leggiadria
Il valore semantico del termine è lumeggiato da D. nella canzone Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato (Rime LXXXIII). Al concetto provenzale di leujairia, che allude a una gioiosa disinvolta mondanità, D. attribuisce un senso più esplicitamente morale; ma non in modo esclusivo, poiché tutta l'argomentazione dantesca ruota intorno alla distinzione tra la virtù, intesa nella sua accezione universale, e la l. intesa come un atteggiamento risultante dall'aggiunta al concetto di virtù del ‛ sollazzo ', cioè solacium, che accanto allo sforzo operoso della virtù costituisce una serena pausa di ricreazione. Inoltre nel concetto di l. è implicito anche quello di amore, inteso come ammirazione verso la bellezza-bontà, dedizione e al tempo stesso desiderio di ricambio. Altro elemento distintivo della l. è ‛ l'opera perfetta ', cioè l'operare secondo perfezione: Sollazzo è che convene / con esso Amore e l'opera perfetta: / da questo terzo retta / è vera leggiadria (v. 92). " Ma è debito ricordare che secondo il Gardner il soggetto (sottinteso) di è è Leggiadria, mentre perfetta sarebbe (come nell'Ottimo Commento) verbo, reggente l'oggetto l'opera; sicché il terzo risulterebbe composto di Virtù, Sollazzo e Amore " (Contini).
Ne risulta una virtù tutta particolare, estranea a chi è vile e noioso (da noi chiamato a ritroso [" contro l'uso legittimo ", Contini] / ... con nome di valore, / cioè di leggiadria, v. 12), che è in cavalier lodata (v. 83), mentre è blasmata... in gente onesta / di vita spiritale / o in abito che di scienza tiene (vv. 78-82), cioè negli ecclesiastici e negli studiosi. Cfr. anche il v. 59.
La l. non può pertanto corrispondere a nessuna delle undici virtù aristoteliche che s. Tommaso esprime con i termini fortitudo, temperantia, liberalitas, magnificentia, magnanimitas, philotimia, mansuetudo, amicitia, veritas, eutrapelia iustitia. Ma, se non coincide perfettamente con nessuna di esse, partecipa tuttavia della liberalitas (donare e ricevere con gioia), della mansuetudo (mai muoversi a ira), dell'amicitia o amabilità (sollazzo, come moderazione nella gioia), della fortitudo (in quanto chi è leggiadro è franco senza essere superbo). Come nella canzone sulla nobiltà (Le dolci rime d'amor, Cv IV), qui D. rinuncia alla perfetta coincidenza con le virtù aristoteliche, per una più libera interpretazione delle condizioni sulle quali si basa una vita nobile e virtuosa.
Nella ballata Per una ghirlandetta (Rime LVI) il termine ha un semplice, esteriore valore mondano: Le parolette mie novelle, / che di fiori fatto han ballata, / per leggiadrìa ci hanno tolt'elle / una vesta ch'altrui fu data (v. 20). " La vesta della ballata è la musica che adorna le parole... Il dire che la vesta ‛ altrui fu data ' significa evidentemente che il motivo musicale fu tolto da un'altra ballata " (Barbi-Maggini).
Nel sonetto Sonar bracchetti e cacciatori aizzare (Rime LXI), l. è usato in espressione antifrastica: Or ecco leggiadria di gentil core, / per una sì selvaggia dilettanza / lasciar le donne e lor gaia sembianza! (v. 10). Al rozzo diletto dell'esercizio fisico si contrappone la raffinata gioia del conversare con donne ricche di misurata lietezza.
In perfetta armonia con la canzone Poscia ch'Amor è pure da considerare il sonetto rinterzato Morte villana (Vn VIII 8 ss.), dove D. rinfaccia alla morte di aver ‛ partito ' dal secolo... cortesia / e ciò ch'è in donna da pregiar vertute: / in gaia gioventute / distrutta hai l'amorosa leggiadria (§ 15 14). Qui la l. è infatti considerata virtù non generica ma propria di donna giovane e gaia cui si addice l'amore.
Nel sonetto Due donne in cima de la mente mia (Rime LXXXVI), di epoca certamente posteriore, la l., ricordata al v. 5, rappresenta il momento del diletto cavalleresco, mentre la virtù rappresenta quello dell'operare secondo ragione universale. Possiamo affermare pertanto che in questo sonetto sicuramente appare abbozzata la teoria di Poscia ch'Amor, teoria che apparirà confermata dal valore semantico che acquisteranno nella Commedia i termini l. e ‛ leggiadro '.
Da ultimo il termine ricorre in Pd XXXII 109, unito a baldezza, come espressione di libertà lieta e confidenziale, gioia d'amore contemplativo, amore di assoluta benevolenza, nella gioconda umiltà di dare e ricevere gratuitamente la pienezza di carità.
Bibl. - A. Parducci, Costumi ornati, Bologna 1928; A. Vallone, La cortesia dai provenzali a D., Palermo 1950; F. Montanari, La canzone della leggiadria, Torino 1961.