LEGNO (ξύλον, lignum - prodotto naturale, cioè la parte legnosa della pianta; ὕλη, materies - il l. considerato in rapporto al suo impiego: industriale, domestico, artistico)
L'uso del l. ha origine con la comparsa dell'uomo e i suoi bisogni quotidiani. Le qualità di l. usate dagli antichi sono numerose (v. elenco completo in Blùmner); essi si servirono in un primo tempo delle specie indigene, poi, con l'evolversi della civiltà, le zone più sprovviste d'alberi importarono il l. da quelle più ricche di questa materia per usi industriali, domestici e per lusso. I Romani importarono in gran quantità legni pregiati per i mobili di lusso delle loro case.
Nella preistoria il l. fu usato per costruire rifugi, fortificazioni, palafitte, barche e inoltre per fabbricare utensili domestici d'ogni tipo, armi e fusti di armi.
Sulla tecnica della primitiva lavorazione poco si sa: doveva compiersi per mezzo di strumenti di pietra: asce, cunei, coltelli, seghe; con la scoperta del metallo gli utensili si fecero di rame, di bronzo ed infine di ferro e furono assai simili a quelli odierni. A seconda dell'uso a cui i varî legni erano destinati, i tronchi venivano tagliati e preparati in diversi modi, venivano impiegati ancor umidi, oppure dopo esser stati asciugati o tenuti al fuoco per essere piegati. Vastissimo impiego ebbe il l. in tutte le costruzioni civili e militari del mondo antico. Quasi tutti i tipi di l. si consideravano materiali da costruzioni meno quelli troppo deboli o di dimensioni troppo piccole.
Il l. fu la materia prima per le costruzioni navali, sia per la produzione della nave vera e propria, sia per le rivestiture, finiture che, a volte, come nella nave di Gerone e di Tolomeo Filopatore erano di l. prezioso, artisticamente lavorate ad intarsio col tornio ed ornate d'oro, d'avorio, di bronzo. Pochi dettagli tecnici si hanno sull'impiego del l. nel lavoro del carradore. Di più si conosce delle tecniche usate dai falegnami per costruire porte, che potevano essere massicce o di assi incollate insieme e ornate di bronzo e metalli nobili, avorio e tartaruga.
Scultura. - Il lavoro di falegnameria, inteso come costruzione di mobili per l'arredamento della casa, metteva in opera varie qualità di l. sia indigene che esotiche. I mobili venivano fatti massici ed impiallicciati; lamine di l. pregiati, come per esempio l'ebano, la tuia, erano poste su materiale più comune; si facevano in questo modo letti, tavoli. Di tuia si fecero a Roma tavoli massicci a prezzi favolosi. Si usava la tecnica ad intarsio, con tartaruga, avorio; i mobili di lusso erano finemente lavorati al tornio. Alla falegnameria poi è da aggiungere la fabbricazione di numerosi utensili domestici, forniture varie, oggetti da toletta, giochi per bambini, tavolette per scrivere e per dipingere, impugnature per attrezzi ed armi, bastoni, lance e giavellotti, strumenti per campagna, casse, cofani, vasi per trasporto di vini ed infine ciotole e crateri per cui venivano usati legni speciali spalmati con cera internamente, strumenti musicali. Per rendere più belli i diversi legni si usavano varî mezzi di lucidatura e verniciatura. Il lavoro a tornio usato più o meno, a seconda della costosità dell'oggetto, era noto fin dai tempi omerici. Poche notizie restano sulla precisa esecuzione di questo lavoro, ma da pitture vascolari possiamo notare come progredita fosse la tecnica antica in questo campo.
Poco ci è noto anche della tecnica usata dagli scultori in l., benché in ogni periodo dell'antichità la scultura formasse un importante ramo del lavoro in legno. Per la statuaria erano usati legni resistenti all'azione del tempo e non facili a spaccarsi. La lavorazione si compiva certamente con una specie di coltello, chiamato da intaglio, ed oltre a statue venivano intagliati vasi a rilievo, casse e cofani, sarcofagi, cornici, fregi, ecc.
