilmente, suggerite solo per qualche linea generale dall’imperatore.
Gli archi su colonne, che qui compaiono forse per la prima volta in un interno di grandi dimensioni, furono probabilmente una soluzione tecnica, applicata più tardi su larga scala, per aumentare la ‘permeabilità visiva’ in direzione obliqua, dalle navate laterali verso quella centrale. Si tratta dunque di un apporto degli architetti legato alla migliore realizzazione della funzionalità.
La navata emergente e il profilo trasversale a spioventi successivi sembrano invece un espediente relativamente nuovo, collegato all’esigenza di una luminosità interna che non sembra riscontrabile negli edifici basilicali civili a tre o più navate dell’età classica. Questa caratteristica (che richiama alla memoria il famoso passo di Tertulliano: «Nostrae columbae etiam domus simplex in editis semper et apertis et ad lucem»91) sembra scaturire da una scelta programmatica probabilmente non solo legata alla funzione cristiana dell’edificio, poiché si ritrova applicata in monumenti civili o privati nei quali l’aspetto religioso è certo assente: essa si deve dunque ascrivere, almeno in parte, alla generale innovazione culturale dell’epoca, anche se poi sarà esaltata soprattutto nella progettazione delle chiese.
Bisogna tuttavia concludere che l’aspetto più innovativo riscontrabile nella nuova formulazione della basilica cristiana è quello decorativo.
Eliminati infatti tutti gli elementi architettonici non portanti, le pareti sono state lasciate completamente lisce e la decorazione è stata limitata ai soli rivestimenti policromi a incrustationes marmoree sulle pareti piane92 e a mosaici in quelle concave.
Si può forse ritenere, a questo punto, che un’interpretazione piuttosto pragmatica come quella ora proposta sia preferibile alle numerose elucubrazioni sulla «origine della basilica cristiana», che hanno tempestato di ipotesi, talvolta assurde e tutte più o meno confutabili93, la letteratura relativa all’architettura cristiana antica.
Si è già accennato al fatto che l’attività costruttiva di Costantino sia stata spesso messa in discussione sulla base delle sue brevi e saltuarie presenze nelle più importanti città dell’Impero, in particolare in quelle in cui si individuano importanti monumenti a lui attribuiti. Chiarito che la presenza imperiale non era indispensabile alla realizzazione di un’opera monumentale, è necessario aggiungere che, oltre all’imperatore, esistevano altri personaggi autorizzati o delegati dall’imperatore stesso a commissionare edifici o restauri anche di propria iniziativa.
Quando si parla, infatti, degli imperatori ‘itineranti’ del III e IV secolo, si dà talvolta per scontato che, in loro assenza, i palazzi imperiali restassero deserti e le principali istituzioni svolgessero funzioni ridotte. In realtà non sempre si attribuisce la giusta importanza alla funzione e all’autorità che potevano esercitare sia i familiari dell’imperatore, sia i suoi funzionari di fiducia, spesso legati al Senato o all’amministrazione pubblica o militare e comunque dotati di poteri effettivi, anche se non sempre ufficiali.
Un ruolo fondamentale era svolto dalle madri, mogli, sorelle e figlie dell’imperatore, che, non essendo legate alla politica militare, si dedicavano a opere pubbliche spesso connesse alla religione, avallate quasi sempre dall’imperatore.
Basti pensare a Elena, dichiarata dal Liber Pontificalis richiedente – ma di fatto curatrice – della basilica Hierusalem (Santa Croce) a Roma e dei santuari di Terrasanta, alla costruzione dei quali Costantino partecipa come esecutore delle volontà della madre. Anche nel caso di Costantina si intravede una forte e volitiva presenza nelle committenze relative alla basilica di S. Agnese e al suo mausoleo.
È logico, del resto, supporre che i numerosissimi parenti di Costantino abitassero separatamente i vari palazzi imperiali di Roma94, la città più sicura e più lontana dalle frontiere, dove si trovano non solo il Palatium per eccellenza, sul Palatino, ma anche il Sessorium, gli Horti Sallustiani, gli Horti Lamiani e le ville suburbane maggiori come quella di Adriano, dei Quintili, etc.
Altre città più prossime alle frontiere, come Treviri e Antiochia, o più strategiche, come Arles, Milano, Salonicco e Nicomedia, potevano essere al contempo sede dell’imperatore, dei suoi figli e degli altri Cesari, come Gallo, Delmazio, Annibaliano, o ancora di generali particolarmente legati all’imperatore. In queste città era possibile attuare una politica edilizia separata e indipendente, pur seguendo, come risulta dall’analisi d’insieme qui proposta, criteri in qualche modo unificanti. Se però si rivolge per un momento l’attenzione a un’altra città che ha conservato buona parte dei suoi monumenti del IV secolo, e cioè Salonicco, che fu potenziata e arricchita di opere architettoniche importanti soprattutto sotto Galerio e poi sotto Licinio, e che quindi, fino alla disfatta di quest’ultimo, nel 323, restò fuori dalla politica edilizia di Costantino, ci si accorge che lì l’architettura95 non ricalca la via di sicura pertinenza costantiniana che si è tracciata esaminando i monumenti di Roma, Milano, Treviri, etc. Questa è in fondo una prova del fatto che l’innovazione posta in evidenza non è un fenomeno genericamente tardotetrarchico, bensì è parte di un viraggio culturale legato a Costantino e alle nuove linee programmatiche del suo governo, mantenute poi dai suoi figli e più in generale dalla sua famiglia, in nome di una religione nuova che sembra averli tutti accomunati.
