lenitas
Il sostantivo e il corrispondente aggettivo lenis (leno) rientrano nel sistema terminologico con cui D. definisce un nodo di concetti fondamentale nella sua riflessione linguistico-retorica, cioè la nozione di ‛ dolcezza ' (di lingua e stile, ma con più specifico riferimento alle qualità propriamente foniche del tessuto verbale) e la dialettica con la nozione opposta e complementare di ‛ asprezza '.
Eloquente è l'uso di leno in Cv IV Il 13, dove, a commento di con rima aspr'e sottile (v. 14) della canzone che apre il trattato, D. precisa: E però dice aspra quanto al suono de lo dittato, che a tanta materia non conviene essere leno. Il confronto col testo della canzone istituisce la perfetta equivalenza di leno con dolce, impiegato al v. 1 appunto nell'accezione tecnica caratteristica di D. e in esplicita antitesi con aspro (dolci rime - cui si accompagna soave stile, v. 10 - di contro a rima aspr[a]). Non diversa è l'accezione di lenitas, lenis nel De vulg. Eloquentia. Particolarmente interessante è il passo di VE Il XIII 12 in cui, parlando dell'uso delle rime nella canzone, D. indica come uno deI difetti fondamentali che il poeta ‛ tragico ' deve evitare la rithimorum asteritas, aggiungendo però subito: nisi forte sit lenitati permixta; nam lenium asperorumque rithimorum mixtura ipsa tragoedia nitescit.
Il principio, sostanzialmente di matrice boeziana, dell'armonia come temperata commistione di opposte qualità linguistiche, dolcezza e asprezza, è qui assunto a precetto di ars dictandi, dietro a cui è facile scorgere la riflessione sopra un'esperienza poetica personale, passata e in fieri, che fa perno soprattutto sull'equilibrata tessitura stilistica delle rime dottrinali e forse già implica l'incipiente Commedia.
Lo stesso principio, e specificato in termini del tutto affini, si ritrova del resto in VE I XV 3, sia pure adibito a un giudizio puntuale sopra una particolare situazione dialettale. Si tratta infatti di spiegare in che senso un armonico contemperamento di caratteri linguistici contrapposti, e in sé negativi, renda il dialetto bolognese eccellente tra i volgari municipali d'Italia: Accipiunt... praefati cives [i Bolognesi] ab Ymolensibus lenitatem atque mollitiem, a Ferrarensibus vero et Mutinensibus aliqualem garrulitatem, quae proprie Lombardorum est. È chiaro che qui l. precisa sinonimicamente, ma certo aggiungendovi una connotazione più positiva, il concetto di mollities (v.) col quale D. aveva caratterizzato in precedenza la femminea sdolcinatezza del volgare romagnolo (VE I XIV 2 vocabulorum et prolationis mollitiem), mentre assieme i due sostantivi si oppongono al termine garrulitas, il quale non è che una variazione icastica intorno alla consueta nozione generale di asperitas verbale (v. LOMBARDIA: Lingua).
La tecnicizzazione di lenitas, lenis, leniter, e la relativa opposizione alla serie asperitas, asper, aspere (e simili) sono già largamente presenti nella tradizione retorica classica, da cui si trasmettono a quella medievale; cfr. ad es. Cicerone De Orat. II XV 64 " Verborum autem ratio et genus orationis fusum atque tractum et cum lenitate quadam aequabiliter profluens sine hac iudiciali asperitate et sine sententiarum forensibus aculeis persequendum est " (altri rinvii a contesti analoghi figurano alla v. ASPERITAS, cui in generale si rimanda).