LEGNO (XX, p. 780; App. II, 11, p. 181)
La situazione mondiale. - L'attenzione che, in misura assai maggiore che non per il passato, si dedica alle foreste ed al legno, deriva dal fatto che di fronte ai reali pericoli provenienti da inconsiderate distruzioni, le autorità responsabili di quasi tutti i paesi hanno dovuto affrontare una politica di conservazione del patrimonio boschivo che ha le sue premesse negli studî compiuti dagli Istituti di ricerche forestali. In secondo luogo l'affermarsi di una molteplicità di impieghi e di trasformazioni (segnatamente dei compensati e dei pannelli da costruzione), l'aumento naturale della popolazione e di tutti i consumi (specialmente per gli usi della carta e delle fibre tessili artificiali) ha portato a un rarefarsi della materia prima legno, che il periodo della ricostruzione post-bellica ha posto particolarmente in evidenza.
Se i tecnici hanno dovuto di conseguenza vedere con quali mezzi si può ottenere un miglioramento ed un accrescimento della produzione legnosa dei boschi esistenti e sfruttabili, gli utilizzatori hanno dovuto affrontare il problema della messa in valore delle risorse non ancor toccate perché in zone molto lontane o del tutto impervie: sotto tale riguardo l'uso di adatte attrezzature e di potenti mezzi meccanici insieme a una efficiente organizzazione del lavoro ha portato a risultati indubbiamente felici.
La situazione attuale, quale risulta dai dati ufficiali della FAO, è indicata nelle tabelle 1 e 2.
I risultati di una maggior produzione dovuta agli sforzi dei forestali sarebbero stati tuttavia inadeguati a coprire il vertiginoso aumento dei consumi se gli studî di tecnologia non avessero parallelamente compiuto enormi progressi.
Il ricorso a nuove foreste ha imposto l'indagine delle caratteristiche di l. pressoché sconosciuti, tra i quali non pochi, degni del massimo interesse, alimentano fiorenti industrie (consultando la tab. 3 si può rilevare la differenza sostanziale che esiste tra i legni richiesti oggi dal commercio e quelli conosciuti un tempo: cfr. XX, pp. 784-86).
La necessità di risparmiare al massimo l'impiego di legname da costruzione ha portato ad una generalizzazione dei trattamenti preservativi per aumentarne la durata in opera, e allo studio di particolari tecniche costruttive per adeguare le dimensioni strutturali alle reali sollecitazioni.
Soprattutto notevole però è stato il formidabile sviluppo dell'industria dei compensati e, in modo particolare, di quella dei pannelli di fibre e di agglomerati di legno (v. più avanti), i quali ultimi rappresentano una soluzione razionale per il recupero e l'utile destinazione di ingenti masse di legni di poco pregio, o di piccola dimensione, o addirittura di cascami altrimenti inutili.
L'evoluzione delle tecniche e dei mezzi di ricerca e di indagine (microscopio elettronico, osservazioni all'infrarosso, ecc.) ha permesso poi il notevole sviluppo della microtecnologia del legno la quale ha stretto collegamento non soltanto con la meccanica e la fisica, ma anche con la chimica.
Non vi è dubbio che l'affermarsi delle materie plastiche da un lato e quello di nuove tecniche costruttive dall'altro, ha diminuito la richiesta di legname per infissi e per rivestimenti, nonché per le costruzioni in genere, ma nel complesso, tenendo conto di tutti gli usi industriali, e particolarmente del settore carta, cellulosa e pannelli, il fabbisogno mondiale è in forte aumento. Non soltanto quindi è ben lontano il timore che si possa avere una superproduzione di l., ma all'opera delle autorità responsabili e delle Organizzazioni Internazionali (prime fra tutte la FAO e l'ECE) per una politica forestale di risparmio, accrescimento e miglioramento delle risorse boschive, si affianca l'azione di molti grandi complessi industriali che tendono a formarsi essi stessi, con piantagioni industriali, una disponibilità di materia prima per i proprî bisogni.