È ragionevole, a questo punto, domandarsi quali impressioni Costantino volesse trasmettere attraverso la sua nuova architettura e quali messaggi culturali, intenzionali o meno, essa poteva inviare al popolo che ne era spettatore.
La dinamica delle articolazioni, la dilatazione degli spazi, la leggerezza apparente delle strutture viste dall’interno, il verticalismo, la luminosità e la policromia dell’architettura costantiniana sono caratteristiche ben diverse rispetto a quelle riscontrabili nei monumenti di età imperiale, nei quali dominavano invece la linearità basata sugli schemi ortogonali, la massiccia staticità radicata al terreno e la pesante e articolata decorazione architettonica, che faceva dominare il chiaroscuro degli aggetti sulla policromia96 e limitava la luminosità degli interni.
Il messaggio che traspariva dalle architetture dei primi tre secoli dell’Impero era dunque quello di un potere terreno, forte e fermo, conservatore e severo, pragmatico e materiale più che spirituale. Ciò che invece si poteva percepire all’impatto con i monumenti costantiniani era piuttosto un potere dinamico e nuovo, aperto e progressista, spirituale e ultraterreno. Proprio quest’ultima componente è quella trasmessa in modo più insistente da molte delle architetture esaminate. Sembra infatti che Costantino, per mezzo dei suoi architetti, abbia voluto dimostrare di poter realizzare costruzioni apparentemente impossibili per chiunque altro, poiché egli aveva il privilegio unico di essere in comunicazione con il divino ed era quindi capace di esiti miracolosi97.
Quando si guardano dall’interno le pareti dell’aula di Treviri o il tamburo del decagono di Minerva Medica sembra di trovarsi – come si è già sottolineato – dentro costruzioni con pareti sottilissime e che, quindi, solo per un miracolo tecnico restano invece stabilissime e non crollano al primo colpo di vento. A questo effetto si aggiungeva, in origine, quello delle decorazioni policrome oggi perdute, sulle quali si può immaginare come la luce, scorrendo sulle superfici riflettenti98 e sulle dorature, aggiungesse all’impressione di leggerezza quella di un’insolita e inattesa preziosità, suscitando la meraviglia che il committente, intenzionalmente, voleva provocare.
D’altronde il messaggio di potenza, predominante e addirittura plateale nell’architettura della piena età imperiale, non era stato escluso in questa nuova architettura, ma era stato semmai mimetizzato: esso giungeva, infatti, non più dall’imponenza e dalla massiccia consistenza delle strutture, ma piuttosto dall’espansione di uno spazio libero e sovrabbondante. Basti pensare all’aula di Treviri, che tocca la massima larghezza mai raggiunta da un vano rettangolare ma, nel contempo, è completamente libera da strutture in quell’enorme interno, nel quale era facile sentirsi soggiogati. Anche la decorazione, con le abbondanti dorature che arricchivano la policromia, doveva amplificare, oltre alla meraviglia, quella soggezione che la ricchezza può facilmente suscitare.
Se si pensa, poi, alle analoghe caratteristiche che si trovano nelle prime grandi basiliche cristiane, si comprende facilmente come l’impressione sopra descritta (che negli edifici civili diventava ammirazione per la grandiosità imperiale) si potesse tramutare in una forte emozione devozionale, che includeva sempre la considerazione per l’artefice dell’ambiente dedicato al sacro.
Così, agli occhi del suo popolo, che vedeva sorgere questi edifici di nuova concezione, la figura di Costantino appariva associata sempre più al divino, anche se, con la sua rinuncia alle prerogative di divinità implicite nei precedenti monarchi, l’imperatore si presentava, di fatto, in una veste apparentemente più umana. Inoltre egli risultava gravato da un impegnativo compito, quello di fare da tramite unico con la divinità, come se questa, proteggendolo, gli avesse conferito l’ulteriore incarico di guida non solo politica ma anche spirituale.
Queste conclusioni non sono in contrasto con quanto si ricava dagli studi di taglio storico-politico-religioso sulla figura di Costantino: esse forniscono loro, anzi, utili supporti, conferme o integrazioni. Si tratta, insomma, di un’ulteriore chiave di lettura, meno utilizzata di quelle tradizionali e quindi potenzialmente ancora da indagare.
Lasciando da parte le speculazioni sulla personalità dell’imperatore-politico, è utile tornare, in conclusione, alla figura dell’imperatore-costruttore, promotore di un evidente, brusco viraggio della cultura architettonica, che dopo di lui non tornerà più indietro se non occasionalmente, con inevitabili e periodici revival, e procederà, lungo la strada da lui tracciata, con la felice stagione bizantina.
A partire dal V secolo, infatti, le linee veramente innovative individuate nell’età costantiniana conosceranno un continuo sviluppo, che culminerà con l’età di Giustiniano: monumenti eccezionali come la Santa Sofia di Costantinopoli contengono, esaltate e perfezionate, tutte le caratteristiche di spazialità, luminosità, leggerezza e preziosità che si è cercato di individuare all’interno delle più importanti testimonianze monumentali dell’età costantiniana e che si sono indicate come creazioni genuine della cultura architettonica di quell’epoca.
