SOCINI, Lelio e Fausto
Erano rispettivamente figlio e nipote del giurista Mariano. Per la storia del movimento riformatore italiano essi hanno poca importanza. Ma grande ne hanno come sistematori del movimento razionalistico, e come organizzatori dottrinali dei motivi ereticali di origine anabattistica, spiritualistica, umanistica, ebraicistica, panteistica, che pullularono durante il sec. XVI e dai quali, appunto attraverso la sistemazione dei due S., doveva svolgersi, per quanto riguarda la teologia, il deismo filosofico dei secoli XVII e XVIII. Per questa loro attività, essi hanno dato il nome a quel moto di idee che comunemente è detto, appunto, "socinianesimo". Dei due il più noto è Fausto, figlio d'un fratello di Lelio, Alessandro.
Lelio nacque nel 1525 a Siena, morì il 14 maggio 1562 a Zurigo. Dall'età di cinque anni, visse a Padova. Pare che a Padova stessa egli venisse presto iniziato agli studî giuridici; ma più che di perfezionarsi nel latino, egli si preoccupò di apprendere il greco, l'ebraico, l'arabo. Prestissimo, fra il 1540 e il 1546, dové convertirsi, o fortemente interessarsi al protestantesimo. Nel 1546, secondo la tradizione che qui possiamo seguire, conobbe M. Gribaldi, Paolo Alciati della Motta, G. Biandrata, frequentando a Vicenza convegni di dotti e di uomini interessati ai problemi religiosi, convegni che dovevano dare origine alla leggenda dei collegia vicentina. Nel 1547, intraprese un viaggio di studio in Europa. A Chiavenna si legò di amicizia con Camillo Renato (forse simbolico pseudonimo di un Giorgio Siculo), l'anabattista spiritualista, capo morale degli eretici nei Grigioni, che rifiutava di considerare come sacramenti la cena e il battesimo, rigettando il nome stesso di sacramento, e propugnava una concezione puramente etica e razionale della religione cristiana. Questi motivi, derivati dalla critica umanistico-razionalistica al dogma cristologico, rimarranno in Lelio come ispiratori dei suoi studî e dei suoi pochi scritti.
Da Chiavenna, Lelio si recò a Basilea, dove si trovavano, in quel momento (10 ottobre 1547), Celio Secondo Curione, B. Ochino, S. Castellione; e qui entrò in rapporti con Bonifacio Amerbach, l'amico ed esecutore testamentario di Erasmo da Rotterdam. La tradizione racconta poi che, da Basilea, Lelio intraprese un viaggio per l'Europa occidentale: Francia, Inghilterra, Paesi Bassi. Di lì ritorna in Svizzera, a Ginevra, a Basilea, dove alloggia presso l'ebraicista S. Münster, a Zurigo, dove in ultimo stringe amicizia col circolo di H. Bullinger, cioè col Bibliandet, Conrad Gessner, J. Simler, il Gwalther, H. Wolff e col Bullinger stesso. Nel 1550, Lelio va a Wittenberg, ove segue attentamente le lezioni di un ebraicista, il Forster. Disputava liberissimamente, sostenendo fra quei luterani, le più ardite tesi degli zuingliani. Quando, nel 1551, lasciò Wittenberg, aveva con sé un favorevolissimo "Testimonium" del Melantone. Da Wittenberg per Breslavia e per Praga, Lelio si reca a Cracovia, dove frequenta F. Lismanini, mandando a Calvino notizie sulla diffusione delle dottrine protestanti in Polonia. Nel 1552 è di nuovo a Zurigo, poi torna per alcuni mesi in Italia (Siena, Bologna, Padova) e alla fine del '53 è di nuovo a Zurigo, dove disapprova francamente la condanna al rogo di M. Serveto. È a questo punto (1554) che T. Beza formula contro di lui le gravi accuse di pericolosa eresia che manterrà fino alla morte dell'italiano. Anche Calvino sospettava che egli fosse fra i collaboratori del De Haereticis di Martinus Bellius, o forse addirittura l'autore del libello (ora comunemente attribuito al Castellione con la collaborazione di Lelio, e del Curione) mentre altri lo denunciava al Bullinger come pericoloso eretico e antitrinitario. Il Bullinger si accontentava di farsi rilasciare una confessione di fede, composta con grande ma non convincente abilità dissimulatrice. Intanto, alla morte di Mariano S. (Bologna, 20 agosto 1556), l'Inquisizione s'appropriò la parte d'eredità di Lelio, che dovette rimettersi in viaggio per la tutela dei proprî interessi. Andò a Worms, Zurigo, Tubinga, Augusta, di nuovo a Cracovia, a Vienna, sollecitando da ogni parte presentazioni e lettere commendatizie, bene accolto da Massimiliano d'Austria, dal quale ebbe commendatizie per l'Italia. Ma l'intervento dei potenti non giova a nulla: il Santo Uffizio non restituisce i beni incamerati, e anzi perseguita i fratelli di Lelio, senza però disperdere la famiglia, il cui ramo principale finirà al termine del sec. XVIII. Dopo breve dimora in Italia, Lelio torna a Zurigo, dove si alloga presso un tessitore di seta, lavorando e studiando. Di quest'ultimo periodo della vita di Lelio ci sono scarsi avanzi e notizie. Forse in esso cade il Commentario al primo capitolo del Vangelo di Giovanni. Pare che qualche volta lo venisse a visitare da Lione il nipote Fausto. Morì il 14 maggio 1562.
