SOCIALE, LEGISLAZIONE
. La legislazione sociale, nel suo moderno significato, è, dal punto di vista storico, la conseguenza nel campo legislativo del fenomeno che si accompagna al nascere della grande industria e che è noto sotto il nome di "questione sociale": fenomeno che ha le sue prime e più allarmanti manifestazioni nel paese in cui la rivoluzione industriale si manifesta con maggiore ampiezza, l'Inghilterra, da dove dilaga sul continente europeo. Rivoluzione industriale e sviluppo del moderno capitalismo pongono gli stati di fronte all'insufficienza del principio individualistico del non intervento e della legislazione che ne era conseguita.
Parve in un primo tempo che i privati potessero, attraverso manifestazioni di filantropia e di beneficenza, sopperire alle più gravi miserie che accompagnavano lo sviluppo del capitalismo: sennonché queste assumevano vastità e aspetto tali da richiamare l'attenzione sempre più viva di studiosi e di uomini politici i quali, denunziando le condizioni veramente tristi delle classi lavoratrici, chiedevano a gran voce un intervento della collettività. A questa opera illuminata di filantropi e di sociologi si accompagnava il risorgere di quelle associazioni professionali che la rivoluzione francese si era illusa di poter sopprimere e che reclamavano, in modo sempre più vivace e perentorio, un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Inoltre, i partiti politici che avevano assunto la tutela delle classi proletarie urgevano e premevano per ottenere maggiori benefici per i lavoratori, alcuni col proposito di raggiungere un migliore assetto sociale attraverso il metodo graduale e riformistico, altri per rendere sempre più difficile la condizione del capitale e quindi determinare l'ambiente favorevole per l'urto risolutivo e rivoluzionario.
Le classi detentrici del potere economico e quindi anche del potere politico, a loro volta, concepivano la politica e la legislazione sociale come mezzi per attenuare i disagi dei lavoratori, ma anche come un sistema per smorzarne l'ardore rivoluzionario.
La legislazione sociale sorge quindi come un compromesso fra i principî agnostici, individualistici e di non intervento dello stato liberale, e la sempre più imperiosa necessità di migliorare le condizioni delle classi lavoratrici, proteggerle contro le malattie, la disoccupazione, l'indigenza, tutelarle nelle relazioni di lavoro. La legislazione sociale trae alimento anche da un'evoluzione del principio della carità verso forme più elevate di solidarietà ed è influenzata dal progresso compiuto dalla medicina nello studio delle malattie del lavoro e dell'igiene.
La legislazione sociale comprende tutte quelle disposizioni legislative che tendono, oltre gl'istituti proprî del diritto comune, a realizzare una sempre maggiore tutela delle categorie economicamente deboli, e in particolare delle categorie lavoratrici. È opportuno però precisare che, se le disposizioni connesse alla prestazione del lavoro e aventi quindi di mira la tutela dei lavoratori come tali ne costituiscono il complesso più notevole (che, sotto questo aspetto, si può più esattamente chiamare legislazione del lavoro), esistono peraltro importantissimi settori della legislazione sociale nei quali si prescinde assolutamente dal rapporto di lavoro, o dove il rapporto di lavoro viene preso in considerazione come elemento accessorio della tutela legislativa: basti richiamare i provvedimenti intesi a realizzare un elevamento delle condizioni igieniche e del benessere fisico del popolo, e quelli riflettenti le assicurazioni sociali. In particolare, quindi, oltre la cosiddetta legislazione del lavoro (v. lavoro, XX, p. 665) la legislazione sociale abbraccia le seguenti forme di tutela, il cui insieme si suole modernamente comprendere, specialmente nella letteratura straniera, sotto la denominazione di "servizio sociale" (dal francese service social e dall'inglese social service): a) Assicurazioni sociali (assicurazione contro gl'infortunî sul lavoro e le malattie professionali; assicurazione contro le malattie; assicurazione per la maternità; assicurazione contro la disoccupazione; assicurazione invalidità-vecchiaia-superstiti); b) assistenza sociale (non dipendente cioè da forme di assicurazioni e riflettente l'invalidità e la vecchiaia, o interessante le vedove e gli orfani: assistenza ai disoccupati; assistenza ai vecchi e agl'infermi, che non dispongano di risorse finanziarie sufficienti a provvedere direttamente alle loro più modeste necessità; assistenza alla maternità, all'infanzia e alle famiglie numerose; forme varie di assistenza per malattia, a carico dei datori di lavoro); c) risanamento edilizio e costruzione di alloggi a buon mercato (le cosiddette "case popolari"); d) perequazione degli oneri familiari dei lavoratori (assegni familiari; fr. allocations familiales); e) ferie retribuite (a carico del datore di lavoro).
