BASSO, Lelio
Nacque a Varazze (Savona) il 25 dic. 1903 da Ugo e da Marianna Raimondi, in una famiglia agiata. Il padre, insegnante, liberale giolittiano, aveva partecipato alla vita politica del suo collegio, quello di Ventimiglia, dove risiedette fino al trasferimento a Milano nel 1916. Qui il B., iscritto al ginnasio-liceo "Berchet", entrò in contatto con un ambiente più aperto di quello della provincia ligure: tra i compagni ebbe Mario Damiani e Vittorio Albasini, poi antifascisti processati dal Tribunale speciale, e Antonello Gerbi, nipote di Claudio Treves (più tardi con Ugo La Malfa all'ufficio studi della Banca commerciale italiana) e Luigi Gedda; fu suo insegnante di storia e filosofia Ugo Guido Mondolfo, la sua prima guida nel lungo viaggio attraverso il marxismo.
Fuori dal liceo negli anni duri a cavallo della guerra, gli si apriva il proscenio della Milano operaia e socialista, con la sua municipalità retta dal riformista L. Caldara, con le prime lotte di massa contro il carovita e la lacerazione sempre più profonda del vecchio equilibrio politico e sociale dell'Italia liberale. D'indole indipendente e precoce, il B. volle staccarsi dal mondo familiare e fare presto da sé. Ancora studente liceale, si impiegò come stenodattilografo e poi come corrispondente presso un'azienda di macchine per maglieria, guadagnandosi la vita e la libertà di seguire le suggestioni intellettuali e politiche di questo nuovo mondo. Così nell'inverno del 1919 si immerse nel clima infuocato dei dibattiti socialisti, alla Camera del lavoro e nei circoli politici. La sua iniziazione coincise dunque con un'epoca in cui il movimento prevaleva sull'organizzazione operaia, mentre forti erano le suggestioni prodotte dalla Rivoluzione d'ottobre, con l'insieme di nuove alternative che essa proponeva al movimento operaio, nella crisi dell'Europa postbellica.
Fino all'avvento del fascismo, il B. non fu un militante nel senso tradizionale della vita di partito o sindacale. Nel 1921 aveva preso la tessera socialista, riconoscendosi abbastanza nelle posizioni di G. M. Serrati; si sentiva terzinternazionalista senza essere "terzino", leninista disapprovando la scissione di Livorno, vicino a quel soggettivismo "umanista", che fu proprio di Rodolfo Mondolfo e di altri per cui la rivoluzione è coscienza ideale e storica, prima che pratica, senza essere riformista (La mia primatessera socialista, p. 30). Più che la politica lo interessava il dibattito delle idee, in cui prese ad assumere il ruolo intellettuale di socialista rivoluzionario.
Nel 1921 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Pavia (oltre a questa laurea prenderà nel 1931 anche quella in filosofia), aderendo alla locale associazioe goliardica antifascista, cui erano iscritti, fra gli altri, Ezio Vanoni e i socialisti G. Faravelli, F. Ghinaglia, R. Verrati. Nell'agosto-settembre 1923 esordì come polemista politico su Critica sociale, con due articoli, uno di politica ecclesiastica (La religione dello Stato, ibid., XXXIII [1923], pp. 248-250), l'altro contro la riforma Gentile (L'educazione della classe lavoratrice e la riforma Gentile, ibid., pp. 300-302). L'anno seguente, con lo pseudonimo di Prometeo Filodemo, con cui firmò tutti gli scritti di questo periodo, pubblicò un articolo Un anno di critica marxista (ibid., XXXIV [1924], pp. 58-61), dando inizio a un tipo di riflessione che lo occupera tutta la vita. L'articolo segna l'inizio d'una quasi febbrile attività pubblicistica: le testate sono quelle socialiste o di democrazia laica (oltre a Critica sociale, l'Avanti!, Il Caffè, La Libertà, La Rivoluzione liberale di P. Gobetti, con cui entrò in stretto rapporto nel 1925, Il Quarto stato di C. Rosselli, fino a Conscientia, la rivista "neoprotestante" di G. Gangale).
