legista
Il termine l. (e " legisto ", Tesoretto 18) dal latino medievale legista (da cui anche legiste e legistre francese), ed equivalente di iurista (passato al volgare nel XIV sec.), indica lo studente, l'insegnante, lo studioso e il pratico di leggi (libri legales; com'è detto anche il Corpus iuris) e del diritto, in contrapposizione ad artista, studente di arti liberali.
D. biasima la venalità del l., il suo prestare il talento per mercede, la pretesa di voler dar sentenza nelle gravi questioni relative alla posizione delle due somme autorità.
D. lo nomina con perifrasi in Pd XI 4 Chi dietro a iura... / sen giva, con indiretta allusione al suo metodo in Cv IV XXVI 14 lo vecchio per più esperienza dee essere giusto, e non essaminatore di legge; lo bolla di venalità, senza nominarlo, in Mn I I 5; lo esclude dal novero dei filosofi in Cv III XI 10 Né si dee chiamare vero filosofo colui che è amico di sapienza per utilitade, sì come sono li legisti, [li] medici e quasi tutti li religiosi: perché pur essendo amico di sapienza persegue compensi nella sua arte. La ragione del non potersi pretendere mercede per opera d'ingegno, sempre in ordine al l., accoppiato ancora col medico, è giustificata dalla circostanza che la professione di l. è frutto più che di arte di senno, il quale, come dono di Dio, dev'essere speso a pro degli altri figli di Dio: Cv IV XXVII 8-9 Potrebbe qui dire alcuno medico o legista: ‛ Dunque porterò io lo mio consiglio [consilia erano le tipiche opere per la pratica forense] e darollo eziandio che non mi sia chesto, e de la mia arte non averò frutto? '... Dico dunque, messer lo legista, che quelli consigli che non hanno rispetto a la tua arte e che procedono solo da quel buono senno che Dio ti diede... tu non li dei vendere a li figli di Colui che te l'ha dato.
L'invettiva contro il l. prorompe in Mn II IX 20 Videant nunc iuristae praesumptuosi quantum infra sint ab illa specula rationis unde humana mens haec principia speculatur, et sileant secundum sensum legis consilium et iudicium exhibere contenti: la speculazione razionale, mercé la quale s'indagano i principi filosofico-politici, è cosa tanto superiore al mestiere del l.: abbia perciò questi la compiacenza di non intromettervisi, e sia pago di dare pareri e giudizi a stregua di legge.
Una volta D. usa l. nel senso di " legislatore ", in riferimento a Moïsè (e in riferimento allo stesso usa questo termine anche Fazio degli Uberti Ditt. VI 11): If IV 57 Moisè legista e ubidente; il termine ‛ legislatore ', mot des savants, comparirà del resto solo nel sec. XVI (due secoli avanti in francese), e quindi D. dice legislatore ‛ ponitore della legge ', Cv I VIII 4; in latino ha pure ponere e imponere leges (Mn I IV 5, XII 12); oppure usa legis lator (ma il latino classico ha piuttosto " legis scriptor "): Mn I XII 11, XIII 7. Due volte, nella grafia cancelleresca medievale, ha l'altro deverbale di lex, legiptimus: Ep I 6, VII 27.