I libri e i manoscritti di Lelio S. furono subito raccolti dal nipote Fausto, accorso da Lione. La tradizione parla di una Paraphrasis in initium Evangelii S. Johannis, che solo di recente è stata identificata con quella riportata dal Biandrata nella sua raccolta De falsa et vera unius Dei... (v. unitarii). La parte rappresentata da Lelio nel De Haereticis del Castellione non può esser delimitata e fissata con sicurezza. Di lui possediamo le lettere, pubblicate nell'Epistolario del Calvino (Corpus Reformatorum, ed. Kunitz e Reuss, Thes. Epistolicus Calvinianus), mentre altre sono andate perdute e abbiamo solo la risposta del Calvino (Institutio, ed. 1559, III, cap. 28°, n. 11 e 12). Le lettere al Bullinger e agli altri Zurighesi sono nell'opera del Trechsel, nell'appendice. Qualche altra lettera d'importanza puramente biografica è stata pubblicata dal Burnat.
La Dissertatio de Sacramentis ad Tigurinos et Genevenses scripta 1560 vel 1561 si trova nel rarissimo libello Fausti et Laelii Socini item Ernesti Soneri Tractatus aliquot theologici, Eleutheropoli 1564. Anche lo scritto del Curcelleo nella stessa raccolta sarebbe tratto da appunti di Lelio. Ripubblicata dal Trechsel.
Per la Confessio de Deo, data il 15 luglio 1555 (su richiesta del Bullinger), v. Hottinger, Historia Ecclesiastica, Tomo IX, parte 58, cap. 30, p. 417 segg; si cfr. lo studio di E. M. Hulme, in Persecution and Liberty. Molto si può dedurre dalle confutazioni dei contemporanei e dalle opere del nipote, alcune delle quali sono anzi proprio attribuite a Lelio.
Fausto aveva ventitré anni quando accorse da Lione a raccogliere l'eredità spirituale dello zio: era infatti nato il 5 dicembre 1539 a Siena. Prese da principio un vivo interesse alla vita letteraria partecipando anche all'Accademia degli Intronati, ma non ebbe un'educazione regolare e trascurò ogni studio di filosofia, logica, teologia. Verso i ventun anno partì per un viaggio in Francia (Lione) e in Svizzera, dedicandosi probabilmente, secondo la tradizione, al commercio; tornato in Italia passò a Firenze, alla corte d'Isabella, sorella del granduca Cosimo, dove rimase per una dozzina d'anni, partecipando alla vita letteraria e anche, in apparenza, studiando legge; ma in realtà il suo interesse probabilmente dopo la lettura degli appunti e degli scritti dello zio era già volto ai problemi religiosi e teologici, giacché proprio in quel periodo egli compose il De Auctoritate Sanctae Scripturae, che apparve sotto pseudonimo, e termina con una lunga citazione di Dante. Nel 1575 Fausto decise di abbandonare l'Italia, e si recò a Basilea. Dalla disputa con F. Pucci (v.), nacque un'altra opera: De Jesu Cristo Servatore (pubblicata solo nel 1594 in Polonia), che segna una svolta nella sua vita. Il Biandrata, che fu informato della disputa e delle idee di Fausto, lo invitò a recarsi presso di lui, in Transilvania, fornendogli i mezzi per il viaggio, per averne assistenza nella disputa che s'era sollevata fra il gruppo del Biandrata e Francesco David ungherese riguardo all'adorazione di Cristo, che l'ungherese voleva abolire, mentre il Biandrata voleva mantenerla per considerazioni di opportunità politica. Attraverso Cracovia Fausto si recò a Koloszvár (Cluj), dove per quattro mesi sostenne la controversia col David, per persuaderlo che si debbono offrire preghiere a Cristo; ma invano, finché il David non fu imprigionato dal sovrano. Fausto, lasciando il Biandrata al suo destino, si recò a Cracovia, dove fissò la sua residenza, trovandovi il centro culturale della Polonia, e una notevole colonia di Italiani, soprattutto toscani. Strinse amicizia col medico del re, Nicolò Buccella, protestante a tinta eretica, che divenne suo protettore e benefattore, quando, alla morte di Isabella, l'Inquisizione pose la mano sui suoi beni ed egli rimase privo di mezzi. Entrò subito in contatto col gruppo degli "anabattisti" ("ariani", "antitrinitarî", separatisi nel 1565 dalla chiesa riformata, che avevano solo il permesso di tenere un culto privato), ma non fu ammesso come regolare membro nella loro comunità, perché rifiutò costantemente di ribattezzarsi, per non mostrare di annettere al rito del battesimo tutta quell'importanza che essi gli attribuivano, e che egli negava in pieno. Per il resto egli concordava con la sostanza delle loro dottrine, e con il loro sforzo di attuare realmente la vita evangelica.
La Polonia e la Transilvania erano piene di tali piccoli gruppi eretici, concordi nella posizione negativa di fronte alle chiese ufficiali e politicamente riconosciute, cattolica, anglicana, calviniste, luterane, ma discordi su punti secondarî di dottrine, nonostante l'ispirazione religioso-sociale comune della semplificazione estrema dei dogmi e della severità morale: la dottrina che le univa era quella dell'assoluta unità della Divinità escludente il dogma della Trinità e la dottrina cristologica tradizionale (antitrinitarismo).
Fausto, benché non riconosciuto come membro regolare di nessuno di tali gruppi, partecipò costantemente alle loro adunanze, ai loro concilî, alle loro discussioni, per iscritto e oralmente, acquistando una grandissima autorità così che riuscì a portare l'unità fra quei gruppi, ad eccezione di pochi che si allontanarono o furono eliminati. Il tatto politico da lui esplicato non fu minore dell'attività dottrinale.
Nel 1586 Fausto entrò, per matrimonio, nella nobile famiglia dei Morsztyn, di Pawlikowice. Nel 1585 era diventato il capo espressamente riconosciuto delle chiese o comunità unitarie: ma tenne sempre a dichiarare di non essere un fondatore di sette, né un eresiarca. La sua opera non consisté nel creare una nuova chiesa, ma nell'assistere e nell'approfondire, aumentandone l'unità e la coerenza, quel movimento che gli sembrava l'unico che offrisse garanzie di purezza cristiana, dottrinale e morale.