I temi, per lo più occasionali - quali la rilettura di Antonio Labriola nella raccolta antologica di scritti curata da L. Dal Pane nel 1925; la riproposizione, fatta da A. Baratono, del neokantismo come premessa del socialismo, vecchio tema del dibattito revisionista di fine secolo; lo psicologismo di F. Weiss; l'umanismo socialista di Mondolfo, o le polemiche sulla distinzione tra socialismo e marxismo con Rosselli e tra liberalismo e socialismo con Riccardo Bauer -, sono tutti legati da uno stesso filo conduttore, che via via si arricchisce di motivi e argomenti. L'ossatura teorica nasce indubbiamente vecchia e gli elementi di novità che vi si inseriscono sono di natura più eclettica che sistematica, ma non è del tutto esaustivo un giudizio sul suo pensiero analogo a quello formulato da N. Bobbio sul Mondolfo, cioè d'una "interpretazione idealistica" del marxismo, "recisamente soggettivistica e volontaristica", percorsa da "un'ispirazione fichtiana … e … gentiliana" che la fa "sconfinare nel fideismo e nell'irrazionalismo" (L. B. nella storia…, contributo di F. Contorbia, p. 81). Questo B. giovanile, a ben guardare, palesa una polivalenza di approdi, di cui quello più "fideistico" è proprio il socialista e marxista - "chi non accetta il concetto della morale che si fa, come prodotto spontaneo dell'insurrezione umana, ma la pone come principio imperativo cui questa insurrezione debba conformarsi, non sarà mai socialista" e crea le condizioni per cui "il Partito si fa Chiesa, la fede si fa fanatismo" (Valore morale del socialismo, in Critica sociale, XXXV [1925], p. 28) -, per cui proclama che "il socialismo è nelle cose" (Un anno di critica marxista, p. 58), propugna di liberarsi "dalle vecchie pastoie così del dogmatismo rivoluzionario come dello statalismo riformista" (Le fonti della libertà, in Rivoluzione liberale, 17 maggio 1925), afferma, recensendo Sulle orme di Marx, di essere "contro il Mondolfo democratico, col Mondolfo marxista" (in Critica Sociale, XXXIV [1924], pp. 123-127), nella quale affermazione non si riflette tanto un elemento irrazionale, quanto l'assenza di una compiuta riflessione intorno alle forme della politica, in particolare sulla "forma partito", un tema che il B. teorico tenderà sempre in qualche modo a sfuggire, e da cui uscirà sconfitto il B. politico. A lato del B. "marxista", ne possiamo poi cogliere uno più propriamente "democratico", quello che affaccia il tema de L'antistato come contrapposizione al fascismo, dandogli il più ampio significato di uno "sforzo, cosciente delle energie rivoluzionarie che si affermano di contro allo Stato", reclamando le "loro antinomie" (in Rivoluzione liberale, 2 genn. 1925), e che sono poi i sindacati, i movimenti, le autonomie locali; ciò è già sintesi precoce di una impostazione che ha lasciato una traccia politica e istituzionale. E si fa luce anche un B. "laico", quello della Difesa del protestantesimo, in cui la riflessione etico-politica non è più ideologica, ma si enuncia l'elogio dell'intolleranza come rigore, di contro a un'Italia cattolica in cui "c'è stata troppa tolleranza" (in Il Quarto stato, 19 giugno 1926, n. 13, p. 13), aprendo un filo di più complesse considerazioni, poi svolte tra il 1925 e il 1926 su Conscientia, che si svilupperanno negli scritti più maturi sul problema religioso.
Frattanto, trasferitosi nel 1924 all'università di Milano (vi si laureerà nel 1925 con una tesi su "La concezione della libertà in Marx", con A. Groppalli), aveva diretto con Rodolfo Morandi e il Faravelli i Gruppi goliardici per la libertà. Alla fine del 1927 entrò a far parte della Giovane Italia, una organizzazione repubblicana. Il suo raggio di azione continuava a essere quello dell'antifascismo democratico e socialista. Così è per la vicenda di Pietre, la rivista di cui assunse la direzione nel gennaio del 1928. Il periodico era nato nel 1926 a Genova su iniziativa di un gruppo di giovani antifascisti, per lo più studenti, acquisendo poi la collaborazione di Giuseppe Rensi, Mario Vinciguerra, Eugenio Colorni e altri, tra cui il B., e divenendo un punto di confluenza delle ultime scintille del dibattito antifascista. Nel gennaio del 1928 la redazione passò a Milano appunto sotto la direzione del B., di Mario Paggi e Mario Boneschi; ne uscirono ancora quattro numeri, fin quando, nell'aprile 1928, dovette cessare le pubblicazioni per l'arresto di quasi tutti i suoi collaboratori, in seguito all'attentato al re presso la Fiera campionaria. Il processo che ne seguì, dopo breve detenzione, ebbe un'eco anche nella stampa internazionale e si risolse con l'assoluzione degli imputati e l'avvio della maggior parte di essi al confino. Il B. passò tre anni all'isola di Ponza, fino al 1931, quando tornò a Milano, laureandosi in filosofia con una tesi sul teologo Rudolf Otto e riprendendo la sua attività di avvocato. L'anno seguente sposò Elisa Carini, da cui ebbe tre figli.
La cartella del B. nel Casellario politico centrale mostra come fosse tenuto costantemente d'occhio, vi si dà infatti notizia della sua attività professionale, senza avere tuttavia "nulla da segnalare", fino al 1939, quando fu nuovamente arrestato. In realtà il B. mantenne numerosi contatti, con i fuorusciti di Parigi e con il Centro interno socialista, in particolare con Rodolfo Morandi.
Nel '34 fu tra quelli che nettamente si opposero al tentativo del vecchio Caldara di ottenere dal regime un margine di legalità; ma nello stesso tempo la sua lettura dell'episodio fu sintomaticamente diversa da quella della dirigenza socialista, come mostra il suo scritto pubblicato in Politica socialista colcommento del direttore Angelo Tasca, dove si polemizza con l'intransigentismo democratico, attribuendo anzi al fascismo "il merito di aver disancorato il proletariato dalle secche della democrazia borghese" (III [1936], p. 273), e compare la riflessione secondo cui "le sconfitte della socialdemocrazia su quasi tutti i fronti d'Europa, l'involuzione del comunismo, ci permettono finalmente di liberarci dei pesi morti" (ibid., p. 180); il B. tornava cioè ad indulgere alla sua naturale inclinazione di ideologo. Ma se in parte i suoi giudizi coincidevano con quelli dello stalinismo prima maniera, in realtà egli sognava una rivoluzione tutta diversa e rimaneva così irriducibilmente socialista. Cercava anche di dare un'interpretazione "realistica" dei fenomeni sociali e politici di quegli anni, avvertiva come le "nuove generazioni", fossero "assetate di concretezza", e in uno scritto sui Quaderni di Giustizia e Libertà (giugno 1933, n. 7, p. 109: Ilpartito in Italia) sollecitava Giustizia e Libertà a costituirsi in partito socialista "rinnovato e unificatore", con il superamento del vecchio PSI e del PCI, della Seconda come della Terza Internazionale (La ricostruzione del PSI, in Fascismo e antifascismo, II, Milano 1963, p. 468), motivi tutti troppo privi di realismo e concretezza per costituire un qualsivoglia progetto politico.Incominciò inoltre, proprio in quegli anni, proseguendo la sua indefessa attività di lettore e studioso di cose socialiste, a raccogliere un vasto materiale bibliografico, che, pur passando per le traversie della guerra, costituì il primo nucleo della sua ricca biblioteca, e pubblicò ancora qualche scritto di contenuto storico e letterario.