Al larghissimo uso del l. nell'antichità contrasta la estrema scarsezza. dei reperti dovuta alla difficoltà di conservazione di questo materiale assai deperibile, salvo quando si sono verificate condizioni particolari, come in Egitto dove il l. si conserva per il clima asciutto e nei kurgan dell'Altai (v.) dove si è conservato sotto ghiaccio. Delle civiltà preistoriche abbiamo resti di palafitte e terremare; pali di sostegno, gabbioni, tavolati, canotti, trovati nelle torbiere e nei laghi ed inoltre oggetti d'uso, ciotole, ecc. La tecnica impiegata per la lavorazione dei pali delle palafitte era la più semplice, e cioè quella che Teofrasto (una delle fonti antiche che maggiormente si è occupato del l. dal punto di vista tecnico) chiama στρόγγυλα e Plinio rotunda; essa consisteva nello scorticamento di un tronco. Le qualità dei legnami impiegati per tale uso erano varie, presumibilmente quelle che si trovavano sul posto: così, ad esempio, i resti di una palafitta trovata nel Naviglio grande di Milano erano di rovere, quelli di una palafitta, forse dell' Età del Bronzo, trovata nel lago di Varese, sono in larice, ecc.
Al clima asciutto ed al terreno sabbioso dell'Egitto si devono il maggior numero di oggetti e statue lignee dell'antichità. Questi lavori mostrano come fin dalla III-IV dinastia gli Egiziani fossero abilissimi nella tecnica della scultura e della fabbricazione dei mobili, oggetti da toletta, sarcofagi. Il lavoro finito veniva ricoperto di stucco e dipinto a vivaci colori (v. arredamento). Accentuato realismo mostrano le statue, in genere di misure piccole, per evitare brutte aggiunte, e rappresentanti schiavi, scribi, dignitari, uomini e donne sconosciuti, faraoni e i loro familiari, divinità.
A Creta il l. non rappresentava solo un notevole coefficiente dell'architettura dei palazzi ma era anche uno dei materiali impiegati nella statuaria. Nel muro N del portico E del Palazzo di Cnosso lo Evans (The Palace of Minos, iii, p. 522 ss.) trovò, fra una massa di l. carbonizzato, un gruppo di quattro riccioli in bronzo: egli dedusse che doveva trattarsi dei resti di una statua lignea con riccioli in metallo. In base alle dimensioni dei riccioli lo Evans arrivò anche a stabilire la approssimativa altezza della statua, circa m 2,80, e ritenne la sua acconciatura femminile. Egli ne dette anche una ipotetica ricostruzione, supponendo che fosse in l. di cipresso poiché questo era il tipo di l. adoperato per le strutture architettoniche del palazzo e propose un parallelo con l'Apollo di Cirò che aveva testa di marmo, capelli di bronzo, mani e piedi di marmo e forse corpo di legno.
Sul sarcofago di Haghia Triada si è visto un simulacro forse ligneo di divinità verso cui un offerente protende una barca. La tecnica di questa più antica statuaria lignea è illustrata da Plinio (Nat. hist., Frag., vii, 198): "L'arte di lavorare il l. la trovò Dedalo e, in essa, la sega, l'ascia, il filo a piombo, la trivella (terebram), il glutine, la colla di pesce; Theodoros di Saino la squadra (normam), la livella (libellam), il tornio e la chiave (clavem)...".
La conoscenza dell'intaglio e della scultura in l. nella cultura omerica trapela da molteplici indizi: artefice del ligneo cavallo di Troia fu Epeios; Platone (Ione, 533) lo chiama figlio di Panopeos e dice che può essere stato un beota. Per Euripide, invece, era focese. Lo stesso Ulisse illustra le proprie abilità di intagliatore di legname quando parla dell'olivo in cui lavorò il proprio letto a Itaca.
L'antichissimo uso della scultura lignea è legato in parte anche ad un remotissimo culto degli alberi (dendrolatria) dei popoli egei.