Sostenne qualche importante controversia, contro protestanti e cattolici, ma non ne iniziò nessuna di propria volontà. A ogni modo si espose così a violenti attacchi e persecuzioni. Nel 1590 l'Inquisizione confiscò tutti i suoi beni in Italia, dopo la morte della sua protettrice. Sciolto così dalla promessa fatta a questa di celare la propria identità, Fausto si dedicò a una notevolissima attività letteraria ed epistolare, partecipando anche a varie controversie con riformati e con gesuiti; molto lasciò inedito, altrimenti pubblicava per lo più presso la tipografia di Rakow, dove s'era costituito il centro culturale del movimento unitario, e dove dopo la sua morte fu pubblicato anche il resto. L'influenza che con l'usata attività egli si guadagnava fra i seguaci delle sue dottrine gli tornava in tanto odio presso gli avversarî. Costretto a fuggire da Cracovia, non vi fece più ritorno: visse a Luclawice, non molto distante dalla città, ancora sei anni, morendo il 3 marzo 1604. La moglie, Elisabetta Morsztyn, morì un anno dopo le nozze, lasciando una figlia, il cui figlio fu Andrea Wiszowaty, uno dei principali "sociniani" o "ariani" al tempo della loro cacciata dalla Polonia (1660), e uno dei principali diffusori delle dottrine "sociniane" in Olanda.
Oltre le opere principali di Fausto S. già citate, basterà qui ricordare il Commento al I capitolo del Vangelo di Giovanni, che se non è identico a quello dello zio, ne deriva certamente. Le opere di Fausto sono raccolte tutte nei primi due tomi della Bibliotheca Fratrum Polonorum, Amsterdam 1656 segg. L'attività pubblicistica di Fausto in questo senso cominciò nel 1578 con un'edizione di scritti di Sebastiano Castellione; allora egli si firmava Felix Turpio Urbevetanus; altri pseudonimi da lui usati sono: Dominicus Lopez Soc. Jesu, Prospes Dysidaeus, Felix Turpilio, Gratianus Turpio Gerapolensis.
Bibl.: Per Lelio: oltre al Cantù, Eretici d'Italia, Torino 1865 segg., II, p. 484 segg., al Bayle, Sub verbum, e A. Gordon, in Encyclopaedia Britannica (che ha valore originale), occorre sempre rifarsi ai vecchi studî di C. Illgen, Vita di L. S.,Lipsia 1914; id., Symbolarum ad vitam et doctrinam L. S. illustrandam, I, ii, ivi 1824; di F. Trechsel, Die protestantischen Antitrinitarier vor Faustus Socin, II: Lelio Sozini und die Antitrinitarier seiner Zeit, Heidelberg 1844; e del Burnat, Lelio Socin, Vevey 1894. V. anche K. Völker, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, s. v., e F. C. Church, I riformatori italiani, Firenze 1935, I, p. 234 segg.; II, p. 49 segg. e passim. Per Fausto: oltre le voci succitate, e il Cantù (loc. cit., p. 486 segg.), v. D. M. Cory, Faustus Socinus, Boston 1932; ancor meglio il succoso saggio di E. M. Wilbur, Faustus Socinus: an estimate of his life and influence, in Bulletin of the International Committee of Historical Sciences, Varsavia 1933, n. 18. Per la biografia tutti si riferiscono però alla Vita Fausti S. Senensis descripta ab Equite Polono (Samuele Przypcovius), che si trova in capo alla edizione delle Opere, e data dal 1634, e all'altro contemporaneo Matthaeus Radecius, Epistola de Fato Fausti S., pubbl. in J. G. Graevius, Animadversiones philologicae et historicae, IV, Leida 1699, pp. 233-242. Non manca l'apologia: Joshua Toulmin, Memoirs of the Life, character, sentiments, and writings of Faustus Socinus, Londra 1777. Carattere popolare ha l'opuscolo di C. W. Wendte, Fausto e Lelio Socino, Firenze 1910; N. Mengozzi, Reliquie Sozziniane, in Bollettino senese di storia patria, IV (1897), contiene solo notizie sulla fine della famiglia. Sulla gioventù letteraria di Fausto, v. l'articolo del Gordon in The Athenaeum, ii agosto 1877, p. 180; v. anche P. Misciattelli, La tomba di F. S., in La Diana, VII (1931).
Il socinianesimo.
Il sistema teologico di Fausto diede origine, come si è detto, a una comunità o chiesa o setta, che fu detta e si disse "sociniana" o dei fratres poloni, e che si inserisce nella storia della chiesa "unitaria" e della teologia antitrinitaria; il movimento ideale ad essa congiunto, ma precedente ad essa e ad essa sopravvivente, consiste essenzialmente nell'elaborazione ideale e culturale delle esigenze che si fecero vive nei moti radicali che accompagnarono la Riforma protestante, elaborazione compiuta secondo le tradizioni dell'umanesimo e della filosofia italiana del Rinascimento. Benché storicamente dottrine teologiche e idee filosofico-religiose siano reciprocamente implicate, gioverà esaminarle distintamente.
Nel sec. XVI la dottrina teologica antitrinitaria, che poi doveva esser famosa col nome di "sociniana" (i seguaci di essa si davano in genere il nome di "unitarî" che appare verso il 1570, mentre quello di "sociniani" appare solo dopo la morte di Fausto; secondo lo spirito del fondatore stesso si dicevano christiani o vere christiani, mentre gli avversarî li dicevano ariani, neoariani, fotiniani), viene proposta nel mondo della cultura dal Serveto.