1 Così le più recenti monografie su Costantino, alle quali si rinvia per un aggiornamento dei riferimenti storico-biografici e anche religioso-culturali, pur se non dedicano spazi specifici alla sua attività edilizia e alla impostazione dei programmi di monumentalizzazione o, comunque, fanno a esse solo riferimenti marginali: T. Heinze, Konstantin der Grosse und das konstantinische Zeitalter in den Urteilen und Wegen der deutsch-italienischen Forschungsdiskussion, München 2005; H. Brandt, Konstantin der Grosse, der erste christliche Kaiser: eine Biographie, München 2006; The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006; R. Turcan, Constantin en son temps. Le baptême ou la pourpre?, Dijon 2006 ; R. Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, Ann Arbor 2009; P. Maraval, Constantin le Grand: Empereur romain, empereur chrétien (306-337), Paris 2011; J. Bardill, Constantine, Divine Emperor of the Christian Golden Age, Cambridge 2011; T.D. Barnes, Constantine: Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011.
2 Tra le trattazioni meno recenti sull’architettura costantiniana, posta non come punto terminale ma come momento centrale dell’intero excursus, si deve fare riferimento al fondamentale lavoro di Alois Riegl (A. Riegl, Spätrömische Kunstindustrie nach den Funden in Österreich-Ungarn, Wien 1901), troppo presto messo in disparte da molti studiosi della prima metà del XX secolo, ma seguito nell’impostazione, ad esempio, da A. Boëthius, Roman Architecture from Its Classicistic to Its Late Imperial Phase, Göteborg 1941. Per l’accuratezza e la specificità delle analisi dell’architettura si deve ricordare l’opera di Luigi Crema che, tuttavia, pone Costantino al termine del suo studio e cita le sue opere non cristiane omettendo quelle cristiane (L. Crema, L’architettura romana, in Enciclopedia Classica, sez. III, vol. XII, Archeologia: arte romana, tomo I, Torino 1959, in partic. cap. 6, I tetrarchi da Diocleziano a Costantino, pp. 569-637). Friedrich Wilhelm Deichmann è lo studioso che ha messo in evidenza in modo più coerente gli aspetti innovativi dell’architettura di Costantino aggiungendo molti spunti inediti (F.W. Deichmann, s.v. Tardoantico. Architettura, in Enciclopedia Universale dell’Arte, XIII, Venezia-Roma 1965, coll. 591-619; Id., Die Architektur des konstantinischen Zeitalters, in Antike Kunst, 11 (1968), pp. 112-125); per studi relativi all’architettura delle sole chiese paleocristiane di Roma, cfr. Corpus basilicarum christianarum Romae di Richard Krautheimer (5 voll., Città del Vaticano 1937-1980, d’ora in poi indicato come R. Krautheimer, CBCR), e, più in generale, R. Krautheimer, The Constantinian Basilica, in Dumbarton Oaks Papers, 21 (1967), pp. 115-140; Id., The Ecclesiastical Building Policy of Constantine, in Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo, Atti del Colloquio sul cristianesimo sul mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1993, pp. 509-552; S.S. Alexander, Studies in Constantinian Church Architecture, in Rivista di Archeologia Cristiana, 47 (1971), pp. 281-330, e Id., Studies in Constantinian Church Architecture. II, Topographical Aspects of Constantinian Church Architecture, in Rivista di Archeologia Cristiana, 49 (1973), pp. 33-44; H. Brandenburg, Die konstantinischen Kirchen in Rom. Staatstragender Kult und Herrscherkult zwischen Tradition und Neuerung, in ΜΟΥΣΙΚΟΣ ΑΝΗΡ, Festschrift für Max Wegner zum 90. Geburtstag, hrsg. von O. Brehm, S. Klie, Bonn 1992, pp. 27-58. Un’analisi d’insieme estesa sia ai monumenti cristiani sia a quelli non cristiani si trova in B. Brenk, Spätantike und frühes Christentum (Propiläen-Kunst;geschichte, suppl. 1), Frankfurt a.M. 1977, in partic. pp. 37-48; F. Guidobaldi, Sull’originalità dell’architettura di età costantiniana, in XLII Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina, Ravenna 1995, pp. 419-441; Id., Caratteri e contenuti della nuova architettura dell’età costantiniana, in Rivista di Archeologia Cristiana, 80 (2004), pp. 233-276; fondamentale, pur se molto sintetico, è il catalogo della recente mostra di Trevi;ri: Konstantin der Grosse. Imperator Caesar Flavius Constantinus, Ausstellungskatalog, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Mainz 2007, che è stato preceduto dal convegno: Konstantin der Grosse. Geschichte, Archäologie, Rezeption, Internationales Kolloquium (Trier 10.-15. Oktober 2005), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006, all’interno del quale si segnalano i seguenti contributi dedicati, tuttavia, solo alla produzione architettonica cristiana: S. de Blaauw, Konstantin als Kirchenstifter, pp. 143-162, e P. Liverani, L’architettura costantiniana, tra committenza imperiale e contributo delle élites locali, pp. 235-244. Si deve infine segnalare tra gli studi più recenti, anche se di taglio piuttosto divulgativo, un manuale di storia dell’architettura tardoantica e altomedievale: Storia dell’architettura italiana da Costantino a Carlo Magno, a cura di S. de Blaauw, Milano 2010, in particolare: S. de Blaauw, Le origini e gli inizi dell’architettura cristiana, pp. 22-53; D. Kinney, Edilizia di culto cristiano a Roma e in Italia centrale dalla metà del IV al VII secolo, pp. 54-97.
3 F. Guidobaldi, Architettura come codice di trasmissione dell’immagine dell’imperatore dai Severi a Costanzo II, in Imperial Art as Christian Art – Christian Art as Imperial Art. Expression and Meaning in Art and Architecture from Constantine to Justinian, ed. by J.R. Brandt, O. Steen, Roma 2001, pp. 13-26.