Residui di oggetti in l. vi sono nella civiltà micenea. Si è supposto che nelle tombe a pozzo di Micene vi fossero sarcofagi di l., ma i pochi reperti non danno una dimostrazione sicura. La Mesopotamia assai povera di l., lo importava dai paesi più ricchi, perciò per l'alto costo che ne derivava era permesso solo ai principi per il loro palazzo. Statuette d'avorio dell'Asia Minore e hittite hanno dimostrato d'avere internamente un'anima di l., tecnica che si conservò anche per i grandi simulacri crisoelefantini greci di età classica. In Grecia ancora al tempo di Pausania le prime statue, gli xòana lignei non erano solo un ricordo ma sussistevano ancora in molti santuarî della Grecia a testimonianza di culti molto antichi. Pausania dice che questi xòana erano di differenti qualità di l.: ebano, cipresso, cedro, quercia, pero, ginepro, tasso e loto (albero nordafricano dal l. duro e nero). Altri legni usati erano la tuia, il ginepro, l'olivo. La sola descrizione dettagliata di questi xòana è quella che fa Pausania (iii, 18, 6; 19, 5), dell'Apollo di Amyklai: era opera di Bathykles di Magnesia, in l. ricoperto di bronzo. Si è creduto riconoscerne la rappresentazione su monete della Laconia (v. amyklai e bathykles).
In l. di cedro era l'Arca di Kypselos, anch'essa descritta con ammirazione da Pausania; era intarsiata d'oro e di avorio con scene mitiche disposte su cinque fasce ed era stata consacrata da Periandro tiranno di Corinto, in ricordo del salvataggio di Kypselos (v.) dalle mene dei Bacchiadi (fine VII - metà VI sec. a. C.).
Xòana sono legati ai nomi di illustri scultori greci: così a Endoios, ritenuto scolaro di Dedalo, sono riferiti il simulacro di Artemide in Efeso, e quello di Atena seduta a Erythrai (v. endoios). Di Epeios, il mitico artefice del cavallo di Troia sarebbe stato uno xòanon di Hermes ad Argo (Paus., ii, 19, 6; v. epeios). Altri xòana, menzionati dalle fonti si trovavano in genere nelle più remote vallate del Peloponneso, ove non erano passati i Dori e ancora sopravvivevano vecchi dialetti: rappresentavano il retaggio di culti predorici, connessi con la leggenda che faceva di Dedalo l'inventore della scultura lignea. Le qualità di l. usate erano talvolta connesse con la natura e l'attributo della divinità stessa: così i simulacri di Atena erano in olivo, quelli di Priapo e Dioniso Meilichios in fico, quelli di Dioniso Bakchèios in l. di vite, ecc.
In epoca classica, pur subentrando la pietra e il marmo, il l. rimase in uso per statue di divinità campestri e nell'epoca classica è prescritto in casi particolari. Kanachos scolpiva per Tebe un Apollo Ismenio in cedro; una legge religiosa di Cirene prescrive, in piena epoca classica, il l. e l'argilla per i "colossi" che servono al rituale dei supplizi.
Un'iscrizione di Delo del III sec. a. C. mostra come a Dioniso venisse offerto annualmente un dio-phallos in l. di corniolo totalmente dipinto.
Purtroppo manca quasi completamente la documentazione diretta di oggetti e statue in l. della Grecia poiché il clima umido di questa regione ha impedito la conservazione di un materiale così perituro.
La più antica rappresentazione di una statua di culto lignea su suolo greco è quella su un aröballos protocorinzio proveniente dalla Beozia (Oxford, Ashmolean Museum).
Dall'Heraion di Samo proviene un gruppo di sculture in l., tra cui notevole il gruppo ora perduto di Zeus ed Hera (v.), due testine, un uomo con corto chitone e una immagine di Hera. La datazione di queste statuette si distribuisce per tutto il VII sec. a. C. Si sono inoltre rinvenuti alcuni sgabelli, con fini ornati geometrici, e alcuni piatti databili all'VIII secolo. Un gruppo di mobili resta di più difficile datazione, mentre alcune barche votive sono databili al VII secolo.
