LEKYTHOS (λήκυϑος)
La parola viene impiegata sin dall'età omerica a designare un tipo di vaso per oli e profumi (Od., vi, 79). È da ritenere d'altra parte che per gli antichi il nome restasse legato piuttosto all'uso e alla funzione che a una precisa forma di vaso. In ogni modo si tratta di un tipo di vaso che appare in stretta e costante connessione con il mondo della palestra: e da iscrizioni sul vaso stesso che vanno dagli inizi del VI sec. a. C. sino a un'opera di Douris del 480 a. C. è palese che gli antichi chiamavano l. il piccolo vaso di uso personale indispensabile agli atleti, che noi ora chiamiamo atöballos. Più recente e specifico è il significato funerario, evidentemente derivato, che il termine ha acquistato e che gli è rimasto connesso.
1. - Gli studiosi moderni hanno riservato il nome di l. a un tipo di vaso per profumi a collo stretto e a bocca campanata: la forma del corpo è in generale allungata e le proporzioni estremamente variate. Tale forma di vaso ha una storia assai lunga e ben documentata nel mondo greco. Se escludiamo il tipo dell'aröballos, che come si è detto appartiene piuttosto alla preistoria del genere, la l. ci appare fissata nel suo aspetto canonico intorno al 6oo nelle fabbriche di Corinto e dell'Attica. Una volta ancora il parallelismo di sviluppi in questi due centri è così singolare che la questione della precedenza nell'impiego o della invenzione della forma rimane in discussione. Come nel caso della òlpe o dell'anfora a pannelli, non resta che rilevare la stretta interdipendenza delle due scuole, che per tanti altri aspetti presentano caratteristiche e sviluppi così diversi e inconciliabili.
La l. della prima metà del VI sec., sia a Corinto che in Attica, mantiene una forma globulare oppure ovoide con breve collo e solido piede ad anello. È questo il tipo che in Attica viene raggruppato sotto il nome di Gruppo di Deianeira per effetto di uno degli esemplari più notevoli (British Museum B. 30) scelto come centro del nucleo da H. Payne. Verso il terzo venticinquennio del VI sec. compare la forma a spalla separata, che poi si sviluppa in profili sempre più rigidi e intagliati sino alla fine del V sec. a. C. Non è facile fissare con sicurezza il momento in cui il tipo della l. viene ad assumere una connessione sempre più precisa e un impiego quasi esclusivo nel mondo dei morti: in apparenza è solo verso il secondo quarto del V sec. a. C. che tutte le testimonianze sembrano proporre concordemente questa accezione. Pitture vascolari di quest'epoca ci mostrano serie di piccole lèkythoi deposte ordinatamente sui gradini delle tombe o nelle mani dei defunti, mentre più tardi un famoso passo di Aristofane (Eccl., 996) ci parla espressamente di lèkythoi per i morti. A confermare questa speciale destinazione delle lèkythoi basta rilevare il fatto dell'enorme abbondanza dei ritrovamenti nelle deposizioni funebri in Grecia e in Italia: mentre non è senza suggestive implicazioni il fatto che, almeno a partire dall'ultimo quarto del VI sec. a. C., la produzione di lèkythoi dipinte segue sviluppi sempre più peculiari e indipendenti dalla comune evoluzione della ceramica attica dipinta. Se infatti in un periodo precedente si hanno occasionalmente lèkythoi dipinte da maestri di primo piano, innanzi tutto il Pittore di Amasis, nell'ultimo venticinquennio del VI sec., proprio nel momento delle più brilianti affermazioni pittoriche nella nuova tecnica a figure rosse, la produzione delle lèkythoi rimane fissa in schemi uniformi e attardati e si esprime per almeno un altro cinquantennio quasi esclusivamente nella vecchia tecnica a figure nere. Peculiarità e programmatico conservativismo che sembrano implicare un uso particolare delle lèkythoi e forse il fatto che esse debbono intendersi escluse dall'uso comune e riservate al rituale dei morti. In effetti le figurazioni non hanno un carattere particolarmente allusivo, come può vedersi più tardi nelle lèkythoi a fondo bianco, che anzi si tratta di solito di scene mitiche o agonistiche. Tuttavia i pittori di lèkythoi sono generalmente delle personalità modeste e che raramente si cimentano in altri tipi di vasi o anche solamente nella nuova tecnica a figure rosse: e la loro povertà formale accentua il loro programmatico conservatorismo che li isola e li circoscrive dal resto del loro ambiente.
Nella seconda generazione dei pittori a figure rosse, grandi maestri quali il Pittore di Berlino o Douris ci danno esempi considerevoli di lèkythoi nella nuova tecnica. L'esempio è seguito da tutta una schiera di artisti minori e con questo nuovo apporto si inizia una nuova fase di produzione: questa volta si tratta di artisti che si esprimono nel linguaggio corrente a figure rosse e che si cimentano indifferentemente su lèkythoi o su altri tipi di vasi. Scompare quindi il carattere conservativo, povero e isolato che aveva contraddistinto questo tipo di vaso nella sua lunga storia a figure nere. Mentre d'altra parte appunto in questo momento, nel secondo venticinquermio del V sec., ha inizio una nuova produzione, quella delle lèkythoi a fondo bianco, che sembra rispondere ugualmente a una precisa intenzione di differenziare questo tipo di vaso da tutti gli altri. Questa volta peraltro non si tratta di prodotti conservativi e trascurati, ma di vasi che rappresentano una delle espressioni più alte e più intense che siano giunte sino a noi della pittura antica (v. pittura).