I suoi rapporti con il gruppo che aveva costituito a Milano il Centro interno socialista (oltre a Morandi, Lucio Luzzatto, Bruno Maffi e altri), furono certo intensi, ma attraversati da un'intransigenza dottrinale, che gli fece mantenere una qualche distanza. Non venne coinvolto negli arresti del 1937, ma fu arrestato nel 1939, poi subito rilasciato, e di nuovo arrestato nel 1940, nel corso della cosidetta operazione Curiel, con cui il B. era in rapporto; in questa occasione, accusato di avere cercato di ricostituire il Centro interno socialista, fu internato nel campo di concentramento di Colfiorito (Perugia) e quindi rilasciato nell'ottobre dello stesso anno.
Disparità di giudizio con i compagni socialisti segnano anche gli anni che videro la preparazione (1941-42) e la nascita, nel gennaio del 1943, del Movimento di unità proletaria di cui il B. fu fondatore e animatore. Il Movimento aveva il suo centro a Milano, diramazioni a Torino e Bologna e ottenne l'adesione del gruppo romano, di cui facevano parte Tullio Vecchietti, Mario Zagari, Giuliano Vassalli, Vezio Crisafulli e inizialmente anche Giuseppe Romita. A Milano il B. impresse al MUP una linea intransigente, centrata sulla pregiudiziale repubblicana, classista e fusionista.
È indicativo un suo articolo sull'Avanti!, del 1º agosto 1943: "se essere socialista significa non soltanto credere nel socialismo ma volerlo effettivamente realizzare e non fra un secolo, ma qui ora, noi siamo socialisti. Ma se essere socialisti significa riallacciarsi alla prassi della Seconda internazionale, non siamo socialisti. Se essere comunisti significa accettare il metodo rivoluzionario come il più efficace per la realizzazione della nostra volontà socialista e il più adatto alla situazione presente, noi siamo comunisti. Ma se essere comunisti significa riallacciarsi alla tradizione autoritaria centralistica e rigidamente schematica della Terza Internazionale, noi non siamo comunisti". Su questa base egli poneva fin da allora la sua proposta di "fondazione del partito unico del proletariato". L'Arfè ha notato che queste posizioni "convergevano in più punti con quelle morandiane per quanto riguarda la critica al comunismo sovietico e alla socialdemocrazia", ma avrebbero avuto una diversa ispirazione ideologico-culturale, per l'assonanza del B. con la tradizione più radicale secondinternazionalista, in particolare col pensiero di Rosa Luxemburg (p. 8).
Nell'agosto del 1943 il B. operò la fusione del MUP col PSI, che assunse la denominazione di PSIUP (tornerà PSI dopo la scissione di palazzo Barberini, con la segreteria Basso, per non lasciare la vecchia denominazione a Saragat), ed entrò nella nuova direzione del partito. Ma le sue idee mal si connettevano con il composito magma socialista che si andava formando; nel novembre dello stesso anno egli uscì prima dalla direzione, poi dal partito. La sua era in effetti, senza tatticismi, una posizione di socialismo rivoluzionario.
In un opuscolo su La politica dei ceti medi, firmato con lo pseudonimo di Spartacus (Milano 1944), dava la sua versione della centralità della classe operaia e delle sue alleanze; in un articolo sui Comitati di agitazione e comitati di liberazione di fabbrica (in Politica di classe, settembre 1944), privilegiava naturalmente i primi come espressione immediata di classe.
Aveva fondato il foglio clandestino Bandiera rossa (1943); l'ora doveva essere per lui rivoluzionaria ed egli partecipò assiduamente alli lotta antifascista nella Milano occupata con lo spirito di un "piccolo Lenin", come lo vedeva affettuosamente la moglie. D'altra parte la sua posizione "unitaria" non piacque ai comunisti che lo attaccarono duramente a opera di Secchia (Il "sinistrismo" maschera della Gestapo, in La Nostra Lotta, 1943, n. 6; anche in Amendola, 1973, pp. 349-352). Piuttosto isolato, nella lotta clandestina, da questi contrasti derivava un pericolo grave per la sua stessa vita (Merli, p. 18).
Con la mediazione di Sandro Pertini il B. rientrò nel PSIUP già nel maggio del 1944. Sull'ultimo numero di Bandiera rossa (9 giugno 1944) notò che "il partito socialista presenta sul partito comunista due innegabili vantaggi, e cioè la tradizionale democrazia di partito e l'indipendenza da Mosca". Tutti gli "svantaggi" che di contro opponeva non gli fecero tuttavia concludere che il PSIUP fosse "sicuramente incapace di assumere un ruolo rivoluzionario dirigente".
Eletto nell'esecutivo per l'Alta Italia, nel giugno assunse l'incarico dell'organizzazione dei partito in Lombardia, fu poi segretario provinciale di Milano, infine segretario organizzativo per tutta l'Alta Italia, dando un impulso notevole alla rivitalizzazione delle strutture socialiste, curando il loro insediamento nelle fabbriche. Dialettizzò la sua originaria intransigenza, senza nulla cedere nei contenuti; si costruì un notevole seguito nel partito, e la sua posizione ebbe un qualche peso nella scelta dei socialisti di non entrare nel secondo governo Bonomi. Lavorò quindi, per un cartello di sinistra PCI, PSI, Pd'A, ipotesi che l'intesa DC, PCI, PSI sul governo Parri, all'insegna dell'accordo tra i tre partiti di massa, doveva definitivamente cancellare. Fu tra gli organizzatori e dirigenti dell'insurrezione del 25 aprile e con Pertini respinse l'ultima proposta di compromesso avanzata da Mussolini attraverso l'ex socialista C. Silvestri.
