Leggi di scala
di Luciano Pietronero
SOMMARIO: 1. Leggi di scala e complessità. ▭ 2. Strutture frattali. ▭ 3. Invarianza di scala e non analiticità. ▭ 4. Transizioni di fase e gruppo di rinormalizzazione. ▭ 5. Aggregazione frattale e autoorganizzazione. ▭ 6. Esempi di strutture complesse autosomiglianti. ▭ 7. L'invarianza di scala nelle proprietà topologiche: networks. ▭ Bibliografia.
1. Leggi di scala e complessità.
I concetti di legge di scala e di invarianza di scala rivestono un ruolo centrale nell'analisi dei sempre più complessi sistemi che vengono studiati nelle scienze fisiche, ma anche in molti altri campi. Molti sistemi - a partire dalla struttura stessa dell'Universo a grande scala, passando per le complesse forme delle strutture biologiche, fino alle interazioni elementari tra i costituenti fondamentali della materia - mostrano delle ben definite leggi di scala. Queste leggi caratterizzano il cambiamento delle proprietà del sistema sotto l'effetto di una trasformazione della scala delle lunghezze e rappresentano un elemento essenziale per la comprensione della 'complessità' del sistema (v. Cardy, 1996; v. Huang, 19872).
L'approccio tradizionale della fisica è quello di considerare i sistemi più semplici e di studiarli in grande dettaglio, focalizzandosi sui 'mattoni' elementari che costituiscono la materia. Questo approccio riduzionistico si applica a un gran numero di situazioni e implica necessariamente l'esistenza di scale caratteristiche: la dimensione di un atomo, di una molecola o di un oggetto macroscopico. Esistono però molti casi in cui la situazione è completamente diversa, poiché la conoscenza dei singoli elementi non è sufficiente a caratterizzare la struttura nel suo insieme. Infatti, quando moltissimi elementi interagiscono tra loro in modo non lineare possono dar luogo a strutture complesse le cui proprietà non sono riconducibili a quelle dei singoli costituenti. In questi casi possiamo pensare a una sorta di 'architettura' della materia e della natura che, pur dipendendo in qualche modo dalle proprietà dei singoli elementi, possiede caratteristiche e leggi fondamentali che non possono essere ricollegate a quelle dei singoli costituenti (v. Gell-Mann, 1994; v. Ong e Bhatt, 2001). Una di queste proprietà fondamentali è rappresentata appunto dalle leggi di scala.
Per un sistema come un atomo, le leggi di scala non sono particolarmente interessanti. Infatti, se consideriamo una scala di lunghezze dell'ordine di quella dell'atomo stesso, potremmo definire in modo adeguato tutte le sue proprietà, cioè la presenza di un nucleo centrale e la distribuzione degli elettroni intorno a esso. Se però consideriamo una scala molto più grande, l'atomo stesso diventa a tutti gli effetti puntiforme e non mostra proprietà particolarmente interessanti.
Questa situazione cambia completamente se prendiamo in esame una struttura molto familiare ma abbastanza complessa come quella di un albero. In questo caso possiamo partire dagli atomi, che formano molecole, che poi formano le cellule, le fibre, quindi foglie e rami di diverse dimensioni con ramificazioni sia a piccole che a grandi scale; infine arriviamo all'intero albero, che per scale molto più grandi può essere considerato anch'esso puntiforme. Per questo sistema esiste un'ampia varietà di scale alle quali le proprietà sono abbastanza simili, per esempio la biforcazione dei rami avviene sia per i rami piccoli che per quelli più grandi. In questa regione di scale - compresa, diciamo, tra una scala minima, quella delle fibre, e una scala massima, quella del tronco o dell'albero stesso - possiamo definire un'approssimativa invarianza di scala con le sue proprietà caratteristiche, che sono essenziali per la comprensione delle complessità della struttura e della sua funzionalità e rappresentano una delle peculiarità che sono alla base delle strutture complesse. Altri esempi familiari potrebbero essere rappresentati dalla struttura dei polmoni o delle arterie, ma esistono ben definite leggi di scala in campi molto diversi, come la sismologia, la meteorologia, l'economia. In generale possiamo trovare queste proprietà in tutti quei sistemi costituiti da un gran numero di elementi che interagiscono in modo non lineare e questo può spiegare la intrinseca interdisciplinarità e generalità delle proprietà di invarianza di scala, la cui scoperta ha cambiato il nostro modo di vedere sia i fenomeni naturali sia quelli sociali (v. Mandelbrot, 1983; v. Bak e altri, 1987; v. Kadanoff, 1990 e 1993).