4 Poiché si conoscono vari casi in cui iniziative costruttive di Costantino sono state concluse dai suoi figli, è opportuno non porre a questa indagine il rigido limite cronologico della morte dell’imperatore (337) e quindi si terrà conto, come anticipato, dei monumenti ascrivibili al periodo che include il regno dei figli di Costantino (fino al 361).
5 Nella presente rassegna, che non vuole certo essere esauriente ma solo rappresentativa, non è stato incluso l’Arco di Costantino che, pur essendo un monumento attribuibile all’età di quell’imperatore, è di committenza senatoria e quindi è probabilmente estraneo alla nuova progettualità impostata da Costantino. In ogni caso la sua struttura è decisamente tradizionale e si differenzia rispetto a quella dei monumenti precedenti, come l’Arco di Settimio Severo, soprattutto per le dimensioni maggiori e per l’evidente abuso di reimpiego. Tuttavia, almeno dal punto di vista architettonico, non presenta particolari elementi di innovazione, il che conferma l’ipotesi di una committenza a dir poco frettolosa. Cfr. A. Bravi, L’arco di Costantino, in questa stessa opera.
6 Cfr. C. Barsanti, Costantinopoli, in questa stessa opera.
7 Della città progettata da Costantino resta ben poco: è possibile osservare ancora la grande colonna di porfido del Foro circolare, i restauri dell’Ippodromo e solo alcuni resti come, ad esempio, quelli del Grande Palazzo. Altri monumenti, come la chiesa dei Ss. Carpo e Papilo, talvolta attribuiti a Costantino, sono troppo problematici perché si possano prendere in considerazione in questa sede.
8 E. Zahn, Die Basilika in Trier. Römisches Palatium-Kirche zum Erlöser, Trier 1991; K.P. Goethert, K. Goethert, Palastbezirk, in Rettet das Archäologische Erbe in Trier. Zweite Denkschrift der Archäologischen Trier-Kommission, Trier 2005, pp. 70-80; K.P. Goethert, M. Kiessel, Trier-Residenz in der Spätantike, in Konstantin der Grosse. Ausstellungskatalog, cit., pp. 304-311.
9 Frequenti nei complessi termali o nei ninfei chiusi, sono più rare negli ambienti domestici dove comunque si ritrovano talvolta (cfr. ad esempio Pompei, Casa dei Capitelli Colorati, Villa di Diomede), cfr. B. Tamm, Auditorium and Palatium: a Study on Assembly-Rooms in Roman Palaces during the 1st Century B.C. and the 1st Century A.D., Stockholm 1963.
10 Per l’adozione come edifici cristiani cfr. R. Krautheimer, The Constantinian Basilica, cit.
11 La nave centrale della basilica vaticana giungeva a circa 23 m, mentre quella lateranense non arrivava a 20 m; la più larga riscontrabile a Roma è quella di S. Paolo fuori le mura, che supera i 25 m, mentre l’aula absidata del Sessorium detta Tempio di Venere e Cupido (cfr. infra) è di poco inferiore alla stessa misura.
12 F. Guidobaldi, Sectilia pavimenta tardoantichi e paleocristiani a piccolo modulo dell’Italia Settentrionale, in Rivista di Archeologia Cristiana, 85 (2009), pp. 355-420. Le nuove ricerche che hanno individuato, entro la muratura degli ipocausti, una moneta databile tra il 337 e il 341 costringono oggi a ritardare di qualche decennio la datazione del ben documentato pavimento, che deve appartenere a una seconda fase decorativa, legata all’installazione del sistema di riscaldamento (cfr. infra).
13 M. Guarducci, Camerae fulgentes, in Letterature comparate. Problemi e metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, II, Bologna 1981, pp. 799-817.
14 K.P. Goethert, N. Kiessel, Trier-Residenz, cit., p. 305; P. Hoffmann, J. Hupe, K. Goethert, Katalog der römischen Mosaike aus Trier und dem Umland, Mainz a. Rhein 1999, pp. 91-96, 120-127. Una moneta attribuibile al periodo 337-341 è stata infatti trovata nella malta di un ipocausto.
15 D. Krencker, E. Kruger, Die Trierer Kaiser;thermen, I, Ausgrabungsbericht und grundsätzliche Untersuchungen römischer Thermen, Augsburg 1929; W. Reusch, Die Kaiserthermen in Trier, Mainz a. Rhein 1977, pp. 178-189; K.P. Goethert, Römerbauten in Trier. Porta Nigra, Amphiteater, Barbarathermen, Thermen an Viehmarkt, Kaiserthermen, Regensburg 2003, pp. 125-149; Id., Kaiserthermen, cit., pp. 81-83.
16 R. Krautheimer, CBCR V, pp. 1-96, in partic. 93-94. Krautheimer propende per una conclusione nell’arco di quattro o cinque anni, accettando come possibile data di consacrazione il 318.
17 Ivi, pp. 81-89. Krautheimer tenta una ricostruzione degli alzati, anche con un certo dettaglio, in base ai disegni lasciati da Francesco Borromini, precisi ma parziali, perché relativi a tratti murari o sezioni particolari e quasi mai alla parte superiore che, peraltro, poteva essere stata modificata nel X secolo nel corso della ricostruzione di Sergio III (904-911) dopo il terremoto dell’896. I risultati relativi alle navate laterali sono da considerare oggettivi, ma quelli della parte alta della nave centrale sono necessariamente ipotetici. Si propongono comunque un’altezza della parete intorno ai 27 m e dimensioni delle finestre di 4 × 2,7 m circa.