Dopo la Liberazione ebbe subito un ruolo di primo piano all'interno del partito socialista. Due anni di vita politica intensa, pur tra le difficoltà della lotta partigiana, e l'esperienza del MUP gli erano serviti a politicizzare la sua iniziale posizione dottrinaria. Sciolto definitivamente l'interrogativo sul perché privilegiare come piattaforma di lancio d'un partito unico della classe operaia il partito socialista piuttosto che quello comunista e compiuta definitivamente questa scelta, restava da indicare la strada.
Anche qui bisognava risolvere alcune pregiudiziali: la prima relativa al giudizio sullo stato socialista sorto in URSS dopo la Rivoluzione d'ottobre; la seconda riguardante la linea impressa da Togliatti al PCI dopo la svolta di Salerno, la quale lasciava spazio alla soluzione del partito unico, ma la collocava in un contesto strategico a dir poco antitetico. Sulla prima questione la posizione del B. era acritica, se non di sostanziale esaltazione della realtà sovietica; sulla seconda la critica era implicita, ma non sviluppata nelle sue conseguenze logiche, in quanto, altrimenti, ne sarebbe necessariamente conseguita una valutazione di non praticabilità della linea fusionista. Rimaneva poi irrisolto un punto squisitamente dottrinale, relativo alla distinzione tra classe e partito, che il B., parlando di partito di classe, non operava ne sul piano della realtà storico-politico, né su quello della nozione teorica, cosicché la formulà "partito di classe" acquisiva in lui un valore idealtipico privo di riscontro storico-politico, a differenza della posizione di Rodolfò Morandi, che non a caso, fu, all'inverso del B., inizialmente un assai più cauto e tattico patrocinatore della linea "fusionista", poi, dopo il '48 deciso interprete di quella "unitaria".
Il B. si presentò dunque alla ribalta nazionale dopo il 25 aprile patrocinando senza tatticismi la linea fusionista - tuttavia priva di sbocchi strategici, a meno di non dichiarare esaurito fin da allora il ruolo storico dei partito socialista., riaffermato al contrario dal B., come un presupposto necessario - e collocò questa sua posizione nell'ambito di una maggioranza interna di partito che comprendeva Morandi, Nenni e Pertini. Nel consiglio nazionale del 29 luglio 1945, prima assemblea nazionale socialista dopo la Liberazione, questa maggioranza si raccolse intorno ad un ordine del giorno in cui si preconizzava che il "partito unico" dovesse "sorgere il più presto possibile". Quest'ultimo inciso fu il contributo politico più vistoso del B.: Pertini, che aveva assunto la segreteria del partito, passò le settimane successive a limarne gli effetti. La maggioranza tendeva a tatticizzare sempre di più la proposta "fusionista", al contrario dei B., il quale lavorava invece in quella direzione, dividendo, con L. Cacciatore, che era sulle sue medesime posizioni, la carica di vicesegretario, e avendo la gestione dell'ufficio elettorale, di estrema importanza con l'avvicinarsi delle elezioni della Costituente.
Proprio in vista delle elezioni Nenni, Morandi e Pertini cercavano invece di riequilibrare il partito sulla destra verso la linea di Silone e dello stèsso Saragat. A rendere esplicite le posizioni di ciascuno vennero, nel dicembre 1945, le dimissioni dalla segreteria di Pertini, a cui succedeva Rodolfo Morandi. A questo punto si operò necessariamente il distacco del B. dalla maggioranza di luglio; nel consiglio nazionale del gennaio '46, erano tre le posizioni che si affrontavano in vista del congresso di aprile: quella facente capo a Nenni e Morandi, quella di Pertini, Silone e Saragat e quella del B. e Cacciatore.
Il ruolo del B. all'interno del partito divenne sempre più autorevole; Nenni annotò in quei giorni: "è il solo cervello adusato all'analisi marxista dei fatti politici e sociali" (Diari, I, p. 168); il B., ormai un capocorrente, iniziò a pubblicare una nuova rivista, riprendendo il titolo rosselliano di Quarto stato. Il partito intanto si dibatteva nei dilemmi, che da un lato erano propri di una assai antiquata cultura socialista, dall'altro derivavano dai rapidi mutamenti della situazione interna ed internazionale. Ideologicamente la posizione d'una sinistra socialista non poteva che essere di carattere classista, il che comportava politicamente tre soluzioni possibili: azione rivoluzionaria, partito unico di classe, unità d'azione col partito comunista. Il B., non insisteva più sulla prima come aveva fatto durante la Resistenza, continuava a spingere sulla seconda perché i termini fossero ravvicinati; non intendeva tuttavia ridurre la sua proposta unicamente all'ultima soluzione. Così la premessa classista acquistava definitivamente un'impronta ontologica, mentre si ponevano altre due proposizioni operative: il modello dei partito e quello di democrazia, come progetto di transizione al socialismo.