2. Strutture frattali.
La geometria frattale permette di caratterizzare le strutture che godono della proprietà di invarianza di scala. Consideriamo come esempio elementare di struttura frattale l'intreccio (gasket) di Sierpinski mostrato in fig. 1 (noto anche come 'triangolo di Sierpinski'). Questa figura è definita dividendo un triangolo equilatero in quattro sottotriangoli equilateri. Si lascia il triangolo centrale vuoto e si dividono gli altri tre nello stesso modo, e così via iterando la costruzione. A rigore, la completa invarianza di scala implicherebbe un numero infinito di iterazioni. Nella fig. 1 sono invece mostrate solo alcune iterazioni, e i triangolini in colore (che andrebbero anch'essi divisi) rappresentano la più piccola scala che consideriamo in questa struttura. Prendiamo questa lunghezza minima come unitaria e contiamo quanti triangolini unitari (in colore) sono contenuti in una struttura di lunghezza L definita a partire dal vertice superiore. Il numero N(L) corrisponde a un volume generalizzato per il quale si può facilmente costruire la tabella riportata nella figura (v. anche caos, vol. X).
Uno dei modi per definire la dimensione di un oggetto è tramite l'esponente che lega la massa, o il volume generalizzato, alla sua estensione lineare (lunghezza). Per esempio, per un filo si ha una dimensione D = 1, perché la massa è proporzionale alla lunghezza lineare. Per una superficie (foglio) la dimensione è D = 2, perché la massa è proporzionale all'area, mentre per un volume solido si ha D = 3. Generalizzando questo concetto, possiamo definire una dimensione frazionaria o 'frattale' D (v. Mandelbrot, 1983) tramite l'esponente che connette N(L) a L:
N(L) = A • LD (1)
in cui A è una costante che dipende dall'unità di misura utilizzata.
Dalla tabella della fig. 1 otteniamo, ponendo A = 1,
D = /log N (L) log L = log(3n)/log (2n) = log3/log2 = 1,58496… 2)
Per l'intreccio di Sierpinski volume e lunghezza sono quindi connessi da un esponente non intero. Questa relazione corrisponde a una legge di scala in cui l'invarianza di scala, che è intrinseca nella costruzione della figura, viene rappresentata matematicamente da una legge di potenza con esponente non intero.
Una importante conseguenza è l'assenza di una scala caratteristica, a parte quelle minima e massima nell'ambito delle quali si sviluppa la proprietà di 'autosomiglianza'. Matematicamente si può pensare a un processo limite in cui la scala minima tende a zero o la massima a infinito, che dà una struttura frattale ideale con le stesse proprietà a tutte le scale. Nelle analisi di situazioni reali si può ragionevolmente parlare di proprietà di invarianza di scala se queste si verificano su un regime abbastanza esteso da poter definire in modo chiaro e non ambiguo un comportamento a legge di potenza rispetto, per esempio, a un andamento esponenziale o gaussiano.
3. Invarianza di scala e non analiticità.
Il fatto che una struttura sia autosomigliante implica che, ingrandendo ogni suo dettaglio, si ottiene una struttura con la stessa complessità di quella originale; si tratta di una proprietà che non è descrivibile tramite gli 'oggetti' matematici tradizionali, definiti a partire da proprietà di regolarità o analiticità. Queste proprietà di regolarità comportano, per esempio, che data una curva è possibile definire in modo univoco la tangente in ogni suo punto e quindi, per scale sufficientemente piccole, tale curva può essere approssimata dalla sua tangente e perde ogni struttura. La autosomiglianza o invarianza di scala comporta invece una grande irregolarità: infatti abbiamo visto che una struttura frattale viene caratterizzata in modo naturale da una legge di potenza con esponente non intero; dal punto di vista matematico questo comportamento è appunto non analitico. Vediamo ora in modo più generale la relazione tra invarianza di scala e non analiticità.