Dal Serveto deriva la teoria di Dio come unica potenza che sta alla base del movimento antitrinitario, come pure i principali argomenti razionalistici e scritturali contro il dogma della Trinità. Gli altri motivi derivano dal moto anabattista e "spiritualistico" (critica ai sacramenti, radicalismo evangelico nei problemi sociali) o dalla tradizione umanistica (concezione etica della religione). Quello che era rimasto allo stadio di proposizione di problemi, di critica, di appunti particolari e di indagine, in Lelio, diventò sistema per opera di Fausto.
In Polonia il movimento teologico antitrinitario si fa datare secondo la tradizione dal 1546, per opera di un misterioso Spiritus belga: il terreno venne dissodato e seminato dal Lismanini, da Lelio S., dallo Stancaro, dal Biandrata, dall'Alciati, da Valentino Gentile, dal Gonesio (Pietro di Goniondz), scolaro del Gribaldi, da Jan Kiszka, potente magnate di Lituania, scolaro del Curione. Importanti soprattutto l'opera del Biandrata (1558) e del Gonesio (1556). Seguirono gli attacchi pubblici alla dottrina della Trinità da parte di Gregorio Pawel: la separazione degli antitrinintarî dagli ortodossi avvenne nel 1565; gli antitrinitarî formarono la "Chiesa minore (riformata)". Cominciarono subito i dissensi; ma nonostante questi e la persecuzione degli ortodossi, gli "unitarî" riuscirono a diffondersi.
Il sistema teologico di Fausto S., opposto come sintesi e conciliazione alle varie dottrine degli eretici di Polonia, è in sostanza fondato sulle due opere pensate e scritte prima di intraprendere il viaggio in quelle regioni.
Nel De auctoritate Sacrae Scripturae Fausto indaga quel che si deve considerare autentico e decisivo nella lettura delle Sacre Scritture. Nel De Jesu Christo Servatore egli prende posizione in una questione tipicamente protestante: Fausto nega la corrente dottrina dell'espiazione, per la quale Cristo salva gli uomini col sacrificio di sé stesso, unica persona atta a soddisfare la giustizia di Dio. A tale teoria il S. sostituiva la sua teoria originale, che l'efficacia del sacrificio di Cristo non opera su Dio Padre, che anzi la Sua opera salvatrice s'esercita sull'uomo stesso direttamente, non per il solo sacrificio della Croce, ma per il proprio esempio, per tutta la propria vita, imitando la quale noi riusciamo ad ottenere la salute eterna. Il motivo della imitatio Christi raccolto dal circolo umanistico italiano di Basilea (Curione, Castellione) trovava qui una formulazione precisa, otteneva un vigore costruttivo, nuovo, attraverso la critica dogmatica e teologica del senese, senza perdere nulla della sua efficacia interiore. Sulla base di questo principio teologico Fausto riesaminò tutta la dottrina cristiana. A una sistemazione delle sue dottrine cominciò a dedicarsi solo negli ultimi anni della sua vita, scrivendo la Christianae religionis brevissima institutio (Opera, I, 657-676), e preparando un nuovo catechismo, che però non riuscì a compiere, e che fu terminato dai suoi discepoli (Catechismo racoviano: prima edizione polacca 1605, tedesca 1608, latina 1609), ma che in quelle prime edizioni può senz'altro considerarsi come opera di Fausto.
Mentre il Calvino pone il centro della sua dottrina nella sovranità di Dio e Lutero nella fede in Cristo, Fausto fa muovere tutta la sua dottrina cristiana attorno al concetto della salvazione, del raggiungimento della vita eterna (ch'egli concepisce secondo la tradizione cristiana), onde la religione cristiana appare in sostanza come via patejacta divinitus vitam aeternam consequendi. L'uomo è per natura mortale, e solo ubbidendo a Dio secondo la rivelazione cristiana si può ottenere l'immortalità, o salvezza, o vita eterna. Per tale ubbidienza occorre una verace conoscenza di Dio e di Cristo: la verace conoscenza condiziona la verace ubbidienza e la salvezza. Occorre sapere e credere che Dio sia una, non tre persone, e che Cristo sia vero uomo, benché sia divinamente nato, e sia poi stato dotato di potenza divina e vada adorato come essere divino subordinato. Dalla critica al dogma trinitario deriva anche quella del concetto di eternità, e una concezione relativistica del concetto di tempo tradizionale, la quale a suo tempo sarebbe stata criticata dallo Spinoza. La risurrezione di Cristo garantisce la resurrezione degli uomini che seguano i suoi precetti. La Scrittura è considerata come autorità suprema, che va interpretata secondo la ragione. Tutte le altre dottrine, che costituiscono la parte importante degli altri catechismi o delle altre somme della religione cristiana o sono senz'altro trascurate, o vengono rifiutate come non scritturali, irragionevoli, superflue.
I doveri del cristiano come membro della comunità confessionale e come individuo dovevano esser regolati, una volta raggiunto l'accordo fondamentale, sulla base d'un estremo rigore morale e di una solidarietà veramente evangelica ed estrema. Fausto S. affrontò radicalmente anche il problema della vita sociale e politica del vero cristiano. Il comandamento cristiano di non uccidere è secondo lui assoluto, e non si può eludere, né privatamente, né come soldato, senza abdicare alla propria qualità di cristiano. La chiesa non può ammettere la guerra. Si possono adire i tribunali, ma non per fare punire l'offensore: solo per ottenere riparazione dei danni o delle offese. Non si deve rifiutare il pagamento delle tasse col pretesto che servono alla guerra; si deve ubbidire all'autorità civile, non si deve iniziare una ribellione, neppure qualora lo stato cerchi di opprimere le coscienze.
Riguardo agli altri problemi, il S. non nega la proprietà personale, ma si può dire s'avvii a negare quella privata; impone assoluta povertà, benché non riprovi una ricchezza modesta, né il prestito ad interesse; ma allo stesso tempo afferma che il vero cristiano deve dare ai poveri tutto quello che oltrepassa le necessità del suo stato.