18 Si tratta di una sorta di blocchi quadrati rigonfi, del tutto insoliti nella forma e nella funzione, e tanto innovativi quanto innovativa era la soluzione di colonne sormontate da arcate in laterizio.
19 Le Liber Pontificalis, I, éd. par L. Duchesne, Paris 1886-1892, p. 172. Vi si parla di camaram [volta del ciborio] ex auro purissimo e di cameram basilicae [forse catino absidale] ex auro trimita di 500 libbre d’oro.
20 R. Krautheimer, CBCR V, pp. 171-292. Per l’elenco delle piante, vedute e descrizioni, cfr. pp. 172-176.
21 La lunghezza interna della vaticana, escluso il transetto, è di quasi 91 m, ma includendolo (esso prolunga il corpo basilicale di quasi 18 m) giunge a 109 m e, aggiungendo l’abside, raggiunge quasi i 120 m, mentre la larghezza totale del corpo basilicale è prossima ai 64 m e la larghezza della sola navata centrale supera i 23 m (cfr. R. Krautheimer, CBCR V, pp. 246-263).
22 Le Liber Pontificalis, cit., pp. 180-183.
23 Per le osservazioni d’insieme, piuttosto recenti, su tali basiliche e anche sulle altre tre, qui non incluse in modo specifico, si rinvia alla sessione relativa del convegno del 2000 sulle chiese di Roma, cfr. Ecclesiae Urbis, Atti del Convegno internazionale di studi sulle chiese di Roma (IV-X secolo), (Roma 4-10 settembre 2000), 3 voll., Città del Vaticano 2002, pp. 1097-1262.
24 Su questo edificio si veda la recente ed estesa monografia di A.M. Nieddu, La Basilica Apostolorum sulla via Appia e l’area cimiteriale circostante, Città del Vaticano 2009.
25 E. Jastrzebowska, Les basiliques des Apôtres à Rome. Fondation de Constantin ou de Maxence?, in Mosaïque. Recueil d’hommage à Henri Stern, Paris 1983, pp. 223-229; Id., San Sebastiano, la più antica basilica cristiana di Roma, in Ecclesiae Urbis, cit., pp. 1141-1155. Un’altra difficoltà nell’attribuzione a Costantino è stata individuata nella presenza, nell’ambito della basilica circiforme, di numerose tombe di pretoriani equites singulares, corpi militari fedeli a Massenzio che Costantino, com’è noto, aveva abolito. Cfr. N. Latteri, La statio dei pretoriani al III miglio dell’Appia Antica ed il loro sepolcreto «ad catacumbas», in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, 114 (2002), pp. 739-757.
26 V. Fiocchi Nicolai, La nuova basilica circiforme della via Ardeatina, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, 68 (1995-1996), pp. 69-233; Id., Basilica Marci, coemeterium Marci, basilica coemeterii Balbinae. A proposito della nuova basilica circiforme della via Ardeatina e della funzione funeraria delle chiese «a deambulatorio» del suburbio romano, in Ecclesiae Urbis, cit., pp. 1175-1201.
27 Solo nella basilica di S. Lorenzo le partizioni longitudinali erano a colonne. Sembra tuttavia probabile che la chiesa abbia subito grossi danneggiamenti nel 410 e sia stata quindi ricostruita, forse, appunto, con nuovi supporti (O. Brandt, San Lorenzo fuori le Mura: il difficile rapporto tra strutture e testi, in Private and Public in the Sphere of the Ancient City, ed. by S. Sande, T.K. Seim, Rome 2010).
28 Va sottolineato, a tal proposito, che le finestre a S. Sebastiano hanno il coronamento a sesto ribassato (struttura, questa, che è piuttosto insolita in età costantiniana) e non sono particolarmente ampie.
29 Per una rassegna delle varie cronologie relative e delle seriazioni connesse, cfr. E. La Rocca, Le basiliche cristiane «a deambulatorio» e la sopravvivenza del culto eroico, in Ecclesiae Urbis, cit., pp. 1109-1140.
30 L’ampia monografia di riferimento per questo monumento è: J.J. Rasch, Das Mausoleum der Kaiserin Helena in Rom und der “Tempio della Tosse” in Tivoli, Mainz 1988.
31 Una quarta nicchia della stessa forma è priva della parete di fondo e ha funzione d’ingresso al mausoleo.
32 L. Vendittelli, La conservazione e la valorizzazione del Mausoleo di Sant’Elena. Nuovi dati dai lavori di scavo e restauro, in Ecclesiae Urbis, cit., pp. 771-792; Id., Il Mausoleo di Sant’Elena. Gli scavi, Roma 2011.
33 R. Krautheimer, The Ecclesiastical Building Policy, cit., pp. 528-529.
34 LTUR V, S. Vilucchi, s.v. Thermae Constantinianae, pp. 49-51, e figg. 30-32 e 89.
35 Aur. Vict., Caes. 40,27.
36 Aur. Vict., Caes. 40,26.
37 Aur. Vict., Caes. 40,27.
38 A.M. Colini, Horti Spei Veteris, Palatium Sessorianum. Con rilievi e ricostruzioni architettoniche di Italio Gismondi, in Memorie della Pontificia Accademia romana di Archeologia, 8,3 (1955), pp. 137-177, in partic. 164-168.