Consideriamo la funzione di correlazione che descrive la densità condizionale,
Γ(r) = 〈 n (ro) n (ro + r) 〉. (3)
La funzione n(r) vale uno se il punto r appartiene alla struttura, altrimenti vale zero, e la media viene fatta su tutti i possibili punti ro della struttura. La funzione di correlazione Γ(r) ci fornisce una misura della probabilità condizionale che dato un punto ro appartenente alla struttura ci sia un altro punto della struttura nel punto r + ro.
Da un punto di vista matematico l'invarianza per trasformazioni di scala implica che cambiando la scala della variabile da r a r′ = br la funzione Γ(r′) sia identica a Γ(r) a meno di un fattore costante A(b) indipendente dalla variabile r:
Γ(r′ = br) = A(b) • Γ(r). (4)
Questa relazione funzionale è soddisfatta se Γ(r) ha un andamento a potenza, per qualunque esponente intero o non intero. Infatti assumendo Γ(r) = rα avremo Γ(r′) = (r • b)α = bα Γ(r). Vediamo allora che le leggi di potenza costituiscono la naturale struttura matematica corrispondente alla proprietà di invarianza di scala (v. Huang, 19872; v. Kadanoff, 1990 e 1993; v. Cardy, 1996).
La funzione di correlazione Γ(r) = rα può essere messa in relazione al volume generalizzato N(L) discusso precedentemente. Per un frattale di dimensione D definito in uno spazio euclideo di dimensione d si ottiene α = - (d- D). La differenza (d- D) è detta 'codimensione' ed è sempre positiva per un insieme frattale, dato che d si riferisce allo spazio euclideo nel quale il frattale è definito. Vediamo quindi che la densità condizionale decade con la distanza, impedendo la possibilità di definire una densità media per tale sistema. Questo decadimento della densità condizionale è lo stesso per qualunque punto del sistema e rappresenta una implicazione sottile e non intuitiva delle proprietà di invarianza di scala. La fig. 2 mostra la funzione di correlazione Γ(r) per un liquido ordinario (con proprietà di regolarità) e per una struttura frattale. Nel caso del liquido, la funzione Γ(r)/〈n〉 oscilla a piccole distanze e poi converge alla densità media 〈n〉 a grandi distanze, mentre nel caso del frattale ciò non avviene per nessuna distanza e non è definibile una densità media intrinseca. La divisione per 〈n〉 non riguarda l'andamento funzionale rispetto a r, ma è conveniente per avere le dimensioni di una densità.
4. Transizioni di fase e gruppo di rinormalizzazione.
Nella fisica statistica i concetti di invarianza di scala e di autosomiglianza si sono sviluppati originariamente nello studio delle transizioni di fase (v. Huang, 19872; v. Cardy, 1996). Questo problema riguarda sistemi con un gran numero di elementi, atomi o spins che interagiscono in modo tale che esiste una tendenza all'ordine. Nel caso degli atomi questo stato ordinato può essere rappresentato da una struttura cristallina periodica, mentre per gli spins lo stato ordinato è quello in cui tutti gli spins sono orientati nella stessa direzione. Questa tendenza all'ordine è in competizione con altri effetti, di tipo termodinamico, che tendono invece a rendere il sistema disordinato.
Si ha quindi la fase ordinata a bassa temperatura e quella disordinata ad alta temperatura. Questo cambiamento di fase ha luogo in modo drasticamente discontinuo nelle transizioni di fase più comuni, come quella tra solido e liquido, dette 'transizioni del primo ordine'. In vari altri casi, però, si verifica una transizione marginalmente continua, definita 'del secondo ordine' o 'critica'. Questo tipo di transizioni, pur non essendo molto comuni, hanno avuto un'enorme importanza concettuale nella formulazione delle leggi di scala. Infatti, nelle vicinanze della temperatura di transizione (o 'critica') varie quantità termodinamiche mostrano un comportamento a legge di potenza con esponenti non interi che non può essere spiegato con le teorie ordinarie e ha richiesto lo sviluppo di nuovi concetti, come le leggi di scala e il gruppo di rinormalizzazione (v. Wilson, 1983).