Se il percorso era stato diverso, maturato autonomamente, le conclusioni risultarono dei tutto parallele a quelle su cui Togliatti aveva assestato il partito comunista, per cui i margini di possibile autonomia divenivano oggettivamente assai ristretti. Questa non era tuttavia la sensazione che i socialisti traevano dal loro dibattito interno, assai magmatico, in cui le contraddizioni invece di sciogliersi, si intersecavano sempre di più l'una con l'altra. Il problema reale dell'organizzazione interna dei partito fu risolto dal B. secondo un modello, che è stato definito di "bolscevizzazione" del partito socialista (Merli, pp. 43 ss.), centrato com'era da un lato su di una struttura di tipo cellulare, le cui propaggini significative dovevano essere i "nuclei aziendali socialisti", dall'altro su un forte accentramento al vertice delle decisioni politiche. Lo schema di democrazia politica invece, poiché doveva essere funzionale ad un processo di transiziobe, valorizzava tutte le istanze "di massa" e i momenti di autonomia istituzionale, accentuava la funzione del principio di uguaglianza e il metro proporzionalista, nell'ambito delle istituzioni politiche e dello Stato, secondo idee che abbiamo visto essersi già affacciate nel giovane Basso. Per questa via, anche se non solo per essa, si riproponeva tuttavia un equivoco, nell'uso dei concetti di classe, democrazia, rivoluzione, che già aveva attraversato i dibattiti a cavallo di secolo, e che avrà lunga fortuna nell'Italia del secondo dopoguerra.
Con questi aggiustamenti di strategia il B. acquisì nel dibattito interno una posizione assai più centrale di quella che aveva avuto inizialmente e, in vista del congresso, poté rifluire nel gruppo maggioritario di Nenni e Morandi. Il congresso del partito socialista tenutosi a Firenze, nell'aprile del 1946, il primo del dopoguerra, fu dei resto caratterizzato dalle posizioni della sua destra, espresse in particolare dall'intervento di Saragat, che poneva come punto di raffronto pregiudiziale della questione socialista una valutazione dell'esperienza storica del socialismo reale, specie quello dell'Unione Sovietica. Anche il discorso del B. (che alla conclusione cadde a terra colto da malore) fu in sostanza una replica a Saragat. Il dibattito pose le premesse della scissione, che avvenne pochi mesi più tardi. Ma alla vigilia della Costituente era interesse di tutti non trarre conclusioni, accontentandosi di porre delle premesse.
Ne nacque una soluzione di compromesso che portò alla segreteria di Ivan Matteo Lombardo, mentre il B. entrava con Cacciatore in direzione; seguì il successo elettorale del 2 giugno e l'elezione del B. alla Costituente. Nei successivi mesi del 1946 la politica socialista dovette passare attraverso due diversi scenari, prima di approdare alla scissione di palazzo Barberini.
La nuova assemblea, rompendo il vecchio bozzolo della coalizione antifascista, conferiva al tripartito il rilievo non solo di una formula di governo, ma di un'ipotesi strategica di equilibrio politico. Ciò era certamente nei propositi dei comunisti e non nelle intenzioni della DC, che considerava tatticamente quella alleanza come un punto di partenza, piuttosto che di, arrivo. L'interpretazione del ruolo socialista in quella coalizione che pur con sfumature diverse diedero Nenni e Morandi, fu quella della "cerniera" e "centralità" socialista, anch'essa sostanzialmente tattica. Ciò permise loro di consolidare gli equilibri interni del partito, ma fu un'interpretazione che non resse a lungo alla prova dei fatti. Già i socialisti sentivano fortemente la concorrenza organizzativa ed elettorale dei comunisti, con il conseguente, ossessivo problema della tenuta a sinistra. Con l'autunno poi precipitò la situazione internazionale alimentando nuove polemiche tra sinistra e destra interne. Il B. non assunse incarichi di governo, criticando anzi fin dall'inizio la stessa formula tripartita come insufficiente, e si rafforzò per questa via all'interno del partito, come portabandiera della polemica contro Saragat. Scrisse il 31 agosto su Quarto stato, confrontando le posizioni di Saragat con quanto Marx aveva scritto sul 1848 in Francia, che quelle "invettive marxiste contro i repubblicani borghesi di un secolo fa … si attagliano perfettamente ai discorsi di Saragat". Era un modo netto di risolvere il dibattito interno. E poiché nella tornata elettorale d'autunno il partito accusò una flessione, prese occasione per riproporre la sua tesi di rifondazione attraverso un taglio chirurgico del neoriformismo interno e per chiedere una convocazione anticipata del congresso al fine di riequilibrare i rapporti sanciti dalla assise di aprile.
Il B. volle la scissione di palazzo Barberini, forse più dello stesso Saragat. Poiché Nenni e Morandi si trovavano prigionieri del compito sempre più difficile di dare un'interpretazione alla collaborazione, i cui presupposti oggettivi mutavano rapidamente di segno, la posizione del B., esterna al governo e nettamente schierata a sinistra nel partito, risultò quella trainante, rendendo sempre meno plausibile qualsiasi spazio di mediazione. Lo stesso Saragat era consapevole che la convocazione a gennaio del congresso non gli lasciava altra via se non anticipare la scissione rispetto all'appuntamento congressuale, da cui altrimenti sarebbe venuto fuori come minoranza sconfitta. Così quello del gennaio 1947 a Roma fu il congresso dei B.: ne uscì a capo di un'ampia maggioranza, eletto alla segreteria del partito. Si dedicò con decisione a quel compito di rifondazione organizzativa che aveva preconizzato.
Nella sua visione il PSI, per diventare "un partito che sisponda alle esigenze di una classe che si prepara a diventare una classe dirigente" doveva "superare il vecchio concetto socialdemocratico del partito che era essenzialmente un partito elettorale", e anche "il modello del partito quale fu concepito da Lenin. il partito dei rivoluzionari professionali". Sono direttive non distanti da quelle del "partito nuovo" di Togliatti, con la differenza che in campo socialista dovevano connettersi con una storia diversa e determinavano il costituirsi di un apparato, che a questa storia era estraneo. Anche se l'opera dei B. fu poi portata a compimento, dopo il 1950, da Rodolfa Morandi con vero rigore "bolscevico", egli fu il primo "capo dell'apparato" e si incominciò a sentire lagnanze sui suoi "giannizzeri" e a formulare nei suoi confronti l'accusa di aver "balcanizzato" il partito (Nenni, Diari, I, p. 412).
