FALCONIERI, Lelio
Nacque a Firenze nel 1585 da Paolo, console della nazione fiorentina a Roma sotto Sisto V, e Maddalena Albizzi. Nulla sappiamo della sua infanzia ed adolescenza. Studiò diritto a Perugia per poi addottorarsi in legge a Pisa. Dopo la laurea si recò a Roma, dove il fratello Orazio aveva appaltato il monopolio del commercio del sale. A Roma esercitò l'avvocatura per qualche tempo, ma poi decise di intraprendere la carriera ecclesiastica. Sotto Paolo V fu referendario di Grazia e Giustizia e governatore di Spoleto, Sanseverino e Benevento. Successivamente Gregorio XV lo fece governatore di Campagna e Marittima. Infine Urbano VIII lo designò quale inquisitore dell'Umbria e dell'Emilia e lo fece membro della Consulta.
La sua carriera amministrativa non sembra certo essersi particolarmente distinta, ma, varcata la soglia dei quaranta anni, il F. fu proposto quale nunzio in Fiandra dal cardinale Giulio Sacchetti, cognato del fratello Orazio. La proposta fu accolta con l'apparente benestare del marchese di Castel-Rodrigo, ambasciatore spagnolo a Roma, che descrisse il F. come una "buena persona", pur se ignorante e molto presuntuosa, e lo stesso Sacchetti consacrò il nuovo nunzio vescovo di Tebe nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini il 10 dic. 1634.
Il F. doveva partire per le Fiandre agli inizi del 1635, ma la sua partenza fu più volte ritardata. Il nuovo governatore dei Paesi Bassi meridionali, il cardinale infante Fernando, fratello di Filippo IV, re di Spagna, era infatti intenzionato a far pagare al cardinale Francesco Barberini l'allontanamento da Roma di Antonio Brumacchi vescovo di Conversano e valido collaboratore del marchese di Castel-Rodrigo. Nel marzo del 1635 il F. cominciò a spazientirsi e fece ripetute pressioni sull'ambasciatore di Spagna per potersi finalmente recare a Bruxelles. Questi tentò ancora di tergiversare, ma infine il 14 maggio il nunzio si mise in cammino dirigendosi alla volta di Firenze, da dove ripartì il mese successivo per fermarsi ancora a Bologna, Modena, Parma, Milano e Torino.
Il F. aveva ricevuto dettagliate istruzioni tanto per la sua missione in Fiandra, quanto per le tappe italiane. In particolare doveva indagare presso il duca di Parma sul motivo del numero, altamente sospetto, di soldati da questo arruolati. Doveva inoltre convincere il duca che era meglio abbandonare una dispendiosa politica bellica e accettare una trattativa con lo Stato della Chiesa. Nel corso del suo viaggio il F. dovette anche avere contatti con il duca di Modena, con alcuni cardinali a Milano e con il duca di Savoia a Torino. Per quanto riguardava la nunziatura di Fiandra, che dal 1632 era governata ad interim da Richard Pauli-Stravius, sotto la supervisione del nunzio di Colonia, il F. doveva restaurare la disciplina religiosa nei Paesi Bassi meridionali e se possibile anche in Olanda (come viene ribadito da una lettera della congregazione di Propaganda Fide). Doveva inoltre favorire la riforma dei monasteri benedettini, riattivare la cooperazione con i vescovi, controllare alcuni eccessi commessi dall'università di Lovanio, trattare con fermezza con quelle autorità laiche che avevano approfittato dell'assenza di un nunzio titolare. Infine doveva indagare sui negoziati di pace e spingere per un accordo fra i principi cattolici: a tale scopo doveva mantenere uno stretto collegamento con la nunziatura di Parigi, evitando, però, di perdere la fiducia del cardinale infante.
Mentre il F. si dirigeva verso la frontiera francese, al cardinal Barberini giunse notizia dell'ostilità manifestata dal cardinale infante nei confronti del nuovo titolare della nunziatura di Fiandra, ma, in un primo tempo, non le accordò eccessiva importanza, anche perché sapeva che nel mese di giugno il re di Spagna aveva inviato una lettera di congratulazioni al nuovo nunzio. Questi intanto iniziava a temere qualcosa e da Lione chiedeva istruzioni al Barberini, che gli consigliò di proseguire alla volta di Liegi.