Il modello più semplice e più studiato che mostra queste proprietà è il modello di Ising, che consiste in un reticolo in ogni vertice del quale è definito uno spin che può avere solo due orientazioni ('su' o 'giù'). Ogni spin interagisce con i suoi primi vicini con una interazione ferromagnetica che tende ad abbassare l'energia totale del sistema se due spins vicini sono allineati. Questa tendenza all'ordine compete con la tendenza al disordine che si determina all'aumentare della temperatura. Questo semplicissimo modello mostra un comportamento sorprendentemente complesso nelle vicinanze del punto critico, e per tale motivo ha rappresentato per due decadi (gli anni settanta e ottanta del Novecento) la palestra fondamentale per lo studio dei fenomeni critici sia dal punto di vista teorico, sia da quello delle simulazioni numeriche (v. Huang, 19872; v. Cardy, 1996).
Una peculiarità di questi studi è stata il ruolo svolto dal calcolatore, che ha permesso di arrivare a scoperte di carattere concettuale. Infatti, nel caso delle strutture complesse con proprietà di invarianza di scala, che vengono generate da un gran numero di elementi in interazione tra loro, le proprietà del sistema non sono riconducibili a quelle dei singoli elementi né sono ricavabili dai loro valori medi; pertanto, le simulazioni al calcolatore rappresentano una sorta di esperimenti numerici con cui esplorare le proprietà dei vari modelli con risultati spesso sorprendenti, fornendo ispirazione e termini di confronto per lo sviluppo dei metodi teorici.
Nella fig. 3 possiamo osservare tre diverse configurazioni, corrispondenti a diverse temperature, di un modello di Ising in due dimensioni. L'orientazione degli spins ('su' o 'giù') è caratterizzata da due diversi colori (azzurro e rosso). Nella fig. 3A il sistema è nella fase 'disordinata' ad alta temperatura: le interazioni tra gli spins generano soltanto delle correlazioni a piccola scala caratterizzate da una lunghezza caratteristica. Le due configurazioni rossa e azzurra sono simmetriche e si ha circa lo stesso numero di spins orientati nelle due direzioni; l'orientazione media (magnetizzazione) è quindi nulla. Possiamo analizzare come questa struttura si comporta rispetto a un cambiamento di scala considerando una trasformazione a blocchi: ad esempio, un quadrato che ha tre spins per lato in totale conterrà 9 spins, incluso quello centrale; questo blocco di 9 spins viene quindi sostituito da un singolo spin, il cui valore è dato dalla regola della maggioranza. Il sistema così ottenuto ha un'estensione lineare tre volte più piccola di quello originale ed è mostrato nella parte centrale della fig. 3A. Ripetendo l'operazione si ottengono poi altri quadrati più piccoli di un fattore tre e così via. Come si può vedere, la grandezza delle strutture diminuisce proporzionalmente alla riduzione della scala. Abbiamo infatti menzionato che questo sistema ha una lunghezza di correlazione caratteristica e questa viene ridotta di un fattore tre ogni volta che facciamo la trasformazione a blocchi.
Nella fig. 3C osserviamo invece il sistema a bassa temperatura. In questo caso il sistema rompe la simmetria tra zone azzurre e rosse e l'azzurro prevale; in termini magnetici si ha una magnetizzazione spontanea. Ciò è accaduto in modo casuale, avrebbe potuto prevalere il rosso con uguale probabilità. In questo caso le zone rosse si estendono fino a una certa scala definita dal valore della temperatura. La trasformazione a blocchi elimina man mano le zone rosse e, asintoticamente, il sistema diventa perfettamente azzurro.
Nella fig. 3B il sistema si trova esattamente alla temperatura critica. Nessuna delle due orientazioni prevale ancora, ma si sviluppano le fluttuazioni critiche. Questo significa che la lunghezza di correlazione è infinita e si hanno strutture a tutte le scale sia per le zone rosse che per quelle azzurre. In questo caso la trasformazione di scala lascia il sistema statisticamente invariato, come è evidenziato dal fatto che le strutture osservabili nei quadrati centrali (corrispondenti a trasformazioni di scala) sono indistinguibili da quelle del sistema originario.