In Sicilia, a Palma di Montechiaro, in una stipe votiva arcaica, tra vario materiale furono trovate tre statuette femminili di l., col pòlos in testa. Sono state identificate come xòana di divinità locali, forse Demetra e Kore, in connessione alla fonte sulfurea trovata vicino alla stipe.
Le eccezionali condizioni ambientali, un terreno fangoso costituito da argilla di materia organica decomposta entro cui si era disciolta la anidride solforosa hanno permesso la conservazione di questi incunaboli. Uno (alto 16,7 cm) è in l. di pioppo e gli altri due (rispettivamente 18,8 cm e 17,2 cm) in cipresso. (La Gorgone dedicata dagli Agrigentini nel tempio di Atena a Lindo era in l. di cipresso con faccia in pietra).
Le tre statuette, di aspetto dedalico, sono state datate alla fine del VII sec., ma forse discendono nel VI.
Resti di un gruppo statuario ligneo acefalo con una figura stante ed una seduta, entrambe panneggiate, proviene dalla grotta di Xylocastro (Pitsà) presso Corinto (v. oltre).
Un altro gruppo di statuette e di oggetti lignei completamente mineralizzati, databili tra il VI e il IV sec. a. C., sono stati trovati recentemente (1957-58) in Italia negli scavi condotti a Rocca San Felice, nella valle di Ansanto, in provincia di Avellino.
Da questi rari incunaboli e da alcune raffigurazioni vascolari, ove sono rappresentati scultori di l. intenti al lavoro (dal V sec. in poi: coppa del British Museum, coppa di Copenaghen, hydrìa di Boston, ecc.) si può concludere che gli attrezzi impiegati in età arcaica erano l'ascia, il martello, lo scalpello, la sgorbia, le aste, i succhielli; nel VI sec. si aggiunsero la ruota, la riga e la squadra; nel V anche il compasso.
Dall'Etruria nonché da Palestrina (Museo di Villa Giulia, Roma) proyengono oggetti da toletta e d'ornamento della fine del IV, inizio III sec. a. C. Sono scatolette porta belletto in forma di animali, colombe, quadrupedi (muli); una è in forma di colomba che porta un mulo sul dorso. Tra gli oggetti d'ornamento, notevole è una mascherina silenica finemente lavorata. Ancora vi sono ciste completamente di l. e frammenti di ciste in bronzo, l. e cuoio.
Da tombe della Crimea della fine IV-inizio III sec. a. C. provengono numerosi resti di sarcofagi lignei e di oggetti non meglio identificati, in cui è da notare la finezza della lavorazione ad impiallicciatura ed intarsio, e la combinazione di due l., come il cipresso e il tasso, e su cui spesso sono magnifici disegni incisi con tracce di vivaci colori, il cui stile ci riporta al IV sec. a. C. Un'altra ricchissima serie di oggetti lignei proviene dai tumuli dell'Altai ove il clima particolarmente rigido ha consentito la conservazione di materiali altrimenti deperibili (v. altai; pazyryk) e dall'Estremo Oriente (v. lacca).
Una statuetta di Mercurio, in ebano, è a Tunisi nel Museo del Bardo (altezza cm 12,5) del III sec. d. C., una bambola, forse in quercia totalmente pietrificata per le infiltrazioni di acqua, fu trovata in un sarcofago romano di età antoniniana, ora al Museo delle Terme. Le fonti ci dicono che nei tempi arcaici le statue di divinità erano di questa materia. Tale era, ad esempio, il simulacro di Veiove fatto di l. di cipresso, dedicato nel 193 a. C. e ancora intatto al tempo di Plinio (Nat. hist., Frag., xvi, 213-217).
