BALANGERO, Lelio Ottavio Cauda conte di
Figlio di Alessandro, dei Cauda oriundi astigiani, e di Anna Peracchio della Piè, nacque ad Asti, probabilmente fra il 1580 e il 1590, e venne avviato alla carriera di magistrato e burocrate, della quale percorse con relativa rapidità tutti i gradi. Nominato da Carlo Emanuele I avvocato fiscale e patrimoniale il 16 genn. 1624, senatore di Piemonte e capitano generale di giustizia il 6 sett. 1625, si rivelò infaticabile nel proprio lavoro e più d'ogni altro diligente e zelante nel ricercar denaro per il duca, che ne era avido, escogitando stratagemmi di ogni natura ed esercitando uno spietato controllo sui "tesorieri di milizia" e sui consigli comunali.
Le sue lettere al duca sono fittissime di elenchi di gabelle riscosse o da riscuotere, di "quartieri" da esigere o esatti, di crediti da incassare o incassati, di garanzie nella compilazione e consegna dei registri di tesoreria da pretendere o pretese. Continue, e spesso interminabili, le diatribe con i cassieri recalcitranti o evasori, frequentissima la richiesta di "quelli ordini senza i quali non puosso né attender né obbedir" (così nella lettera dell'8 nov. 1622). Gli intrighi paesani contro "il Patrimoniale" sono da lui spietatamente investigati e repressi (vedi per es. lettere del 13 sett. 1623, 25 ag. 1624, 2 febbr. 1625, 18 marzo 1626, 27 maggio, 8 ag., 26 ott. 1627, 17 genn. e 13 febbr. 1628, 6 nov. 1629, 27 maggio e 8 ag. 1630, ecc.), non senza, tuttavia, un severo senso della giustizia: quando, ad esempio, apprende che "la maggior parte delli huomini di Govone hanno esportato loro vittovaglie e mobili a San Damiano, et che all'apparir di più di una persona a cavallo una parte si riduce nelle chiese, altra alla campagna", avverte subito che quei "villani", nel fuggir gli esattori, non sono tutti colpevoli, poiché i responsabili veri sono pochi, fra cui "i preti Sacho e Stropiana, Miglino" e altri ecclesiastici e monache (lettera del 21 ott. 1623). Requisizioni, pagamenti, esazioni, arresti di evasori e contrabbandieri sono l'oggetto monotono, ma molto serio, delle sue minuziosissime relazioni al duca fra il 1622 e il 1637.
Durante la pestilenza del 1630 l'amministrazione centrale entrò in grave crisi per la fuga o la morte di molti dirigenti, e allora l'attività del B. si estese, con sede a Cherasco, a tutta la politica interna. Le questioni dei pagamenti alle truppe, delle provviste di armi, polveri e cavalli, dei pedaggi, delle strade, delle revisioni contabili, dei contatti con gli Spagnoli, divennero drammatiche. Non solo, ma i problemi del grano, delle monete e, soprattutto, della difesa contro i nemici interni - contro coloro che pronunciavano (cfr. lettera del 9 sett. 1633) "esecrande parole" contro il duca - divennero di sua personale pertinenza.
Già le patenti del 6 sett. 1626 lodavano "la dottrina et integrità sua... et la diligenza isquisita"; secondo quelle del 20 apr. 1632, egli si era reso benemerito "moltiplicandosi secondo il bisogno, e mostrandosi prudente, vigilante, indefesso, disinteressato". In verità, Vittorio Amedeo I, succeduto nel 1630 a Carlo Emanuele I, si entusiasmò della straordinaria capacità di lavoro del B. e fece di lui il suo più stretto e fidato consigliere. Sebbene assai parsimonioso, anzi avaro nelle cose sue, il B. era tuttavia disinteressato in quelle pubbliche; tanto disinteressato da eccedere in rigore e pignoleria.
Così, mentre la città di Torino lo eleggeva cittadino onorario il 31 dic. 1632 e il duca, dopo averlo nominato secondo presidente camerale il 20 apr. 1632, lo investiva dei feudi di Balangero, Mathi e Villanova col titolo di conte il 13 genn. 1633, la duchessa Maria Cristina e alcuni dei più alti esponenti dell'amministrazione lo presero di mira, prima con maldicenze, poi con macchinosi intrighi. Cristina si divertiva ad aprir la porta dello studio del duca, mentre costui parlava col B., e a gridare "Cauda, tu seras pendu". Il cardinal Maurizio andò a visitarlo nel suo ufficio, come a denunciare la di lui potenza e a porlo perciò in imbarazzo con il duca. Il principe Tommaso di Carignano si lamentava (e ne fece una delle cause della sua fuga nel 1634) del malevolo fiscalismo del B. nel controllare i bilanci e i privilegi giurisdizionali del governatorato della Savoia. Gian Tommaso Pasero, primo segretario di Stato, scriveva libelli calunniosi e ingiuriosi contro di lui, accusandolo addirittura di stregoneria, e li metteva sul tavolo di Vittorio Amedeo I, mentre era a caccia, perché ne prendesse conoscenza e provvedesse; poi, fallita questa manovra, lo additò, in colloqui privati a corte, come il responsabile di ogni difficoltà governativa, inserendo nella campagna denigratoria anche i motivi del contrasto, già in atto, tra il partito filospagnolo e quello, cui apparteneva il B., filofrancese.