Questa situazione ha ispirato lo sviluppo del cosiddetto 'gruppo di rinormalizzazione', strumento matematico inquadrato in una teoria di nuovo tipo che permette di calcolare gli esponenti critici e quindi di descrivere le proprietà non analitiche di queste strutture. Il fatto che la fig. 3B non mostri regolarità a nessuna scala non permette di usare le teorie ordinarie, che sarebbero basate su profili di densità regolari. L'idea allora è di focalizzarsi sulle proprietà del sistema sotto l'effetto del cambiamento di scala, proprio come abbiamo illustrato visivamente. Le proprietà del sistema, che sono estremamente irregolari nello spazio fisico, diventano statisticamente regolari nello spazio delle trasformazioni di scala. Il controllo matematico delle proprietà del sistema sotto l'effetto del cambiamento di scala permette poi il calcolo degli esponenti critici. Questo nuovo tipo di teoria rappresenta un punto fondamentale nella comprensione delle strutture complesse, e ha ispirato un grandissimo numero di sviluppi in vari campi.
Nella fig. 4 possiamo osservare un esempio del processo opposto, vale a dire come l'ingrandimento di un dettaglio di una struttura produca a sua volta una struttura di complessità analoga a quella della struttura originale. Gli esempi mostrati corrispondono al caso di un polimero ramificato con proprietà di invarianza di scala statistiche (valgono in media) e quelle di un frattale deterministico con proprietà di invarianza esatte rispetto a un insieme di trasformazioni discrete.
Un aspetto particolarmente importante delle proprietà di un sistema con proprietà di invarianza di scala è la sua universalità. Come si può vedere nella fig. 3, il procedimento di trasformazione a blocchi tende a eliminare molti dettagli e lascia solo le proprietà globali delle correlazioni del sistema. Una conseguenza di questo fatto è che sistemi apparentemente diversi a una certa scala possono convergere verso le stesse proprietà statistiche dopo un certo numero di queste trasformazioni. In questo caso si dice che i due sistemi appartengono alla stessa classe di universalità e avranno precisamente gli stessi esponenti critici. Il concetto di universalità è molto importante anche dal punto di vista sperimentale, perché anche se un sistema reale è diverso dal modello teorico semplificato, quest'ultimo ne rappresenta fedelmente le proprietà se ambedue appartengono alla stessa classe. Le proprietà di universalità sono molto potenti e generali nel caso delle transizioni di fase all'equilibrio, mentre sono più deboli nel caso di sistemi dissipativi autoorganizzati e questo spiega la grande varietà di strutture complesse osservabili in natura.
5. Aggregazione frattale e autoorganizzazione.
Una differenza fondamentale tra le strutture autosomiglianti caratteristiche dei fenomeni critici e le strutture frattali che si osservano in natura è che le prime appaiono solo nelle immediate vicinanze della temperatura critica, mentre le seconde hanno un regime di stabilità molto più vasto e, in questo senso, sono autoorganizzate. Questo pone il problema dell'identificazione dei processi fisici che generano strutture di questo tipo e della loro stabilità. Finora, infatti, abbiamo considerato delle strutture frattali, come quella in fig. 1, in cui la proprietà di invarianza di scala è implicita nella elementare costruzione matematica utilizzata. Ci si può quindi chiedere perché la natura produca strutture frattali e quali siano i meccanismi fisici elementari con cui si realizzano.