Si possono inoltre considerare rientranti nell'ambito della legislazione sociale, anche quei provvedimenti che si risolvono in una tutela e in un'assistenza potenziale delle classi meno abbienti; così, ad es., i provvedimenti per la bonifica di zone malsane e la creazione di possibilità di vita e di lavoro per le popolazioni urbane o rurali troppo accentrate, i provvedimenti sulle migrazioni interne e quelli per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni rurali, ecc.
L'elencazione suddetta pone in evidenza l'ampiezza del campo d'azione della legislazione sociale, la quale può determinare, in alcuni settori e in momenti particolari, una convergenza di sforzi e di mezzi, intesi a tutelare le categorie economicamente deboli contro eventi che particolarmente ne minacciano l'esistenza e ne peggiorano le condizioni di vita; così, ad es., l'assistenza e la previdenza contro le malattie sociali possono essere praticate con tale dotazione di mezzi e ampiezza di programmi e di organizzazione da potersi parlare di una lotta contro le malattie sociali, quali la tubercolosi, la malaria, il cancro; lo stesso si dica per la disoccupazione, per l'urbanesimo, ecc.
Il concetto, e quindi anche il contenuto della legislazione sociale, hanno però subito in questo primo periodo del sec. XX, e più subiranno certamente nell'avvenire, una notevole trasformazione e un ampliamento rilevante. Già nel sec. XIX si era palesata in tutta la sua profondità e in tutta la sua estensione, la crisi politica, sociale ed economica dello stato moderno, e tale crisi nel primo decennio del sec. XX aveva assunto caratteristiche di particolare violenza. L'attività politica dei partiti che avevano lottato per l'elevazione del lavoro e l'azione sindacale delle nuove formazioni associative avevano posto problemi che superavano i limiti di una sia pure illuminata politica sociale per investire in pieno i rapporti delle categorie economiche fra loro e con lo stato. Questa politica sociale aveva sempre carattere di compromesso, le mancava una visione e una finalità organica, e la conseguente legislazione sociale rifletteva i difetti di un'organizzazione statale informata a principî e a metodi incapaci di risolvere i problemi posti dall'organizzazione economico-sociale moderna.
Il contrasto fra le aspirazioni dei lavoratori, che volevano conquistare sul terreno politico parità di diritti e di doveri, e la realtà dell'organizzazione statale fu acuito dal grande moto rivoluzionario conseguente in ogni paese alla guerra mondiale. Questo contrasto assunse forme e finalità divergenti nei varî paesi, sia che lo si esasperasse con la conquista proletaria dello stato, sia che lo si comprimesse con la reazione politica, sia che lo si superasse attraverso la conciliazione sul terreno politico delle categorie economiche e sociali e la conseguente trasformazione dello stato moderno. Ovunque però apparve chiaro il superamento, nella teoria e nella pratica, della legislazione sociale nel senso tradizionale e liberale del termine; e di questo superamento si ebbero le prime precise manifestazioni nello stato corporativo fascista, che segna le tappe successive di tale evoluzione, precedendo gli altri paesi su una via che essi in parte già seguono e, comunque, dovranno necessariamente seguire.
La legislazione sociale nello stato fascista. - Nello stato liberale lo stato di fatto era non la parità di diritto e di dovere di tutte le categorie sociali e quindi, in particolare, del capitale e del lavoro, ma l'esistenza di classi economicamente forti e detentrici del potere politico di fronte a cui erano in alterna vicenda di lotta e di odio classi economicamente deboli che tendevano alla conquista del potere politico attraverso un moto rivoluzionario.