Nel mese di luglio Pauli-Stravius fu informato che il F. non poteva entrare in Bruxelles senza un'autorizzazione scritta di Filippo IV. Il nunzio fu raggiunto da questa notizia proprio mentre stava per lasciare Lione e dirigersi alla volta di Liegi. Decise allora, su suggerimento del Barberini, di proseguire per Parigi, dove avrebbe atteso ulteriori istruzioni. A Roma intanto si pensava a un malinteso fra il re di Spagna e il cardinale infante: il nunzio ebbe quindi ragguagli incoraggianti e, sperando in un rapido chiarimento, decise di trattenersi a Parigi, dove alla fine rimase dall'agosto all'ottobre.
In una situazione già ingarbugliata questa decisione si rivelò poco avvertita ed infatti già alla metà d'agosto il cardinal Barberini invitò il nunzio a trasferirsi a Liegi, ma questi, che temeva lo stato di guerra e la scarsa sicurezza delle strade, rimandò ripetutamente il viaggio. In verità sin dalla vigilia della sua partenza da Roma il F. era stato ammonito, come testimonia T. Amayden, di non farsi identificare quale filofrancese: la lunga sosta a Parigi e alcuni incontri con Mazzarino e Richelieu ottennero proprio questo risultato.
Nel frattempo Pauli-Stravius, cui il F. aveva scritto appena arrivato a Parigi, cercava di avere informazioni a Bruxelles e il nunzio in Spagna, Lorenzo Campeggi, tentava di convincere G. de Guzmán, conte duca di Olivares, ad intervenire, sfruttando la perplessità di quest'ultimo di fronte all'atteggiamento, in contrasto con la corte, del cardinale infante.
A Roma si iniziò addirittura a sospettare che fosse Pauli-Stravius a tramare contro il nunzio per mantenere intatti i propri privilegi a Bruxelles, ma una rapida indagine del nunzio a Colonia, Martino Alfieri, rivelò che dietro le resistenze all'arrivo del nunzio in Fiandra vi doveva essere qualcosa di più complicato, che, però, nessuno riusciva al momento ad individuare. Per alcune settimane la situazione sembrò così congelarsi in una posizione di stallo, ma il nunzio, stanco di aspettare a Parigi, cercò di forzare gli eventi commettendo un secondo decisivo errore.
Partito da Parigi, il F. si diresse alla volta di Liegi, chiedendo per il tramite del Pauli-Stravius un salvacondotto a Bruxelles, ma poi, arrivato a Charleville alla fine del novembre 1635, non attese il documento richiesto, ottenendo direttamente dalle autorità dì Charlemont il permesso di passare in territorio spagnolo. Mentre si dirigeva verso Liegi, il nunzio inviò a Bruxelles Matteo Francioni, suo uditore, per iniziare a sollevare Pauli-Stravius dai compiti della nunziatura. Invece, contrariamente alle speranze del F., il governo di Bruxelles ordinò all'uditore di allontanarsi subito dalla città, senza comunicargli quando il nunzio avrebbe potuto prendere servizio.
Nella primavera successiva il F., bloccato a Liegi, scrisse a Roma, affermando di sospettare nuovamente del Pauli-Stravius, ma a questo punto apparve chiaramente che era il governo di Bruxelles ad opporsi alla sua entrata in città. Fu infatti dichiarato pubblicamente che i Paesi Bassi erano stanchi di tutta la faccenda e che non volevano un nunzio filofrancese e poco rispettoso delle autorità civili, come la storia del passaporto richiesto e non atteso avrebbe ampiamente dimostrato.
Nel frattempo una serie di contatti triangolari Roma-Madrid-Bruxelles riportavano a galla la storia dell'allontanamento del vescovo A. Brunacchi da Roma e della relativa offesa al cardinale infante. Il Barberini allora sperò che in fondo il problema fosse meno grave di quanto pensato e che un intervento di Madrid potesse riportare a più miti consigli Bruxelles. Anche queste speranze si rivelarono vane, quando si seppe che una lettera di Filippo IV al fratello era rimasta senza risposta e che il cardinale infante aveva invece scritto all'ambasciatore spagnolo a Roma per specificare che il F. non avrebbe mai messo piede nei territori da lui governati.