Questo problema è stato ampiamente studiato negli anni ottanta e novanta e ha dato luogo allo sviluppo di modelli fisici che, a partire da un'iterazione definita solo a livello microscopico, producono spontaneamente strutture frattali con correlazioni a tutte le scale (v. Pietronero e Tosatti, 1986; v. Evertsz e altri, 1996). Una classe di modelli particolarmente importante è quella dei frattali laplaciani, in cui la dinamica di crescita di una struttura è connessa alla soluzione dell'equazione di Laplace nelle vicinanze dei suoi punti. Dato che l'equazione di Laplace caratterizza molti fenomeni fisici diversi, questo tipo di strutture si trova in una grande varietà di situazioni, con proprietà apparentemente molto differenti. L'equazione di Laplace descrive infatti le proprietà elastiche e le vibrazioni; la stessa equazione matematica, ma con diverso significato fisico, si ritrova nella descrizione della diffusione, nella teoria del potenziale elettrico e nel comportamento della pressione in un fluido. Un esempio di struttura frattale generata da un processo laplaciano è riportato in fig. 5: si tratta del primo modello di crescita frattale basato su un meccanismo fisico e corrisponde a una aggregazione limitata dalla diffusione (Diffusion Limited Aggregation, DLA). Il processo di crescita che genera questa struttura è estremamente semplice: un atomo si muove secondo un moto casuale diffusivo (browniano) finché non tocca il bordo della struttura; a questo punto si blocca, diventando parte della struttura stessa. Il processo prosegue con successive aggiunte di atomi. A partire da un singolo punto centrale questo semplice processo dinamico genera in modo autoorganizzato strutture di grande complessità e con ben definite proprietà frattali, come quella illustrata in fig. 5. In questo caso l'equazione di Laplace si riferisce al processo dinamico diffusivo. Una generalizzazione di questo processo è il modello del collasso dielettrico, in cui l'equazione di Laplace descrive il campo elettrico nell'intorno della struttura che modula la probabilità di crescita. I fenomeni fisici associati a questo modello sono le scariche elettriche, ma esso può essere usato anche per le fratture dei materiali, e in questo caso l'equazione di Laplace è impiegata per descrivere l'elasticità. Come si può vedere questa interpretazione permette di stabilire connessioni tra strutture originate da processi fisici apparentemente molto diversi, ma che hanno una origine comune nelle proprietà matematiche dell'equazione di Laplace (v. Pietronero e Tosatti, 1986; v. Erzan e altri, 1995; v. Evertsz e altri, 1996).
Questi modelli di aggregazione si possono facilmente generalizzare a situazioni molto realistiche considerando, per esempio, la possibilità che oltre all'aggregazione di singole particelle si possano aggregare anche le strutture stesse (clusters). Questa situazione corrisponde agli aggregati colloidali mostrati in fig. 6: le situazioni illustrate nella parte a sinistra e in quella a destra corrispondono, rispettivamente, al limite di bassa e alta temperatura. Come si può notare, la natura degli aggregati è molto simile per materiali molto diversi. In basso sono riportate due simulazioni numeriche di questo modello nei limiti di bassa e alta temperatura che risultano notevolmente simili agli aggregati reali.
6. Esempi di strutture complesse autosomiglianti.
Gli esempi di strutture complesse autosomiglianti sono ormai moltissimi e il loro studio si sta rapidamente espandendo anche al di fuori delle discipline scientifiche tradizionali. Uno degli esempi più affascinanti di strutture con proprietà di invarianza di scala è rappresentato dallo stesso Universo. Nella fig. 7 possiamo osservare un'immagine della distribuzione delle galassie intorno a noi. Ogni punto rappresenta una galassia; la nostra (Via Lattea) è al centro per motivi osservativi e la zona verticale semivuota corrisponde alla direzione del piano della nostra galassia, lungo il quale le osservazioni sono difficili. La distribuzione riportata è in realtà tridimensionale ed è ottenuta dalle coordinate angolari delle galassie e dalle misure della distanza assoluta, che si ricava dalla velocità di recessione della Galassia calcolata attraverso lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso (redshift) causato dall'effetto Doppler. A partire dagli anni ottanta le misure estensive di redshift hanno permesso la costruzione di distribuzioni