Diversa fortuna ebbe invece la partecipazione assidua del B. ai lavori di redazione della Carta costituzionale. Membro della Commissione del 75, partecipò ai lavori della prima sottocommissione, e diede un intenso apporto alle discussioni in aula, con una competenza, anche tecnica, che non era di tutti i costituenti. In quella sede i temi relativi al partito e alla classe, che lo avevano qualificato nel dibattito interno socialista, mutarono in quelli della "democrazia". Diede un apporto notevole alla definizione dell'art. 49 e al principio, ad esso connesso, che vedeva i partiti quali elementi fondanti delle istituzioni, nonché alla formulazione del principio di eguaglianza espresso dall'art. 3. Intervenne (anche come relatore) su numerose altre questioni quali l'inviolabilità della persona e dei domicilio; la libertà di stampa e propaganda, di soggiorno, di associazione; la prerogativa del giudice naturale, la definizione del diritto dei lavoratori alle ferie come diritto indisponibile. Fermo fu il suo discorso contro l'approvazione dell'art. 7: nella sua lunga attività parlamentare, il tema del concordato venne da lui ripreso più volte, sollecitandone la revisione, e, a questo proposito, meritano di essere citati sia il suo intervento nella seduta della Camera dei deputati del 4 e 5 ott. 1967, sia in quella al Senato del 7 dic. 1978, che erano frutto di una lunga riflessione iniziata negli anni giovanili, i cui documenti più significativi sono stati raccolti da G. Alberigo col titolo Scritti sul cristianesimo (Casale Monferrato 1983).
I mutamenti di quadro politico nel corso del 1947 non avrebbero consentito al partito immaginato e guidato dal B. collocazione diversa da quella poi assunta nel Blocco del popolo del 18 aprile 1948. Questo non era tuttavia l'esito che egli si era prefisso, eúon ne fu affatto un entusiasta sostenitore, formulando riserve e critiche a questa linea "unitaria" di cui in fine Nenni si era assunta tutta la responsabilità (Tamburrano, 1986, p. 244). Ma era stato il susseguirsi delle circostanze e delle posizioni già maturate a conferire al B. e a tutto il gruppo dirigente del PSI quel ruolo inevitabile.
Dopo la svolta del giugno 1947 e la rottura dell'alleanza tripartita da parte di De Gasperi, Nenni - costatando anche l'indecisione di Saragat ad entrare nella nuova maggioranza di governo - aveva tentato di costruire sul terreno parlamentare quanto non gli era stato possibile realizzare nell'equilibrio interno di partito. Lavorò dunque per un'intesa laico-socialista, distinta dal PCI, ma contrapposta alla DC di De Gasperi. Voleva impedire che Saragat portasse "all'intingolo centrista la salsa socialista" (Diari, I, p. 330). In settembre il PSI poneva la sfiducia al governo, nella speranza di concretare questo schieramento. L'evanescenza dell'iniziativa lasciava poche speranze, ma a toglierle ogni plausibilità furono due avvenimenti che si accavallarono l'un l'altro. In luglio De Gasperi pose il problema della ratifica del trattato di pace e su questo terreno fece maturare un rapporto più stretto con Saragat. Nell'ottobre si costituì l'ufficio del Cominform, che sanzionava ulteriormente la spaccatura della guerra fredda. Come in una partita a scacchi nel dicembre il PSLI di Saragat entrò nel governo e al PSI non rimase che la mossa obbligata della ritirata frontista.
Il congresso di Roma dei gennaio 1948, dove il B. fu confermato nella carica di segretario, fu povero di idee. La relazione del B. (in Avanti!, 20 genn. 1948) fu schiacciata dagli avvenimenti, nella genericità di alcune premesse teoriche e nella rozzezza delle analisi più propriamente politiche, che, forse senza volerlo, echeggiavano abbastanza le tesi del Cominform. Fu l'inizio della campagna elettorale conclusa dalla sconfitta del 18 aprile, che fu soprattutto sconfitta del partito socialista. In quell'ora il B. recuperò interamente le posizioni della sinistra socialista "rivoluzionaria", da lui sperimentate negli anni della Resistenza. Lasciò quindi la segreteria del partito, battuto al congresso di Genova del giugno 1948, che vide la rivincita della corrente autonomistica, capeggiata da Lombardi, Foa, Santi e altri, e che portò alla segreteria Jacometti.
Il B. ricominciò a pubblicare Quarto stato e affrontò nuovamente temi di impostazione teorica, rivisitando il pensiero di Rosa Luxemburg. Astratta rimaneva tuttavia anche la sua riflessione sul presente: la sconfitta elettorale veniva considerata frutto di un'offensiva reazionaria, mentre il giudizio sul PCI rimaneva sospeso, come quello sullo stalinismo, assunto quale punto di riferimento irrinunciabile nella contrapposizione tra i due schieramenti della guerra fredda.
Ma proprio l'inflessione teorica che egli tornava a dare alla sua posizione di sinistra socialista, quel suo ontologico collocarsi a sinistra del PCI, lo rendeva scomodo e non assimilabile interamente alle posizioni del gruppo dirigente frontista, che nel successivo congresso di Firenze del giugno 1949, riprese la guida del partito con la segreteria di Pietro Nenni. Il B. venne ripescato all'ultimo momento e portato in direzione ma sostanzialmente cessò di avere un ruolo politico primario e non lo riacquisì mai più. Tornò ad essere l'ideologo che era sempre stato, e che una particolare congiuntura storica dei socialismo italiano aveva investito d'una responsabilità più direttamente politica, da lui interpretata con coerenza, rispetto a se stesso, ma col totale insuccesso suo e del partito. Nel 1950 la direzione gli irnpose di cessare le pubblicazioni di Quarto stato; era tenuto sotto sorveglianza nel clima staliniano della casa socialista, proprio di quegli anni. Forzarono anche i cassetti del suo ufficio in direzione per documentare un'accusa di titoismo, sventata dall'intervento di Amendola e Pajetta. Al congresso di Bologna del 1951 venne escluso dalla direzione, in quello di Milano del 1953 dallo stesso comitato centrale. Fu comunque rieletto a Milano nelle elezioni del giugno 1953. Come parlamentare e avvocato si dedicò alla difesa dei militanti del movimento operaio, colpiti dalla repressione poliziesca (si veda del B., La democrazia davanti ai giudici, Milano 1953). Solo con il congresso di Venezia del 1957 tornò in direzione e nell'ufficio di segreteria.
