Spitzer, Leo
Critico e filologo austriaco (Vienna 1887-Forte dei Marmi 1960); allievo di W. Meyer Lübke, studiò a Parigi, a Lipsia, a Roma. Ottenuta nel 1913 la libera docenza in lingue e letterature neolatine, professore straordinario a Bonn, insegnò poi filologia romanza a Merburgo, a Istanbul (1933-36) e, dal 1936, alla John's Hopkins University di Baltimora.
Esercitò la critica dantesca in modo saltuario, ma estremamente suggestivo, facendo coincidere in essa estro inventivo e un'esperienza del mondo medievale fondata sulle rigorose conoscenze linguistiche e filologiche proprie dello specialista. In questo senso il suo scritto più tipico è Bemerkungen zu Dantes " Vita Nuova ", in cui a ogni intuizione esegetica, avanzata sempre in modo assai poco convenzionale, corrisponde una cauta controprova semantica e tematica ricavata da letture sorprendentemente ricche, attinte a repertori lirici o a testi dottrinali in latino o in vernacolo desunti da tutta l'area romanza.
Pur concepite nella solitudine del soggiorno turco come " modesti " risultati di colloqui seminariali, le Bemerkungen sono il frutto di una cultura vasta e duttile che attinge a ricerche remote la propria sicurezza e la felicità delle proprie intuizioni. Si tratta di 22 paragrafi in cui vengono affrontati problemi molto particolari che vanno dal significato del nome di Beatrice (§ 1) concepito come nome di azione e solo più tardi, soprattutto nella canzone Li occhi dolenti per pietà del core (Vn XXXI) come acquisizione personalizzata dedotta dall'azione beatifica, alla definizione tecnica della ‛ dolcezza ' dominante il sonetto Tanto gentile (Vn XXVI), definizione che conchiude le 46 pagine dello scritto spitzeriano.
Nella lettura del saggio occorre distinguere tra le intuizioni più felici del critico e quelle che hanno avuto, indipendentemente dalla loro plausibilità, un maggior raggio di espansione nel dibattito sul libello dantesco. Assai efficaci appaiono, ad esempio, le osservazioni sulla grossolanità del latino dello spirito naturale (Vn II 6), opportunamente riportate dallo S. a un condizionamento ‛ comico ' del discorso del personaggio, ispirato all'intrinseca rozzezza delle sue operazioni. Ugualmente originali risultano le considerazioni sul sonetto Cavalcando l'altr'ier per un cammino (Vn IX), legato nel suo incipit, secondo lo S., alla forma capricciosa della ‛ pastorella ' a indicare appunto una diversione dell'amante dal sentiero dell'amore cortese.
Le osservazioni recepite con particolare attenzione dalla critica più recente della Vita Nuova sono però piuttosto da riferirsi a un modo, particolare al critico dello stile, di attribuire peso di realtà alle metafore narrative dantesche. Partendo, ad esempio, dalla metafora del libro de la... memoria in così singolare evidenza all'inizio della Vita Nuova, lo S. è portato a reclamare valore realistico all'operazione dello scriba che preleva dal libro della memoria nozioni significanti, le trascrive e le chiosa seguendo una tecnica d'interferenza che sottolinea il duplice condizionamento degli eventi narrati.
Accanto a queste osservazioni che hanno trovato vasto campo d'impiego nella dantistica contemporanea, c'è da segnalare l'apporto dello S. alla tesi, controversa, della presenza già accentuata della Commedia nella Vita Nuova. Tale dimostrazione appare sostenuta con vigore argomentativo, ma non senza qualche forzatura specialmente all'altezza dei capitoli IV e VIII. Riferendosi, ad esempio, al verbo obumbrare di Vn XI 3, lo S. si richiama al concetto caro alla mistica di Dionigi l'Aeropagita di " buio divino " e ritrova in esso, in forma già esplicita, quel sentimento del soprannaturale che porterà D. a parlare audacemente nel XXX canto del Paradiso dell'irradiarsi dell'alta luce all'ombra della divinità.