La situazione italiana. - Secondo i dati dell'Istituto centrale di statistica la superficie della Repubblica Italiana coperta a bosco è (al 31 marzo 1959) di ettari 5.811.859 corrispondente al 19,3% del territorio nazionale e al 20,9% della superficie produttiva. Essa è così ripartita:
Di questa superficie le foreste demaniali (ivi comprese quelle delle regioni autonome) rappresentano circa il 3%.
Il legname da lavoro, da opera e da trasformazioni chimiche (cellulosa, carta, estratti tannici, ecc.) utilizzato nei boschi italiani risulta dal diagramma della fig. 1 nel quale appaiono altresì il contributo delle piante sparse tra i coltivi (costituito essenzialmente da latifoglie, e particolarmente da pioppo) nonché le importazioni (al netto delle esportazioni) quali risultano dai dati dell'Istituto centrale di statistica. Per quanto concerne il valore del materiale legnoso importato sotto varia forma, al netto delle esportazioni, esso è stato di 109 miliardi di lire per il 1958 e di oltre 121 miliardi per il 1959: cifre che rappresentano rispettivamente il 27,3% e il 43,4% dello sbilancio importazioni-esportazioni dei due anni citati.
Da tale diagramma, che abbraccia un periodo di 13 anni, appare evidente il continuo aumento dei consumi, al quale non corrisponde certo un pari aumento di produzione legnosa delle foreste: infatti, per quanto si cerchi di estendere superficie e produttività di queste ultime, la massa legnosa utilizzabile è da considerarsi non possa superare i 3,5 milioni di m3 (di tondo) all'anno.
La situazione nel settore dei combustibili legnosi (legna da ardere e carbone vegetale) è indicata dal diagramma della fig. 2, nel quale non si è tenuto conto né del fasciname minuto né della legna prodotta dalle alberature tra i coltivi (valutata a circa 15 milioni dì quintali), che si considera tutta consumata dai produttori per il proprio fabbisogno. Tale diagramma denota una forte flessione del consumo (produzione + importazione − esportazione) derivante essenzialmente dal crollo del mercato del carbone di legna dovuto all'affermarsi dei gas naturali anche nelle zone ove da varî secoli il carbone era l'unico combustibile usato per la cottura dei cibi.
Tale situazione, grave in modo particolare per i cedui, è purtroppo accompagnata dalla seria minaccia che pende sui castagneti da frutto insidiati dal cancro della corteccia (Endothia parasitica) e dall'abbandono di ogni cura colturale da parte dei proprietarî a seguito del diminuire della richiesta del frutto.
Entrambe queste ragioni hanno favorito un fiorire di studî per utilizzare a scopi cartarî il materiale legnoso disponibile in tutti questi boschi. Mentre già qualche stabilimento utilizza legna di castagno detannizzato per cartoni e carte andanti, è da auspicare che anche l'impiego per carta o per cellulosa del materiale ceduo passi presto in una fase di realizzazioni concrete.
Per sopperire alle necessità dei consumi non vi sono per il momento altre soluzioni all'infuori dell'aumento delle importazioni, del passaggio alle industrie di trasformazione chimica di una parte della legna combustibile, di un maggior gettito delle alberature fuori foresta che sono ormai alla base di varie industrie in piena attività, quali quelle della carta, della cellulosa, dei compensati e dei pannelli da costruzione.
Criterî attuali informanti la politica forestale italiana. - La situazione nettamente deficitaria della produzione forestale italiana non può essere considerata come elemento economico a sé espresso dal solo bilancio importazione-esportazione: le foreste infatti sono parti integranti dell'agricoltura di un paese e determinano per le zone di montagna situazioni di fondamentale importanza tanto dal punto di vista della conservazione del suolo o del buon regime delle acque, quanto dal punto di vista del benessere sociale. Questi concetti, formulati chiaramente dal Serpieri nella Legge Forestale del 1923 e nei provvedimenti per la Bonifica Integrale, si sono con l'esperienza meglio precisati nel senso che la conservazione della foresta è riconosciuta oggigiorno essere non tanto un problema di polizia e di difesa da abusi delle popolazioni, oppure di semplice garanzia di un assetto idrogeologico sufficiente, quanto uno dei coefficienti dell'economia di zone povere che devono essere poste in grado di vivere con le risorse locali. Di conseguenza al Corpo Forestale dello Stato è stato affidato con la legge cosiddetta della Montagna (25 luglio 1952, n. 991) il compito di indirizzare il miglioramento di tutta l'economia di detta zona: anche se i fondi assegnati a tale settore non sono sufficienti ad un immediato intervento generale, altre disposizioni riguardanti il Meridione e le cosiddette Aree depresse (leggi della Cassa per il Mezzogiorno e delle A. D., nn. 646 e 647, del 10 agosto 1950) hanno consentito di compiere effettivamente una massa ingente di lavori e di interventi.