Roma tentò ancora di esercitare pressioni sul governo dei Paesi Bassi e della Spagna, ma il cardinale infante rimase fermo sulle sue decisioni, mentre il F. cadeva addirittura in mano agli Olandesi nel mese di maggio e veniva poi rilasciato grazie all'intervento del nunzio a Colonia. Nel corso dell'estate il nunzio si recò a Spa per una cura termale dopo una lunga e pericolosa malattia.Nel novembre 1636 Filippo IV decise che non era più possibile continuare così e scrisse all'ambasciatore a Roma affinché notificasse che la Spagna non voleva più sentire parlare del F. a Bruxelles. Con un mese di anticipo il cardinale Barberini aveva intanto già scritto al F. per comunicargli che non era più il caso di insistere, data la riottosità del governo di Bruxelles, e in particolare di Martin de Axpe, segretario di Stato del cardinale infante, che desiderava liberarsi della nunziatura per avere mano libera nei Paesi Bassi meridionali in materia di giurisdizioni ed immunità ecclesiastiche.
Il F. si trattenne ancora per qualche mese a Liegi, attendendo il bagaglio lasciato a Parigi, e quindi, nel marzo 1637, si recò a Colonia, dove il Barberini gli aveva ordinato di mettersi al servizio del nuovo legato, il cardinale Marzio Ginetti. Nell'estate successiva il F. cadde di nuovo gravemente ammalato di calcoli e alla fine di settembre comunicò a Roma di non poter più restare in Germania. Nell'ottobre successivo prendeva così la via del ritorno e infine, dopo una lunga tappa a Firenze, rientrava a Roma, dove alla fine del 1639 diveniva segretario della congregazione dei Vescovi e dei Regolari e di quella delle Indulgenze.
Nel luglio 1643 fu elevato al cardinalato grazie all'appoggio del cardinale Barberini e nell'agosto di quell'anno ebbe il titolo presbiteriale di S. Maria del Popolo. Come cardinale fu membro del S. Offizio e nel 1644 prese parte, insieme con Bernardo Spada e G. B. Pamphili, alla commissione cardinalizia incaricata di discutere un memoriale sulle posizioni di Giansenio, presentato da alcuni inviati dell'università di Lovanio.
Nel 1643 fu designato - sembra su indicazione del principe Taddeo Barberini - legato a Bologna, dove si recò nel novembre di quell'anno. La sua legazione fu caratterizzata da difficoltà finanziarie, dovute alla situazione di guerra. In questo frangente il F. lamentò più volte la sua povertà, rammaricandosi che gli fosse stato espressamente vietato dì concedere la libertà agli omicidi dietro cauzione, secondo una pratica allora corrente.
Negli anni della sua permanenza a Bologna il F. si interessò soprattutto delle opere di ricostruzione della fortezza urbana e della risistemazione dell'ospedale cittadino. La sua amministrazione non si segnalò per alcuna iniziativa particolare, salvo, forse, alcuni contrasti con la nobiltà bolognese, che diedero adito a voci malevole sul conto del legato. Il suo epistolario bolognese con il cardinale e con il principe Barberini è un lungo elenco di ringraziamenti e di reciproci favori, quasi tutti affatto inerenti alla conduzione della legazione.
Gravemente ammalato di calcoli, nel 1648 subì una difficile operazione, ripresosi dalla quale si trasferì a Firenze nel settembre 1648. Dopo una nuova ricaduta del male decise di tornare a Roma, ma morì durante il viaggio a Viterbo il 14 dic. 1648.
La sua esperienza dì ambasciatore ed amministratore della Chiesa non sembra contraddistinta da grandi capacità, né da grandi risultati, ma l'appoggio del cardinale Sacchetti e dei Barberini furono più che sufficienti a garantirgli una carriera tranquilla, disturbata soltanto dalle disavventure di Fiandra.
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