Dalle città vesuviane restano brani di elementi lignei usati nella costruzione ed arredamento delle case sia in originale (Ercolano, Casa del Tramezzo di Legno, ecc.) sia in impronte di gesso (v. arredamento). Restano pure mobiletti e varî utensili domestici ed industriali, nessun oggetto artistico. Una delle più nobili funzioni del l. è quella di costituire il supporto per la pittura. La grande pittura greca su cavalletto è tutta scomparsa: unico incunabolo superstite una serie di quattro tavolette in legno di cipresso scoperte nel 1935 nella grotta di Xylocastro (Pitsà), presso Corinto, la cui conservazione fu dovuta alle frane che, bloccando l'ingresso della grotta, impedirono la penetrazione dell'aria. Sono rappresentate offerte votive alle ninfe; l'alfabeto delle iscrizioni che accompagnano le figure, lo stile della pittura e la parola Corinthios che accompagnava il nome ora scomparso dell'artista, le fanno collocare in ambiente stilistico corinzio e distribuire fra la fine del VII e la seconda metà del VI secolo. I colori, a tempera, sono stesi su una finissima preparazione di gesso.
Una copiosa documentazione di un particolare tipo di pittura su legno è quella costituita dai ritratti egizi detti del Fayyūm dal luogo dei maggiori ritrovamenti. Sono circa seicento ritratti dipinti con tecniche varie e cioè a tempera, a encausto o con tecnica mista su sottilissime tavolette di cedro, sicomoro, platano, tiglio e fico, cronologicamente compresi fra il I e il IV sec. d. C. (v. fayyūm).
Architettura. - In ogni epoca ed in ogni civiltà architettonica il l. è stato adoperato per le costruzioni, spesso quando la sua abbondanza e la vicinanza dei grandi boschi ne ha suggerito l'impiego con profitto economico ed allorquando l'uso di un materiale leggero e facilmente lavorabile è apparso all'uomo da preferirsi per risolvere i numerosi problemi dell'arte del costruire. In Europa centrale e settentrionale e nell'Asia centrale ed orientale, India, Cina, Giappone, fin da tempo antichissimo, per la presenza di grandi estensioni di boschi, grande fu l'uso di questo materiale che invece appare in minor misura nelle costruzioni del bacino del Mediterraneo e nei paesi greco-latini. La continuità dei metodi di lavorazione locale tramandata di generazione in generazione sino ad epoca recente e contemporanea nelle varie regioni, e la testimonianza da costruzioni lapidee la cui forma in genere proviene dall'imitazione di quelle in l. con un criterio di trasposizione pressoché costante nelle costruzioni antiche e dovuto a cause diverse, sono atte a farci conoscere quale sia stata l'evoluzione delle architetture in l. e l'uso di questo materiale nell'antichità.
Da quanto si può osservare nelle scene figurate che decorano le pareti delle tombe ove sono illustrate le operazioni di abbattimento degli alberi e la loro lavorazione di grande e piccola carpenteria si dedusse che gli Egizî furono molto esperti nell'uso del l., anche se questo materiale presso di loro non abbondante veniva da essi importato dai mercati stranieri del Libano, della Grecia, dell'Asia Minore, dell'Africa.
Data la mancanza del l. sul posto sembra poco probabile che prima dell'architettura in pietra dei loro palazzi e dei loro templi si sia svolto un ciclo di architettura basato sull'impiego di questo materiale anche se per la sua natura plastica esso doveva apparire adatto ad imitare le forme del regno vegetale nei modi cari agli Egizî.
Ma il perdurare di una sapiente tradizione di lavorazione vive anche oggi presso gli artigiani arabi, ed il persistere in forma arcaica, come nelle grotte sepolcrali di Benī Ḥasan (XII dinastia), di aspetti strutturali che ricordano le armature in l. predisposte per lo scavo delle gallerie (indice di una trasposizione di forme che fu forse di più grande e vasta portata) possono far affermare che numerose architetture degli Egizî siano state originariamente costruite in l., con un risultato formale quale oggi attestano le più durevoli costruzioni in pietra. Dal palo in l. superiormente ornato di frasche nacque, ad esempio, la colonna lotiforme; da più pali in fascio il modellato analogo della colonna in pietra. Di tutto questo ciclo di architetture in l. nulla ci resta e pertanto è impossibile qualsiasi determinazione della sua importanza che fu certo ridotta dalla mancanza di materiale sul posto. La Persia con i cipressi e i platani ebbe materiali per i grandi palazzi persiani ove fu in l. la copertura, ma la mancanza delle lunghezze necessarie a coprire rilevanti luci indusse all'adozione delle travi composte come a Persepoli e a Susa. L'orditura minore rimase in travicelli e tavole.