La Stazione sperimentale di selvicoltura di Firenze (dir. A. Pavari) e la cattedra di selvicoltura dell'università di Firenze hanno collaborato a tale opera ponendo le basi di una selvicoltura naturalistica adatta alle disformi condizioni ecologiche del nostro paese ed additando varie linee d'azione per quanto concerne difesa e trasformazione dei castagneti colpiti dal cancro, per la conversione dei cedui in fustaie di resinose, per l'introduzione in varie zone di piante esotiche adatte, per la completa conoscenza dei nostri boschi, e per l'equilibrio delle utilizzazioni possibili del suolo in quello che viene chiamato l'ambiente mediterraneo. Un elemento nuovo e di estrema importanza per l'economia del settore legno è stato però quello delle coltivazioni industriali di piante legnose a rapido sviluppo.
Le alberature fuori foresta e le coltivazioni industriali di piante da legno. - Scomparse coll'andare dei secoli le foreste della pianura padana per far luogo alle colture, in molte zone si è manifestata la difficoltà di coprire il fabbisogno di legna da ardere e di legname da lavoro. Quando l'ordinamento dell'azienda comportava la presenza di piante legnose, le spoglie di queste (potature, rimonde) potevano almeno assicurare il combustibile, ma decaduto l'allevamento del baco da seta (e scomparse di conseguenza le alberature a gelso) la specializzazione di molte aziende a produzione esclusiva di cereali e di foraggio, coll'eliminazione degli alberi intralcianti le lavorazioni meccaniche, portò alla mancanza assoluta di legna, il che obbligò a destinare a produzione legnosa i relitti lungo i fiumi e torrenti o le tare agricole (prode di canali, ecc.) che si trovano in ogni proprietà.
La scelta cadde subito sui pioppi neri e sui salici che si rinnovano facilmente per talea ed hanno rapidi incrementi: mentre dal canto suo il cosiddetto pioppo cipressino (P. nigra italica) ebbe larga diffusione lungo le strade per le sue doti estetiche. Il rapido estendersi delle coltivazioni nella pianura padana non era però immune da serî timori per il verificarsi di massicci attacchi di parassiti e di varie malattie. L'opera. realizzata dall'Istituto di pioppicoltura di Casale Monferrato dalla sua fondazione (ad opera delle Cartiere Burgo nel 1937) ad ora per studiare i mezzi di difesa dalle malattie e dai parassiti e la selezione di tipi resistenti e ad elevata produzione, ha portato a risultati brillantissimi fornendo le basi per una affermazione di tecniche razionali di coltura e per la diffusione di cloni (cioè di piante uniformi ottenute da un solo individuo esclusivamente per talea, escludendo quindi ogni possibilità di ulteriore ibridazione) robusti e a rapidissimo accrescimento.
Non soltanto l'industria cartaria si è giovata dell'apporto del pioppo, ma anche altre, quali quelle della segagione (che adopera il pioppa in sostituzione di ingenti quantitativi di abete), quella dei compensati che proprio da questa specie legnosa ha ricevuto in Italia un impulso notevolissimo (v. appresso), quella dei pannelli costruttivi (primi fra tutti quelli di lana di legno e di particelle agglomerate alle resine sintetiche, ultimi quelli di fibre: v. appresso), nonché le industrie dei fiammiferi, dei trucioli, ecc.