La setta dei seguaci di Fausto veri e proprî fu piccolissima fin da principio in Polonia stessa: ma si diceva che non vi fosse grande famiglia in Polonia o in Lituania che non avesse nel suo seno qualche "sociniano": ci fu anche un sociniano sul trono, il cosiddetto falso Demetrio (1605-1606). Il sinodo di Rakow del 1612 constava di 400 delegati, quello del 1618 di 459, e si conservano ancora i nomi di 115 "chiese", benché gli atti delle congregazioni siano scomparsi durante il sec. XVIII.
La persecuzione dei sociniani si può far cominciare col supplizio di Jan Tyszkiewicz, per rifiuto di prestare giuramento, nel 1611, a Varsavia; ma il primo attacco generale fu sferrato a Lublino, dove essi avevano una comunità molto fiorente, nel 1627: dopo dieci anni l'agitazione, diffusa nel paese ad opera in ispecie dei gesuiti (che seppero scindere la solidarietà protestante anticattolica e spesso seppero fare agire contro i sociniani i luterani e i riformati), si concluse con la distruzione del centro culturale di Rakow. I sociniani cercarono di risollevarsi: rifondarono la scuola a Kiesielin in Volinia, mentre ne funzionava anche un'altra a Luclawice. Ma la scuola e la chiesa di Kiesielin furono rase al suolo nel 1644. Nel 1648 la guerra dei cosacchi distrusse le fiorenti e forti comunità della Volinia; il simile si ripeté nel 1654 in Lituania. Un momento di sollievo si ebbe con l'occupazione della Polonia da parte di Carlo X di Svezia, e anzi i sociniani si prestarono a chiedere aiuto per lui a Giorgio Rakoczy II di Transilvania: ma le selvagge truppe magiare di questo devastarono altre regioni polacche dove si trovavano le ultime comunità intatte dei sociniani. Al ritorno del re Giovanni Casimiro, comincia la rovina della comunità sociniana. L'azione cominciò eol 1658: pena di morte per chi tenesse o diffondesse la dottrina "ariana", ma, in via eccezionale, tempo di tre anni per regolare gli affari e partire. La dieta seguente abbreviò il termine della partenza che fu fissato al 10 luglio. L'ultimo sinodo in Polonia fu tenuto nel 1662.
Gli sbanditi, dopo varie traversie, si rifugiarono: una prima parte in Ungheria presso alcuni nobili protestanti; parte di questi poté poi rifugiarsi in quella che possiamo chiamare la metropoli dell'Unitarismo, Koloszvár (Cluj): la comunità polacca qui durò a lungo, finché nel 1792 si fuse con quella ungherese preesistente ("unitaria" nel senso stretto); un secondo gruppo passò in Slesia dove fino al 1669 fiorì la comunità di Kreuzburg. Un altro piccolo gruppo si fermò nel palatinato renano, a Mannheim, dove rimase tre anni, poi alcuni si recarono in Slesia, altri in Prussia, altri alla fine in Olanda. In Olanda finì per recarsi infine anche il gruppo che aveva cercato rifugio nel Holstein, mentre altri si disperdevano per varie città. Un sesto gruppo si stabilì nel Brandeburgo, attorno a Francoforte sull'Oder; questa comunità si assimilò presto al paese ambiente, e diminuì continuamente. Nel 1758 la comunità era scomparsa. L'ultimo gruppo si fermò nella Prussia Orientale, col permesso del Grande Elettore; finirono con l'ottenere l'appoggio definitivo della dinastia, e si mantennero per un certo tempo uniti. Ma poi incominciò l'opera del tempo, dell'ambiente: molti emigravano. Nel 1750 persero il contatto coi correligionarî di Transilvania: la congregazione andò sempre più diminuendo e impoverendo. L'ultimo ministro della chiesa sociniana di Prussia morì verso il 1803; i sopravissuti vendettero e si spartirono i beni della chiesa nel 1811: così finiva l'ultima chiesa che si desse il nome di "sociniana". Rimase a darsi quell'appellativo solo qualche individuo: il censimento confessionale prussiano del 1838 ci dà ancora i nomi di due sociniani, di antiche famiglie. L'ultimo sociniano morì nel 1852.
In Olanda i primi sociniani furono due ministri polacchi, che s'iscrissero all'università di Leida nel 1598, l'Ostorod e il Wojdowski: furono essi a convertire il Soner. Conobbero anche il famoso Arminio (v. arminius), fondatore del movimento religioso che da lui prese il nome: non riuscirono a convertirlo all'antitrinitarismo, ma gl'istillarono molti dei loro principî. Finirono con l'essere espulsi. Nel 1619 il successore di Arminio, il Vorst, fu deposto dalla cattedra e bandito dal paese come sociniano. Ma specialmente dopo che fu loro chiusa l'università di Altori, gli studenti polacchi venivano sempre in maggior numero in Olanda, e diffondevano le dottrine cracoviane: nel 1628 gli Stati Generali dovettero emanare decreti contro quello che già si chiamava "socinianesimo" con termine più comprensivo di quello di "chiesa sociniana", ma quei decreti non furono molto osservati. Intanti i rimostranti non facevano più eccezioni contro la confessione di fede antitrinitaria, e ammettevano nelle loro chiese i sociniani, che da parte loro, seguendo l'esempio e la dottrina di Fausto non cercavano mai di fare una chiesa a parte. Quando, dal 1638 in poi, cominciò l'esilio dei "sociniani" in Olanda, la chiesa riformata cominciò ad agitarsi. Così gli esuli del 1660 trovarono il terreno preparato all'attività dei loro correligionarî, e furono accolti con viva simpatia. In Olanda non si formò nessuna comunità indipendente per le ragioni sopra esposte: i sociniani continuarono a iscriversi individualmente nelle comunità rimostranti o mennonite. Quivi esercitarono la loro influenza soprattutto presso i capi, nonostante i fondamentali dissensi dottrinali (sulla Trinità, sulla natura di Cristo, sull'espiazione). Più larga influenza ebbero i sociniani sui "collegianti", che non formavano neppur essi una comunità o setta separata, ma un movimento religioso di laici. Il loro centro era a Rijnsburg, presso Leida. I sociniani cominciarono prestissimo a prender parte alle loro adunanze, vi acquistarono larghissimo numero di seguaci: furono i collegianti a tradurre in olandese il catechismo di Rakow, e il De Trinitate del Serveto, oltre varie opere del Socini e dei suoi diretti seguaci, e furono essi ad assumersi il carico dell'edizione della Bibliotheca Fratrum Polonorum. Attraverso i collegianti le dottrine della comunità sociniana passarono nella chiesa mennonita, che aveva comuni con la chiesa dei fratres poloni le origini anabattistiche. Neppure i mennoniti s'erano mai voluti fondere integralmente coi sociniani. Ad ogni modo la chiesa mennonita s'imbevve sempre di più di dottrine puramente sociniane, tanto che nel 1722 ben 150 pastori mennoniti si rifiutarono di sottoscrivere una confessione di fede trinitaria. La polemica contro il socinianesimo (poiché non si poteva più colpire una chiesa o setta sociniana) durò ancora per qualche generazione: dopo il 1742 circa si può dire che i sociniani avessero perduto ogni distinta identità.