Da quanto si riscontra nei metodi di lavorazione trasmessi a noi per tradizione e da quanto ricordato in Vitruvio, uno stile particolare caratterizzò le costruzioni in l. dell'Asia Minore. Ancora oggi nella regione del Sangario le case sono costruite con tronchi alternativamente sovrapposti nei due sensi ad angolo retto, e l'uno nell'altro incastrantisi con intaccature a mezzo legno. Le coperture sono formate portando in sbalzo travi ravvicinate. L'ossatura in legname delle case della Grecia studiate dallo Choisy si spiega con la forma degli alberi che crescono ricurvi sui fianchi a scarpata dei Monti Tauri. Le travi sono formate da due tavole accostate di sbieco e dalla forma di esse si è tratto un motivo decorativo dell'ossatura in legname del tetto ove i terminali delle travi in aggetto sono ricurvi come medaglioni. Nella Frigia era invalso l'uso di capriate in l. come si osserva per analogia nella facciata scolpita nella roccia e conosciuta sotto il nome di Tomba di Mida. Tuttavia il procedimento delle travi composte fu di solito adoperato nelle regioni dell'Oriente come Frigia, Asia Minore, povere di legno.
Nelle regioni invece come l'India, ricca di legnami, le architetture trasferirono in pietra i procedimenti che furono e sono anche oggi adottati nelle costruzioni in legno. In tutte le architetture sacre, nei templi, nei porticati, nei recinti, gli elementi lapidari sono disposti come se fossero in legno. Lo Choisy, che cita come tipico tra gli altri esempi di questa carpenteria in pietra la recinzione di Sanchi (v.), distingne tra le idee che predominano nella India, nell'arte della carpenteria in l.: l'accatastamento; il rinforzo obliquo degli angoli; l'uso degli archi di tavole.
Nell'accatastamento, i tronchi d'albero sono impiegati a strati; un letto per lungo è alternato con un letto per traverso e molte volte con tale procedimento è realizzato lo sbalzo (ill. Choisy, i, 159). Il rinforzo obliquo è spesso effettuato da l. diritti o curvi che lavorano in angolo come puntoni. Gli archi sono formati con tavole in prolungamento l'uno dall'altro incastrate e rinforzate. Così di grandi strutture in legname sono formati i templi di Kutub, di Siva, di Delhi; Cina e Giappone elevarono esclusivamente in l. i loro edifici con un sistema di ritti sostenenti la copertura a tetto a formare il ting. L'incastro di elementi verticali con altri orizzontali è opportunamente rinforzato con fregi arcuati formando il tipico elemento a forcella (v. cinese, arte; giapponese, arte; indiana, arte; indocinese, arte; indonesiana, arte).
Per la sua scarsità nel bacino del Mediterraneo il l. appare come un elemento sussidiario. Nella primitiva civiltà cretese maggiore fu forse l'uso di questo materiale. Lo attestano i modellini di case in ceramica del museo di Iraklion e i resti trovati dallo Evans a Cnosso e dalla missione italiana a Festo. Le colonne e le travi del Palazzo di Cnosso erano in l. di cipresso (cupressus horizontalis). Sopra i sostegni conici si appoggiarono travate orizzontali, con l'interposizione di un embrione di capitello. A Tirinto le testate dei muri (ante) dovevano essere in montanti di l. raggruppati, ed in l. fu certo la copertura del mègaron. Nel processo di formazione del tempio dorico il l. ebbe parte talmente importante che per taluni studiosi, come lo Choisy e lo Chipiez, la forma in pietra sarebbe la traduzione di un persistente aspetto in l. del tempio. Numerose rappresentazioni vascolari riproducono edifici indubbiamente costituiti da strutture lignee, ed elementi lignei esistevano ancora in Grecia, conservati per ragioni di culto, al tempo di Pausania. Da alcune strutture lignee usate in Asia pervennero alcune forme dello stile ionico come quella del capitello eolico la cui formazione risalirebbe alla necessità costruttiva per la quale su di un elemento verticale si dispose, come intermedio del sovrapposto architrave, un elemento minore a guisa di stampella ed, analogamente, dalla persistente forma in l. della travatura di travicelli di copertura, deriverebbe la dentellatura caratteristica della trabeazione ionica.