tridimensionali relativamente complete analizzabili con i metodi della fisica statistica. L'analisi tradizionale è basata sull'ipotesi che l'Universo sia abbastanza omogeneo a scale relativamente piccole e che nelle distribuzioni osservate sia possibile definire una densità media intrinseca; le proprietà di forte aggregazione delle galassie vengono considerate come una piccola fluttuazione (v. Peebles, 1993). In questa prospettiva l'analisi viene fatta attraverso le funzioni di correlazione tipiche della fisica dei liquidi e dei sistemi regolari, dalle quali si ottengono informazioni sulla natura del processo di formazione dei clusters (clustering) e sulla distanza caratteristica alla quale il sistema diventa essenzialmente omogeneo. La fig. 7 evidenzia però che la distribuzione delle galassie non è affatto regolare, ma presenta grandi clusters e regioni quasi vuote a scale dell'ordine di quella dell'intero sistema. Si noti che la figura è comunque una proiezione e che nella realtà dello spazio tridimensionale le grandi strutture e i vuoti sono molto più evidenti. Inoltre, varie indicazioni, sia visive che matematiche, inducono a considerare la possibilità che queste strutture presentino proprietà di invarianza di scala. È stato quindi naturale riconsiderare l'analisi delle proprietà di clustering delle galassie da un punto di vista più generale e moderno che permetta la corretta identificazione di eventuali proprietà frattali. Questa analisi ha permesso anche di effettuare un test della assunzione di omogeneità - la quale nelle analisi tradizionali viene data per scontata - che ha prodotto un risultato sorprendente. Il clustering delle galassie mostra ben definite proprietà frattali, con dimensione frattale D = 2. Queste proprietà si estendono fino ai limiti delle presenti osservazioni, e quindi dimostrano che l'assunzione di omogeneità delle analisi tradizionali è infondata e così pure l'identificazione di una lunghezza di correlazione molto piccola rispetto alle grandi strutture osservate (v. Coleman e Pietronero, 1992; v. Sylos Labini e altri, 1998). Questi risultati hanno notevoli implicazioni, sia concettuali che pratiche, a vari livelli e dimostrano come l'invarianza di scala sia una proprietà tutt'altro che intuitiva, e anzi concettualmente sottile. La nuova prospettiva, ottenuta a partire dagli stessi dati osservativi ma con una metodologia più generale, cambia infatti radicalmente le conoscenze sulle proprietà a larga scala dell'Universo. Questi risultati hanno dato origine a un ampio dibattito, anche in prospettiva delle nuove informazioni sulle distribuzioni di galassie che si potranno ottenere nei prossimi due anni (v. Baryshev e Teerikorpi, 2002).
Dagli esempi precedenti è chiaro che il concetto di invarianza di scala rappresenta una proprietà molto generale dei sistemi complessi. È quindi naturale aspettarsi la presenza di queste proprietà in sistemi anche molto diversi, e infatti l'identificazione di questo aspetto della complessità rappresenta un'area di ricerca intrinsecamente interdisciplinare.
Tra gli esempi più significativi di sistemi con proprietà di invarianza di scala possiamo citare la turbolenza nei fluidi, le distribuzioni spazio-temporali dei terremoti e le fluttuazioni nel campo dell'economia e della finanza. Altri notevoli esempi si possono trovare in biologia, sia dal punto di vista fisiologico che da quello genetico ed evolutivo. Infatti, la struttura dei polmoni, dei vasi sanguigni e dei neuroni mostra proprietà di invarianza di scala ed essenzialmente frattali. Anche i processi evolutivi, come le biforcazioni delle specie e le estinzioni, mostrano zone irregolari intervallate da grandi fluttuazioni (v. Kauffman, 1993). Questa situazione è stata definita 'equilibrio puntuato' e corrisponde a fluttuazioni autosomiglianti per le quali è possibile definire leggi di potenza con esponenti caratteristici (v. Bak e Sneppen, 1993).
7. L'invarianza di scala nelle proprietà topologiche: networks.
Fin qui abbiamo descritto le proprietà delle trasformazioni di scala e della loro invarianza in sistemi fisici in cui è possibile definire una metrica, cioè costituiti da punti in uno spazio euclideo, in cui è possibile definire relazioni tra volume e lunghezza. Recentemente ci sono stati interessanti sviluppi nel generalizzare queste proprietà, estendendole ai sistemi caratterizzati solo in modo topologico, cioè attraverso le connessioni tra i vari elementi del sistema.