Questa concezione della disparità delle classi come condizione fatale della costituzione economica e politica moderna è stata in pieno ripudiata dal fascismo. Lo stato corporativo fascista non ammette il fatale persistere di una classe diseredata accanto a una classe favorita dalla fortuna, né ammette che la soluzione possa trovarsi nella lotta dell'una contro l'altra, per il predominio economico e politico. Lo stato corporativo fascista con l'organizzazione sociale basata sul principio del sindacato unico, rappresentante di diritto di tutti gli appartenenti alla categoria, inserito nello stato attraverso la corporazione, e soprattutto con il principio dell'effettiva eguaglianza dei sindacati dei prestatori d'opera e dei datori di lavoro, ha posto, fino dal 1926, le basi giuridiche di un'organizzazione che nelle costituite corporazioni ha trovato il suo compimento. In sostanza, lo stato corporativo fascista con l'elevare il lavoro a soggetto dell'economia tende a creare una nuova forma di civiltà che supera quella antecedente, nella quale la legislazione sociale aveva potuto attuarsi con carattere di compromesso, e che viene assorbita e trasformata da un'organizzazione sociale nella quale tutti i fattori della produzione, su un piede di reale e non apparente eguaglianza, collaborano nel processo produttivo e trovano, d'accordo, le vie e i sistemi migliori per l'equa ripartizione del reddito, contemperando le esigenze e le possibilità dei singoli con i superiori interessi della produzione e stabilendo una precisa e completa solidarietà delle categorie.
Nessuna frase è meglio adatta a sintetizzare l'evoluzione dell'attività sociale dello stato e quindi della cosiddetta legislazione sociale, in regime fascista, delle parole pronunciate da Benito Mussolini nel discorso di Torino (22 ottobre 1932): "Ci siamo già sganciati dal concetto troppo limitato di filantropia, per arrivare al concetto più vasto di assistenza. Dobbiamo fare ancora un passo innanzi: dall'assistenza dobbiamo arrivare all'attuazione piena della solidarietà nazionale".
In regime fascista, pertanto, la legislazione sociale non è stata soltanto assorbita e perfezionata, ma, potrebbe dirsi, ricreata mediante l'introduzione dei nuovi principî e dei nuovi istituti del diritto corporativo. Invero, nel campo dell'assistenza, che lo stato svolgeva per proteggere moralmente e materialmente i lavoratori nei loro rapporti con gl'imprenditori, è stato introdotto l'istituto del contratto collettivo di lavoro e istituita la Magistratura del lavoro, cosicché la disciplina di questi rapporti è anzitutto deferita alle categorie sociali organizzate nei sindacati, che vi provvedono col contratto collettivo di lavoro, ed è assicurata, in caso di disaccordo, dalla Magistratura del lavoro, che ha anche il compito di dettare norme regolanti i rapporti di lavoro. E così l'assistenza che lo stato svolgeva nei confronti dei lavoratori per la migliore e più equa attuazione della loro funzione produttiva viene oggi sostituita dall'intervento stesso delle categorie, rappresentate, a parità di diritti e di doveri, nelle corporazioni. E la stessa previdenza, intesa come organizzazione anticipata di soccorsi economici per i rischi che i lavoratori affrontano e i danni che subiscono in conseguenza della loro attività professionale e della loro inferiorità economica, è anzitutto opera delle categorie, attraverso il contratto collettivo di lavoro e la costituzione di istituti assistenziali o la trasformazione in senso corporativo di quelli che lo stato aveva un tempo costituito per organizzare e attuare le varie provvidenze sociali.
La legge 3 aprile 1926, n. 563, e i regolamenti che ne conseguono per dare applicazione ai principî generali in essa contenuti, e più ancora la Carta del lavoro, promulgata il 21 aprile 1927, introducono i nuovi principî e i nuovi istituti della giustizia sociale in regime fascista. In particolare la Carta del lavoro definisce (dichiarazioni XI a XXI) la "garanzia del lavoro" e si occupa (dichiarazioni XXV a XXX) "della previdenza, della assistenza, della educazione e della istruzione"; il presupposto è la solidarietà corporativa delle categorie nelle imprese private e nell'organizzazione economico-sociale moderna. Basti richiamare fra le nuove norme innovatrici nei confronti della legislazione sociale preesistente, quelle che disciplinano la formazione del rapporto di lavoro e il collocamento, quelle che riguardano il contenuto del rapporto di lavoro (durata e risoluzione del contratto, durata del lavoro e salario) e infine le norme che si riferiscono alla prestazione materiale del lavoro e che pertanto riguardano l'igiene e la polizia del lavoro, la prevenzione degli infortunî e delle malattie professionali, e si estendono anche alla tutela della personalità umana, attraverso l'assicurazione contro le malattie sociali e la costituzione di forme associative e mutualistiche per la difesa contro le malattie in generale.