39 D. Colli, Il Palazzo Sessoriano nell’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme: ultima sede imperiale a Roma?, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, 108 (1996), pp. 771-815; M. Barbera, Dagli Horti Spei Veteris al Palatium Sessorianum, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana (catal.), a cura di S. Ensoli, E. La Rocca, Roma 2000, pp. 104-112; Id, Il comprensorio di S. Croce in Gerusalemme: novità topografiche e archeologiche, in Bollettino della Commissione archeologica comunale di Roma, 111 (2010), pp. 97-110.
40 PLRE I, s.v. Helena 2, pp. 410-411.
41 Non è improbabile che l’allontanamento di madre e figlio da Roma sia anche da collegare con l’impopolare soppressione di Fausta e Crispo.
42 A. Nibby, Roma nell’anno 1838, II, Parte antica, Roma 1839, pp. 328-336.
43 F. Guidobaldi, Il “tempio di Minerva Medica” settore privato del Sessorium Costantiniano, in Rivista di Archeologia Cristiana, 74 (1998), pp. 485-518.
44 È innegabile la presenza di due fontane semicircolari ai due lati esterni est e ovest, ma si tratta di elementi decorativi accessori della sala centrale, che non ebbe mai strutture idrauliche interne se non quelle che passavano sotto il pavimento per alimentare gli adiacenti ninfei.
45 P. Palazzo, Resoconto delle indagini svolte nella primavera del 2006, in M. Barbera, S. Di Pasquale, P. Palazzo, Roma, studi e indagini sul cd. Tempio di Minerva Medica, in The Journal of Fasti Online, 91 (2007), pp. 1-21, in partic. 10-21, eprints.bice. rm.cnr.it/414/1/FOLDER-it-2007-91.pdf (10 sett. 2012).
46 La proposta di Margareta Steinby di un collegamento, pur se ipotetico, con il periodo tardotetrarchico o, meglio, massenziano (M. Steinby, L’industria laterizia di Roma nel tardo impero, in Società romana e impero tardoantico, a cura di A. Giardina, II, Roma: politica, economia, paesaggio urbano, Bari 1986, pp. 99-164) non sembra aver oggettivi e definitivi sostegni storici o documentari. Non è peraltro credibile che Massenzio, allora impegnato nella costruzione della sua enorme residenza suburbana della via Appia e delle Terme della residenza imperiale ufficiale sul Palatino, si impegnasse anche nell’edificazione di un altro palatium. Del resto anche l’altra ipotesi avanzata, che vede il monumento come parte di una lussuosa residenza aristocratica (M. Cima, Gli Horti Liciniani. Una residenza imperiale della tarda antichità, in Horti romani, Atti del convegno internazionale [Roma 4-6 maggio 1995], pp. 425-452), pur se da me genericamente proposta in via preliminare anche nelle prime e generali analisi del monumento nell’ambito dell’architettura costantiniana, sembra oggi troppo difficile da sostenere per l’assoluta mancanza di confronti stilistici, che invece riconducono insistentemente a una committenza imperiale.
47 V.C. Corbo, Il Santo Sepolcro di Gerusalemme, 3 voll., Jerusalem 1981.
48 Eus., v.C. III 30,1; III 32,2.
49 Per gli alzati si hanno in realtà pochi dati: solo parte dell’involucro esterno della rotonda con le tre nicchie è sopravvissuta fino a una certa altezza conservando anche i finestrati.
50 Eus., v.C. IV 40,1-2.
51 Itin. Burdig. 594.
52 Alla prima monografia sulla chiesa, pubblicata quando gli scavi non erano stati effettuati (L.H. Vincent, F.M. Abel, Bethléem. Le sanctuaire de la Nativité, Paris 1914), sono seguite varie indagini negli anni Trenta del secolo scorso, che sono state pubblicate a più riprese (W. Harvey, Structural Survey of the Church of the Nativity, Bethlehem, Oxford 1935; Id., Recent Discoveries at the Church of the Nativity, Bethlehem, in Archeologia, 87 (1937), pp. 7-18; E.T. Richmond, The Church of the Nativity. The Plan of the Constantinian Building, in Quarterly of the Department of Antiquities of Palestine, 6 (1937), pp. 63-66; L.H. Vincent, Bethléem, Sanctuaire de la Nativité d’après les fouilles récentes, in Revue Biblique, 45 (1936), pp. 551-574; 46 (1937), pp. 93-121; B. Bagatti, Gli antichi edifici sacri di Betlemme, Jerusalem 1951). Da quel tempo in poi mancano revisioni globali e critiche sulla materia, probabilmente anche perché le conclusioni allora proposte sono in gran parte accettabili.
53 Le Liber Pontificalis, cit., pp. 174-175.
54 O. Brandt, F. Guidobaldi, Il battistero lateranense: nuove interpretazioni delle fasi strutturali, in Rivista di Archeologia Cristiana, 84 (2008), pp. 189-282, con bibliografia precedente commentata.
55 Edifici di forma ottagonale sono frequenti anche all’interno dei complessi termali, ma in questi casi non sono isolati bensì inglobati in più articolate strutture. Dal IV secolo non sono invece rari nella nuova edilizia domestica di alto livello.
56 È comunque eccezionale e finora non risulta replicata la soluzione con un secondo colonnato che si imposta sull’architrave che corona il primo. Si sa che le colonne attuali appartengono al restauro di Urbano VIII (1623-1644), ma sostituirono analoghi supporti preesistenti (il muro superiore è infatti antico), tuttavia non si può per ora stabilire se qualcosa di simile esistesse nella fase costantiniana.