Gli altri scritti dello S. sono tutti ispirati a consapevolezza della radicale soggettività in cui si risolve la trama poetica del mondo dantesco. Da questo punto di vista si può dire che mentre da un lato egli ha fiancheggiato l'impegno ‛ allegorico ' della critica americana tutta volta a dar rilievo alla zona ‛ io - noi ' della Commedia, dall'altro egli ha creato remore a tale orientamento insistendo sul soggettivismo e sull'estro inventivo che presiedono alla formulazione della Commedia come degli altri scritti danteschi.
Per altro verso, tutta la critica di argomento dantesco dello S. è vincolata a posizioni interlocutorie e va riferita alla sua singolare abilità di far ribaltare in direzione della mimesi poetica le osservazioni erudite dei critici che lo hanno preceduto. Così al taglio realistico-biografico del capitolo del Vossler dedicato al canto XIII dell'Inferno e tutto incentrato sulla personalità di Pier della Vigna, intransigente e fanatico burocrate dell'Impero affetto dalla sclerosi linguistica derivata dai limiti della sua condizione umana, egli sostituisce la geniale intuizione di una mimesi linguistica, prodotto dell'obbrobrioso decadimento dell'anima eternamente assunta nella sua prigione vegetale e da essa condizionata. Parimenti, all'osservazione del Grandgent che insiste sul valore autobiografico dei versi del XIX canto dell'Inferno, dove D. si difende dall'accusa di sacrilegio, lo S. ribatte insistendo sul valore di metafora visiva da attribuire all'episodio inventato da D. per creare nel lettore le condizioni indispensabili all'intelligenza del paesaggio dei simoniaci. Nella stessa direzione si muovono le annotazioni sulle apostrofi al lettore nella Commedia (v. APPELLO AL LETTORE), cui l'Auerbach attribuiva tensione profetica, lo S. spessore di concretezza visiva indispensabile per creare un personaggio fraterno che possa muoversi in tutta la sua corporeità in un mondo fondato su esperienze fortemente personalizzate. Sviluppando con radicale coerenza questa linea esegetica, lo S. legge in chiave saggistica il De vulg. Eloq., affidato sì, a suo parere, a un'approssimazione sperimentale che chiameremmo oggi di tipo ‛ gestaltico ' che non perde mai di vista un modello linguistico tipologicamente perfetto esistente fuori della realtà, ma che, in fondo, aderisce, attraverso l'ironizzazione paradossalmente liquidatrice di tutti i dialetti esistenti nella penisola, al concetto che il vero inventore e modello del ‛ volgare illustre ' sia lo stesso Dante.
Opere dantesche di S.: Bemerkungen zu Dantes " Vita Nuova ", in " Publications de la Faculté des Lettres de l'Université de Istanbul " II (1937) 162-208; Speech and Language in Inferno XIII, in " Italica " XIX (1942) 81-104 (poi in Romanische Literaturstudien 1936-1956, Tubingen 1959, 544-568; traduz. ital. Espressione e Linguaggio nel canto XIII dell'Inferno, in Lett. dant. 223-248); An autobiographical incident in Inferno, in " Romanic Review " XXXIV (1943) 243-256; The farcical Elements in Inferno, Cantos XXI-XXIII, in " Modern Language Notes " LIX (1944) 83-88 (rist. in Romanische Literaturstudien, cit.; The Ideal typology in Dante's De Vulgari Eloquentia, in " Italica " XXXII (1955) 75-94; The Addresses to the Reader in the Commedia, ibid. (1955) 143-165 (rist. in Romanische Literaturstudien, cit., pp. 574-595).
Bibl. - J. Hytier, La méthode de L.S., in " Romanic Review " XLI (1950); A. Roncaglia, L.S., in " Approdo Letterario " VI (1960); R.Wellek, L.S., in " Comparative Literature " XII (1960); G. Contini, L.S., in " Paragone " (1961); E. Giachery, in " Belfagor " (1961); P. Gonnelli, In memoria di L.S., in " Convivium " XXIX (1961) 96-101; A. Vallone, Gli studi danteschi di L.S., in La critica dantesca nel Settecento ed altri saggi danteschi, Firenze 1961, 211-227; A. Schiaffini-L. Russo-A. Vallone, Karl Vossler e L.S., in Letteratura Italiana. I critici, Milano 1969, 3057-3079.