Con quel congresso si apriva una nuova promettente stagione di dibattiti nel partito socialista; esso aveva sancito la vittoria della nuova maggioranza autonomista capeggiata da Nenni, di contro ad una composita minoranza, formata dai "carristi", da quadri dell'ex apparato morandiano, da un gruppo di sindacalisti e dagli amici del Basso. Fu il congresso seguente, quello di Milano del 1959, a segnare, con la fusione delle mozioni Basso-Vecchietti, un nuovo organico schieramento di sinistra socialista, che portò nel 1964 alla scissione del PSIUP. In questo nuovo amalgama il B. giocò un ruolo di guida intellettuale, più che propriamente politica. Nel 1958 aveva, dei resto, fondato una nuova rivista di riflessione preminentemente teorica, Problemi del socialismo, destinata ad esercitare una influenza notevole su un vasto gruppo di quadri socialisti, specie giovani. Furono quelli anni vivaci per la sinistra socialista, anche al di là della vicenda interna di partito; R. Panzieri e L. Libertini elaborarono le loro dieci tesi sul controllo operaio, riproponendo alla discussione, sulla base di spunti già emersi nel dibattito del dopoguerra, un'autentica piattaforma operaista, da cui nel 1961 scaturiranno i Quaderni rossi, suiniziativa di Panzieri e di altri.
Anche il B. era tornato a riflettere sulla esperienza politica della Resistenza e del dopoguerra nel suo volume Il principe senza scettro (Milano 1958), ma con un approccio fondamentalmente diverso; il tema era la "resistenza di popolo", il problema quello della forma democratica di governo e del controllo dello Stato. Il B. elaborò anche la tesi dell'"alternativa democratica", intesa non come alternativa propriamente politica, ma "di base", mobilitazione di istanze di massa autonome, dialogo con segmenti dissenzienti del mondo cattolico, tema quest'ultimo molto corteggiato dopo l'avvento al pontificato di Giovanni XXIII (si veda del B., Socialisti e cattolici al bivio, Palermo 1961).
La diaspora che, all'appropinquarsi dell'operazione di centrosinistra, si andò verificando nel PSI, ebbe tuttavia significati molto più complessi, e seguì strade molto diverse, da quelle poi assunte dalla scissione del PSIUP. Il B. sembrò avvertire ciò e mantenere una certa equidistanza tra le polemiche interne di partito e il dibattito culturale che si svolgeva all'esterno, a differenza di quanto aveva fatto all'indomani della Liberazione.
Ciò non toglie che le nuove posizioni di sinistra seguirono un percorso intellettuale e politico molto distante da quello che era stato ed era il suo. Il D. non fu un precursore, ma non volle nemmeno arrendersi ed essere l'epigono di una vecchia scuola. Così, mentre si consumava senza passione la sua vicenda di dirigente socialista, con la rottura sempre più profonda fra la sinistra e la corrente maggioritaria dei PSI, al congresso di Milano del maggio 1963; con la sua dichiarazione alla Camera nell'ottobre dello stesso anno contro il governo Moro-Nenni, infine con l'adesione al PSIUP nel gennaio del 1964, egli intensificò parallelamente le iniziative esterne. Fondò un'altra rivista di studi marxisti, simultaneamente in lingua francese ed inglese, l'International Socialist Journal o Revue internationale du socialisme (1964), con cui tesseva una vasta rete di collaborazioni internazionali; pubblicò un volume di Scritti politici di Rosa Luxemburg (Roma 1970); preparò come membro dei Tribunale Russel la relazione finale sui crimini americani in Vietnam, compiendo negli anni 1966 e 1967 numerosi viaggi in Estremo Oriente (lavorò alla costituzione di un secondo Tribunale Russel per l'America Latina, negli anni 1974-76 dopo il colpo di stato cileno e la morte di Salvador Allende, che egli aveva incontrato a Santiago del Cile nel 1971 in occasione di un seminario [Transición al socialismo y experienciá chilena, Santiago 1972]).
Seppe dunque essere partecipe di tutti i temi e le mode del dibattito intellettuale della sinistra europea (di cui era una personalità riconosciuta e molte sono le traduzioni dei suoi scritti) quali incominciarono a svilupparsi in quegli anni. Ma fu una corsa parallela e abbastanza solitaria, pure se ricchissima di iniziative. Anche il gruppo di giovani, prevalentemente sindacalisti, che si erano stretti nel 1964 intorno a Problemi del socialismo, lasciarono la redazione nel 1971, auspici di una linea più movimentista.
Si era intanto consumato il distacco del B. dal PSIUP nelle cui liste era stato rieletto alla Camera, nelle elezioni del '68. Ma l'invasione della Cecoslovacchia nell'agosto di quell'anno lo portò ad una dichiarata rottura con il nuovo partito, alla cui vita interna non aveva molto partecipato, pur tenendone formalmente la presidenza. Recò ancora la sua opinione dissenziente al congresso di dicembre di quel partito e l'anno seguente non rinnovò la tessera. Fu rieletto al Senato nel 1972 e nel 1976 come indipendente nelle liste del PCI.