Nell'architettura classica latina il l. appare con funzione di accessorio costruttivo. A Pompei il l. era adoperato sugli avancorpi, su mensole e sui soffitti a cassettonato.
In l. era nel teatro romano la copertura della scena ed in l. erano il ponte sul Reno costruito da Cesare e il ponte sul Danubio costruito da Traiano.
Negli edifici a pianta longitudinale, basiliche, celle di templi, sale di palazzi o case, la copertura lignea compie la funzione di completamento mediante strutture celate entro il rivestimento a lacunari dei soffitti cassettonati.
Nelle basiliche orientali-siriache e africane, invece, la copertura costituita da capriata rappresentava anche la decorazione terminale dell'ambiente.
Ai Romani si deve l'introduzione delle strutture triangolari a tirante la cui combinazione rendeva possibile le grandi aperture quali quella delle basiliche di Traiano (larga 75 piedi), di Fano, della Basilica Giulia, dell'aula del Palazzo Sessoriano ed ancora della Curia di Pompeo e del tempio di Antonino e Faustina.
Bibl.: H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Kunst den Griechen und Römern, II, Lipsia 1879, p. 239 ss.; S. Reinach, Antiquités du Bosphore Cimmérien, Parigi 1892, tav. LXXXI, LXXXII, LXXXIII, LXXXIV; A. Jacob, in Dict. Ant., s. v. Materia; Ligna; Sculptura, Parigi 1918; H. Fachheimer, Kleinplastik der Aegypter, Berlino 1922; id., Die Plastik der Aegypter, Berlino 1922; Goetze, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, Berlino 1925, s. v.; C. Blümel, Griechische Bildhauerarbeit, Berlino-Lipsia 1927; V. Spinazzola, Le arti decorative in Pompei e nel Mus. Naz. di Napoli, Milano 1928; H. G. Evers, Staat aus dem Stein, Monaco 1929; G. M. A. Richter, Sculpture and Sculptors of the Greeks, New Hawen 1930, p. 135; P. Cloché, Les classes, les metiers, les trafics, Parigi 1931; W. Deonna, Dédale ou la statue de la Grèce archaïque, Parigi 1931, p. 128; S. Casson, The Technique of Early Greek Sculpture, Oxford 1933; Ch. Picard, Manuel, La Sculpture, I, Parigi 1935, p. 162 ss.; A. Orlandos, in Am. Journ. Arch., XXXIX, 1935, p. 5; E. Pierce Blegen, ibid., XXXIX, 1935, p. 134 (pinakes di Xylocastro); A. Maiuri, Ercolano, Itinerari dei Musei e Monumenti d'Italia, tav. XII, 22; tav. XIV, 24; tav. XV, 25; tav. XVI, 27; tav. XXIII, 42; G. Caputo, in Mon. Ant. Lincei, XXXVII, 1938, c. 585 ss.; T. Alfred, Old Kingdom Art in Ancient Egypt, Londra 1949, (cfr. R. Bianchi Bandinelli in Encicl. Ital., s. v. Xòanon); E. Buschor, Frühgriechische Jünglinge, Monaco 1950, p. 32, figg. 35-36; A. Rumpf, Handbuch, Malerei, Monaco 1953; D. Ohly, in Ath. Mitt., LXVIII, 1953, pp. 77-126 (ritrovamenti di Samo); A. Orlandos, Τὰ ὕλικα Δόμης τῶν ἀρχαίων ᾿Ελλήνων, I, Ξύλον καὶ ὁ πηλός, Atene 1955-56; S. Augusti, Traitement de conservation de quelques objects de fouille en bois, in Conservation, IV, 4, 1959, pp. 146-151 (oggetti di Rocca S. Felice).
(G. Bermond Montanari - L. Vlad Borrelli - † G. Grana)