57 G. Downey, A History of Antioch in Syria, Princeton 1961, pp. 342-350; S.S. Alexander, Studies, cit., pp. 314-317.
58 Eus., v.C. III 50,2. La traduzione riportata è quella di L. Franco, in Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, Milano 2009, pp. 304-307.
59 Ci si riferisce alla rappresentazione schematica della città eseguita in un mosaico di Yakto, presso Antiochia (G. Downey, A History, cit., p. 50).
60 S.S. Alexander, Studies, cit., p. 314; W.E. Kleinbauer, Antioch, Jerusalem and Rome. The Patronage of Emperor Constantius II and the Architectural Invention, in Gesta, 45 (2006), pp. 125-145.
61 LTUR I, D. Palombi, s.v. Arcus divi Constantini, p. 91.
62 LTUR III, F. Coarelli, s.v. Ianus Quadrifrons, p. 94; Id., Roma, cit., p. 418 (con ipotesi di attribuzione a Costanzo II).
63 PLRE I, s.v. Constantina 2, p. 222.
64 J.J. Rasch, Das Mausoleum der Constantina in Rom, Mainz 2007.
65 In effetti nell’edificio di Gerusalemme la navata periferica è a ferro di cavallo, poiché si interrompe nella parte anteriore.
66 M. Guarducci, Camerae, cit.
67 La decorazione della cupola, sopravvissuta, pur se frammentaria, fino al XVII secolo e documentata già nel secolo precedente da varie riproduzioni grafiche, fu totalmente distrutta e sostituita da affreschi nel 1620. Una ricca rassegna dei disegni in cui sono rappresentati i mosaici prima della distruzione è in: A.A. Amadio, I mosaici di S. Costanza. Disegni, incisioni e documenti dal XV al XIX secolo, Roma 1986.
68 D.J. Stanley, An Excavation at Santa Costanza, in Arte Medievale, 2a serie, 7 (1993), pp. 80-83.
69 E. Arslan, Urbanistica di Milano romana. Dall’insediamento insubre alla capitale dell’Impero, in ANRW, II,12,1, pp. 179-206.
70 Ubi palatio dicitur. Residenze di re e imperatori in Lombardia, a cura di M. David, Cinisello Balsamo 1999, in partic. pp. 24-29 e passim.
71 F. Guidobaldi, Per una cronologia preambrosiana del S. Simpliciano di Milano, in Domum tuam dilexi. Miscellanea di Studi dedicati ad Aldo Nestori, a cura di F. Guidobaldi, Città del Vaticano 1998, pp. 423-450.
72 Ivi, p. 447.
73 F. Guidobaldi, L’edilizia, cit.; I. Baldini Lippolis, La domus tardoantica: forme e rappresentazioni dello spazio domestico nelle città del Mediterraneo, Imola 2001; Id., L’architettura residenziale nelle città tardoantiche, Roma 2005.
74 F. Guidobaldi, Il “tempio di Minerva Medica”, cit.
75 Ubi palatio dicitur, cit.
76 F. Guidobaldi, L’edilizia, cit.; Id., Tran;sformation, cit.; I. Baldini Lippolis, Edilizia residenziale, cit.; J.-P. Sodini, Habitat de l’antiquité tardive, in Topoi, 5 (1995), pp. 151-218; 7 (1997), pp. 435-577.
77 Basterà ricordare, ad esempio, le ricostruzioni che sono state proposte per le basiliche Ulpia, Giulia ed Emilia a Roma, nelle quali l’emergenza della navata centrale è spesso minima.
78 CIL VI 1165.
79 A.M. Colini, Notiziario di scavi, scoperte e studi intorno alle antichità di Roma e della campagna romana, in Bollettino della Commissione archeologica comunale di Roma, 67 (1939), pp. 183-212, in partic. 210-211; A. Degrassi, Studi vari di antichità, Roma 1962, pp. 354-355. Un elemento che fa pensare alla pressoché totale ricostruzione da parte dei Costantinidi è nelle finestre che si aprivano nel tamburo entro grandi nicchie come a Tor Pignattara. Se ne vedano i particolari nelle recenti ricostruzioni di Janet DeLaine ove sono evidenziati graficamente (J. DeLaine, The Baths of Caracalla. A Study in the Design, Construction, and Economics of Large-Scale Building Projects in Imperial Rome, in Journal of Roman Archaeology, Portsmouth 1997, frontispizio 1 e tavola separata 5).
80 F. Coarelli, Roma, cit.
81 Basterà ricordare, a fianco degli altri mausolei tardoantichi di Roma, quelli ben noti di Cencelles e del S. Gereon di Colonia, tuttora conservati, e quello di Costantino (Ss. Apostoli) a Costantinopoli.
82 L’originalità dei finestrati tardoantichi e la ricerca di luce connessa con la loro ampiezza sono già state evidenziate in passato (R. Günter, Wand, Fenster und Licht in der spätantik-frühchristlichen Architektur, München 1965, parte I, p. 71 nota 2) e ribadite da Krautheimer in varie occasioni (cfr. in partic. R. Krautheimer, The Constantinian Basilica, cit., passim).
83 Il ‘tempio della Tosse’ è considerato comunque del IV secolo (J.J. Rasch, Das Mausoleum, cit.). Lo stesso vale per il mausoleo a fianco di S. Pietro, pur se costruito su base di età severiana (J.J. Rasch, Zur Rekonstruktion der Andreasrotunde an Alt-St. Peter, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, 85 [1990], pp. 1-18), e infine per il Calidarium delle terme Antoniniane, per il quale si è già ricordata l’iscrizione dedicatoria di età costantiniana (cfr. supra).