Nel 1973 istituì a Roma la Fondazione Lelio e Lisli Basso cui destinò la sua ricca biblioteca, e vi fece confluire le iniziative dell'Istituto per lo studio della società contemporanea (Issoco). Si ricordano fra l'altro le settimane internazionali di studi marxisti, in particolare la prima su Rosa Luxemburg e il marxismo, la seconda sul ruolo dello Stato nel capitalismo, la terza sul programma di Gotha, la quarta sull'Antidühring e altre numerose iniziative internazionali. In questo periodo portò quasi a termine anche la redazione del volume Socialismo e rivoluzione (Milano 1980), che rappresenta la summa della pluridecennale riflessione del B. sul pensiero marxista, edito postumo, quando l'ormai dichiarata "crisi del marxismo riservava un'eco minore a questi temi.
Il B. morì a Roma il 16 dic. 1978.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Lisli e Lelio Basso, Fondo Basso; Ibid., Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direz. gen. di P. S., Casellario politico centrale, b. 396, fasc. Lelio Basso; Ibid., Confinati politici, cart. Basso. Una bibliogr. quasi completa degli scritti del B. è quella curata da F. Ajmone in Problemi del socialismo, XIX (1978), pp. 205-224; XXI (1980), pp. 291-316. Tra i numerosi necrologi del B. sono utili quelli di: A. Agosti, in l'Unità, 17 dic. 1978; G. Pajetta, ibidem; V. Foa, in Quotidiano dei lavoratori, 17-18 dic. 1978; V. Gorresio, in La Stampa, 17 dic. 1978; G. Arfè, in Il Giorno, 17 dic. 1978; A. Natoli, in La Repubblica, 17 dic. 1978; W. Tobagi, in Corriere della sera, 17 dic. 1978; R. Rossanda, in Il Manifesto, 17 dic. 1978; A. Gambino, in L'Espresso, 24 dic. 1978; G. Mughini, in Mondo operaio, gennaio 1979, pp. 80 ss.; si veda anche la recensione di L. Valiani al volume Stato e rivoluzione, in Corriere della sera, 27 apr. 1980. Interamente dedicati al B. sono due fascicoli della rivista Problemi del socialismo, XIX (1978), n. 12 (scritti di F. Zannino, E. Collotti, O. Negt) e XXI (1980), n. 18 (scritti di F. Zannino, F. Contorbia, S. Merli, M. Salvati, E. Giovannini, A. Mangano, R. Guastini, G. Ferrara, G. Sivini, G. Bonacchi, M. Flores, G. Quazza); su di lui anche un'altra raccolta di scritti: L. B. nella storia del socialismo, a cura dell'Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria, Quaderno n. 4, Alessandria 1979 (prefazione di G. Quazza e contributi di G. Canestri, F. Contorbia, F. Livorsi, M. Guasco, M. Cattipanella, G. Avolio); si veda anche il volume Marxismo, democrazia e diritto dei popoli. Scritti in onore di L.B., Milano 1979. Un buon profilo del B. fino alla seconda guerra mondiale è quello di A. Agosti, in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, I, Roma 1968, ad vocem. Utili sono alcuni scritti autobiografici: Ricordi di università a Pavia e a Milano, in Avanti!, 26 luglio 1956; La mia prima tessera socialista, Milano 1971; Il PSI negli anni dal frontismo, in Mondo operaio, luglio-agosto 1977, pp. 62 ss.; e il volume di Lisli Basso, Ricordi di cose molto vecchie, 8 settembre '43-aprile '45, s. I. né a. Tra la memorialistica, da ricordare: G. Amendola, Lettere a Milano, Milano 1973, passim; P. Nenni, Diari, I, Milano 1981, e II, ibid. 1983, ad Indices; F. De Martino, Un'epoca del socialismo, Firenze 1983, ad Indicem. Per i congressi del PSI, oltre ai resoconti apparsi sull'Avanti!, si veda F. Pedone, Il pensiero e l'azione socialista attraverso i congressi del PSI, II, [Venezia] 1983-1985, ad Indicem. Sul periodo del primo dopoguerra qualche spunto in G. Arfé, Storia del socialismo, Torino 1965, ad Indicem; per la vicenda di Pietre, si veda la prefazione di G. Mercenaro alla ristampa anastatica della rivista, Bologna 1977; sul B. tra guerra e dopoguerra, G. Galli, La sinistra italiana nel dopoguerra, Bologna 1958, passim; M. Salvati, Il PSIUP per l'Alta Italia nelle carte dell'Archivio Basso (1943-1945), in Il movimento di liberazione in Italia, XXIV (1972) pp. 61-88; G. Cacciatore, La sinistra socialista nel dopoguerra. Meridionalismo e politica unitaria in L. Cacciatore, Bari 1979, passim; S. Merli, Il "partito nuovo" di L. B., Venezia 1981; la ricostruzione più completa è di F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Milano 1984, ad Indicem. In particolare sulla Costituente v. i saggi di F. Taddei, C. Macchitella e S. Carretti su L'area socialista, in Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, a cura di R. Ruffilli, Bologna 1979, passim. Per il periodo successivo, G. Tamburrano, Storia e cronaca del centrosinistra, Milano 1971, e P. Amato, Il PSI dal frontismo all'autonomia, Milano 1974, passim; per la vicenda del PSIUP: S. Miniati, PSIUP1964-1972, Vita e morte di un partito, Roma 1981, passim. Si vedano, infine, i volumi di N. Tranfaglia, Carlo Rosselli dall'interventismo a "G. L.", Bari 1968, ad Indicem; A. Agosti, Rodolfo Morandi e l'azione politica, Bari 1985; G. Tamburrano, Pietro Nenni, Bari 1986, ad Indicem.