Prima delle rigorose formulazioni dottrinali e delle controversie di Fausto S., e fuori di ogni attività di carattere ecclesiastico, pratico, s'era iniziato un largo movimento d'idee, che accompagnò poi, svolgendosi con essa, quella che è la storia della comunità sociniana in senso stretto, e continuò poi quando quest'ultima fu dissolta, formando il fondamento ideale e il fermento spirituale del socinianesimo, all'infuori del movimento teologico.
Le radici del movimento dei sociniani sono svariatissimi: vanno dal movimento di rif0rma cattolica iniziato dal Contarini, alla humanitas e alla christianitas erasmiana (evangelismo morale e pratico), ai motivi intellettuali del neoplatonismo italiano (religione intesa come conoscenza della divinità e della volontà divina), come pure dell'aristotelismo patavino (razionalismo), per arrivare, attraverso le dottrine zuingliane, e alla ripresa, tanto attraverso Erasmo quanto attraverso lo studio diretto, del motivo della Imitatio Christi dei fratelli della vita comune, all'anabattismo spiritualistico, al mennonismo, allo jorismo, e via dicendo, le cui esigenze vengono affermate ed elaborate via via. Il metodo usato nella critica e nell'interpretazione delle scritture e dei dogmi deriva direttamente (come dimostrano alcune citazioni in scritti di Lelio e del Gribaldi) dal Valla, il cui rinnovamento della filologia latina e il cui tentativo di rinnovamento della logica su una base grammaticale e filologica acquistano significato e importanza rivoluzionarî presso questi suoi tardi seguaci.
Camillo Renato che era a capo di una comunità di anabattisti continuò nei Grigioni quell'attività di critica ai dogmi e ai sacramenti (in specie il dogma della Trinità e i sacramenti del battesimo e della cena), ch'era già viva e diffusa in Italia. E i Grigioni rimasero come la base di azione e il centro di rifugio degli eretici italiani: Celio Secondo Curione, Dario Socini, Francesco Betti, amico dell'Aconcio, di Fausto Socino, del Curione, dell'Ochino, del Pucci. Il loro centro culturale fu invece Basilea, dove insegnavano alla stessa facoltà il Curione e il Castellione, piemontese l'uno, savoiardo il secondo. Tutti questi uomini della prima generazione sono stati perseguitati, in grado maggiore o minore, per opinioni eretiche: e tutti, dall'Ochino a Lelio Socino, hanno sempre contestato le accuse loro fatte, chiedendo libera discussione per provare di non essere eretici, anzi, veri cristiami. Di qui sorge la loro idea della tolleranza: quando non si agisca contro la morale evangelica, deve essere permessa ogni discussione, ed ogni opinione sui dogmi, o su questioni particolari, e sulle istituzioni (sacramenti). Il loro concetto della religione cristiana è spiritualistico, come diceva il Renato; l'importante non è la dottrina o l'autorità, ma "spiritus ille christianus". Quando ci sia questo, che aiuta a interpretare rettamente, quanto all'etica, la scrittura sacra, il resto ha solo un valore: quello di approfondire e chiarire la conoscenza delle cose divine, e solo quello ha valore che a ciò serve. Quindi libertà, anzi dovere di discussione, tolleranza del dissidente.
Al di là delle questioni teologiche specifiche, il nome di Fausto S. è legato alla tolleranza religiosa e al razionalismo applicato alle questioni confessionali e religiose.
Il concetto di tolleranza non è originale di Fausto S.: nel sec. XVI l'avevano riproposto i protestanti nelle regioni nelle quali erano perseguitati: famosa al proposito l'apologia di Calvino al re di Francia: ma qui il concetto non aveva avuto sviluppi. L'esperienza che è a base delle riflessioni di Fausto su questo problema è quella di suo zio. Per quegli esuli italiani, la purioris religionis causa non poteva identificarsi con l'una o l'altra chiesa non cattolica, alle quali si sentivano in sostanza estranei e indifferenti, ma aveva un valore assoluto, e la libertà d'indagine e di revisione di tutti quei dogmi che per loro si andavano rivelando come "costruzioni umane", come istrumenti e mezzi di predominio di un gruppo e di organizzazione politica ("terrena"), la possibilità di un reale interiorizzarsi della religione, non impedito da istituzioni o interventi esterni, costituivano per loro l'essenza della "più pura religione", che essi intendevano del tutto soggettivamente. Da quelle esigenze e da quell'esperienza Fausto trae i motivi immediati della sua considerazione del problema della tolleranza: che egli pone nei suoi veri termini, come superamento di vecchie posizioni divenute indifferenti, o non assolutamente decisive per la vita spirituale (salvezza, immortalità), additando la radice dell'intolleranza nel valore soprannaturale e trascendente attribuito all'umana esperienza religiosa, alle umane dottrine religiose, che sono ridotte quindi da lui ad opinioni, per le quali non è lecito invocare l'ordine divino e umano, l'autorità, la legge. Il concetto dell'intimità della vita spirituale dell'uomo, del valore umano della religione, che non può essere immobilizzata e cristallizzata in termini astratti, istituzionali o dogmatici, permetteva a Fausto S. "d'inverare col concetto della tolleranza, che è per lui l'essenza stessa della religiosità, il contenuto fecondo della Riforma" (Meli).