Il fondo ingubbiato di bianco era stato già di largo impiego nelle tarde lèkythoi a figure nere: ma ora, verso la metà del secolo, le nuove conquiste del colore da parte della grande pittura provocano di riflesso, anche nelle figurazioni delle lèkythoi, esperimenti nuovi e variati. Si tratta evidentemente di pochi colori elementari, per lo più rosso porpora, nero intenso e vernice diluita sino ad assumere trasparenti toni dorati, che tuttavia gli artisti impiegano con suggestivi effetti di stacco e di massa sullo sfondo gessoso dell'ingubbiatura. È da ammettere che le lèkythoi a fondo bianco fossero destinate unicamente a usi funerarî: e le loro figurazioni comportano d'ordinario scene di quieto addio, arcane, aspettanti presenze presso una tomba decorata, e anche, palesi ammissioni del viaggio nell'Oltretomba proclamato dalla presenza di Thanatos, dalla barca di Caronte con il triste barcaiuolo e i malinconici canneti della palude infera. (vol. i fig. 50, ii fig. 454, iii fig. 170).
In questa produzione troviamo occupati grandi artisti come il Pittore di Achille, che conosciamo attivi anche nella normale tecnica a figure rosse, e anche come pittori di lèkythoi di carattere non specificatamente funerario: ugualmente si hanno dei pittori che sembrano essersi dedicati esclusivamente a questo genere di vasi, quali i Pittori di Charon, di Timokrates e altri.
Questo genere di figurazioni che per la contenuta e reticente emozione rappresenta una delle massime espressioni dello spirito classico, si affianca naturalmente alla produzione delle stele funerarie attiche e si sviluppa parallelamente a quest'ultima almeno sino alla fine del V sec. a. C. Una delle ultime grandi figure della pittura di vasi in Attica è appunto costituita da un pittore di lèkythoi, il Pittore del Canneto, che con le sue figurazioni turbate e passionali sembra conchiudere questo periodo di calma e sapiente accettazione per anticipare le romantiche inquietudini dell'età barocca. A questo punto la pittura di lèkythoi in Attica segue la sorte comune dei vasi dipinti e scompare o vive di una vita dimessa e senza significato.
2. - Quasi contemporanea allo scomparire delle lèkythoi dipinte a fondo bianco è l'introduzione di grandi lèkythoi marmoree come a sostituzione delle stele su numerose tombe attiche. Alcuni esempî sono stati datati da F. Johansen già negli ultimi anni del V sec. a. C.: ma la produzione nel suo complesso è indubbiamente da scalare entro il IV secolo. L'uso della l. come segnacolo di tomba è palesemente parallela all'impiego della loutrophòros, che peraltro s'intende debba designare i morti giovani e in certo modo sostituire per essi il mancato bagno nuziale. Una l. gigantesca s'incontra nella stele di Agnostate (H. Diepolder, tav. 52, 1) accanto alla figura della defunta. In altre stele d'altra parte lèkythoi e loutrophòroi gigantesche vengono ad occupare tutto lo spazio oppure, in completo tutto tondo, vengono a costituire il seguo della tomba.
Come è stato proposto, si ha l'impressione che la sostituzione di una l. personale per il defunto, nascosta nella tomba, con un tale vistoso simbolo esterno, risponda a certe tendenze di sempre maggiore esteriorità e superficialità che divengono sempre più apparenti nel mondo greco con il decadere dello spirito classico.
Da un punto di vista artistico le lèkythoi marmoree presentano come le loutrophòroi un certo interesse per l'elaborazione di motivi decorativi, in specie le foglie d'acanto, di larga applicazione anche nella grande architettura contemporanea. Il valore artistico delle sculture è invece per lo più assai modesto. Le scene raffigurate a tenue rilievo, alle volte quasi disegnate soltanto, ricalcano in tono minore scene comuni nelle contemporanee stele funerarie; i gruppi familiari appaiono di solito più affollati e più diffusi che nelle stele, appunto per la maggiore ampiezza del campo offerto dalla superficie cilindrica del vaso. Un unicum è invece rappresentato dalla perduta l. di Myrrine (F. Johansen, p. 161) in cui al consueto gruppo di figure statiche dei familiari si sovrappone un Hermes Psychopompòs in rapido movimento concitato.
Bibl.: E. Pottier, in Dict. Ant., s. v. Lecythus; A. Fairbansk, Athenian Lekythoi on White Ground, New York 1907, pp. 9-12; W. Riezler, Weissgrundige attische Lekythoi, Monaco 1914; H. Nachod, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, 1931, cc. 546-48, s. v.; E. Langlotz, Griechische Vasen in Würzburg, Monaco 1932, p. 69; L. J. Elferink, Lekythos, Amsterdam 1934; G. M. A. Richter - M.Milne, Names and Shapes of Greek Vases, New York 1935; E. Buschor, Grab eines attischen Mädchens, 1931; 2a ed., Monaco 1941; A. Bruckner, Friedhof am Eidanos, Berlino 1909, p. 70 ss.; L. Kiellberg, Attische Reliefs des V. Jahr., Upsala 1926, p. 86 ss.; F. Johansen, The Attic Grave Reliefs, Copenaghen 1951, p. 161 ss.; T. Dohrn, Attische Plastik, 1957, p. 191 ss.