Questo è il caso dei sistemi di reti, o networks, che rappresentano un vasto campo di studio di grandissima importanza. L'organizzazione in termini di network è pressoché universale nei sistemi biologici e può essere identificata a tutti i livelli, dai networks che caratterizzano i sistemi fisiologici, immunitari e neurali alle organizzazioni sociali di Insetti, Uccelli, Mammiferi e dell'uomo, fino ai networks ecologici del più alto livello gerarchico (v. anche complessità biologica, vol. XII). Anche le interazioni sociali ed economiche ricadono naturalmente in questa classificazione e uno dei più noti e importanti esempi di network complesso è rappresentato dalla struttura della rete Internet.
Un network può essere rappresentato come un insieme di subunità abbastanza simili che interagiscono o comunicano tra loro. Tutta l'informazione è schematizzata da questa rete di interazioni senza che a essa sia associata una struttura metrica, cioè senza che la posizione delle subunità sia definita in uno spazio fisico. Una volta identificato un gruppo di queste subunità, le proprietà del network possono essere caratterizzate da tre elementi fondamentali: a) la connettività del network, che determina quante subunità interagiscono tra loro; b) la forza e la natura di queste interazioni; c) le correlazioni tra le varie quantità presenti nel network.
Fino a poco tempo fa le proprietà dei networks venivano rappresentate tramite la teoria classica dei networks aleatori introdotta da Paul Erdos e Alfred Renyi (v., 1959), i quali hanno creato un modello in cui si assume che ogni coppia di nodi nel network sia connessa in modo casuale con probabilità p, generando un network statisticamente omogeneo; malgrado la fondamentale aleatorietà del modello, la maggior parte dei nodi ha lo stesso numero di connessioni (grado) 〈k〉. In particolare, la distribuzione del numero di connessioni, P(k), segue una distribuzione di Poisson fortemente concentrata intorno a 〈k〉, il che implica che la probabilità di trovare un nodo fortemente connesso decade molto rapidamente per k grandi e si comporta in modo esponenziale, P(k) = e-k (v. fig. 8).
D'altro canto, gli studi empirici della struttura del World-Wide Web, di Internet (v. fig. 9) e dei networks sociali hanno mostrato importanti deviazioni da questa struttura aleatoria e la distribuzione P(k) risulta descritta, per grandi valori di k, da una legge di potenza P(k) = k-γ. Questo comportamento a legge di potenza rappresenta un altro esempio di invarianza di scala per la struttura delle connessioni. Contrariamente ai networks esponenziali, i networks autosomiglianti sono estremamente eterogenei, la loro topologia è dominata da pochi nodi con moltissime connessioni che interagiscono con molti nodi con poche connessioni. Il fatto che un gran numero di networks possa essere visto in questa prospettiva comune costituisce una notevole riduzione della complessità del problema, nel senso che, in analogia con i fenomeni critici, è possibile definire delle classi di universalità.
Come per le strutture frattali, il primo problema è cercare di capire quale meccanismo dinamico microscopico può generare networks con struttura invariante rispetto alla scala. Recentemente questo tema è stato oggetto di molti studi e sono stati formulati alcuni modelli molto interessanti; si è capito che un elemento essenziale per generare questo tipo di network è la connessione preferenziale a un sito con molte connessioni, cioè il fatto che la probabilità di formare una nuova connessione è più alta per connessioni verso quei siti già connessi a molti altri (v. Albert e Barabasi, 2002): se ciò si verifica è possibile generare spontaneamente dei networks con proprietà di autosomiglianza come quello mostrato in fig. 10, la cui connettività risulta appunto descritta da una legge di potenza.
Tra i sistemi il cui funzionamento può essere schematizzato attraverso networks citiamo le proteine, la cui attività in una cellula può essere descritta attraverso un network metabolico (in questo caso i siti rappresentano le varie proteine e le connessioni le interazioni biochimiche tra loro), e il mercato azionario, raffigurabile tramite un network in cui due titoli sono connessi se le fluttuazioni dei loro valori mostrano una correlazione superiore a una data soglia. Anche in questi casi si osservano proprietà di autosomiglianza.
La conoscenza delle proprietà di invarianza di scala rappresenta un elemento essenziale anche per la risoluzione di problemi di ottimizzazione o di determinazione della robustezza del network.
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