Il razionalismo di Fausto S., che raccoglie attraverso Lelio e il Biandrata anche la tradizione "patavina", è più un atteggiamento che una teoria elaborata e sistemata: e deriva dal concetto della religione che abbiamo sopra accennato; consiste non nel generico applicare la ragione ai problemi religiosi, ma nel considerare tali problemi come problemi umani (non semplicemente filosofici in quanto distinti dagli altri problemi del pensiero umano), nel non riconoscere ad essi nessuna maggiore importanza o dignità che agli altri problemi dottrinali: tutti vani e inutili di fronte alla diretta conoscenza dell'essenza di Dio e della sua volontà come appare dalle scritture, che vanno interpretate per quel che sono e che realmente vi si trova, secondo il metodo del Valla, non per quel che non v'è, e che vi si può porre solo a mezzo di deduzioni e sovrastrutture e infrastrutture. Solo qui s'inserisce la tradizione giuridica italiana. Fausto procede realmente come un giurista nel sezionare e dissezionare i testi sacri, che erano l'unica autorità ch'egli riconosca, come gli anabattisti. Non si tratta di un'autorità sostituita ad un'altra, perché il complesso dei libri sacri contiene tante ispirazioni differenti e tanti m0tivi e idee spesso anche contrastanti, che il passaggio dall'autorità delle "Confessiones" e dei credi, attraverso i quali agivano le Chiese, a quella della Scrittura pura e semplice, filologicamente e non teologicamente studiata, era in realtà un gran progresso verso l'assoluta libertà religiosa. Dagli anabattisti alla generazione di Lelio S. c'era già stato un buon passo, su questa via; quello decisivo fu però compiuto da Fausto. Mentre egli poi interpretava la Scrittura alla luce della ragione, i suoi seguaci in Olanda, procedendo, subordineranno la Scrittura alla ragione.
La storia della diffusione di questi principî sociniani presenta molte difficoltà. La propaganda dei sociniani fu vastissima, ma segreta: un'idea della sua entità ce la possiamo fare dal numero elevatissimo di opere pubblicate contro il socinianesimo nel corso dei secoli XVII e XVIII. Il criptosocinianesimo non si limitò certo solo al caso di Altorf: ma appunto per il carattere suo intrinseco e per quello della sua diffusione, doveva dissolversi, come si dissolse, in un movimento intellettuale generale, nel deismo inglese, nella Aufklärung tedesca, nel movimento per la propagazione dei Lumi in Francia: assumendo colorazioni differentissime, e perdendo poi il suo carattere originario. Ma fino alla fine del sec. XVIII è possibile seguirne le tracce tanto direttamente, quanto attraverso le polemiche: sotto l'influenza del pensiero sociniano sono il Gentili e il Grozio, nonostante la negazione di questi; il Mosheim rintraccia il socinianesimo nella Aufklärung; il pastore e polemista protestante Jurieu lo rintraccia nei portorealisti e nei giansenisti (a torto per quanto riguarda la dottrina della predestinazione, a ragione per quanto riguarda il rigorismo morale): qui ricorderemo che il Pilati non celava le sue simpatie per il movimento sociniano.
Il centro della diffusione del pensiero sociniano fu l'Olanda: teologicamente soprattutto attraverso i rimostranti e i mennoniti, che se risentirono molto l'influsso dei sociniani, influirono anche a lor volta sul loro modo di pensare. Dall'Olanda il socinianesimo si diffuse a mezzo della stampa in Inghilterra, dove il terreno era stato preparato soprattutto dell'Aconcio, tanto che i dissenters venivano in Olanda a studiare teologia, onde si può dire ehe il socinianesimo ha avuto una fortissima influenza sul pensiero religioso liberaleggiante inglese e poi sul movimento deistico (non però su quello della religione naturale). Attraverso i collegianti il socinianesimo esercitò probabilmente una certa influenza sulla critica biblica dello Spinoza; il concetto della tolleranza fu raccolto dal Leibniz; il razionalismo fu ripreso e continuato dal Bayle.
Come corpo di dottrine il socinianesimo si può dire finito molto presto; ma per tutto il periodo che va dagli ultimi del Cinquecento agli ultimi del Settecento il termine sociniano aveva avuto il significato ben chiaro di spirito critico, di razionalista, di persona che non conferisce alcuna importanza alle dispute teologiche dogmatiche, ed applica spregiudicatamente il proprio spirito critico e il proprio razionalismo all'indagine e all'esame dei punti più delicati della religione: l'atteggiamento di spirito sociniano operò a lungo, agendo come fermento rinnovatore nel mondo protestante, in specie calvinista, impedendone la cristallizzazione, e spingendo il moto riformatore a mantenersi fedele al proprio principio di continuo rinnovamento.