I brillanti risultati della pioppicoltura sono però condizionati dalla adozione di norme razionali di coltivazione ed in modo particolare da: a) impiego di pioppelle ben sviluppate (ad es. di 3 anni di indice e 2 anni di fusto), di cloni pregiati; b) lavorazione accurata del suolo sia all'impianto sia successivamente, ed appropriate concimazioni: ottime le consociazioni per i primi 3-4 anni con grano, mais o sarchiate; c) abbondante sesto di impianto (non meno di 36 m2 di superficie per ogni albero se in piantagione regolare: 4 o meglio 5 m di distanza tra pianta e pianta nelle piantagioni in filari, dette di ripa).
Con tali accorgimenti e con turni di utilizzazione di 10÷12 anni si possono ottenere su di 1 ha da 250 a 280 fusti aventi diametro a petto d'uomo da 30 a 40 cm ed altezza totale di 24÷26 m, ai quali corrispondono incrementi medî di 15÷20 m3/anno/ha, pari cioè a 6-8 volte l'incremento unitario medio dell'insieme dei boschi italiani. L'importanza assoluta della produzione pioppicola - concentrata in gran parte nella pianura padana - è notevole, essendosi ottenuta nel 1958 una produzione valutata in 1.450.000 m3 di legname da lavoro.
I successi realizzati dall'Istituto di Casale (passato nel 1952 all'Ente nazionale per la mellulosa e per la carta con la denominazione di Istituto sperimentale per la pioppicoltura) con la guida di G. Piccarolo indussero l'Ente cellulosa a creare un altro Istituto di ricerche: il Centro di sperimentazione agricola e forestale in Roma (diretto da A. De Philippis) il quale si occupa non soltanto di tutti i problemi inerenti alla diffusione del pioppo nell'Italia Centro-Meridionale, ma anche di quelli riguardanti altre specie utili per l'industria della cellulosa e della carta, in particolare degli eucalipti, dai cui cedui a breve turno si è riusciti ad ottenere in zone favorevoli incrementi annui medî di persino 50 m3/anno/ha.
Infine deve ricordarsi l'Istituto per le piante da legno di Millerose, (Torino) ove sotto la direzione di G. Piccarolo si sono affrontati i problemi della sperimentazione di conifere esotiche a rapido sviluppo ed in particolar modo della douglasia (Pseudotsuga Douglasii) e del pino strobo (Pinus strobus), delle quali specie non mancano già in Italia particelle sperimentali che hanno dato indicazioni di promettenti risultati.
Se dei successi della pioppicoltura e di quelli di altre specie a rapido sviluppo si giovano in modo particolare le industrie consumatrici, non è però auspicabile una indiscriminata trasformazione di coltivi in piantagioni legnose, ma sebbene una integrazione dell'agricoltura con le piantagioni arboree, nel senso di destinare alla produzione legnosa soltanto le zone in condizioni troppo scadenti per ottenere buone produzioni agricole, o quelle strisce ove i filari di alberi non impediscono le colture agricole attigue. Non deve essere trascurato l'apporto benefico che questi filari possono apportare alle colture quali frangiventi moderatori del clima o per la fissazione ed il contenimento delle sabbie marine.
Ricerche tecnologiche sul legno. - Nel settore degli studî sugli impieghi del legno, alla Stazione sperimentale per la cellulosa e le fibre tessili funzionante ormai da tempo a Milano, si sono aggiunti una sezione di tecnologia del legno presso il Centro di sperimentazione agricola e forestale dell'Ente cellulosa di Roma (1953), il Centro nazionale del legno (1954) creato dal Consiglio nazionale delle ricerche d'intesa con la direzione azienda stato foreste demaniali presso la cattedra di tecnologia del legno ed utilizzazioni forestali dell'università di Firenze, il Laboratorio carta dell'Ente cellulosa e carta (1959).