Infine, il Pasero ordì una vera e propria congiura contro gli amici del Balangero. Il presidente Ottavio Ruffìno, governatore di Savigliano, fu condannato sulla scorta di un libello scritto dallo storico Valeriano Castiglioni. Riabilitato il Ruffino, fu la volta del conte Appiano e del senatore Barberis, dei quali, come del B., una "bella, astuta ed impudica" donna, Margherita, moglie d'un soldato della guardia del duca, Antonio Roero, predicò, fingendosi indemoniata, la cacciata di corte, perché seminatori di prossime sventure alla dinastia e ai popoli piemontesi. Anche stavolta il vicario dell'arcivescovo scoprì l'inganno, ma il Pasero non venne toccato. Finalmente, nel 1634, in seguito a una denuncia del Ruffino contro il Castiglioni, costui, incarcerato, fece il nome del Pasero e del generale delle poste, conte Bartolomeo Messerati, che vennero arrestati.
Il B., liberato dagli attacchi, poté di nuovo lavorare con serenità, anche a incarichi difficili, come quello di convincere Nizza (v. lettera del 4 giugno 1637) della necessità di consegnare 2000 sacchi di grano e di restaurare le fortificazioni cittadine. Il 20 luglio 1637 fu promosso primo presidente della Camera dei conti e, dopo la morte di Vittorio Amedeo I, Cristina stessa, divenuta reggente, gli affidò - dopo la sua dichiarazione di fedeltà del 19 dic. 1637 - importanti incarichi. Così egli si recò di nuovo a Nizza per ottenerne l'obbedienza, ma la missione non riuscì; anzi, il B. fu costretto a rifugiarsi in Francia, poiché si sparse la voce ch'egli volesse consegnar la città al Richelieu. Nel 1638 (v. lettera 24 giugno) diede preziosi consigli sulla difesa di Vercelli. Alla fine dell'anno (lettera 24 dic.) era ancora impegnato nelle vicende politiche.
Il B. morì, sembra, a Susa, tra l'agosto e il settembre 1639.
Nell'ultimo periodo della sua vita, ormai alquanto stanc0, il B. si occupò essenzialmente dei suoi affari privati. Si interessava a fondo di una fucina per la fabbricazione di canne da moschetto eretta in Balangero, regione Sant'Anna, e il 23 febbr. 1637 otteneva dal duca 1500 lire d'argento di finanziamento; il 26 dicembre dello stesso anno altre 36.000 lire da 20 soldi per completare la fucina e fornire 6000 moschetti. Curava la vigna presso il Monte dei Cappuccini, comprata all'asta (il 13 giugno 1634) dagli eredi del conte Cernusco. Rimproverava spesso (lettera 15 ag. 1638 e varie del 1639) il fratello Alessandro per le troppe spese fatte nei restauri della propria villa a Balangero. Inutili fatiche, tuttavia, poiché il matrimonio con Anna Maria Vagliengo era rimasto sterile e la guerra civile, poco dopo la sua morte, provocò il saccheggio della sua casa e il sequestro delle sue proprietà da parte dei principisti (con atto della Sezione camerale in data 26 ott. 1639) e, ultima postuma offesa, la concessione, il 1° genn. 1640, dei feudi di Balangero, Mathi e Villanova a uno dei due maggiori suoi nemici, il Messerati. Egli aveva tuttavia provveduto, economo sì, ma sollecito della salvezza della propria anima, ad istituire un patronato nella cappella che i frati minimi di S. Francesco da Paola volevano costruire nella loro chiesa, e per questo aveva ceduto loro una casa, con beni, a Robassomero e promesso 5000 lire in tre anni e 6000 all'atto della fabbricazione della cappella (doc. del 4 dic. 1638).
Fonti e Bibl.: Molti dati sono stati ricavati da docc. inediti (citati sopra) dell'Arch. di Stato di Torino, Sez. I, Lettere particolari, C, m. 47; S, m. 32; Sez. Camerali: Investiture e consegnamenti, m. 2; Insinuazioni, m. 1. Notizie, non sempre esatte, in L. Cibrario, Storia di Torino, II, Torino 1846, pp. 415 ss.; G. Claretta, Storia della Reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino 1868, I, p. 114; II, pp. 381-386; Id., Il Municipio torinese ai tempi della pestilenza del 1630 e della reggente Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino 1869, p. 119; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II,Torino 1881, pp: 402 ss.; Torino, Bibl. naz., A. Manno, Il Patriziato subalpino, III(datt.), p. 257.