Nella cultura non teologica rappresentò il motivo della religiosità laica: anzi rappresentò e accompagnò il liberarsi della cultura laica dalla teologia, liberazione avvenuta non per reazione e negazione filosofica radicale - impossibile in un mondo scosso dalla Riforma e dalla Controriforma - dei problemi religiosi e dei teoremi religiosi, ma per la critica interna esercitata sulla teologia tradizionale dai due Socini e dai loro seguaci, che raccolsero le esigenze dei varî moti religiosi radicali e le coordinarono e le svilupparono trasformandole nel campo della cultura, sulla base di quei principî che avevano rappresentato il fermento dell'Umanesimo italiano, dal Valla in poi.
Bibl.: Delle opere dei discepoli di Fausto S. (v. la bibl. relativa ai due S.), basterà ricordare: J. Crell, Ad Librum Hugonis Grotii quem de satisfactione Christi adversus Faust. Socinum Senensem scripsit, Responsio, Rakow, 1623; A. Wissowatius (Wiszowaty), Religio rationalis; seu de rationis judicio in controversiis etiam theol. ac religiosis adhibendo, tractatus, auctore A. W., 1685. Le opere dei sociniani sono raccolte nella Bibl. Fratrum Polon., Amsterdam 1656 segg. (si trovano rilegate in cinque, sei od otto volumi più o meno grossi); come ultimo volume si presenta, benché non faccia parte della collezione iniziata nel 1656, quello delle Opera del Przykpowski (Eleutheropolis-Amsterdam 1682).
Per la storia delle comunità riorganizzate da Fausto S.: Sand, Bibliotheca Antitrinitariorum, Freistadii 1684; Bock, Historia Antitrinitariorum, Königsberg 1774-78; A. Wiszowaty, Narratio de ortu et progressu Socinianorum in Polonia (1679); Narratio compendiosa quomodo in Polonia a Trinitariis Reformatis separati sint Christiani Unitarii: è pubblicato in appendice alla Bibliotheca del Sand: O. Fock, Der Socinianismus, Kiel 1847, I; H. Amphoux, Essai sur la doctrine socinienne, Strasburgo 1850 (Dissertazione); G. Bonet-Maury, Les Origines du Christianisme unitaire chez les Anglais, Parigi 1881; le ultime tre opere contengono anche notizie sulle dottrine; di carattere generale ma bene informata e sicura è l'opera di E. M. Wilbur, Our Unitarian Heritage, Boston 1925; riguardo al socianesimo in Olanda: W. J. Kühler, Het Socinianisme in Nederland, Leida 1912; J. C. Van Slee, De geschiedenis van het Socinianisme in de Nederlanden, Haarlem 1914; per le controversie ivi e altrove suscitate: Hoornbeek, Adparatus ad controversiam socinianam, Leida 1650-64, voll. 3 (calvinista); A. Calovius, Scripta antisociniana, Ulma 1684, tomi 3, in 4° (luterana); S. R. Maresius, Defensio Fidei catholicae et orthodoxae de Trinitate, de peccato originali, de salute per solum Christum et justificatione ex ilius fide opposita quaternioni Steph. Curcallaei Sociniani, Groniniga 1682. Per la storia delle dottrine: il vol. II del Fock, sopra citato; dal punto di vista cattolico, Alfonso Maria De Liguori, Istoria delle eresie colle loro confutazioni, cap. ii°, articolo 5° (prima ediz., Bassano 1773, pp. 155 segg., e specialmente 165 segg.); F. Meli, Spinoza e due antecedenti italiani dello spinozismo, Firenze 1934 (parte 1ª: Le dottrine religiose e politiche di Fausto S. e i loro sviluppi nel pensiero del sec. XVII), pp. 1-95; sulla formazione storica del socinianesimo, oltre l'opera del Trechsel citata nella bibliografia per L. S., si vedano gli importantissimi studî di S. Dunin-Borkowski, Quellenstudien zur Vorgeschichte der Unitarier des 16. Jahrhunderts, e Untersuchungen zum Schrifttum der Unitarier vor Faustus S.,in 75 Jahre Stella Matutina, Festschrift, voll. I e II rispettivamente, Feldkirch 1931, pagine 91 e seguenti del Dunin-Borkowski si veda pure lo studio in Scholastik, VII (1932), pp. 481-523; e per quanto riguarda lo Spinoza, il vol. III del suo Spinoza, Munster i. W. 1936. Si vedano inoltre le storie generali dei dogmi, specialmente quella del Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, 1910, III, pp. 765-808; quella di O. Ritschl, Dogmengesch. d. Protestantismus, Gottinga 1926, 1927, III, IV, passim; le storie delle eresie, specialmente quella del Lindeboom, Stiefkinderen van het Christendom, L'Aia 1929; e infine le storie delle chiese particolari, in specie quelle del Wotschke, Die Reformation in Polen, Lipsia 1913 e di K. Völker, Kirchengesch. Polens, Berlino 1929. Buoni gli articoli Sozinianismus di O. Zöckler, nella Realenzikl. dello Herzog-Hauck, XVIII (1906), pp. 459-80; e del Köhler in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, tanto nella 1ª quanto nella 2ª ed. (1908-13; 1927-31); si veda poi: Fr. Ruffini, La Polonia del Cinquecento e le origini del socinianismo, in La cultura, XI (1932), fasc. 2°; St. Kot, Ideologia polityczna spoleczna braci polskich zwanich arjanami, Varsavia 1932; K. Górski, Grzegorz Pawel z Brzezin, Cracovia 1929 (l'uno sulle idee politiche e sociali di F. S. e dei "fratres poloni", nel periodo della loro fioritura; l'altro sul Pauli). Ricchissima di materiali e di notizie e ben fornita di recensioni è la rivista Reformacja w Polsce, che esce a Varsavia, diretta St. Kot. Importanti gli studî e le raccolte di materiali del Wotschke, del quale basterà ricordare Der Briefwechsel d. Schweizer mit den Polen, vol. III, degli Ergänzungsbände dell'Archiv f. Reformationsgesch., Texte u. Untersuchungen, Lipsia 1908.