Industrie di prima lavorazione. - Compensati. - La fabbricazione dei compensati ha subìto dai suoi primordî ad ora una notevole evoluzione condizionata sia alle materie prime disponibili nei varî paesi, sia alle richieste dei consumatori. Così, mentre nell'America Settentrionale si fa larghissimo impiego di resinose (e segnatamente di douglasia) in spessori piuttosto forti (pannelli di 8-11 mm su 3-5 fogli) destinando elevate aliquote della produzione agli impieghi costruttivi, in Europa si lavorano legni di latifoglie in spessori inferiori, adoperando i pannelli per mobili, arredamento ed imballaggi. Alle colle di un tempo (a base di caseina e di albumina di sangue), sono ovunque sostituite quelle a base di resine sintetiche termoindurenti. In Italia esistono attualmente più di 150 fabbriche con una produzione che dai 25.000 m3 del 1946 è passata ora a 150.000 m3: almeno i 2/3 del legno impiegato sono forniti dagli ibridi euramericani di pioppo, mentre per il resto sono usati faggio e latifoglie esotiche tra le quali okoumé, limba, obeche, ilomba oppure, per impiallacciature esterne a scopo decorativo, mogani d'Africa, avodiré, iroko, noce, quercia, ecc. I pannelli più richiesti sono quelli a tre strati, con spessore totale di 3 o 4 mm, tuttavia vengono anche fabbricati pannelli a molti fogli con spessore superiore a 20 mm. Tipi particolari si possono infine avere con trattamento speciale dei fogli esterni a base di vernici costituite fondamentalmente da resine sintetiche, o con copertura di laminati plastici o di strati coibenti e protettivi di varia natura.
Fra i compensati a forte spessore (15-25 mm) si possono pure considerare i cosiddetti paniforti, ottenuti facendo l'anima interna dei pannelli non con uno sfogliato, ma con un piano di liste di legno andante, incollate lateralmente o addirittura con un pannello di particelle (v. oltre): essi trovano largo e conveniente impiego per piani da mobile, per porte e divisorî. In America sono largamente diffusi pannelli di notevole spessore (qualche cm) nei quali l'anima interna è ottenuta da uno strato di materiale a struttura alveolare (resine espanse, oppure strati sovrapposti di cartone ondulato, ecc.): essi sono destinati a scopo di isolamento nelle costruzioni o alla stessa stregua dei paniforti. In Italia vi è una certa tendenza a sostituire i paniforti con i cosiddetti pannelli tamburati nei quali due pannelli sottili di compensato (per lo più con una faccia vista in legno pregiato) sono mantenuti a distanza di 2-4 cm da un traliccio di listelli isolati o di sottili strisce in varie direzioni.
Pannelli di fibre. - I primi stabilimenti sorsero in Inghilterra (1898), S. U. A. (1908) e Canada (1909), tuttavia lo sviluppo di questa industria è avvenuto soltanto dopo la seconda guerra mondiale: la produzione mondiale è infatti passata da 823.000 t nel 1938 a 3.390.000 t nel 1955. In Italia invero non vi è stato un pari incremento: due impianti prima della guerra e quattro dopo: il consumo di prodotto finito risultava nel 1954-55 di 0,9 kg (attualmente meno ancora) pro capite, di fronte ai 20 kg/abit. dei Paesi Scandinavi, agli 11 dell'Australia ed ai 4-6 di altri Paesi Europei.
Il prodotto finito consiste di pannelli di modesto spessore che sono ottenuti con semplice essiccazione, oppure comprimendo in presse a caldo un feltro di fibre ottenute dalla sfibratura di legno o di altri materiali cellulosici, preventivamente ridotti in scaglie od in frammenti. I procedimenti per la sfibratura sono varî: impregnazione con vapore surriscaldato e successiva depressione, azione di mole speciali, sistemi combinati. Alla massa si aggiungono minime quantità di resine sintetiche destinate ad accrescere, con la loro polimerizzazione, la compattezza del prodotto, nonché - talora - sostanze impermeabilizzanti. A seconda della compressione e della temperatura raggiunta, i prodotti presentano varie caratteristiche: la classificazione della Federazione Europea dei Fabbricanti di Pannelli di Fibre (FEROPA) distingue: a) pannelli non compressi, tipo isolante o poroso, con peso specifico da 230 a 400 kg/m3, spessori compresi tra 6 e 20 mm; b) pannelli compressi, tipo medio, con peso specifico da 480 a 850 kg/m3; tipo duro, con peso specifico superante 850 kg/m3; tipo extraduro, con peso specifico 950 kg/m3. Gli spessori sono generalmente compresi tra 2 e 6 mm, eccezionalmente 10 mm. Le dimensioni superficiali giungono sino a 2 m × 2,55. Mentre i tipi non compressi servono per isolamento termico ed acustico, agli altri è riservato un vasto campo di impiego nei mobilifici, nell'arredamento di interni e per scopi costruttivi, particolarmente nelle case prefabbricate. Quali materie prime sono usate da noi resinose e latifoglie tenere (abete, pioppo, ontano): il grande vantaggio è che non occorre avere tronchi lunghi, di bella forma, ma possono essere anche impiegati pezzi di scarto, ramaglia, ecc.