E innovatrici sono anche le norme riflettenti la polizia del lavoro affidata agli organi corporativi, con l'ausilio delle associazioni sindacali, l'assistenza professionale devoluta alle stesse categorie e che tende al perfezionamento della capacità produttiva del lavoratore e al suo elevamento morale e tecnico mediante una continua opera di educazione e di istruzione che si conclude nell'attività culturale e sportiva dell'opera nazionale dopolavoro. Gli stessi istituti della previdenza vengono coordinati e unificati secondo la dichiarazione XXVI della Carta del lavoro, e la loro azione è potenziata anche attraverso l'adozione di nuove forme assicurative, sociali e popolari, destinate ad accrescere la tranquillità di vita ai lavoratori.
Affermata la parità di diritti e di doveri fra capitale e lavoro nella moderna organizzazione produttiva, ammessa la libertà di associazione nella disciplina unitaria e totalitaria dello stato, conferita la rappresentanza al sindacato unico di categoria e questo immesso nello stato attraverso la corporazione, la legislazione sociale, che nel periodo e nella organizzazione prefascista era una concessione e un'attuazione a carattere di compromesso dello stato liberale, assume oggi sostanza e forma di una efficiente tutela del lavoro e della personalità umana del lavoratore, attuata secondo i metodi e i principî del diritto corporativo, in piena collaborazione delle categorie economiche e sotto la vigilanza imparziale ed equa dello stato fascista.
Bibl.: La più vasta e sistematica raccolta di studî sulla legislazione sociale nei principali stati del mondo è costituita dalle opere e dalle pubblicazioni periodiche edite dall'Ufficio internazionale del lavoro di Ginevra; allo studio delle questioni sociali, in genere, sono dedicate tutte le opere monografiche della collana Études et documents, suddivisa in numerose serie; particolarmente utile, per il suo carattere riassuntivo, può riuscire la consultazione dell'opera: Les services sociaux (Bureau International du Travail, Études et documents, serie M, n. 11), Ginevra 1933; fra le pubblicazioni periodiche dell'Ufficio internazionale del lavoro, cfr. Rapport du Directeur (dal 1920 al 1929); Année sociale (1930, 1931, 1932, 1933, 1934-35), Revue internationale du travail, Informations sociales; Informazioni sociali (pubblicazione periodica, in lingua italiana, della Corrispondenza italiana dell'Ufficio internazionale del lavoro). Sempre per un esame generale della legislazione sociale, cfr. inoltre: R. Sand, Le service social à travers le monde, Parigi 1931; Verein für Sozialpolitik, Verhandlungen des Vereins für Sozialpolitik in Königsberg, 1930, Monaco e Lipsia 1931; e i periodici: Le assicurazioni sociali (Roma), Deutsche Zeitschrift für Wohlfahrtspflege (Berlino), International Zeitschrift für Sozialversicherung (ivi).
Per la legislazione sociale in Italia, oltre Benito Mussolini, Scritti e discorsi, in particolare, VIII: La dottrina del fascismo, Milano 1935, cfr.: B. Gabba, Trenta anni di legislazione sociale, 1869-1898, Torino 1901; A. Cabrini, La legislazione sociale (1859-1913), Roma 1913; L. Barassi, Diritto del lavoro e assicurazioni sociali, Milano 1921; G. Balella, Lezioni di legislazione sociale, Roma 1927; G. Bottai, La carta del lavoro, Roma 1927; Codice del lavoro, Roma 1930 e successivi aggiornamenti; O. Fantini, La legislazione sociale nell'Italia corporativa e negli altri stati, Milano 1931; G. Del Vecchio, I principi della Carta del lavoro, Padova 1935; E. Capolozza, Compendio di legislazione sociale, Milano 1935; W. Cesarini Sforza, Corso di diritto corporativo, Padova 1935; B. Biagi, Lineamenti di economia corporativa, ivi 1936. É bene ricordare anche le encicliche papali, Rerum novarum e Quadragesimo anno rispettivamente di Leone XIII (1891) e Pio XI (1933), e la Carta del Carnaro di G. D'Annunzio (Fiume 1920). Fra le numerose pubblicazioni periodiche italiane che si interessano di questioni sociali e di legislazione sociale, cfr.: Sindacato e corporazione, edita dal Ministero delle corporazioni; Politica sociale, Le assicurazioni sociali, Assistenza fascista, Assistenza sociale agricola, Rassegna della previdenza sociale, La stirpe, ecc.