84 Questa particolarità, già sottolineata marginalmente in trattazioni dell’inizio del XX secolo, è stata messa in più decisa evidenza dal Deichmann nella sua già ricordata e fondamentale sintesi (F.W. Deichmann, Architettura, cit., col. 596).
85 F. Guidobaldi, Sull’originalità dell’architettura di età costantiniana, in Ricerche di Archeologia cristiana e bizantina, XLII Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina (Ravenna 14-19 maggio 1995), Ravenna 1995, pp. 419-441, in partic. 425-433.
86 Per la bibliografia relativa agli esempi citati si rinvia alla nota precedente. Si aggiunga qui l’esempio delle Terme di Thugga, sempre in un cortile e sempre con scarsa elevazione. Esse sono state attribuite ad Alessandro Severo (E. Russo, Il pulvino sopra il capitello a cesto, in Bizantinistica. Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 7 [2006], pp. 23-45) e sono state considerate, proprio per la presenza di pulvini sui capitelli, l’esempio più precoce di utilizzazione di quel particolare elemento architettonico in virtù del quale, tuttavia, sarebbe forse più logico considerarlo un rifacimento tardoantico.
87 È certamente merito di Friedrich Wilhelm Deichmann aver posto in evidenza questa particolare soluzione architettonica e averne fissato la nascita nell’ambito dell’architettura costantiniana. Cfr. F.W. Deichmann, Architettura, cit., in partic. col. 601.
88 O. Brandt, F. Guidobaldi, Il Battistero, cit., pp. 243-252.
89 È evidente la diversa struttura inferiore, che a Spalato presenta un grande podio e scalinata anteriore con camera sepolcrale inferiore, mentre nel caso di Roma è caratterizzata dalla utilizzazione del solo pianterreno e dall’ingresso ‘a livello strada’. Altrettanto diversa è l’illuminazione naturale, debolissima a Spalato con aperture a lunetta di scarsa ampiezza e intensissima a Roma con finestrati enormi e sguanci che ne aumentano la portata luminosa. Si veda, a proposito dei mausolei romani della tarda antichità anche una recente analisi d’insieme: E. Jastrzębowska, Owners of Imperial Mausoleums at Rome in the Fourth Century, in Acta ad archaelogiam et artium historiam pertinentia, v. XXIII, 2010, 151-169.
90 Si deve tener presente che nei due secoli successivi, così floridi per l’Impero bizantino, si sostituirono e ricostruirono quasi tutti gli edifici che la tradizione attribuisce alla progettazione di Costantino.
91 Tert., adv. Val. 3.
92 Non si può del tutto escludere, nel caso delle basiliche lateranense e vaticana, una decorazione pittorica nella navata, tuttavia il confronto con le altre chiese dell’epoca fa propendere per quella marmorea, in seguito del tutto scomparsa, come in tutte le grandi basiliche. Ovviamente quanto detto non vale per le basiliche cimiteriali circiformi, nelle quali, a quanto risulta, la decorazione era abbastanza semplice.
93 Un interessante e lucido riassunto critico delle varie ipotesi è in un articolo di Noël Duval che, no;nostante l’epoca, è tuttora valido e utile (N. Duval, Les origines de la basilique chrétienne. État de la question, in L’information d’histoire de l’art, 7 [1962], pp. 1-19).
94 Naturalmente, il luogo preciso in cui i familiari di Costantino risiedevano a Roma non è documentato. Si veda, ad esempio, per Treviri: L. Clemens, W. Schmid, Traditionen der konstantinischen Familie in Trier, in Konstantin der Grosse. Imperator Caesar Flavius, cit., pp. 488-497.
95 Non si può scendere qui in dettaglio a riguardo dei monumenti di Salonicco. Per il complesso della residenza si rinvia comunque a M. Vitti, Il Palazzo di Galerio a Salonicco, in Journal of Ancient Topography - Rivista di topografia antica, 3 (1993), pp. 77-106, spesso neanche datati in modo definitivo: basti ricordare soprattutto l’Arco e la Rotonda di Galerio e l’Ottagono come esempi di un’architettura piuttosto indipendente.
96 Non si vuole con questo affermare che la policromia fosse assente nei monumenti della piena età imperiale. Bisogna ricordare, infatti, che i pavimenti e i rivestimenti marmorei parietali, le pitture e le stesse policromie delle colonne, non sempre di marmi bianchi, erano in uso in tali edifici sin dall’età giulio-claudia e sempre più incisivamente presenti nel II e III secolo. Tuttavia, dato che gli elementi di decorazione architettonica sono sempre aggettanti rispetto alla parete, il gioco di luci e ombre da essi generato domina sulla policromia e ne riduce in parte l’effetto.
97 Non si può negare, tra l’altro, che questa ricerca delle soluzioni architettoniche più estreme, anche dal punto di vista della statica reale, abbia comportato non pochi rischi: osservando le strutture costantiniane superstiti si trovano, infatti, non di rado rinforzi murari anche invasivi, aggiunti frettolosamente in corso d’opera.
98 È merito di Richard Krautheimer aver posto l’accento sulle «superfici inondate di luce» come caratteristica fondamentale delle realizzazioni architettoniche costantiniane (R. Krautheimer, The ecclesiastical Building Policy, cit., passim).