Pannelli di particelle agglomerate con resine. - I primi stabilimenti sorsero in Germania (1941), Svizzera, Inghilterra e Belgio: si tratta comunque di industria recente, che nel 1956 aveva però già superato una produzione annua di 1.100.000 m3, dei quali 40.000 spettanti all'Italia con 5 fabbriche. Il prodotto finito consta di pannelli di qualche cm di spessore formati da particelle (scaglie, schegge) compresse ed agglomerati con resine sintetiche sotto l'azione del calore. Si distinguono due tipi: a seconda che ogni pannello è compresso da apposite piastre perpendicolarmente alla superficie, oppure è forzato (pann. a estrusione) a passare attraverso un lungo condotto tra due piastre formanti una sorta di trafila o matrice. I tipi attualmente fabbricati sono: a) pannelli isolanti: con peso specifico da 250 a 400 kg/m3, adatti ad isolamento termico ed acustico. La riduzione nel peso può anche essere ottenuta per mezzo di fori o cavità praticate nello spessore del pannello: se questo è del tipo a estrusione si posson raggiungere 10 cm di spessore; b) pannelli medî: con peso specifico da 400 a 800 kg/m3. Sono i più diffusi e possono presentarsi omogenei in tutto lo spessore oppure con anima di legno andante, e facce esterne in legni atti a dare effetti decorativi. Lo spessore è per lo più inferiore a 25 mm; c) pannelli pesanti: con peso specifico da 800 a 1200 kg/m3. I pannelli di particelle trovano impiego per mobili, pareti provvisorie, soffittature leggere ed altri scopi costruttivi nei quali risulta di notevole vantaggio la standardizzazione delle misure superficiali, sempre notevolmente grandi. Quali materie prime sono impiegati scarti e cascami di legni teneri (pioppo, abeti): per gli esterni faggio o legni fini.
Pannelli di lana di legno. - Constano di una massa di finissimi e lunghi trucioli (= lana di legno) impastati con una malta cementizia, compressi e lasciati riposare sino a presa totale, oppure imbevuti di una soluzione atta a far presa (per es. di ossido e cloruro di magnesio), passati tra rulli ed essiccati. Il prodotto, che può essere piano od ondulato, con spessore variabile da 1,5 a 10 cm, ha peso specifico variabile da 400 a 500 kg/m3, larghezza di 50 cm, lunghezza 2 m e più, e serve essenzialmente a scopo costruttivo per pareti e soffittature, presentando ottime doti di isolamento termico ed acustico in causa della sua struttura alveolare discontinua. In Italia esistono alcune fabbriche (Populit, Eraclit, ecc.) la cui produzione è in forte aumento. Quali materie prime servono il pioppo e legni resinosi teneri. Vedi tav. f. t.
Bibl.: FAO, World forest products statistics, Roma 1957; id., Fibreboard and particle boards, Roma 1958; Commissione Italiana del Pioppo presso il Ministero agricoltura e foreste, Atti della X Riunione della Commissione Internazionale del Pioppo, Firenze 1960; Camera Commercio Siena, Atti del Convegno nazionale del bosco ceduo, Siena 1958; G. Giordano, Tecnologia del legno, 2 voll., Milano 1951-56. Inoltre le segg. Riviste: Bollettino di Statistica dell'Istituto Centrale di Statistica (Roma); Annali dell'Accademia Italiana di Scienze Forestali (Firenze); Bois et Forêts des Tropiques (Parigi); Revue du Bois et de ses Applications (Parigi); Holz als Roh- und Werkstoff (Berino); Wood (Londra); Forest Products Journal (Madison, S. U. A.).